La scuola e la cultura della donazione
di Antonio Latella
“Per donare – secondo l’antropologo Marcel Mauss, nipote di uno dei padri della sociologia, Durkheim – occorre possedere una forte dose di civiltà e, al tempo stesso, essere consapevoli che il valore del dono risiede nell’assenza di garanzia”.
L’attività extracurriculare nelle scuole e la formazione degli insegnanti registrano la mancata valorizzazione della cultura della donazione. Come se donare agli altri qualcosa di noi stessi, sangue e organi, non faccia parte dei nostri valori cristiani e, anche, del nostro dovere di uomini. Donare oggi, nella maggior parte dei casi ci riporta all’attuale società consumistica: a quella sorta di competizione che ci vede impegnati nello scambio di beni voluttuari in occasione di feste, onomastici, matrimoni, ecc. E non importa se per fare bella figura con familiari e amici siamo costretti ad usare la carta di credito revolving, far ricorso a una finanziaria o al vicino di casa “cravattaro”. L’ interessante è l’immagine: tanto per saldare il conto c’è sempre tempo. Nella speranza di un domani solvibile.
Per donare – secondo l’antropologo Marcel Mauss, nipote di uno dei padri della sociologia, Durkheim – occorre possedere una forte dose di civiltà e, al tempo stesso, essere consapevoli che il valore del dono risiede nell’assenza di garanzia. Questi concetti fanno maturare in noi la certezza che donare il sangue o gli organi appartiene alla solidarietà umana, all’aiuto verso il nostro prossimo: vissuti in silenzio senza lasciare tracce nella società dell’apparire.
Quante scuole italiane, nelle loro attività extracurriculari, danno la possibilità a studenti e docenti di apprendere la lezione dei coniugi americani Reginald e Margaret Green, i quali nell’ottobre del 1994 autorizzarono l’espianto degli organi del figlioletto Nicholas (7 anni) una volta constatata dai medici la morte cerebrale del bambino, che era rimasto ferito, il 29 settembre di quell’anno, in un tentativo di rapina lungo il tratto calabrese dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria?
Chiusi in un eterno presente, impostoci dall’ultimo dio, Internet, nel nostro cervello non c’è più spazio per certi meravigliosi ricordi del passato legati ad una società solidale e, soprattutto, impregnata di valori.
Oggi registriamo che l’attività extracurriculare nelle scuole è sbilanciata, quasi polarizzata, sulla violenza in un mondo in cui la brutalità fa parte del bagaglio umano. Secondo noi il tema trattato è giusto, ma è sbagliato il metodo usato per portare nelle aule scolastiche argomenti come il cyberbullismo, la violenza sulle donne e di genere, la lotta alla criminalità organizzata. Un metodo nel quale i profili pedagogici sono del tutto residuali, lasciati ai margini rispetto alla centralità della narrazione di “testimonial” in cerca di solidarietà e umana comprensione.
Il prevalere di quel segmento di società civile – sempre più preferito da dirigenti scolastici, corpo docente e consigli d’istituto – non fa altro che lasciare tracce nella rete e anche sui giornali dove, per una conferenza sulle mafie (soprattutto se i relatori sono magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine esponenti di una certa società civile) ricevi in dono un titolo su tre colonne corredato da foto e didascalia. I risultati pratici? Estemporanei, con l’aggravante che la mentalità mafiosa diventa sempre più dilagante, la criminalità sempre più pervasiva, i femminicidi sempre più frequenti e la violenza di genere allarga i suoi confini.
E allora perché non affidarsi a progetti culturali sulla donazione del sangue e degli organi, magari inserendoli strutturalmente nel programma di educazione civica, da sviluppare negli istituti secondari di primo e secondo grado?