LA RIDUZIONE DELLO SPRECO GRAZIE AL LAST MINUTE MARKET, SPERIMENTAZIONE NELL’AREA URBANA COSENTINA
Il progetto Last Minute Market (LMM), ideato a Bologna nel 2002 dal Prof. Andrea Segrè con la collaborazione di alcuni studenti, primo fra tutti il Dott. Luca Falasconi che nel 1998 intraprese uno studio per capire quali settori producono eccedenze e quali sono le ragioni che le determinano, mira alla rivalorizzazione dei prodotti alimentari invenduti.. Il LMM è un’iniziativa che nasce in risposta all’esigenza di recuperare gli sprechi e trasformarli in risorsa, collegando eccedenze e consumi in un’azione di sviluppo auto sostenibile e in una rete di solidarietà locale tra profit e no profit. Nello specifico il LMM vuole rivalorizzare i prodotti alimentari invenduti in modo sostenibile, dal punto di vista economico (perché si ridà utilità ad un bene che ha perso il suo valore di scambio), sociale (in quanto si interviene sui bisognosi, poiché il cibo recuperato è destinato agli enti no profit secondo le logiche del dono e della reciprocità) e ambientale (poiché si riducono i danni ambientali causati dal trasporto e dallo smaltimento dei rifiuti). Il mercato e l’economia che si crea con questo progetto non è alternativo al sistema vigente, ma complementare e capace di reinserire in un non mercato ciò che le logiche di mercato rifiutano. Sappiamo che un bene ha in sé valore d’uso (inteso come utilità) e valore di scambio (che si genera nel mercato nel momento i cui la scarsità di un bene va a determinare il suo prezzo). Il LMM ridona l’utilità al bene rigettato dal mercato, il quale senza l’intervento del LMM rappresenterebbe soltanto uno spreco, un rifiuto da smaltire pur essendo ancora un bene perfettamente consumabile. Scopo del progetto della LMM è quello di far incontrare la “non offerta” del surplus con la “non domanda” del deficit, in modo da tornare ad una situazione di equilibrio. Tutto ruota attorno al dono che è in grado di stabilire un legame fra la “non offerta” e la “non domanda” tipiche, la prima delle imprese for profit la seconda di quelle no profit.
Da questo legame circolare creato dal dono si avrà direttamente un beneficio sociale (aiutando i bisognosi), ambientale (diminuendo l’inquinamento) e, indirettamente, un vantaggio economico (abbattendo i costi di stoccaggio e smaltimento). Perché questo nuovo modello economico possa, però, essere sostenibile è necessaria un’altra caratteristica, propria del LMM: la prossimità spaziale di tutti e tre i soggetti coinvolti. Nel giugno 2001 il LMM da idea teorica diventa ufficialmente un’associazione Onlus e a presiederla è Luca Falasconi, il primo ad effettuare una ricerca su ciò che accade nella grande distribuzione e ad ipotizzare ciò che potrebbe accadere se si riuscisse a recuperare tutto quello che viene gettato.
Nell’agosto 2003 è nata, da una costola della stessa associazione, la cooperativa Carpe Cibum, che meglio riflette la natura imprenditoriale del progetto e che integra l’attività della stessa associazione. Dal 2008 la LMM si è trasformata in S.r.l. che ha accorpato Onlus e cooperativa e di cui il Dott. Luca Falasconi è Presidente e dove lavorano 5 persone con funzioni ben precise, riguardanti soprattutto le operazioni di informazione, comunicazione e formazione (la formazione viene fatta ai dipendenti degli ipermercati preposti alla selezione dei prodotti invenduti, mansione che in precedenza poteva essere svolta anche da un volontario dell’associazione LMM).
I vantaggi per l’ipermercato sono diversi:
- VANTAGGI FISCALI: la defiscalizzazione si manifesta col mantenimento della detrazione di imposta IVA sui beni donati, proprio come accade per i beni distrutti (D.Lgs 460/1997). Si può detrarre fino ad un massimo d circa 1000 euro sulle donazioni di beni non alimentari; mentre si può dedurre nel limite del 5 per mille dell’ammontare complessivo delle spese relative all’impiego di dipendenti assunti a tempo indeterminato utilizzati per prestazioni di servizi erogati a favore delle Onlus (la LMM è anche una Onlus).
- VANTAGGI GESTIONALI: a parte i costi contenuti e lo snellimento del magazzino, si ha un migliore controllo interno della formazione degli invenduti, la razionalizzazione del sistema con riduzione degli sprechi, la garanzia del non rientro sul mercato dei prodotti donati, il minor tempo dedicato dai dipendenti alla raccolta differenziata dei rifiuti, il totale abbattimento della spesa relativa allo smaltimento dei prodotti invenduti, il ritorno di immagine derivante dall’adesione ad un’iniziativa di beneficienza (questa è una convenienza sociale); il vantaggio di trattare con un solo soggetto, il LMM, evitando una serie di oneri e contratti con altri soggetti.
Nel 2009 ho condotto personalmente un’indagine empirica nell’area di Cosenza per verificare l’esistenza dei presupposti necessari all’implementazione del progetto LMM anche in Calabria. La metodologia utilizzata allo scopo di individuare un’area territoriale idonea all’implementazione del progetto e, quindi, avente un bacino di utenza composto da imprese commerciali della distribuzione organizzata ed enti assistenziali vicini fisicamente, si fonda su due tipologie di ricerca:
- La prima è stata quella dell’indagine qualitativa e quantitativa dello spreco, effettuata col monitoraggio giornaliero delle eccedenze accumulate da un punto vendita disponibile a consentire l’osservazione costante e la catalogazione del surplus.
- Mentre la seconda è stata quello dell’intervista ad associazioni caritative, imprese for profit come supermercati e ipermercati, enti pubblici posti a diversi livelli istituzionali. Le informazioni sono raccolte in parte attraverso delle interviste che sono state successivamente elaborate, analizzandone il contenuto, e in parte derivano dal seminario organizzato in ottobre per esporre alle parti sociali l’intenzione di avviare in via sperimentale il progetto del LMM.
La localizzazione territoriale “del non mercato” nel caso specifico dell’indagine, ha individuato in una prima fase come soggetto della “non offerta” il supermercato GS e come soggetti della “non domanda” quattro enti no profit, anche se nel bacino di utenza locale preso in considerazione (l’area urbana cosentina) si registrano molti più soggetti afferenti ad entrambe le categorie.
La ricerca di un contatto con le imprese commerciali della distribuzione organizzata, è stato indispensabile per lo studio di fattibilità del progetto, visto che l’obiettivo principale rimane quello di riuscire a recuperare in modo efficiente, efficace e continuativo, i prodotti invenduti che si creano nei punti vendita della grande distribuzione organizzata. Dunque, il lavoro iniziale consiste nell’appurare i quantitativi di spreco giornalieri in modo che questi vengano riutilizzati nel minor tempo possibile da coloro che costituiscono la “non domanda”.
Nel caso di un ipermercato che solitamente raggiunge le 15.000 referenze, un vantaggio importante è quello di poter avere una vasta gamma di prodotti agroalimentari e non agroalimentari che vanno a costituire la “non offerta” potenziale. E’ ovvio che questi prodotti presentano tutti caratteristiche commerciali e merceologiche completamente diverse e, quindi, è necessaria una verifica su campo per constatare empiricamente gli aspetti qualitativi e quantitativi del surplus che si viene a formare. Infatti, mentre per i prodotti a lunga conservazione si può far affidamento sull’etichetta che riporta la data di scadenza, per i prodotti ortofrutticoli, che hanno una deperibilità collegata allo stato di conservazione, è opportuno verificare il possibile valore d’uso (se, per esempio, può mantenere l’originaria destinazione di soddisfazione del bisogno alimentare umano o se deve ricondursi alla destinazione animale).
E’ molto difficile dare una definizione quantitativa del fenomeno di eccedenze provenienti dai supermercati perché da un lato non esiste una rilevazione sistematica del fenomeno dal punto di vista istituzionale e dall’altro lato i dati in possesso dalle singole strutture distributive non vengono divulgate per ragioni di riservatezza e di immagine. Inoltre, anche questi stessi dati non potrebbero essere sufficientemente attendibili in quanto non sempre il processo di svalorizzazione della merce viene effettuato con la dovuta cura dai dipendenti e dagli addetti.
Per cui è importante l’osservazione diretta che, pur essendo effettuata su un campione non rappresentativo (visto che ogni ipermercato o supermercato ha una politica di approvvigionamento e di gestione dei prodotti più o meno personalizzata), rappresenta l’unico modo per verificare la presenza di surplus e la qualità dello stesso. L’indagine empirica è fondamentale per poter verificare l’effettiva possibilità di attivare un piano di recupero dei prodotti invenduti.
Il punto vendita preso in considerazione nella nostra indagine è un supermercato di 900 m2, che può produrre giornalmente un quantitativo di invenduti sufficiente a giustificare l’attivazione di un progetto i recupero degli stessi. Il punto vendita è il GS di Rende, presso il quale è stato possibile monitorare quantitativamente e qualitativamente lo spreco per dieci giorni.
Tenendo conto che la politica di approvvigionamento del GS tende al difetto e non all’eccesso e considerando la presenza nell’area urbana cosentina, non solo di altri punti vendita dello stesso marchio, ma di due ipermercati di grandi dimensioni sui quali allo stato attuale non è stata possibile effettuare un’operazione di verifica dell’invenduto , il progetto vede la sua ragion d’essere. Inoltre, la presenza di un bacino di utenza identificabile nella presenza di numerose associazioni no profit che necessitano di un supporto in questo senso, conferisce un ulteriore giustificazione all’implementazione del LMM.
Il secondo dato emerso dall’indagine qualitativa e quantitativa sugli invenduti del GS, è che tutto ciò che vene scartato è perfettamente recuperabile e può essere riutilizzata mantenendo la sua originaria destinazione d’uso. Dunque, per le eccedenze recuperate non è necessario ricorrere ad un impiego alternativo di second best, ovvero all’alimentazione animale.
I prodotti che reperibili al supermercato possono essere classificati in due macro categorie: quelli confezionati e inscatolati a scadenza medio-lunga e quelli freschi e freschissimi a scadenza medio-breve.
Alla luce di ciò, dall’indagine emerge un’elevata incidenza di prodotti facilmente deperibili, soprattutto ortofrutta e prodotti freschi come latticini, che rappresentano la gran parte del totale degli invenduti. Discorso analogo vale per i prodotti ortofrutticoli. Una differenza che emerge con l’indagine fatta a Bologna è che, mentre i prodotti ortofrutticoli di pezzatura ridotta o non perfetti dal punto di vista estetico non venivano accettati dal consumatore bolognese neanche a prezzo ridotto, i consumatori calabresi accettano ed acquistano lo stesso questi prodotti di “seconda fascia” presenti sugli scaffali.
Riguardo al recupero dei prodotti freschissimi, il fatto che si registri uno scarto preponderante di questi ultimi è un dato molto importante perché, come abbiamo visto, i prodotti con scadenza medio-lunga vengono già trattati da iniziative di recupero come il Banco Alimentare e, quindi, l’ampliamento del recupero di prodotti appartenenti a categorie non considerate conferisce un valore aggiunto al progetto.
Il punto vendita analizzato, opera già un’azione appartenente al mercato tradizionale di recupero dei prodotti, che è la pratica dei resi ovvero la restituzione del prodotto da parte della distribuzione organizzata al produttore. È da sottolineare, però, che spesso il reso è solo una pratica virtuale, un accordo non scritto che vale solo per alcuni prodotti e per alcune imprese, nel senso che il prodotto viene fisicamente lasciato sul posto per essere poi smaltito e questo accade per non appesantire l’industria agroalimentare che si vede tornare indietro un prodotto difficilmente riutilizzabile dal punto di vista economico. Nel caso del GS ci è stato garantito che il reso avviene realmente.
Pur constatando la brevità del periodo di analisi, il dato che recuperiamo è, comunque, importante. Infatti, ottenere la nozione precisa del volume di invenduti prodotti annualmente dal punto vendita della GDO, è un dato oltre che difficile da ottenere ex ante, anche inutile. Ciò che preme ai fini dello studio di fattibilità, è sapere che esiste un surplus e che questo surplus è teoricamente utilizzabile. Del resto, non sappiamo neanche a quanto ammonta effettivamente in termini numerici la “non domanda”, per cui il dato preciso dell’invenduto ex ante non è indispensabile né tantomeno richiesto. Nel momento in cui sarà attivato il progetto e , quindi, il recupero delle eccedenze, saranno “non domanda” e “non offerta” a riequilibrare il sistema in quello che sarà il nostro “non mercato”, facendo emergere automaticamente ex post i dati effettivi del recupero.
Se l’offerta potenziale, che solitamente non viene offerta perché considerata come scarto, incontra la domanda potenziale, la quale spesso non riesce ad esprimersi, appare logico che sapere all’inizio le quantità disponibili non è poi un dato così importante, perché sarà un dato ricavato automaticamente ex post.
E’ fondamentale, invece, la costituzione fisica del “non mercato” che dovrà configurarsi in uno spazio collocato all’interno del mercato tradizionale, ma non visibile dalla clientela. In quel luogo fisico i soggetti della “non domanda” potranno recarsi per approvvigionarsi dei beni alimentari eccedenti. Da ricordare che il “non mercato” sarà sicuramente collocato in un raggio ristretto, solitamente all’interno dello stesso ipermercato che fornisce i prodotti, per evitare eccessive manipolazioni, lunghi trasferimenti e prolungata interruzione della catena del freddo degli alimenti. L’accorciamento di tempi e distanze ha un duplice vantaggio: da un lato si abbassa l’inquinamento relativo ai trasporti e dall’altro si garantisce la rapidità della distribuzione e il mantenimento della qualità dei prodotti.
I risultati in termini quantitativi sono riassunti in queste due tabelle:
Stima delle quantità invendute aggregate.
TOTALE DEI 10 GIORNI | TOTALE PER UN MESE IN UN PUNTO VENDITA | TOTALE PER UN ANNO IN UN PUNTO VENDITA | TOTALE PER I 9 GS IN UN MESE | TOTALE PER I 9 GS IN UN ANNO |
66,24 Kg | 927,36 Kg | 111,28 q (pari a circa 11 t) | 83,46 q | 100,155 t |
L’ultimo dato della tabella, che ci informa sulle circa 100 tonnellate che possono essere recuperate dai 9 punti vendita GS dell’area urbana cosentina, non è un dato da sottovalutare. Infatti, ricordiamo che a Bologna da un solo ipermercato sono riusciti a recuperare in un anno circa 150 tonnellate di prodotti agroalimentari (di cui il 90% rappresentati da ortofrutta e prodotti freschi) destinati a sfamare circa 400 indigenti per tutti e tre i pasti giornalieri (colazione, pranzo e cena).
Stima dei dati aggregati dello spreco in base all’importo.
IMPORTO TOTALE DEI 10 GIORNI | IMPORTO TOTALE PER UN MESE IN UN PUNTO VENDITA | IMPORTO TOTALE PER UN ANNO IN UN PUNTO VENDITA | IMPORTO TOTALE PER I 9 GS IN UN MESE | IMPORTO TOTALE PER I 9 GS IN UN ANNO |
445,87 € | 6.242,18 € | 74.906,16 € | 56.179,22 € | 674.155,44 € |
Premettendo un fatturato annuo di 4 milioni e mezzo del punto di vendita preso in esame, un altro dato sorprendente è che, in termini di fatturato, circa l’1,6% dei prodotti rimane invenduto e, quindi, buttato via.
Dall’indagine merceologica e quantitativa sullo spreco è emerso che, sicuramente, vengono a formarsi dei prodotti in eccesso in ogni anello della catena agroalimentare fino alla fase immediatamente precedente alla vendita del prodotto. Dal punto di vista strettamente operativo, il monitoraggio delle eccedenze è fine a sé stesso se non si individua, nell’area presa in esame per un’eventuale implementazione del modello, il canale di uscita del surplus, quindi la potenziale non domanda locale. È importante , infatti, realizzare il riequilibrio del sistema a livello locale, attivando i processi di scambio, realizzando un contatto tra imprese e associazioni no profit, suscitando interesse verso il progetto nelle istituzioni locali, la cui collaborazione è fondamentale per dare un’accelerazione nell’attuazione del modello.
L’incontro col mondo del no profit ha fatto emergere problematiche tipiche della nostra regione: l’impossibilità di avere un rapporto o un minimo di dialogo che sia nei limiti della decenza e del rispetto con gli enti preposti all’erogazione dei fondi; il blando supporto delle istituzioni pubbliche agli enti caritativi, istituzioni che lamentano sempre la pesantezza della burocrazia e la diacronia dei tempi lunghi e lenti della politica con i tempi brevi e frenetici delle associazioni attive quotidianamente e a stretto contatto con la vita sociale che scorre ogni giorno; la compattezza invisibile del mondo spesso sommerso del volontariato, che riscontra non poche difficoltà nel reperimento delle risorse economiche; la mancanza di un circuito di informazioni tra soggetti.
Un quadro ormai noto alla realtà calabrese ma, sempre e comunque, sconcertante visti i continui richiami, sia dal mondo accademico e sia dallo stesso mondo della politica, alla sussidiarietà, alle politiche dal basso, allo sviluppo locale, e all’integrazione degli interventi, etc. afferisce alla quasi completa assenza di comunicazione tra gli attori sociali. L’incapacità comunicativa e il mancato sviluppo di reti e relazioni sul territorio, diviene una deficienza ulteriormente marcata nella prospettica implementazione del progetto in esame. Il LMM, infatti, si basa essenzialmente sulle reti e sulla cooperazione tra soggetti pubblici e privati. In conclusione, le criticità e le potenzialità rilevate nell’area urbana di Cosenza, mi hanno permesso di costruire un progetto cucito ad hoc sul territorio interessato in modo da permettere il decollo di un LMM in Calabria. Ma, una volta presentati i risultati della ricerca e diffuse le intenzioni del LMM, sarà solo la volontà delle istituzioni e degli attori sociali chiamati in causa a permettere la concretizzazione di un progetto che porterebbe vantaggi e prestigio sociale alla nostra economia calabrese.
Sonia Angelisi – sociologa ANS