LA RELIGIOSITÀ E I GIOVANI

                                                                           INTRODUZIONE

GIOVANI E RELIGIONE 1 (2015_11_28 12_01_56 UTC)Per la ricerca di un tema da trattare e sul quale basare la nostra indagine sociologica è stata unanime l’intenzione di lavorare per apportare il nostro contributo ad una tematica non ancora esaminata nel territorio reggino: quella della religiosità vissuta dai giovani, inseriti in una società postmoderna e sempre più instabile, una “società liquida”, per usare l’immagine coniata da Bauman per indicare una situazione di diffusa incertezza, in cui sembra venir meno qualsiasi punto stabile di riferimento.Tra i giovani emerge un senso di religiosità diffusa, ma non conforme agli stili tradizionali. Essi oggi sono  molto interessati ai temi della fede, ma questo sempre meno si associa ad un’appartenenza religiosa specifica; essi tendono quindi a vivere atteggiamenti assai diversificati: si va da un generico bisogno di interiorità, alla ricerca di spiritualità, alla convinta adesione, all’impegno personale.Il nostro obiettivo è stato quello di verificare se questo fenomeno si stia riscontrando anche tra i giovani reggini, se è vero che questi si stiano allontanando dalle istituzioni religiose per ricercare in maniera del tutto soggettiva e individuale una propria personale spiritualità, (GIOVANI CERCATORI) o se invece abbiano abbandonato ogni tipo di fede a favore di un totale ateismo.

La nostra ricerca si è incentrata su una prima individuazione degli ambiti di esplorazione, sulla definizione degli obiettivi,  sulla ricerca qualitativa e sull’analisi dei dati raccolti. Il campione di riferimento è composto da 32 soggetti di età compresa tra i 18 e i 26 anni, appartenenti  a classi sociali differenti (sia professionali, sia economiche), che si differenziano nel loro approccio alla fede e nel loro vissuto religioso e che vivano nel territorio della città di Reggio Calabria. Abbiamo stabilito di indirizzare il nostro lavoro a soggetti appartenenti alle prime tre religioni più diffuse nell’ Unione Europea: cristiana, musulmana ed ebraica, e a coloro che si dichiarano atei. Al suddetto campione è stato sottoposto un questionario, previa visione di un’immagine stabilita dal gruppo per  introdurre la tematica trattata e per interpretare il non verbale in reazione a questa. Nella seconda parte del nostro lavoro siamo ricorsi alle interviste a 3 testimoni privilegiati (2 figure religiose di riferimento, 1 rappresentante della comunità islamica) che grazie alla loro esperienza potessero darci le loro opinioni e quindi maggiori informazioni e materiale di approfondimento ai fini della nostra ricerca. L’argomento è stato affrontato con grande curiosità da tutti i membri del gruppo costituito da soggetti di credo religioso differente (o nessuno) e consapevoli di dover lavorare con non poca sensibilità in quanto si andava ad affrontare un tema delicato, intimo e personale come  quello della spiritualità.

 

Considerato che “L’ISTAT , appena si è delineata una tendenza significativa dei cittadini a dichiararsi atei, ha smesso di censire la religione degli italiani, per cui non vi sono dati aggiornati ufficiali sulla percentuale dei cattolici del nostro paese e si dà per scontato che in Italia siamo tutti cattolici”(http://it.cultura.religioni.narkive.com)  si ha la dimostrazione che sta cambiando il modo in cui le persone vivono la religione, o almeno il modo tradizionale di viverla. Ma prima di entrare nello specifico del lavoro illustrato precedentemente, è doveroso chiarire alcuni concetti chiave. Innanzitutto bisogna precisare cosa si intende per religione: questa può essere definita come l’insieme dei dogmi, dei precetti, dei riti che costituiscono un dato culto religioso (www.treccani.it ). Questa si distingue dalla religiosità, che può essere sì intesa come l’ossequio alle regole formali e cultuali di una religione, ma anche come la maniera soggettiva di sentire i rapporti col divino non necessariamente legata a una particolare religione storica (www.garzantilinguistica.it ). In questo senso, il concetto di religiosità si accosta a quello di spiritualità, che riguarda, a grandi linee, tutto ciò che ha a che fare con lo spirito e ha svariate accezioni ed interpretazioni. Spesso i termini “religione” e “spiritualità” vengono trattati come sinonimi, il che è alquanto impreciso, dato che anche alcuni non credenti rivendicano una propria dimensione spirituale.

Peraltro bisogna anche dire che molti altri atei e agnostici respingono proprio l’uso di questo termine perché deriva pur sempre da “spirito”, nell’accezione sua propria di “immateriale”, “superiore alla materia” etc. Questo comporta che la spiritualità assuma, rispetto alla religione, alcune connotazioni tipiche: un carattere più personale e meno dogmatico, più aperto alla sperimentazione e basato sull’esperienza personale. Sempre parlando in termini di ricerca spirituale, un’altra connotazione tipica della spiritualità rispetto alla religione può essere la convinzione che esistano diversi percorsi spirituali, e che pertanto non esista alcuna verità oggettiva o assoluta in base alla quale decidere quale percorso sia meglio seguire; poiché ogni persona è diversa dalle altre, la scelta è spesso lasciata all’individuo, alla sua sensibilità e al suo discernimento (www.wikipedia.it).

Con il passaggio all’epoca cosiddetta postmoderna si sono determinati “cambiamenti significativi e durevoli” anche nel settore della religiosità. Negli anni 1970 – e nella prima parte degli anni 1980 – il tema dominante era quello della crisi della religione. La tesi della secolarizzazione, nella sua versione quantitativa, postulava che, mentre progrediva la mentalità scientifica, nelle società industriali avanzate c’era sempre meno religione; non mancava chi prospettava come futuro evolutivo della religione addirittura l’estinzione.Le cose, oggi, sono certamente cambiate. Testi importanti fanno riferimento al “ritorno del religioso”,  alla “fine” della secolarizzazione. Oggi è la secolarità, non la spiritualità, che può essere vicina all’estinzione.Il fenomeno del “ritorno del religioso” è dunque così evidente da non potere essere ignorato. Si tratta però di determinare, con maggiore precisione, quale tipo di religioso “ritorni” nell’epoca postmoderna.  (M. Introvigne, P. Zoccatelli , www.cesnur.com) .

I modi di essere religiosi nelle società moderne sono sempre più caratterizzati dalle scelte e dalle preferenze individuali. Pluralismo, individualizzazione, molteplicità di credenze e di pratiche hanno sostituito, in parte, quell’unico sistema di simboli religiosi che in passato costituiva il monopolio delle religioni storiche, quali quelle cristiane. Certo permane anche oggi in Italia una forte percentuale di credenti  si riferiscono unicamente alla propria Chiesa. Ma crescono, ai margini o fuori delle religioni ufficiali, gli individui che pretendono di personalizzare la loro esperienza religiosa, considerandola come una delle tante attività di loisir (tempo libero). (Luigi Berzano, docente di Sociologia, Università di Torino)

Prescindendo dai fenomeni complessi che avvengono all’interno dell’Islam, dell’induismo e dell’ebraismo – talora accomunati dall’etichetta, non sempre precisa, di “fondamentalismi” – si può notare, che i movimenti di rinnovamento carismatico all’interno della Chiesa cattolica e le comunità pentecostali nel mondo protestante contano nel mondo qualche centinaio di milioni di fedeli e possono vantare ritmi di crescita superiori a quelli, spesso citati come spettacolari, dei mormoni o dei Testimoni di Geova. Non rimane peraltro meno vero che, per quanto questi fenomeni siano interessanti e importanti, una parte di rilievo del ritorno del sacro va cercata al di fuori delle grandi religioni e delle Chiese storiche.

Da molti anni diversi sociologi hanno concluso che in tutto l’Occidente la vera religione di maggioranza relativa è quella delle persone impegnate in un «credere senza appartenere» («believing without belonging», secondo la formula proposta da Grace Davie nel suo Religion in Britain since 1945. Believing without Belonging, Blackwell, Oxford 1994). In Italia, se si crede al dato della Indagine europea sui valori (Evs) del 1999, le persone religiose praticanti – cattoliche e non – sono il quaranta per cento. Secondo la stessa indagine, gli atei in Italia sono scesi (sempre fra 1981, 1990 e 1999) dal dieci al nove e ora al sei per cento; gli agnostici (distinti dagli atei) nel 1999 erano il cinque per cento.

Al suo interno i sondaggi rivelano una gamma di posizioni diverse. Si va da coloro che credono in un potere superiore che non sanno però identificare, ai «credenti a modo loro», ai «cristiani a modo loro» e anche ai «cattolici a modo loro» («sono cattolico, ma non pratico»; «sono cattolico, ma non sono d’accordo con la Chiesa»; o anche – posizione non infrequente in Italia – «sono cattolico, ma sono contro i preti»).Questo fenomeno, che la sociologa francese Danièle Hervieu-Leger chiama «disistituzionalizzazione» della religione, appare come una delle caratteristiche salienti del sacro postmoderno. (Massimo Introvigne, direttore del Cesnur.

 BAUMAN, BECK E IL DIO PERSONALE

Zygmunt Bauman è uno dei più autorevoli interpreti della condizione umana nell’epoca attuale. In un’intervista a cura di Giulio Brotti, (L’Osservatore Romano, 20 ottobre 2013), egli esprime la propria opinione circa il mancato avverarsi della profezia secondo cui la dimensione religiosa si sarebbe estinta nell’epoca postmoderna. Ma quali tratti stanno assumendo la religione e la spiritualità in questa prima parte del XXI secolo?

Nel dare una risposta a questa domanda, il sociologo fa riferimento alla pubblicazione del collega Ulrich Beck intitolata Der eigene Gott (in edizione italiana Il Dio personale. La nascita della religiosità secolare, Laterza). L’argomento di questo volume è il ritorno della spiritualità, o forse, sarebbe più corretto dire: del desiderio di spiritualità nella società contemporanea, inteso come qualcosa che potrebbe conferire un senso compiuto alle nostre vite, riempiendole; come il contatto con qualcosa che trascenda le nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane.  Beck sostiene che al ritorno sulla scena della spiritualità non corrisponda necessariamente un’adesione alle istituzioni e ai codici religiosi tradizionali. Anzi, la tendenza oggi prevalente non trova come naturali interlocutrici le Chiese (non solo quella cattolica e non solo le chiese cristiane, ma anche istituzioni di altre fedi religiose, come l’Islam). I gusti della nuova spiritualità non propendono per i dogmi, per le regole disciplinari condivise: proprio per sottolineare questa novità, Beck ha coniato la formula del “Dio personale”. Potremmo parlare anche di una religione à la carte: soprattutto i giovani operano una selezione tra diverse fonti, talvolta decisamente esotiche, in altri casi scavando all’interno della tradizione cattolica o, in misura minore, di quella anglicana e protestante. Prevale comunque l’attitudine a ibridare elementi diversi, secondo i bisogni particolari e la sensibilità dei singoli. Questa nuova religiosità è quindi un’esperienza sempre più “individualizzata”, si può quasi parlare di una religione “psicologica”, volta a rassicurare e a consolare il soggetto umano, in reazione all’instabilità che caratterizza la vita nella modernità “liquida”; in un’epoca di incessanti e repentini cambiamenti, si cerca un lembo di terreno su cui poter piantare saldamente i piedi, un punto di ancoraggio esistenziale.

I GIOVANI

Nel contesto di precarietà che caratterizza la postmodernità,  i giovani si caratterizzano per essere sfiduciati e incerti, ma più aperti a diversità e cambiamenti. Essi consumano subito tutta la vita che hanno a disposizione, c’è solo il presente: l’attimo fuggente ha fatto scuola. Anche la ricerca religiosa dei giovani si caratterizza per la focalizzazione sul presente, ma una religiosità priva di un forte ancoraggio al passato e scarsamente interessata all’avvenire va a perdere i suoi riferimenti essenziali, per diventare un’esperienza puramente consolatoria.

Le conseguenze più evidenti di tale atteggiamento sono da una parte la sempre minore propensione a fare progetti e ad assumere scelte definitive; dall’altra il minore radicamento nella tradizione, e quindi la crescente fatica a dotarsi di una identità religiosa fondata e sostenibile.

I giovani oggi sono molto interessati ai temi della fede, ma questo sempre meno si associa ad un’appartenenza religiosa specifica; si fa sempre più strada un rapporto individuale con la dimensione divina. Da questa ricerca spirituale condizionata quindi dalla soggettività ne risulta un prevalente atteggiamento di tipo funzionale, che accetta e aderisce ad una religione non integralmente, ma scegliendo di dare importanza a ciò che viene percepito come utile a soddisfare le esigenze personali: alcune pratiche, credenze e norme sono accolte e seguite, altre invece vengono rifiutate, altre ancor vengono vissute con significati e modalità nuovi. Tale selettività può condurre anche a derive di tipo sincretista: in un contesto caratterizzato dalla moltiplicazione dell’offerta religiosa, i bisogni individuali possono trovare risposta contemporaneamente in tradizioni religiose, superstizioni e pseudo religioni  diverse. C’è dunque nei giovani di oggi una domanda di sacro che però non trova sempre risposta nelle forme tradizionali di partecipazione religiosa. Le figure religiose di riferimento hanno poca credibilità tra i giovani, che tendono a rifuggire da tutto ciò che appare come istituzione o disciplina. Da questo punto di vista, l’Italia mostra una tenuta maggiore del cattolicesimo, rispetto ad altri paesi occidentali, ma tendenze sincretiste sono comunque facilmente rilevabile tra i giovani. Si pensi al movimento New Age che con il ricorso all’esoterismo, all’occulto e alla magia, offre nuovi strumenti per interpretare ed affrontare la vita e il mondo, garantendo all’essere umano la possibilità di recuperare la felicità. (www.fenalc.it)

 

religione 2L’allegato 1 costituisce il punto di partenza della nostra indagine. Nella prima fase di lavoro, ossia quella in cui abbiamo presentato ai giovani il questionario da noi elaborato, di fondamentale importanza è stato il supporto di un’immagine che facesse loro intuire e contestualizzare la tematica trattata, e che permettesse a noi una prima analisi delle loro reazioni di fronte alla sua identificazione. L’allegato 2 presenta il questionario di cui si è scritto in precedenza, che è stato sottoposto a un campione di 30 soggetti di età compresa tra i 18 e i 26 anni; 22 soggetti sono di sesso femminile e 8 di sesso maschile.Su 30, 25 sono nati in Italia, 5 all’estero.Sul campione totale, 17 possiedono un diploma di scuola media superiore, 7 una laurea e 6 un diploma di scuola media inferiore.  Solo 2 soggetti dichiarano di studiare e lavorare contemporaneamente, mentre la maggior parte (20) studia solamente, 5 lavorano e 3 risultano disoccupati.

 

Alla prima domanda, il 94% mostra una certa attenzione a quella che è la dimensione del sacro, anche se il 23% di questi afferma di non identificarsi con un’istituzione religiosa.GIOVANI E RELIGIONE 3 1 (2015_11_28 17_02_54 UTC) Di fronte alla richiesta di valutare l’importanza che attribuisce alla religione, il campione si suddivide tra coloro che ve ne attribuiscono abbastanza (40%), mentre coloro che la definiscono bassa o nulla e coloro che la definiscono alta o altissima raggiungono la stessa percentuale (30%).

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Dalla terza domanda si evince che 10 giovani conferiscono alla fede un valore morale, 8 vi riconoscono una guida e un’offerta di speranza per il futuro, 7 la intendono come ciò che dà senso alla loro vita.

religione 5Tra i 30 soggetti sottoposti al questionario, 17 affermano di pregare solo in occasioni particolari, 9 tutti i giorni, e 4 dichiarano di non pregare mai.

religione 6La quota di chi dichiara di partecipare alle funzioni religiose solo nelle occasioni più importanti equivale a quella osservata precedentemente in relazione alla preghiera individuale ( 17 su 30); 6 vi partecipano una volta alla settimana, 5 mai e solamente 2 soggetti affermano di partecipare assiduamente.religione 7Se in passato le figure religiose sono state un punto di riferimento, oggi non è più così: infatti, il 50% dei giovani intervistati esplicita di avere poca fiducia in esse, seguiti da un 27% che conferma di averne molta, e un 23% che dichiara di non averne nessuna.

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Su cosa accada dopo la morte, il campione si suddivide in due tronconi: coloro che credono nel paradiso e nell’inferno (40%) e coloro per i quali prevale l’incertezza (40%).

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Tra chi ritiene che esista il paradiso (a questa domanda  4 soggetti si sono astenuti dal rispondere), 11 ritengono che questo sia un posto in cui non vi è dolore, ma pura gioia.

 

PARADISO

 

La richiesta di identificare quali siano gli obiettivi più importanti della vita spacca il campione tra chi vorrebbe costruire qualcosa che gli sopravviva, e chi vorrebbe fare del bene agli altri. Seguono coloro che pensano che obiettivo della vita sia godersela il più possibile.

9 RELIGIONE

Nonostante le difficoltà, il 60% dei giovani intervistati afferma di essere abbastanza soddisfatto della sua vita.

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Anche rispetto al futuro prevale l’ottimismo, con una percentuale del  56% (17 soggetti su 30), con un 34% distribuito equamente tra pessimisti e fatalisti, e una piccola quota (10%) dichiara di non ci pensarci.

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Alla prima parte del lavoro basata sull’elaborazione, la somministrazione dei questionari e la codifica dei dati emersi, è seguita una seconda fase incentrata sulla realizzazione di interviste qualitative ai cosiddetti testimoni privilegiati, ovvero quegli informatori che, nell’indagine, possono aiutare a descrivere le caratteristiche di quel determinato contesto o fenomeno, sia in maniera oggettiva che soggettiva. Per registrare le nostre interviste ci siamo serviti di un supporto video, di cui mostreremo nel progetto in PowerPoint quelle che consideriamo le parti più salienti e indicative.In relazione alla nostra tematica, “la religiosità e i giovani”, abbiamo ritenuto opportuno rivolgerci a coloro che, dall’alto della loro esperienza, potessero fornirci le giuste informazioni per ottenere delle risposte alle nostre domande iniziali, e quindi a raggiungere l’obiettivo della ricerca: i giovani reggini si stanno allontanando dall’istituzione religiosa? E se lo fanno, eliminano la dimensione del “sacro”, abbandonano qualsiasi aspetto“spirituale” dalla loro vita, oppure diventano dei giovani “cercatori”, interessati a crearsi quella che abbiamo definito “religione fai da te”, cioè un vissuto religioso stabilito individualmente e in maniera personale, lontano dai riti e dai precetti tipici delle religioni tradizionali?

Nello scegliere i nostri testimoni privilegiati, ci siamo basati sull’informazione iniziale secondo cui le tre religioni più praticate nell’Unione Europea sono appunto quella cristiana, quella islamica e quella ebraica, non tralasciando il dato significativo della sempre più ampia diffusione del ramo cristiano delle religioni pentecostali (che come abbiamo potuto verificare rappresentano una realtà pienamente affermata nel territorio reggino).Come primo passo, abbiamo incontrato don Nino Pangallo, direttore Caritas dell’Arcidiocesi reggina, che con grande disponibilità ci ha fornito informazioni e contatti a cui rivolgerci. Egli ci ha confermato che non esiste a Reggio Calabria una comunità ebraica, ma il contatto di riferimento a cui chiedere ulteriori informazioni a riguardo purtroppo non è risultato reperibile.

I soggetti che hanno accettato con entusiasmo di dare una mano alla realizzazione della nostra indagine sociologica sono:

Padre Giovanni Ladiana, superiore dei Gesuiti di Reggio Calabria;

Catherine Labate, pastore della Chiesa cristiana, ministero “Sabaoth”;

Hassan Elmazi, responsabile del Centro Culturale Islamico.

  • Secondo la sua esperienza quotidiana, è vero che i giovani di oggi di oggi si stanno allontanando dall’istituzione religiosa?
  • Quali possono essere le possibili cause di questa sfiducia nell’istituzione e della poca credibilità delle figure religiose di riferimento?
  • Quanto ha contribuito a tale allontanamento il fenomeno della globalizzazione?

A queste domande, tutti e tre gli intervistati rispondo alla stessa maniera: sì, è vero.  Secondo padre Giovanni Ladiana, sicuramente i giovani si stanno allontanando dalla Chiesa, ma ciò avviene non per un rifiuto, non per una contestazione a ciò che ha forma istituzionale, ma perché così è normale; senza grandi traumi, semplicemente non gliene importa niente. Si sono abituati ( e non solo in campo religioso) a non pensarci fino a quando la questione non tocca loro da vicino.

Anche secondo Catherine Labate, è vero che a livello globale si assiste ad un allontanamento dei giovani dalla Chiesa, ma nel particolare per quanto riguarda la realtà delle Chiese pentecostali protestanti c’è un vero e proprio ritorno dei giovani alla fede. Questo perché le figure spirituali non hanno più un atteggiamento impositivo, in quanto il giovane è libero di leggere, di studiare, di spaziare su internet, libero di fare qualunque scelta; e se si sceglie di ritornare alla fede, questo è un ritorno autentico, di chi ha davvero fatto un’esperienza con Dio. I giovani che tornano lo fanno perché convinti e perché lo vogliono, non perché costretti.

Anche per Hassan Elmazi, è vero che i giovani stanno prendendo le distanze e dalla Chiesa cattolica e dalla Moschea. Le possibili cause di questo fenomeno, a parer suo, vanno ricercate in primo luogo nella famiglia, perché i genitori non danno più molta importanza alla religione; la frequenza dei luoghi di culto si limita alle occasioni più importanti. In secondo luogo, la scuola: egli ricorda che una volta l’insegnamento della religione era obbligatorio nelle aule scolastiche, invece ora non è più così. Infine, egli pone l’attenzione sul fenomeno della globalizzazione; i giovani non si rivolgono più alle personalità spirituali per cercare le risposte di cui hanno bisogno ma consultano e ricercano informazioni in maniera del tutto autonoma, per esempio su internet, interpretandole a modo proprio e come più conviene loro.

Cosa pensa della tendenza dei giovani a dichiararsi atei o a cercare una propria personale spiritualità?

Catherine Labate: “Il giovane dovrebbe partire da una posizione di credo – non credo e quindi esternare ciò che pensa; questo fa di lui un coraggioso che riesce ad ammettere e cercare quello che vuole, a dare una spiegazione nel caso in cui non credesse, a prova della propria personalità.”

Hassan Elmazi: “Chi nasce di confessione islamica, non può mai diventare ateo; può praticare la religione adeguandosi ai tempi moderni.”

Secondo lei, meglio dei “giovani cercatori” o dei “giovani devoti”?

 Padre Giovanni Ladiana per cercatore intende due cose: o si cerca fuori qualcosa che dà senso a se stessi, oppure si cerca qualcosa dentro di sé che dà senso al mio sguardo su ciò che sta fuori. Se si cerca fuori si corre il rischio di seguire la stella più brillante, invece la luce si deve  cercarla dentro di noi; bisogna cercare di capire che cosa permette di guardare le cose e capirle, oppure si stanno cercando solo degli appigli. Quello che si cerca dentro, quando lo si riconosce, non può cancellarlo nessuno.

Nel rispondere a questa domanda, Catherine Labate dichiara che è assolutamente necessario essere dei cercatori e cita la parola di Dio: “Chi cerca trova”, “a chi bussa verrà aperto”; bisogna cercare la verità a 360° per qualsiasi aspetto della vita: anche nella ricerca di una “mistica”, la risposta, in un caso o nell’altro arriva. L’importante, continua, è mantenersi affamati, e invita i giovani ad esserlo con una citazione di Steve Jobs a loro molto vicina: “stay hungry” . Anche secondo Hassan Elmazi bisogna essere cercatori, perché il mondo sta cambiando e non si deve rimanere fermi, bloccati, a vivere le cose di ieri.

Come vivono i giovani il rapporto tra fede e vita?

 

Hassan Elmazi risponde a questa domanda senza esitazioni: “Tutte le religioni hanno lo stesso scopo; la fede equivale a pace, amore e serenità. I giovani di oggi vogliono vivere nel miglior modo possibile, quindi se seguono la fede, vivono bene.”

 CONCLUSIONI

Questa ricerca ci ha permesso di valutare quanta importanza attribuiscono i giovani d’oggi alla religiosità e come essi vivono l’aspetto del “sacro”, in un contesto locale specifico: centro storico e periferia (Gallina) di Reggio Calabria.

Grazie ai dati emersi dai questionari e dalle utili informazioni forniteci dai testimoni privilegiati, abbiamo ottenuto dei risultati soddisfacenti. Abbiamo constatato che è vero che i giovani reggini si stanno allontanando dall’istituzione religiosa di riferimento, siano essi cristiani o musulmani. Ormai la partecipazione alle funzioni religiose si limita alle occasioni più importanti, e lo stesso vale per i momenti destinati alla preghiera individuale.

È stato interessante osservare però come esista una significativa differenza tra i giovani residenti in periferia, tra i quali è maggiormente sentita e viva in maniera tradizionale la dimensione spirituale, e quelli residenti in città, che manifestano una certa diffidenza per quanto concerne le istituzioni e le figure religiose.

Dai risultati ottenuti e dalle interviste qualitative realizzate, abbiamo verificato che il fenomeno dei giovani “cercatori”, cioè di coloro che sentono la necessità di curare la propria sfera spirituale ma in maniera del tutto personale, scegliendo di vivere liberamente la propria religione “fai-da-te”, lontani dai precetti e dai riti tradizionali, non è riscontrabile nel territorio di Reggio Calabria. Quello che abbiamo avuto modo di percepire è stato un generale atteggiamento di disinteresse per tutto ciò che riguarda la spiritualità; i giovani si avvicinano al sacro solo nel momento in cui eventualmente ne sentono il bisogno: per paura, per dovere o per interesse.

Non è stata individuata tra i soggetti sottoposti ad indagine la tendenza a dichiararsi atei, anzi per quanto riguarda alcune realtà locali, come quella pentecostale, si sta assistendo ad un “ritorno” al sacro, in cui la partecipazione giovanile è molto attiva.

Infine, ciò che ci ha colpito piacevolmente è che abbiamo riscontrato dai dati raccolti un diffuso senso di soddisfazione della propria vita e di ottimismo nei confronti del futuro, nonostante tutte le difficoltà che i giovani si ritrovano ad affrontare in questo periodo di crisi e di incertezze.

NB: Ci teniamo a fare presente che i soggetti a cui è stato somministrato il questionario, si sono dimostrati subito disponibili ed interessati, non manifestando difficoltà o disagio nel trattare una tematica delicata come quella della religiosità come invece inizialmente avevamo presupposto.

Laura Checco  –   Hana Moravcova –  Giovanna Postù

La ricerca è stata fatta nell’ambito  di un master di  “Operatori pluridisciplinari e interculturali d’area mediterranea”  svoltosi presso l’Università per Stranieri “Dante Alighieri”  Reggio Calabria.

Le tre ricercatrici si sono avvalse della preziosa  consulenza e del coordinamento della dottoressa Maria Rita Mallamaci, sociologa, criminologa e  vicepresidente del Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi.

“Sociologiaonweb”  ringrazia Laura, Hana e Giovanna  per averci concesso di pubblicare l’importante ricerca.


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