LA PSICO-SOCIALITÀ DELL’UNIFORME
Messaggi subliminali e comunicazione sociale trasmessi da chi indossa divise ed uniformi
Dietro una divisa oppure ad una lustra uniforme c’è una realtà di simboli, credenze e memorie che influenzano sia il contesto sociale di appartenenza, sia la psicologia del singolo individuo che le indossa.Si tratta di dinamiche miscelate tra conformismo ed individualismo, tra pro e contro, tra disciplina ed intolleranza, tra regole ed eccezioni.Un mix emozionale trasmesso da chi indossa queste forme di abbigliamento verso chi si trova ad assorbirne il riflesso sociale. Insomma, un pezzo di stoffa che ha però l’imponente forza di far scaturire valori di gruppo e singole emozioni.D’altro canto, si dice anche che il fascino della divisa crei appeal, ma il fatto vero è che crea anche paradossi tra identità sociale ed identità personale.
Le divise erano nate sui campi di battaglia per distinguere, a colpo d’occhio, gli amici dai nemici. Con il tempo si sono poi trasformate in simboli a favore della ritualizzazione, mentre oggi vengono principalmente indossate dagli appartenenti alle Forze dell’ordine oppure a gruppi giuridicamente e socialmente riconosciuti e che si curano anche di sicurezza ed emergenza.Per tutti c’è l’esigenza di segnalare l’appartenenza ad un insieme esaltandone rispetto, senza colpo ferire, per veicolarne messaggi di superiorità percettiva.Anche il disegno stilistico è da sempre studiato nei particolari. L’enfatizzazione della spalla larga, soprattutto nelle giacche, è creata per incentivarne la mascolinità; il girovita stretto e le spesse cinture per trasmettere linearità e vigore, ma poi anche i bottoni splendenti e le scarpe lucide vengono imposte per esaltare ordine e pulizia. Pure i capelli, tendenzialmente corti, diventano percezione combattiva e dominante rispetto al capello lungo più di femminile ancoraggio. Così anche copricapo e cappelli hanno l’obiettivo di trasmettere messaggi subliminali: solitamente inclinati verso la fronte, quasi a nasconderne gli occhi, vogliono incutere inevitabilità e costante attenzione.Il tutto per creare un mix enfatizzante tra aspetti esteriori del corpo e del portamento con l’intento di posizionarsi un gradino più su e trasmettere, così, senso di superiorità al fine di ottenere maggior rispetto. Questo accadeva già nella storia quando si combatteva corpo a corpo e quando l’immagine della potenza fisica giocava un ruolo fondamentale. Era la differenza tra la vita e la morte.
Oggi, invece, in un contesto urbano socialmente evoluto e volto alla democratizzazione ideale, lo scopo è cambiato, ma pur sempre incline ad una ritualizzazione tendente a smorzare il singolo per innalzarne il gruppo.Indossare medesime divise e seguire le stesse regole, infatti, ha un effetto potentissimo sulle menti degli appartenenti alle compagini tanto che l’individualità passa in secondo piano. Meccanismo, però, che può contenere insidie perché l’annullamento delle singole peculiarità, uniche e specifiche, può scaturire conflitti interiori.Proprio perché gli individui che vivono in massa e vestono il medesimo stile diventano come piccoli sassi adagiati su di una spiaggia: ognuno levigava l’altro, fino a quando tutti diventano tendenzialmente uniformi.Ma esistono anche tratti caratteristici, studiati da sociologi e psicologi, su chi è più incline ad indossare la divisa adeguandosi ai suoi giochi di regole, potere e disciplina.
Tendenzialmente si tratta di personalità alimentate dal bisogno di emozioni sempre nuove ed intense, di quelle che fanno parte dell’area flow e di quella che gli inglesi definiscono sensation seeking. Il tutto miscelato con la novelty seeking, del modello di Cloninger, che fa, invece, riferimento alla ricerca di novità lontane da routine e monotonia. Quindi l’esigenza di sensazioni forti evitando di far sempre le stesse cose trovano habitat ideale dentro una divisa, che si tratti di un contesto di guerra oppure urbano o di emergenza.Questo perché le divisa, con tutto il suo dettame di regole e disciplina, riesce a rispondere a quei bisogni di certezze e controllo che cercano proprio gli animi tendenzialmente esuberanti.In più, è stato studiato che chi indossa una uniforme è più incline ad ubbidire agli ordini, senza opporsi a ciò che gli viene chiesto, e questo accade perché si ha la sensazione di essere più controllati.
Quindi una divisa riesce a far cambiare istintivamente anche tipi di risposte comportamentali. Cambiamenti che avvengono anche nei confronti di coloro che si rivolgono a personale in divisa.Quante volte è capitato anche a noi di confrontarci con qualcuno in uniforme: in pratica tendiamo a mantenere una maggiore distanza comunicativa per un riflesso condizionato da sensazioni di diffidenza e disagio. Così come il nostro modo di parlare e di confrontarci cambia. Tendenzialmente usiamo un linguaggio più curato e volto ai minimi termini con dialoghi brevi e mirati alla circostanza. Ma all’interno del contesto sociale, troviamo anche chi dentro una divisa non vuol proprio entrarci ed è proprio qui che cozzano conformismo ed individualità. L’insofferenza verso la divisa si esprime principalmente per l’intolleranza al controllo con esigenza di differenziarsi per poter esprimere la propria individualità e sessualità.
Così il fatto di seguire metodi e direttive, imposte dall’alto, viene percepito come limitazione della libertà facendo scattare quel concetto motivazionale definito reattanza psicologica che ci porta alla disobbedienza contro quelle situazioni che, in qualche modo, cercano di controllare le nostre vite.Il concetto di individualità è quindi uno dei valori che caratterizzano la nostra modernità strettamente connessa alla società liquida, concetto tanto caro al sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman.Ed è proprio questo individualismo a rendere conflittuale il legame con divise ed uniformi. E’ come se la divisa facesse dimenticare colui che la indossa.Perché tutti, quando guardiamo un soldato, un soccorritore o un poliziotto non vediamo che un’uniforme, ignorando in questo modo la testa, il cuore e l’uomo che la indossa.
Massimiliano Gianotti
Dott. in Sociologia – Dott. in Psicologia
Mental coach certificato
Presidente Dipartimento Lombardia – ANS Associazione Nazionale Sociologi
m.gianotti@anslombardia.it