La Povertà in Italia
La povertà oggi è intesa, nel senso più comune, come la condizione dell’essere sprovvisto delle risorse necessarie al soddisfacimento della condizione di esistenza materiale. È su questa base che anche molti studi statistici, sociali ed economici determinano le loro ricerche su due indicatori molto semplici, il reddito e il consumo. Studi dai quali conseguono gli interventi politici che sono fondamentali per creare e monitorare la ricchezza degli individui di un Paese. Oggi questo modo di interpretare la ricchezza sta cambiando radicalmente. E’ maturata ormai la convinzione che il benessere umano è di tipo multidimensionale è che dunque sono da interpretare le diverse declinazioni degli individui nella loro dimensione sociale e non soltanto al loro aspetto monetario. Economicamente si assiste ad un nuovo modo di produzione (riduzione delle dimensioni aziendali, delocalizzazione produttiva, introduzione spasmodica di continue innovazioni tecnologiche, flessibilizzazione del lavoro). Cambiamenti che sconvolgono e disorientano gli individui. Culturalmente, invece, il cambiamento sta nella caduta delle ideologie del novecento (comunismo e liberismo) e la vittoria del c.d. ‘pensiero unico’ il pensiero principe del mercatismo globale. Un pensiero che non vende solo prodotti o merci, ma simboli, modi, stili di vita e culture uniche in cui l’individuo è posto al centro come unico fautore del proprio destino.
Nel 2005 in Italia la linea di povertà per due componenti era pari a 936,58 € mensili e risultava povero l’11% delle famiglie residenti. Oggi questa percentuale non ha avuto significativi cambiamenti, ma quello che è in corso, è un cambiamento dei rapporti tra povertà e caratteristiche socio-demografiche avvenuto in conseguenza dei cambiamenti strutturali sia della popolazione (diminuzione del tasso di mortalità, invecchiamento, snellimento dei nuclei familiari, nascite pari a zero) sia dei sistemi di welfare state che stanno subendo un processo di profonda crisi (privatizzazione, tassazioni troppo alte, debito pubblico enorme). Inoltre nell’ultimo biennio, 2013-2015, si è calcolato che i numeri (72,4%) delle famiglie più povere risiedono ancora una volta nel Mezzogiorno dove ormai 1/5 delle famiglie vivono in condizioni di povertà. Per quanto riguarda, invece, le famiglie che sono dipendenti dal mercato del lavoro se non vi è alcun disoccupato l’incidenza della povertà è del 9,3% mentre è elevata l’incidenza quattro volte di più se vi sono due o più componenti che cercano occupazione.
Il problema di fondo è che la nuova impostazione della società globalizzata distrugge gli assetti strutturali e produttivi su cui poggiava lo stato sociale tradizionale e ‘normalizza’ il rischio di essere esclusi dal mondo della sicurezza e dal mondo del lavoro creando spiazzamento nella progettazione della vita sociale futura delle famiglie e degli individui. Da non sottovalutare anche i nuovi risvolti macroeconomici internazionali sia di politica economica che di geopolitica.Questi problemi espongono al rischio le famiglie italiane di molti strati sociali a partire da quelli più bassi, ossia lavoratori dipendenti, operai, immigrati a quelli della fascia più alta e imprenditoriale. Appunto il ceto medio. Le cause possono essere eterogenee. Ad esempio il territorio di appartenenza, il grado di istruzione della coppia, la numerosità dei figli, problemi di cura, divorzi, dispersione scolastica ecc
Di fronte a simili problemi, dunque, sembrano necessarie alcune implicazioni di policy. Mirando gli obiettivi a costruire un assetto più flessibile e compatibile con le nuove esigenze della vita e a rafforzare l’inserimento di donne e uomini nel mondo lavorativo in posizioni qualificate e più remunerative e non sottovalutando il ruolo delle reti di relazione sociale. Occorrono dunque politiche che potremmo definire delle “carriere”, che rendano compatibili cure familiari, formazione e auto-formazione, mobilità e progressione nel mercato evitando il rischio che le persone possano scegliere solo cattivi lavori. Aspettiamo di vedere se la riforma del jobs act voluta dal governo porterà benefici in questo senso e se allenterà la morsa della povertà in Italia.
Nicodemo Bumbaca – Sociologo ANS Calabria