LA LUCE IN FONDO AL TUNNEL PER LE CANOSSIANE DI TRADATE
Gli anziani sono il segmento di popolazione più a rischio nella guerra che il mondo sta combattendo contro un nemico tanto invisibile quanto potente. Negli ultimi giorni il contagio da coronavirus, che nel nostro Paese ha provocato già oltre 16 mila decessi, interessa le case di cura e di riposo per quanti da tempo non fanno più parte della popolazione attiva. Cittadini che vivono da soli perché non hanno più una famiglia o perché sono stati abbandonati dai loro cari. Eppure, c’è in loro tanta voglia, tanta disponibilità a rendersi utili agli altri, trasferire la loro esperienza di vita alle giovani generazioni. Ma la società sembra li abbia dimenticati. Vivere sotto il tetto di una struttura che li ospita è come restare seduti in una sala d’attesa dove, tra rassegnazione e nostalgie, si aspetta l’arrivo del treno dell’ultimo viaggio
Tra le tante storie il cui copione ci riporta alle case per anziani abbiamo scelto quella delle 23 suore Canossiane dell’Istituto “Barbara Melzi” di Tradate (Varese). Una struttura, che in passato è stata anche sede di un collegio-scuola femminile, ma da qualche anno ospita religiose ultraottantenni che per l’assistenza possono contare anche su due consorelle infermiere.
Nella loro storia entrano di diritto la solidarietà, l’amore per chi soffre e, soprattutto la volontà di agire senza pregiudizi o diversità di opinione.
“È stato un intervento che ha permesso, da una parte, di evitare ricoveri sicuramente pericolosi e, dall’altra, grazie al coordinamento che si è formato tra soggetti pubblici e privati ci ha consentito di risolvere le cose in modo tempestivo. Abbiamo così impedito che nell’elenco di anziani deceduti nelle case di riposo si aggiungessero i nomi delle suore canossiane di Tradate. Le ha salvate la capacità di quanti, operatori sanitari e strutture di soccorso civile, senza alcun formalismo e superate le difficoltà del momento sono riusciti a fare rete”.
Il pensiero è della professoressa Renata Vaiani, direttore scientifico e responsabile dell’Unità di Cure palliative (domiciliari) della MeD House (società medico-scientifica e infermieristica, accreditata) di Tradate. La professoressa Vaiani, da noi contattata, ci tiene a sottolineare che per i medici salvare una o più vite umane fa parte della loro missione.
E prima di spiegarci le fasi dell’intervento ha voluto esaltare la collaborazione ricevuta dal Comune, con il sindaco Giuseppe Vascialla, dell’assistente sociale dello stesso ente, Mariella Luciani, dal medico di base, Silvia Di Giovanni, dalla dottoressa Monica Varatelli, dalla locale sezione della Croce Rossa e dalla Protezione Civile.
“È andato tutto bene e ad oggi la situazione è sotto controllo. Le suore non sono più sole e la loro condizione viene costantemente monitorata”, dice ancora Renata Vaiani
La storia inizia con una richiesta di aiuto dal convento e diretta al centralino della MeD House. Una delle religiose della struttura che ospita 23 suore ultraottantenni, di cui 13 allettate, ha sollecitato un intervento medico, come se si trattasse di un controllo di routine.
“Dal contatto telefonico sono venuta a conoscenza che una consorella è ricoverata per Covid a Varese e una seconda, sempre per Codiv e per altre patologie, era morta. Inoltre, ho appresio che il personale in servizio all’interno del convento, che avrebbe dovuto accudire le religiose, si trovava a casa per malattia”.
Nell’esperienza della Professoressa Vaiani si fa strada il sospetto dell’infezione da Covid-19.
E dall’anamnesi telefonica si rende subito conto che non si tratta di dover effettuare un semplice prelievo per un problema cardiologico di routine, ma che i sintomi riconducevano al contagio da coronavirus.
La situazione richiede una rete di intervento sanitario, sociale e di solidarietà nei confronti di un gruppo di anziani che rischiano di allungare la lunga lista dei decessi nelle case di cura e di riposo.
L’umanità prima di tutto sembra essere il tacito accordo degli attori di questa storia di solidarietà e umanità; poi di grande competenza professionale e di impegno civile.
“ Mi creda, c’è stata una grande, sincera e responsabile collaborazione – conclude la prof.ssa Vaiani – che è andata oltre i nostri schieramenti e la consapevolezza dell’importanza dei singoli ruoli: la Protezione Civile nella distribuzione dei pasti, gli assistenti sociali per tutte le attività istituzionali, il medico di base, che fino al momento non era stato dotato di presidi sanitari, ha potuto svolgere il ruolo che gli compete, la Croce Rosa che fornito tutti i presidi sanitari, la Protezione Cvile, su mia precisa sollecitazione. E devo dire grazie alla disponibilità del Sindaco”.
L’allarme è rientrato e con l’aiuto del buon Dio, l’Istituto “Barbara Melzi” non sarà ricordato come un lazzaretto.
Antonio Latella – giornalista e sociologo