La Generazione Z e la trasformazione dei social network
di Patrizio Paolinelli
La Generazione Z è stanca dei social network? La domanda corre da un po’ di tempo sulla stampa e tra gli esperti del marketing. Il fatto che due tra i principali sistemi di potere della nostra società drizzino le antenne significa che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Il che costituisce un campanello d’allarme visti i cospicui interessi in gioco, economici e politici. Come stanno esattamente le cose?
Intanto occorre dire che la Generazione Z comprende i nati dalla seconda metà degli anni Novanta fino al 2010 (dopodiché prende corpo la generazione Alpha). I ragazzi della Generazione Z sono in larga misura i figli della Generazione X (nati tra il 1960 e il 1980). Mentre quest’ultima pare fosse particolarmente tormentata e piena di interrogativi irrisolti (in proposito basti leggere il magnifico romanzo di Dougals Coupland, “Generazione X. Manuale per una cultura accelerata“, Interno Giallo, Milano, 1992), la Generazione Z ci è presentata dal marketing, dalla stampa e da numerosi youtuber come più ottimista, perdutamente innamorata delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e assai poco turbata della propria esistenza. Pochissimi – e molto timidamente – accennano al fatto che sin dalla nascita questi ragazzi vivono in famiglie che annaspano tra una crisi economica e l’altra. In generale per gli esperti di marketing l’ottimismo della Generazione Z proviene prevalentemente dai nuovi miti dell’economia immateriale, dalla facilità di viaggiare in lungo e largo per il mondo e dalla possibilità di acquistare senza sosta nuovi prodotti – tanto più se high tech.
Disegnato questo primo quadro occorre porsi una domanda: esiste davvero la Generazione Z? In una certa misura sì e in misura assai maggiore no. Sì perché tale etichetta esprime delle tendenze effettive (ad esempio il diffuso utilizzo dell’elettronica di consumo da parte dei teenager, che tuttavia non è uguale per tutti), no perché la realtà del mondo giovanile è molto più complessa di come viene presentata e non si esaurisce minimamente in questa come in altre classificazioni similari. A inventarle è il marketing generazionale sostenuto da un’acritica stampa e da riviste specializzate in tecnottimismo (ad esempio Wired). D’altra parte, la lettura del comportamento dei consumatori in termini di fasce d’età è un’antica pratica da parte degli specialisti che si occupano di vendere merci e servizi per mercati di massa. Per tale motivo uno dei loro compiti principali è quello di raccogliere il maggior numero di informazioni sui consumatori per poi indurli all’acquisto: abitudini, atteggiamenti, preferenze, stili di vita e così via. L’obiettivo non è quello di rendere migliore la vita delle persone ma di farle spendere il più possibile. Peraltro, nel caso della Generazione Z (come delle altre), si omette sistematicamente di ricordare che il denaro dei ragazzi proviene dal portafoglio dei genitori. Omissione che fa il paio col fatto che di solito i maggiori esperti di marketing generazionale lavorano per grandi aziende che distruggono il presente e il futuro di quegli stessi giovani che coccolano a parole non pagando le tasse, devastando l’ambiente, offrendo loro prodotti spesso dannosi per la salute e altrettanto spesso spudoratamente costosi rispetto a quel che realmente valgono. Chissà perché nella società della comunicazione e dell’informazione nessun consumatore sa quanto costa all’origine il prodotto che acquista.
Chiarito il fatto che le generazioni individuate dal marketing non costituiscono un dato naturale ma sono un costrutto delle grandi aziende, quali sono le caratteristiche principali che contraddistinguono la Generazione Z? Le risposte a questa domanda possono variare sensibilmente in relazione al prodotto da vendere e alla relativa immagine da cucirgli addosso. Spesso però incontriamo veri e propri inganni. Ad esempio in diverse ricerche ci è capitato di leggere che i ragazzi della Generazione Z sono autonomi. In realtà dipendono dalla famiglia e con tutta probabilità continueranno a esserne dipendenti per molti anni a venire. Comunque sia alcune linee comuni possono essere tracciate. Innanzitutto l’individualismo. Su questo punto gli esperti di marketing si trovano generalmente d’accordo perché è il modo migliore di far sentire il giovane consumatore qualcuno mentre è un burattino addestrato a comprare e comprare come i polli in batteria sono addestrati a mangiare e mangiare. Siccome non si può nascondere più di tanto che nella realtà i teenager vedono i loro genitori vivere pieni di debiti e/o nella paura di perdere il lavoro (dipendente e non) ecco che gli esperti di marketing si trovano d’accordo nel ritenere che i ragazzi di oggi si sentono imprenditori di se stessi. Un modo tartufesco per non dire che la maggioranza di loro sarà precaria a vita. Comunque, al di là della trita ideologia borghese aggiornata al XXI secolo, ecco altre caratteristiche comuni ai giovani della Generazione Z: nuotano in Internet sin dalla prima infanzia; si relazionano tra loro in maniera molto intensa attraverso i social network; comunicano in maniera costante, rapida, contratta privilegiando la cultura visiva rispetto a quella tipografica (esattamente come fa la pubblicità); hanno una soglia di attenzione molto bassa e mediamente valutano la qualità e l’utilità delle informazioni ricevute in otto secondi.
Tutto procede secondo i piani delle imprese globali che operano nell’economia immateriale? Non proprio. Quantomeno non per tutte. In Canada e negli USA, nell’ultimo trimestre del 2017, circa 700mila persone sono uscite da Facebook e, nello stesso periodo, nel mondo le ore trascorse su questo social sono diminuite di 50 milioni al giorno. Nonostante ciò il 2017 è stato un anno positivo per la piattaforma di Zuckerberg perché la community è cresciuta arrivando a contare oltre 2,1 miliardi di utenti al mese e 1,4 miliardi di persone che si connettono quotidianamente. Per di più, rispetto al 2016, gli utili sono cresciuti in maniera significativa. Ma qualcosa non va, Facebook perde appeal se è vero come è vero che una quota di teenager migra su altri social. In particolare su Instagram, che tra il 2016 e il 2017 ha triplicato il numero dei propri utenti e ha la particolarità di essere una piattaforma esclusivamente visuale. Quali sono i motivi di questo piccolo esodo della Generazione Z da Facebook?
Gli esperti di marketing che ragionano sulla qualità delle relazioni on-line individuano parecchie cause. Ecco un elenco che oggi riguarda soprattutto la creatura di Zuckerberg ma domani potrebbe investire altri social se non i social in generale: il pericolo di diventare dipendenti; l’invidia e la gelosia che viene a ingenerarsi da parte di altri utenti; le aggressioni virtuali; il fatto che i social non costituiscono più una novità e per qualcuno si è molto più originali se non si è iscritti da nessuna parte; un’embrionale consapevolezza che la vita on-line è uno specchio deformante di quella off-line; le violazioni della privacy.
Nonostante tutti questi motivi di preoccupazione – a cui si aggiunge il recente scandalo Cambridge Analytica (la società accusata di aver utilizzato i dati di cinquanta milioni di utenti Facebook per creare messaggi mirati di propaganda politica) – c’è da dubitare parecchio che Facebook stia per precipitare. Così come non è precipitata Twitter, abbandonata di recente da diverse celebrities e che peraltro non ha mai funzionato come era nelle intenzioni dei suoi proprietari. E’ stata infatti un paio di volte lì lì per chiudere. Però Twitter rappresenta una delle colonne dell’immaginario made in USA e finché sarà politicamente utile continuerà a esistere (alla faccia del libero mercato). Così, stabilito che non si può affatto parlare di un riflusso dalla vita on-line da parte della Generazione Z e che allo stesso tempo l’entusiasmo per Facebook non è più quello di un tempo, per farci aiutare nella comprensione di quanto sta avvenendo nel mondo dei social network diamo la parola a un esperto di tecnologie informatiche, Adriano Rando, Country Manager Italy della società Medialogic S.p.A. di Roma.
La Generazione Z sta riconsiderando la propria presenza sui social e in particolare su Facebook. Qual è la sua opinione in proposito?
Adriano Rando ==>>
Questa nuova generazione tende sempre meno alla condivisione pubblica dei propri contenuti e aspira alla tutela della privacy. Dunque, sotto tali aspetti, vede i social come un problema o come uno strumento poco amico. Inoltre i ragazzi a cui lei fa riferimento amano comunicare ancora più rapidamente della Generazione Y (i nati fra i primi anni ’80 e gli inizi del 2000, detti anche Millennial, ndr). Perciò preferiscono strumenti di messaggistica istantanea come Snapchat o Whisper. Tenga poi presente che utilizzano molti dispositivi, conoscono diverse tecnologie e servizi utili per comunicare tra loro e per esercitare un’influenza su temi che gli stanno a cuore. Direi che sono molto più attivi delle altre generazioni e dalle ricerche risulta che tengono molto alla loro formazione. Tutto ciò li rende molto attenti a cosa comunicano e a come comunicano. Pertanto la veridicità dell’informazione costituisce un fattore decisivo.
Il caso Cambridge Analytica allontanerà ulteriormente da Facebook la Generazione Z e più in generale gli utenti di questo social?
Guardi, sono anni che si discute dell’utilizzo dei dati. D’altra parte tutte le piattaforme digitali, social e non social, raccolgono informazioni sui loro utenti, alcune le acquistano, altre le commerciano. Negli Stati Uniti la compravendita di dati in genere non rappresenta un problema neppure per gli utenti. E ciò si spiega con la storia di quel paese. In Europa, invece, per molti sapere che si è minutamente profilati rappresenta una preoccupazione. Lo scandalo Cambridge Analytica è sorto nel momento in cui si è fatto un utilizzo politico dei dati. Penso che questo caso probabilmente provocherà dei cambiamenti sia da parte di chi gestisce Facebook sia da parte degli utenti. Infatti lo stesso Zuckerberg ha dichiarato di aver sottovalutato questo tema e che correrà ai ripari.
Continuando con il caso Cambridge Analytica a guadagnarci sembra siano aziende come Amazon e Apple, che fondano la propria produzione su beni tangibili, al contrario dei social che si fondano sulla produzione di beni intangibili come immagini, contenuti, comunicazione. Si tratta di una rivincita dell’analogico sul digitale?
Non direi. Amazon e Apple possiedono molti più dati di un social. Diciamo che la loro riservatezza è tale da riuscire a occultare molto bene questo tesoro. In realtà utilizzano dati di ogni genere per proporre o per vendere i loro prodotti. E stia certo che non permettono a terze parti l’accesso a queste informazioni.
Mi rendo conto che questa è la domanda delle cento pistole, ma orientativamente qual è il futuro dei social network?
Ultimamente questa domanda se la stanno facendo un po’ tutti, esperti del settore e non. Sicuramente siamo in una fase di stallo se si pensa che Facebook nasce dieci anni fa, un tempo assai lungo nel mondo on-line. Al momento tutto lascia prevedere che i social diverranno dei grandi hub dove verrà offerta una vasta gamma di servizi. Già si vedono muovere i primi passi. Pensi alle prove di collaborazione tra Tv e social per la creazione di canali streaming e la trasmissione di eventi live. C’è poi tutta la partita delle nuove tecnologie come la Realtà aumentata, l’intelligenza artificiale ed altre ancora che sicuramente permetteranno ai social di evolvere. In quale direzione penso che lo vedremo nel breve termine.
Patrizio Paolinelli, via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro (2018).