LA FRAGILITA’ GIOVANILE ESASPERATA DOPO LA PANDEMIA

Lavoro, aspettative di vita, relazioni liquide, assenza di responsabilità, infelicità.

di Sofia Pulizzi

Molto spesso sentiamo dire “i giovani sono il futuro di questo pianeta”, se davvero la si pensa in questo modo, perché non si dà la giusta attenzione e non ci si preoccupa di chi avrà nelle proprie mani il futuro del mondo? Negli ultimi anni, anche per via del Covid, le parole che, se pensiamo ai giovani, vengono subito alla mente sono: precarietà, instabilità ed insicurezza, sotto tutti i punti di vista, lavorativo, relazionale, sociale, sanitario. I giovani sono persone che, pian piano, si affacciano al mondo delle responsabilità, più crescono, più conoscono e più nella loro mente si instaurano pressioni, aspettative da concretizzare, scadenze imposte dalla società e tanto altro. Come attraversano la fase di crescita e ciò che si presenta sul loro cammino proprio durante la loro evoluzione si riversa su tutti gli ambiti della loro vita…andiamo ad analizzarne alcuni.

LE RELAZIONI SOCIALI DEI GIOVANI POST COVID

Zygmunt Bauman, il padre della modernità liquida, ci ha un po’ parlato delle relazioni e delle fragilità che caratterizzano i rapporti nell’era moderna, ed era convinto che “la solitudine genera insicurezza, ma altrettanto fa la relazione sentimentale sbagliata” e che “l’amore è un prestito ipotecario fatto su un futuro incerto”. Oggi sono sbagliati proprio i presupposti con cui si decide di stare insieme a qualcuno, sono sbagliate proprio le motivazioni, per questo, rapporti intrisi di profondità, di dialoghi complessi, non vanno avanti poiché non c’è la volontà di ascoltare l’altro, ed invece vanno avanti rapporti frivoli, basati su attività frivole a loro volta. Il sociologo Bauman, sosteneva che stiamo entrando in un’era in cui le relazioni vengono scartate quando non più corrispondenti ai propri desideri o bisogni personali. Una relazione si presenta come un compromesso valido, fino a quando però, le pretese di uno dei due partner non minano la libertà, i bisogni e gli spazi dell’altro, poiché se gli obiettivi non coincidono, se i caratteri all’apparenza non sembrano compatibili, non si cerca il compromesso, la soluzione ma bensì si tende a scartare, eliminare e buttar via. Di fatto le persone diventano oggetti: li usiamo e poi li gettiamo per comprarne uno nuovo. Non si moderano le parole e non si ponderano i comportamenti. Tutto diventa lecito, anche ciò che può ferire chi ci sta accanto. Tante le relazioni che vengono interrotte senza confronto, senza prima “essersi seduti a tavolino” per confrontarsi facendo sì che uno entri nel mondo dell’altro per capirsi a fondo, ormai non c’è più tempo, si predilige addirittura inviare un messaggio su whatsapp, per cercare di essere veloci nella fuga e non perdere tempo.

Lo stesso può accadere anche in amicizia o in ambito lavorativo. E se non si ha più tempo per il prossimo, per gli esseri umani, dove andremo a finire? Non c’è nulla che dovrebbe contare più dell’essere umano, eppure in pratica, gli oggetti, i beni materiali, i vizi sembrano aver superato di gran lunga il valore che abbiamo sottratto alle persone. A mancare è proprio un’educazione alla responsabilità e alle emozioni, non siamo capaci di comprendere i nostri stessi sentimenti o di capire cosa vogliamo. Siamo così presi dalla nostra vita di tutti i giorni che non ci fermiamo mai, andiamo a mille, non facciamo autoanalisi. Il disagio interiore ci spinge a fuggire dai nostri stessi pensieri o emozioni se diventano scomode, invece di affrontarle, diventa meglio scappare piuttosto che impegnarsi. I comportamenti che caratterizzano maggiormente un legame liquido sono diversi: sparire, essere indecisi, ritornare nella vita di una persona dopo essersi dileguati e molto altro ancora. Alla luce di queste riflessioni, è importante cogliere l’importanza di ciò che abbiamo dentro, rispetto a quello a cui aspiriamo, aspiriamo alla stabilità, alla sicurezza ma prima di arrivarci in maniera banale e superficiale, cerchiamo di aspirare a capirci e capire ciò che abbiamo dentro, cerchiamo di comprendere il nostro mondo interiore, I NOSTRI STESSI SENTIMENTI, le emozioni che ci muovono e ci governano, solo in questo modo, ovvero, avendo chiaro come funzioniamo potremmo avere relazioni sincere e in linea con il nostro essere.

I GIOVANI AI MARGINI DEL MERCATO DEL LAVORO

I giovani non vogliono lavorare? NO! I giovani semplicemente non si accontentano di lavori sottopagati, di lavori non in linea con il loro percorso di studi, di lavori in cui non sono garantiti i diritti che gli sono dovuti, come la giusta sicurezza, le ferie, i permessi, le malattie. Le condizioni dettate dal mercato del lavoro per i giovani sono orientate verso il lavoro povero. I giovani vanno incontro a diversi “No”, in quanto non vengono selezionati perché non si ha abbastanza esperienza, perché non si è raggiunta una soglia minima d’età, ma con questo andamento, quando effettivamente potranno fare esperienza? Le porte del lavoro, ai giovani risultano essere più chiuse che aperte, in quanto, investire su di loro “costa troppo” poiché questi ultimi vanno formati e per formare qualcuno ci vuole un investimento in tema di denaro e tempo e si sa, quando le cose hanno un costo si preferisce lasciar perdere. Perché perdere tempo a formare qualcuno, se posso trovare un altro soggetto avente esperienza e che sia già formato? Questo è il ragionamento che fanno molti datori di lavoro. La risposta a questa domanda è semplice: perché un giorno quella persona già formata non ci sarà più e presto o tardi, bisognerà formare qualcun altro, che lo si voglia o no. Il fatto di venire rifiutati o di dover cambiare città per trovare un lavoro o il fatto di essere sottopagati ma non poter rinunciare a quel lavoro perché, di quel misero stipendio, si ha bisogno per vivere e non pesare sugli altri, sono tutti aspetti che provocano frustrazione e che colpiscono l’autostima e l’identità di un giovane, aspetti che incidono sulla vita relazionale e non solo.

L’ESPLOSIONE DEI DISAGI TRAI I GIOVANI

Proprio per tutto quello di cui abbiamo parlato nelle righe precedenti, si assiste ad un’esplosione di disagi tra i giovani e questo aumento si è registrato soprattutto nel post pandemia, in quanto si sono fatte presenti una serie di patologie a cui hanno seguito un aumento dei tentati suicidi e dei suicidi, crisi di agitazione psicomotoria e ansia. E’ un trend atteso però, viste le condizioni di incertezza in cui versa il mondo giovanile, sarebbe sorprendente se non fosse così. A tal proposito, servirebbero una serie di misure volte a sostenere i giovani sotto più punti di vista. Sul tema del disagio psicologico dei giovani, sembra ci sia una difficoltà nel pensare alla risposta che, invece, dovrebbe essere abbastanza chiara: serve una risposta dalla psicologia, ma in Italia purtroppo, non si fa prevenzione e neanche promozione della salute e questa la definirei un’ingiustizia sociale. A sottolinerarlo è anche David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi (Cnop) il quale afferma che “Se il Governo vuole, può intervenire su questo perché quello psicologico è un bisogno primario delle persone.” Le terapie vanno portate lì dove ce n’è bisogno, ad esempio, la scuola, è uno dei luoghi in cui si può intercettare il disagio. Per iniziare un percorso di psicoterapia non dobbiamo mica aspettare che i ragazzi si ammalino, potremmo prevenire, attraverso campagne di sensibilizzazione per avvicinare le persone a dedicare del tempo alla propria salute mentale.
I presidi delle scuole stanno chiedono di avere gli psicologi, ma nessuno risponde a questo appello. Sembra quasi un tabù. Quando ci fratturiamo qualche arto andiamo dal medico e perché se il nostro umore è in down e i nostri pensieri sono negativi, non dovremmo andare da una psicologa o uno psicologo? Inoltre si registra un dato allarmante: secondo una statistica dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), i suicidi sono la seconda causa di morte per i giovani tra i 15 e i 29 anni, dopo gli incidenti stradali. Le raccomandazioni dell’Oms per la prevenzione dei suicidi puntano su quattro azioni principali:
1. limitare l’accesso ai metodi letali;
2. interagire con i media per una modalità responsabile di riportare le notizie di suicidio;
3. sostenere le abilità socio-emotive in adolescenza; identificare precocemente;
4. prendere in carico e curare chiunque presenti comportamenti suicidari. «La prevenzione del suicidio dei giovani –, ha spiegato lo psichiatra Maurizio Pompili (Università La Sapienza di Roma) – è difficile. Occorre cogliere i segnali di allarme, perché le persone che vogliono compiere un gesto estremo non lo esprimono in maniera chiara, anzi continuano le loro abitudini di vita normalmente.

Pompili, che è anche direttore del Servizio per la prevenzione del suicidio presso l’ospedale Sant’Andrea a Roma, ribadisce che «il suicidio è la punta di un iceberg della sofferenza giovanile, che era già presente nell’epoca precedente alla pandemia. Il Covid ha reso tutto più complesso, soprattutto per i giovani. I disturbi più diffusi tra i giovani risultano essere: la depressione, l’ansia (con frequenti attacchi di panico) i disturbi alimentari e la dipendenza affettiva, disturbi da non sottovalutare proprio perché risultano essere quelli per i quali i giovani arrivano a togliersi la vita. Tutto questo ha radici a partire dalla nostra tenera età, perché l’ambiente negligente, familiare o scolastico, non è stato capace di prestare attenzione agli stati mentali e ai bisogni emotivi del bambino, rimasto solo emotivamente con stati di insicurezza. È come se alcuni bambini avessero sviluppato un ritardo nello sviluppo delle autoregolazioni, sul piano delle emozioni, del comportamento, della stima di sé e soprattutto delle relazioni con gli altri. Quindi il trauma relazione vissuto in famiglia magari, ha creato una profonda sfiducia da parte del bambino nell’ambiente esterno e le informazioni che vengono dall’esterno possono essere percepite come pericolose. Nasce a questo punto uno stato di diffidenza nel giovane che ha perso la capacità di imparare dagli altri: è il concetto della sfiducia epistemica.

È fondamentale quindi che uno specialista, che sia uno psicologo o uno psichiatra, possa incarnare l’umanizzazione, il calore e la compassione che i ragazzi non hanno potuto sperimentare, per cercare di ricreare questa fiducia epistemica. Bisogna diffondere il messaggio che, occorre entrare in sintonia con sofferenza e far emergere la voglia di vivere. Molte persone che pensano a morire vorrebbero vivere: il dolore mentale fa credere loro di essere in una situazione senza via d’uscita, e che la via migliore per uscire dalla sofferenza sia il suicidio, ma se la sofferenza è gestita anche con l’aiuto di un altro: un genitore, educatore, coetaneo, professionista della salute, si sente alleggerito dalla sofferenza e sceglie di vivere, perciò si tratta di una possibilità di aiuto che coinvolge tutti.

dott.ssa Sofia Pulizzi

Sociologa e criminologa


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