“ LA FRAGILITA’ DEL GIOVANE DI OGGI, L’ADULTO DI DOMANI”
Convegno a cura del Comitato Unico di Garanzia dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti Marche Nord
– 6 marzo 2018, Teatro Sperimentale PESARO –
La fragilità fa parte della natura dell’uomo e si articola in stretta correlazione con l’ambiente in cui viviamo. Nell’attuale società del cambiamento siamo tutti più fragili, soprattutto i giovani, le cui difficoltà sono diverse rispetto a quelle che incontravano le generazioni precedenti. Con la differenza che in passato gli adolescenti e i giovani avevano motivazioni diverse, come diversi erano i punti riferimento, gli idoli; quelli di oggi sono in balia del consumismo e della società liquido- virtuale.Ma la colpa non è certo dei giovani, che sono figli della contemporaneità. E se oggi, piccoli segmenti di popolazione giovanile si rendono protagonisti di episodi negativi, magari riconducibili alla versatilità delle moderne tecnologie, vuol dire che chi li ha preceduti non è riuscito a capire in tempo i cambiamenti e predisporre adeguate misure per limitarne gli effetti.
«I giovani sono come quei meravigliosi vetri di Murano, straordinari, perfetti – ben vestiti, molto curati – che, tuttavia, hanno dei punti di minore resistenza e basta toccarli perché vadano in frantumi, e sembra impossibile ricostruirli» … «Mi sembra che siano la parte del mondo giovanile che più soffre, anche se apparentemente si mostra con atteggiamenti eroici e qualche volta sono addirittura difficilmente comprensibili e possono stimolare al rifiuto, alla non accettazione » (Vittorino Andreoli, ne “L’uomo di vetro”).I giovani, come tutti noi, sono cittadini della “Società del rischio” – come l’ha chiamata Ulrich Beck – dove in nome del progresso vengono compiute scelte con conseguenze gravi e imprevedibili. A questo tipo di società, il sociologo tedesco attribuisce il significato di un mondo caratterizzato dalla perdita di una chiara distinzione tra natura e cultura… “I rischi- dice – sono degli ibridi prodotti dall’uomo. Essi comprendono e mettono insieme la politica e l’etica, le matematiche, i mass media, le tecnologie, i precetti e le definizioni culturali. La società postmoderna, dunque, diventa riflessiva, nel senso che costituisce al contempo una soluzione e un problema per sé stessa”. Anche per Edgar Morin e Zygmunt Bauman esiste una correlazione tra i cambiamenti e gli effetti che essi producono sull’uomo, sulla società e l’ambiente, sull’economia. La stessa correlazione, ma dal versante psicologico, la troviamo negli scritti dello psichiatra Eugenio Borgna– “Nella fragilità che è in noi” – per il quale questa condizione è parte del “nostro destino che nasce, si svolge e si articola in stretta correlazione con l’ambiente in cui viviamo”. Questa fragilità di adolescenti e giovani produce effetti nella sfera familiare, nel gruppo di pari, nelle relazioni in ambito scolastico.
I tre ambienti possono operare come fattori di protezione e/ o di rischio rispetto al coinvolgimento dei ragazzi in comportamenti che possono compromettere il loro benessere. Le fragilità e, ovviamente anche le vulnerabilità, da sempre, camminano di pari passo con i cambiamenti tecnico- scientifici e sociali. Negli ultimi 70 anni la società italiana ha registrato mutamenti che hanno interessato l’economia, la famiglia, la scuola, l’occupazione, la cultura e, soprattutto, il sistema delle relazioni sociali e della comunicazione. Il periodo storico, che parte dall’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana (1 gennaio 1948) è caratterizzato dal dinamismo, dalla grande positività, ma anche da episodi drammatici e crisi economica: la povertà ereditata dalla guerra, i “gloriosi trenta” del boom economico e demografico, il venir meno delle certezze del modello di produzione fordista, le politiche neoliberiste, il passaggio dal capitalismo industriale a quello finanziario, le conseguenze della globalizzazione, la crisi economica, i rischi ambientali e gli effetti delle tecnologie digitali.
Le fragilità dei millennials sono differenti da quelle dei baby boomers. Siamo in due epoche diverse: due diversi sistemi di capitalismo, il passaggio dalla società dei produttori all’attuale dei consumatori, l’acquisizione della consapevolezza che lo sfruttamento delle risorse naturali non è più sostenibile e, soprattutto, due diversi modelli di protagonismo e impegno sociale. Dalle grandi aggregazioni all’individualismo. La passione di stare assieme ,di rivendicare nuove conquiste sociali: il Sessantotto per una scuola aperta a tutti, l’autunno caldo delle rivendicazioni della classe operaia di ottenere contratti di lavoro con maggiori tutele sindacali e previdenziali. Altre tensioni, altre motivazioni. Oggi il punto d’incontro del protagonismo non è più l’agorà, ma le piazze virtuali, le community, gli amici del web (centinaia, a volte migliaia) che in qualsiasi momento, o per qualsiasi ragione, vengono cancellati dai nostri computer, Ipad e Iphone. Il protagonismo dei giovani di oggi si snoda lungo le autostrade telematiche dove milioni e milioni di messaggi viaggiano su corsie sempre più affollate fino ai punti d’interscambio con destinazione Facebook, WhatsApp, Instagram e tante altre app che fanno parte della costellazione del web e dei social network. La società continua a lasciare il posto all’individualismo e le fragilità, le vulnerabilità giovanili (e non solo dei giovani) sono sempre meno condivise. Come se a posteriori volessimo attribuire una valenza profetica alle parole pronunciate nel 1987 da Margareth Thatcher: “Non esiste una cosa come la società. Ci sono uomini, donne e le famiglie”. Quasi trent’anni dopo quell’intervista, Zygmunt Bauman avverte una grande voglia di comunità, che nasce e si consolida nelle aspettative future del cittadino e immagina che il mondo stia navigando a ritroso.
In “Retrotopia”, una delle sue ultime opere, rilegge, in chiave diversa da Walter Benjamin, il disegno di Paul Klee, “Angelus Novus”, che il filosofo tedesco nelle sue “Tesi di filosofia” aveva ribattezzato “Angelo della Storia”. Per Bauman quell’angelo sembra abbia invertito la rotta: il volto dal passato lo rivolge al futuro; le ali sono sempre schiacciate dalla tempesta che, questa volta, spira dall’inferno del futuro (immaginato, previsto e temuto prima che accada) verso quel paradiso ormai perduto – cioè il passato- che le aspettative del progresso lo consideravano solo rovine.
E a distanza di quasi 100 anni rivede in quell’opera “il passato e il futuro mentre si scambiano vizi e virtù” e sottolinea che spetta al futuro, “deprecato perché inaffidabile e ingestibile, finire alla gogna come voce passiva, mentre il passato viene spostato tra i crediti e rivalutato, a torto o ragione, come spazio in cui la scelta è libera e le speranze non sono ancora screditate”.Nell’interregno tra la famiglia nucleare e quella tecnologica e digitale (cioè l’attuale) la società italiana è stata chiamata a fare i conti con i paradigmi del postmoderno e post industriale. Il capitalismo ha cambiato pelle e quello industriale ha ceduto il posto al modello finanziario con gravi conseguenze per l’uomo, la cui vita lavorativa diventa sempre più flessibile; si assiste impotenti all’espulsione dal sistema produttivo di migliaia di lavoratori che si ritrovano tra gli scarti delle discariche sociali. Proviamo ad immaginare a quali sollecitazioni viene sottoposta la fragilità di un giovane la cui famiglia, improvvisamente, deve ridimensionare, se non annullare, i progetti di vita perché la fonte dell’unico reddito ha perso il posto di lavoro.
L’esempio di queste ultime settimane ci porta in Piemonte ponendoci di fronte al dramma dei 500 lavoratori destinatari della lettera di licenziamento spedita loro dall’Embraco, la cui produzione è stata delocalizzata dalla multinazionale Whirlpool in Slovacchia. La decisione è stata congelata,ma non revocata. Dunque, altre famiglie sono prossime a rimanere senza reddito e senza il paracadute degli ammortizzatori sociali e davanti a loro c’è solo l’abisso della povertà. Ed allora quanti altri adolescenti saranno più fragili e vulnerabili di prima? L’incertezza di realizzare i progetti di vita provoca nuove sollecitazioni sui punti di maggiore fragilità e vulnerabilità del mondo adolescenziale, nei giovani di oggi i quali, probabilmente, si porteranno addosso queste paure anche quando prenderanno parte alla competizione per diventare classe dirigente.Non sto tentando di incardinare un processo alle nuove tecnologie che svolgono, e lo dico convinto, un ruolo importante nello sviluppo del territorio e nella modernizzazione della società, in particolare di quelle in ritardo di sviluppo. Il mio è un messaggio, incontrando gli studenti lo faccio sempre, per una serena e obiettiva valutazione sia effetti positivi che negativi prodotti delle nuove tecnologie della comunicazione sulla società, la famiglia e gli individui.
Nel secolo breve, la televisione ha svolto un ruolo culturale e pedagogico importantissimo, soprattutto affrancamento dall’analfabetismo; quello di babysitter per milioni di bambini; di compagnia per esorcizzare la solitudine di altri milioni di anziani e ammalati; di vetrina di cultura e di tradizioni storiche e popolari. Ciò nonostante, in alcune fasce della giornata è stata un incubatore di fragilità e vulnerabilità e, a volte, fonte di comportamenti difficilmente gestibili dalla famiglia. Ricordo i giudizi severi di Karl Popper, “Televisione cattiva maestra”, e di Johnn Condry che la giudica “ladra di tempo e serva infedele”. Il fascino della televisione ancora oggi riesce ad orientare i gusti e le opinioni resistendo allo strapotere della rete, “madre e matrigna”. Le due piattaforme, ancorché nate con sistemi tecnologici differenti, sono complementari nell’aggressività del linguaggio, nella spettacolarizzazione del dolore, nei processi mediatici, nel raccontare i fatti di cronaca, nell’amplificare il gossip e, soprattutto nel caso di Internet, le fake news.
Tutto questo incide sulla formazione dei giovani che spesso traggono dal web o dalla tv (il riferimento è a Facebook in particolare, e/o a certe serie TV come “Romanzo criminale” o “Gomorra”) la convinzione che emulando certi modelli della società consumistica riescano a
guadagnare prestigio sociale, soprattutto nella cerchia di amici e compagni di scuola.Un ragionamento che ci porta alle baby gang, al teppismo, ad episodi di razzismo, al cyberbullismo (con le sue violenze fisiche e psicologiche che spingono al suicidio altri adolescenti), allo stalking, al sexting, ad altri episodi – come i tentativi di delegittimazione dei professori messi alla gogna sulla rete, aggrediti e sfregiati dagli studenti, malmenati dai genitori. Se un giovane finisce in uno di questi meccanismi, la sua fragilità non resisterà a lungo. Contraccolpi negativi che, in misura minore, riguardano anche gli adulti.
Un incubatone di fragilità è anche la famiglia tecnologica e digitale così diversa da quella nucleare. Adulti, bambini, adolescenti e giovani sono ostaggio di un cellulare, di un Ipad, di un Iphone o di un computer: tutti ospiti sotto lo stesso tetto ma con la mente altrove. Adolescenti rapiti dal web che rincorrono modelli ed emozioni, genitori dispersi nella rete alla ricerca di prototipi di bellezza e dell’antidoto contro l’invecchiamento. I comportamenti sono identici: finanche nei modelli di abbigliamento e negli hobby. Un modello che Massimo Ammaniti ha chiamato “La famiglia adolescente”, formata da padri-fratelli e madri-sorelle e se anche ci fosse la presenza di nonni tra i contatti questi ultimi “non raccontano più le favole” ma con i nipoti preferiscono usare il computer. Saltate le gerarchie si crea quella solidarietà che potrebbe essere alla base di certi episodi di genitori che per un rimprovero da parte di un professore al figlio lo vendicano aggredendolo. Ragazzi fragili e genitori che non riescono ad esercitare il loro ruolo. Ed allora come può la famiglia, in generale, salvaguardare le fragilità e le vulnerabilità dei loro figli? Soprattutto di quegli adolescenti che nel momento della loro trasformazione psico-fisica, spesso si vergognano del loro corpo ritirandosi nella loro cameretta: non vogliono andare a scuola, rifiutano di incontrare gli amici e nei loro contatti esterni si affidano alla mediazione dei social media. Benvenuti nel club degli Hikokimori, i ritirati sociali. Lo scontro generazionale arriva all’improvviso: i giovani scappano di casa e senza guida rischiano di finire nella giungla della vita, mentre i genitori palesano tutta la loro impotenza.
A questo punto non è difficile immaginare quanto riportato nel romanzo di Michele Serra “Gli sdraiati” (dal quale è stato tratto anche un film): scene che ci portano nel mondo misterioso del rapporto genitori-figli: fatto di estraneità, di ostilità, di sensi di colpa da parte dei genitori. In quelle pagine, con frammenti carichi di satira, vengono descritti momenti di amore, malinconia, rabbia e di tentativi di ricominciare da dove padre e figlio si erano allontanati e persi. E dalla posizione di sdraiati, i giovani ritrovano la possibilità di vedere cose che hanno smesso di osservare rimanendo metaforicamente in piedi. Il dubbio è che non sarà sufficiente ritrovarsi per il fatto che il papà abbia offerto al figlio di trascorrere una vacanza assieme. Una foto nitida dal rapporto tra genitori e figli.
La famiglia si sgretola, anzi è già sgretolata.
E non si capisce come possa dare l’aiuto di cui hanno bisogno i ragazzi nella fase della crescita. La crisi della famiglia si riflette anche sulla scuola in quel rapporto conflittuale che è una delle cause del fallimento del patto educativo “famiglia- scuola”. Quest’ultima non può restare a guardare e subire, ma diventare protagonista, magari con qualche conferenza in meno, nel silenzio di quotidiani e tv locali, ed il ritorno all’educazione civica in cui i protagonisti siano solo gli studenti e non cosiddetti “esperti esterni”. I problemi sociali che producono comportamenti devianti degli adolescenti non vanno trattati solo sotto l’aspetto. della sanzione, ma educativo. La legge sul cyberbullismo, innanzitutto è di tutela del minore. A questo punto, consentitemi di citare l’indimenticato Presidente della Repubblica Sandro Pertini e il suo “I giovani non hanno bisogno di sermoni, ma di esempi”.
E concludo con l’auspicio che la scuola diventi protagonista assieme alla famiglia, agli educatori, alla Chiesa e a tutte le altre agenzie educative (comprese quelle sportive) di un nuovo progetto pedagogico-culturale al passo con le trasformazioni della società, e mi permetto di fare mio l’invito che Umberto Galimberti rivolge ne “La parola ai giovani”, in edicola lo scorso gennaio. “Se ascoltassimo di più i giovani quando si descrivono, li capiremmo di più di quanto non li capiamo quando leggiamo le considerazioni di psicologi, sociologi, insegnanti, educatori che parlano di loro. I genitori non li mettono in conto perché, quando i ventenni di oggi erano bambini, non li hanno ascoltati, eppure quei bambini avevano tante domande da fare e tanto bisogno di riconoscimento. Ma non si aveva mai il tempo di prestare attenzione ai loro scarabocchi, ai loro disegni, alle loro domande nella stagione dei perché. E così, sostanzialmente inascoltati, sono cresciuti sfiduciati nella possibilità di suscitare un minimo interesse nei loro genitori. E, sempre più chiusi in se stessi, hanno scelto la via del silenzio diventando enigmatici. A questo punto i genitori si sono interessati dei loro figli, sono andati in ansia, hanno provato a parlare con loro, ma ormai era troppo tardi. Il silenzio e gli sguardi che non si incrociavano mai erano diventati la regola di questa convivenza”.
Antonio Latella- sociologo e giornalista (La fragilità, aspetti sociologici)