Inno alla Sociologia

di Giuseppe Bianco

L’arte di guardare alla realtà, in modo profondo e sistemico

E’ di qualche giorno addietro, la notizia (ancora non chiara e di conseguenza meritevole di dibattito ed approfondimento) che per l’ennesima volta, in modalità tipicamente “italiota” perentoriamente, attraverso un escamotage, si voglia, ridimensionare il ruolo importante della sociologia, in questo Paese. Rilasciare attraverso una modalità faziosa, l’accreditamento dell’identità sociologica a chi, con lauree non legate all’approccio specifico o ai diplomati con presunta esperienza, a seguito di una profusione di denaro e di un’apparente esame sostenuto per mostrare eventuale competenza nell’ambito specifico.

Così sembra. Di sicuro mi sbaglierò e voglio credere di sbagliarmi.

E’ di qualche giorno addietro, l’ennesima notizia protesa a umiliare, ridicolizzare, un titolo accademico, conseguito, sudato, maturato con tanti sacrifici nell’ambito delle lauree ad indirizzo sociologico

Un riconoscimento, sempre e comunque univoco. Tra il silenzio di parlamentari, racchiusi quasi completamente in due o tre caste professionali. Un riconoscimento apparentemente genuino, leggero, quasi conseguente, rilasciato per rinforzare ulteriormente i privilegi, già abbondantemente profusi delle poche dimensioni professionali che in Italia hanno diritto d’essere e di esistere.

Peccato però, che questo tipo di manovre non valgano al contrario. Peccato che nel nostro Paese, l’apertura ad una relazione di aiuto, sia lasciata oltre a chi di dovere, anche a chi, ha sorbito anni di preparazione accademica di tipo esclusivamente organicista. Peccato che, in anni di percorso, la loro preparazione non abbia mai acquisito competenze di lettura sistemica dei processi sociali e di conseguenza relazionali.

Peccato anche che nell’analisi dei bisogni territoriali e sociali, mai o quasi, venga presa in considerazione la scienza in grado di leggere ciò che “si avvicina ad essere reale” e di conseguenza “cassonetti” intere di fondi, vengano indirizzati a casaccio, senza tenere conto davvero, delle esigenze reali della base.

Peccato che migliaia di giovani studenti, molto spesso ignari (sociologia, scienze politiche e sociali, discipline economiche e sociali etc.), appassionati ed infuocati dai loro complessi studi, alle volte, a causa di un mondo accademico sordo al futuro ( non orientato a far valere i diritti di quei giovani studenti) e concentrato molto spesso anche in buona fede, soltanto sull’avvio dei corsi di laurea e non sul futuro di quelle giovani vite, solo in Italia, vengano costantemente sminuiti da altre professioni                  (rinvigorite da caste professionali, oziosamente tese a deformare la realtà ed a stare sedute, in ambiti e contesti, oggettivamente non appartenenti alla propria storia accademica).

Peccato. Peccato, si!! Peccato che molte delle menti che mondialmente hanno stimolato i cambiamenti sociali della modernità, dei processi culturali e comunicativi, dei servizi sociali e della profusione dei diritti sociali e delle libertà, appartengano proprio a chi, fece percorsi accademici, nell’ambito sociologico.

E’ un grande e madornale peccato, essere drogati ed orientati da un ottundimento di coscienza anche ora, che a causa della storica “pandemia”, nel giro di pochi mesi, si siano visti resettare anni ed anni di delirio onnipotente, intriso di società liquida e relativa.

Decenni impregnati da una scarsa ed approfondita lettura di chi si trovava e continua a trovarsi nella “stanza del comando” ed orientata soltanto (serve anche quella, ma non basta….) ad una fredda e mercificata scrittura del futuro, sulla base di modelli economici, freddi e legati all’efficienza ed all’efficacia, al PIL, inteso come “prodotto di infelicità lorda”.

Peccato che per decenni, non si sia compreso, nel mondo burroso e grasso dell’Occidente, che alla base e non solo nell’ambito della teoria, servissero figure accademicamente preparate per monitorare i cambiamenti, i disagi e le sofferenze, nei territori e nei contesti più piccoli. Che servissero figure, in grado realmente, di fare da cassa di risonanza scientifica sui gridi degli “ultimi e dei diseredati”.

Peccato che il vento dello sviluppo, sia arenato da decenni nel nostro mondo e che si sia confuso l’ultimo modello di I-Pad con l’evoluzione sociale ed umana e peccato che in molti casi, si sia ottusamente guardato solo al malessere del singolo (serve anche quello e personalmente, ritengo fondamentale l’approfondimento della propria storia e delle proprie dinamiche!) che impregnato da paradigmi sociali e culturali consumistici e regressivi, piano piano, lentamente, si orientava ad entrare e permanere in un malessere sordo e muto ( sociale) che poco o nulla c’entrava con la sua storia ed il suo funzionamento psichico e molto invece dipendeva, da chi, freddamente ed a tavolino, non essendo in grado di leggere i reali bisogni umani, lo costringeva ad essere macchina di consumo e di produzione.

Peccato “abominevole”, commesso dalle istituzioni, in tutti questi anni, a non aver saputo valorizzare una sociologia di strada, “prossima”, che facesse da sentinella e da suggeritrice saggia, sulle possibilità e sulle innovazioni non soltanto tecnocratiche, ma orientate ad un futuro più evoluto e giusto per la popolazione.

E peccato, peccato, perché molta dell’esperienza, delle capacità di visionare in modo più profondo la realtà, sia stata molto spesso, quasi esclusivamente assoldata ed assoggettata al sistema consumistico ed al marketing (del tutto legittimo, ma la funzione della sociologia non può essere ricondotta soltanto a questo).

Il mondo attuale ha bisogno di essere letto, analizzato e spinto verso modalità più giuste ed umane. Ha bisogno di vera sociologia (e di studi universitari nell’ambito sociologico, in grado di formare davvero la mente ad una visione sistemica) di prossimità.

Se non adesso, quando? Abbiamo visto le macerie, i limiti e l’enorme aumento di malessere del singolo (dopo la pandemia, è previsto che circa il 40 % dei cittadini, avranno bisogno di cure psichiatriche e psicologiche e molti altri, saranno orientati a rivolgersi ai “ servizi sociali”).

Nessuno o quasi, si rende conto del bisogno di riscrivere, reinterpretare il mondo che verrà. Nessuno o quasi, si rende conto della ribellione cieca della natura, dell’inconscio collettivo, dei poveri, dei diseredati e delle caste attualmente al comando che come in una sorta di trance o di annientamento dell’anima, nemmeno dopo l’emergenza “Covid”, sembra si stiano rendendo conto che non possono bastare le solite ricette, il voler permanere in schemi oramai obsoleti e stanchi, disfatti e vuoti, orientati all’economia.

Nessuno o quasi, sembra rendersi conto che la coscienza collettiva, non potrà accettare per tanto tempo, questo disagio, che l’era pandemica ha soltanto enfatizzato e che c’è bisogno di revisionare molto del passato, leggendo attentamente le macerie presenti, riscrivendo, in modo lucido e creativo il futuro.

Leggere sapientemente l’adesso, per aprire nuove narrazioni del futuro.

Spero che ci si renda conto che la politica, l’economia etc., non sono più in grado di governare la complessità del reale, senza una visione prospettica e sociologica delle “cose”, molto spesso usata, solo per giustificare e garantire, il mantenimento dello status quo.

Credo profondamente, ad un moto d’orgoglio identitario che parta dal basso e che animi, tutte le specificità personali e professionali, caratterizzate da studi prettamente sociologici.

Se non adesso, quando? E’ urgente riaprire un discorso serio, mirato alla tutela ed alla valorizzazione dei laureati nell’ambito sociologico. Il nostro Paese ed il mondo stesso, tra qualche mese, dovrà essere ricostruito “quasi” di sana pianta.

Non lasciamo spegnere, attraverso la banalizzazione, le “fiammelle sacre” che proprio perché dotate di una capacità sistemica e profonda di lettura del “reale” gioiscono ( in alcuni casi) e soffrono ( in molti altri) in modo amplificato per l’attuale realtà, basata su “slogan” dettati dall’ultima tendenza (svuotata di visione ed a breve termine) del momento, che hanno la capacità di guardare ai fenomeni sociali ed in qualche caso di suggerirne il possibile divenire, in senso evoluto e non regressivo.

Comte, Weber, Simmel, Marcuse, Bauman ed innumerevoli schiere di scienziati sociali liberi e di “prossimità” del passato, se dovesse esistere un alterità spazio temporale e trascendente, ci saranno grati, per aver reso vivo e concreto il loro lavoro e la loro dignità.

E la gente, finalmente, si vedrà guardata con rispetto, in modo totale e non soltanto relativo. C’è bisogno, c’è sete di più scienza sociologica nel mondo attuale e nel mondo che prossimamente sarà.

Concludo con l’auspicio, per la nostra generazione, di essere aiutata ad osservarsi bene fuori ed a guardarsi, in modo consapevole dentro. Uscire dal torpore della passività, facendosi aiutare da chi ha gli strumenti per leggere sistemicamente le cose.

Come direbbe il caro “nonno” Bauman: “Quando si evita a ogni costo di ritrovarsi soli, si rinuncia all’opportunità di provare la solitudine… quel sublime stato in cui è possibile raccogliere le proprie idee, meditare, riflettere, creare e, in ultima analisi, dare senso e sostanza alla comunicazione. Certo, chi non ne ha mai gustato il sapore non saprà mai ciò che ha perso, ha lasciato indietro, a cosa ha rinunciato”.

Soltanto così, partendo da una visione profonda del singolo e del sociale, potremo avviare una possibilità nuova, per ricostruire un mondo futuro, dotato di senso.

dott. Giuseppe Bianco – Sociologo e Life coach


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