INDIVIDUALITA’ RESISTENTI, QUANDO L’INDIVIDUALISMO DIVENTA UN VANTAGGIO NELLO SPAZIO DEL QUOTIDIANO

SONIA 15 LUGLIO 2015Quella dei consumi, pur  rispecchiando la sfera del privato in quanto agire sociale del singolo in riferimento alle sue esigenze fisiologiche, psicologiche e ai significati che attribuisce a ciò che lo circonda, sembra configurarsi sempre più come la frontiera di nuove forme di mobilitazione.Quanto il consumo critico sia incisivo e organizzato in gruppi che condividono intenti, valori e principi, (che siano gruppi di acquisto solidale o cooperative sociali) è stato ampiamente documentato in molteplici ricerche empiriche. Meno sondato è l’agire individuale dei consumatori critici non strutturati che, per le più svariate motivazioni, decidono di dare un senso al loro atto di acquisto differente da quello che il mercato convenzionale vorrebbe attribuirgli.

Parliamo, dunque, di individualità resistenti (1) ossia singoli che si impegnano nel loro quotidiano elaborando percorsi di cambiamento progressivo e accentuano il valore della loro scelta di acquisto in base a criteri di eticità e responsabilità sociale. Secondo la Rebughini negli ultimi anni abbiamo assistito ad una progressiva individualizzazione e, quindi, ad una progressiva responsabilizzazione dell’individuo. Individualizzazione e responsabilizzazione sono strettamente collegati. Si abbandonano progressivamente le forme di azione collettiva in cui gli individui perdono la loro specificità e orientate a costruire un futuro migliore. Si registra, invece, la volontà di agire per conto proprio con i piccoli gesti che interessano la vita di ogni giorno in una prospettiva temporale che non contempla più il futuro, ma che si concentra essenzialmente sul presente. Questa differente percezione del tempo e della ripercussione delle proprie azioni nel tempo, deriva dal maggiore grado di incertezza e di rischio che caratterizza la società postmoderna, diventata incapace di fare progetti a medio-lungo termine e concentrata prevalentemente sul qui e adesso, come se anche il presente fosse un’entità sfuggente in cui cogliere l’attimo. Si ha contezza del futuro, tant’è che è  proprio la preoccupazione per il futuro a mutare il comportamento dei singoli verso scelte di consumo etiche e non solo edonistiche: la preoccupazioni per le catastrofi ecologiche, demografiche e sociali provocate da stili di vita inadeguati e irrispettosi dell’ambiente. Tuttavia, il sentimento del rischio e dell’incertezza tende ad appiattire la prospettiva temporale.

Queste individualità resistenti, pur essendo espressione della società, mirano ad influenzare più aree, da quella politica a quella economica, attraverso i loro atti di acquisto e, più che di partecipazione politica, sarebbe il caso di riferirsi a queste forme diffuse di resistenza come a risorse politiche, capaci di mettere in luci le forme di potere, di demistificare i giochi di dominio sociale ed economico permettendo di attuare opportune tattiche di resistenza, come direbbe De Certeau. Queste strategie messe in atto dai consumatori responsabili riescono ad insinuarsi ancora più abilmente nelle maglie del potere per il fatto di essere meno visibili e più diffuse: fare parte di un gruppo esplicita il bersaglio, agire individualmente rende astratti. Per questa ragione la ricerca attuale dovrebbe incentrarsi maggiormente sulle pratiche messe in atto dai consumatori individuali non strutturati, proprio per indagare una modalità d’azione poco approfondita dal punto di vista sociologico anche per le maggiori difficoltà di accesso al campo, e perché è affascinante addentrarsi nella miriade di motivazioni apparentemente frutto di sole riflessioni personali, che spingono più individui ad modificare i propri consumi verso uno stile di vita alternativo, ma non rivoluzionario.

La dimensione del quotidiano è oggi lo spazio prioritario dell’azione, la resistenza non è più un programma collettivo, ma una pratica situata, personale e fondata su presente. Gli attori sociali ricercano disperatamente spazi individuali di azione e, anche per questa ragione, il McDonaldizzato di Ritzer comincia ad andarci stretto; alla nostra creatività sono tarpate le ali e senza possibilità di esprimersi all’uomo non resta scelta:“Gli addetti alla cucina dei ristoranti fast food, così come gli operai alla catena di montaggio utilizzano solo una piccola parte delle proprie capacità per svolgere il loro lavoro; analogamente, i consumatori in questi templi del consumo, trovano già preconfezionate tutte le possibili combinazioni di fruizione dei prodotti e devono comunque limitarsi a selezionare secondo la preferenza del momento. Il dilagare di questo tipo di organizzazione delle transazioni sociali riduce dunque drasticamente le possibilità di azione creativa e spontanea delle persone. E questo è un elemento della moderna organizzazione della vita sociale che urta con forza contro un altro aspetto, altrettanto rilevante delle società post-industriali avanzate, la tendenza degli individui a cercare spazi di azione individuale, che permettano la propria autorealizzazione  e gratificazione creativa, così come il raggiungimento della propria indipendenza e autonomia”.(2)Il rischio per questi atti di resistenza quotidiani è  l’essere neutralizzato e inglobato nelle narrazioni esistenti, l’essere fagocitato subdolamente dal sistema capitalistico dominante, rischio tenuto a bada dal fatto che le azioni devono avere un riscontro relazionale importante nella società ovvero ci deve essere una comunità di utilizzatori delle retoriche sul consumo critico in modo che l’azione possa avere un minimo di impatto.

Non è l’ispirazione ideologica a motivare l’agire individuale dei consumatori critici e questo ci convince sempre più del fatto che oggi ci si trova nell’impossibilità di individuare un gusto dominante o nell’etichettare le pratiche di consumo critico come il germoglio di una nascente differenziazione di classe. La scomparsa delle ideologie con l’avvento della postmodernità e la costruzione di immaginari collettivi in aggregati sociali sempre più distaccati dalla politica (Santambrogio, 2013), evidenzia la formazione di identità sfaccettate orientate alla realizzazione di obiettivi utopici che nulla hanno a che fare con le ideologie tipiche della società moderna. Le eredità culturali sono diverse, le sensibilità comuni, gli atti non sempre ideologizzati. Il consumo critico, quindi, risponde piuttosto ad una importante comune presa di coscienza, ad una consapevolezza della propria “impronta ecologica”, del fatto che il proprio modo di vivere sul mondo ha un impatto sull’unico pianeta che abbiamo, più che alla ferma convinzione di rivoluzionare il sistema economico neoliberista.

Tuttavia, nel corso degli studi e delle ricerche sul consumo critico, si è cercato di inquadrare  secondo la tipologia di Hirschman (1970) l’agire delle diverse anime sensibili al tema della sostenibilità in generale.(3) Lo schema riassuntivo sarebbe il seguente:

  • La voice (la protesta) è l’area della critica pubblica verso i produttori che non rispettano le regole della trasparenza e dell’onestà e, dunque, qui si collocano le forme di protesta; è il classico terreno di intervento delle associazioni di consumatori.
  • L’area dell’exit (la scelta mirata) dovrebbe essere quella del consumatore sovrano che ha capacità selettive e decide cosa comprare o no dal mercato.
  • La loyalty (la lealtà) è quello che in un certo senso subisce il fascino del brand e della retorica; quindi, qui includiamo tutti i simpatizzanti delle cause ambientaliste, o meglio, tutti coloro che si aderiscono a principi ispirati alla sostenibilità.

In queste tre aree agiscono i nostri consumatori, le nostre individualità resistenti, dimostrando che la sensibilità per l’ambiente è aumentata, ma “difetta ancora di coerenza fra le parti ossia di una visione ecologica delle cose”.(4) Per di più, la categorizzazione non è così netta come sembra, visto che i consumatori responsabili col loro comportamento possono rientrare contemporaneamente o alternativamente nel corso della loro esistenza in più tipologie di quelle sopra descritte. Pertanto, ci si chiede quali variabili influenzano la polimorfica dimensione del consumatore postmoderno, il quale non è mosso soltanto da giustificazioni razionali, ma anche da cause che si originano nella sua sfera emotiva fortemente connessa al contesto sociale di appartenenza. Questa riflessione induce ad adottare un approccio interdisciplinare al fenomeno in questione, ma anche a tenere in considerazione il mutamento nel paradigma interpretativo che interessa la sociologia, la psicologia sociale e l’economia nel complesso studio dei consumi, nonché il nascente interesse diretto alla comprensione delle componenti emozional-razionali dell’individuo. Le nostre individualità resistenti, dunque, si muovono in un mare attraversato da più correnti ognuna delle quali produce onde l’una diversa dall’altra, proprio come i nostri consumatori poliedrici in cui elementi razionali ed emozionali si fondono, si compenetrano in percentuali differenti a seconda dei contesti e dei vissuti personali, generando oscillazioni perpetue nell’agire individuale.

La ricerca sul consumo critico potrebbe arricchirsi ulteriormente focalizzandosi su questioni ancora rimaste aperte. Ad esempio, capire perché nonostante le pratiche discorsive sulla sostenibilità e sul consumo responsabile siano universali, le motivazioni che spingono i consumatori ad agire criticamente si originano da stati emozional-razionali e da immaginari collettivi (5) differenti, generando consumatori poliedrici. Con questo si potrebbe dimostrare come l’individualismo, tipico della postmodernità, rappresenti un punto di forza nella costruzione consapevole e autonoma dell’identità del consumatore critico.Un’altra domanda potrebbe riguardare le nuove tecnologie di comunicazione dell’era 2.0: nonostante i rischi connessi alla spettacolarizzazione dei fenomeni e alla omologazione della comunicazione sostenibile alle regole discorsive del marketing convenzionale col conseguente pericolo di rendere poco credibile la retorica sostenibile, rappresentano comunque strumenti imprescindibili per la condivisione e rapida diffusione delle informazioni, per l’accesso meno gerarchicamente strutturato alle stesse e per la formazione delle identità dei consumatori responsabili, vista la possibilità di definire un progetto cognitivo comune sul web che sia antagonista al sistema capitalistico. Concludendo, solo un approccio multidisciplinare che tenga conto della compenetrazione di aspetti emozional-razionali, spogliando il pensiero da influenze ideologicamente orientate solitamente dirette ad un pessimismo cosmico in merito all’individualismo dell’era postmoderna, potranno conferire apporti scientificamente utili, sicuramente più obiettivi e aperti a nuove riflessioni

Sonia Angelisi  – Sociologa ANS

Note

[1] Rebughini P., Individualità resistenti. Pratiche del consumo critico e eredità dei movimenti sociali, in Le nuove frontiere dei consumi (a cura di) Paola Rebughini e Roberta Sassatelli, p.88

2 Lembi P. Montagnini E., Mora E., Esplorando i mondi del consumo critico. Una lettura sociologica, in Il contenuto sociale dei prodotti. Indagine sul consumo responsabile (a cura di) Dario casati, Guido Sali, FrancoAngeli, Milano, 2005 Pag. 68.

3 Osti G., Costi ambientali e consumi. Il consumo critico alla sfida del commercio occulto di beni ambientali., in Le nuove frontiere dei consumi (a cura di) Paola Rebughini e Roberta Sassatelli, Ombre Corte, Verona, 2008

4 Ibidem, p. 46.

5 L’immaginario collettivo, secondo una definizione del sociologo Ambrogio Santambrogio, è una  visione del mondo a disposizione dei soggetti i quali, volta a volta, possono variamente attingere da tale bacino  valoriale, simbolico e culturale. Un immaginario sociale è un enorme deposito di idee, rappresentazioni, visioni del passato, del presente e del futuro che si è andato producendo attraverso il contributo di innumerevoli gruppi sociali, ognuno dei quali ha portato il proprio contributo in maniera spesso inavvertita e inconsapevole.

 


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