IMMIGRAZIONE, I MURI EUROPEI E QUELLO DEL NEO PRESIDENTE AMERICANO
Prima di migranti, stranieri, musulmani, sono persone che scappano dalla loro terra natia per sottrarsi alla persecuzione, alla guerra, alle carestie o per cercare nuove condizioni di vita e di lavoro. L’immigrato, quasi sempre, viene trattato come un fantasma. E i fantasmi fanno paura. L’altro, lo straniero, viene anche dipinto come un demone da scacciare dalle nostre comunità: non riusciamo, infatti, a liberarci del messaggio secondo cui quest’uomo che viene da lontano, diverso da noi per cultura e colore della pelle, ruba il lavoro agli italiani, ai francesi, agli ungheresi, agli spagnoli; messaggero di disgrazie, portatore di nuove malattie. L’odierna società dell’informazione e della comunicazione è costretta ad assorbire il continuo bombardamento di messaggi subdoli, impossibili da decodificare, che non ci danno tregua e provocano danni collaterali anche con la costruzione di muri, con la chiusura delle frontiere, l’indizione di referendum, rafforzando il consenso di uomini e formazioni politiche abili a trasportarci nel cosiddetto territorio sconosciuto. Profeti di sventure, di previsioni apocalittiche. Personaggi che alimentano la frustrazione dei cittadini alle prese con l’incertezza economica e la mancanza di speranza che gli è stata defraudata dalla globalizzazione. Il diffuso senso dell’insicurezza quotidiana, dovuta in prevalenza allo smantellamento delle reti sociali, è uno dei tormenti dell’uomo postmoderno che continua a subire gli effetti della deregulation avviata dalle politiche reaganiane e thatcheriane (1979 -1990). In quel decennio, che seguiva i “gloriosi trenta”, il capitalismo ha cambiato pelle, da industriale è diventato finanziario, dando vita ad una dittatura globale che non solo ha ridotto in schiavitù milioni di uomini, ma ha anche limitato gli spazi di democrazia, quasi cancellato la sovranità degli stati e reso subalterni i governi e la politica.
Ed il vento dell’intolleranza, dopo l’elezione del 45esimo Presidente americano – quel Donald Trump che, come ha dimostrato la sua campagna elettorale, conferma l’avanzata del populismo e il divorzio tra il potere e la politica – è ripreso a soffiare forte per iniziativa delle destre xenofobe i cui leader cavalcano il malcontento dei cittadini che protestano per l’avvenuta tumulazione di un modello economico inclusivo che aveva caratterizzato i successivi trent’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Le intenzioni di Trump confermate nelle ultime ore – il muro con il Messico e l’espulsione di tre milioni di immigrati clandestini con precedenti penali- rafforzeranno le politiche anti immigrazione delle destre populiste a caccia di consensi elettorali per governare importanti paesi europei. L’immigrazione è anche figlia del modello economico dominante sul pianeta terra che genera diseguaglianze, povertà, schiavitù e crea due fronti contrapposti: l’impoverimento della forza lavoro, attraverso lo smantellamento delle reti sociali, nei paesi già industrializzati, e lo sfruttamento di quelli sottosviluppati o in via di sviluppo. Si genera così un cortocircuito che cancella valori della solidarietà, della tolleranza della convivenza, genera solitudine e proietta il cittadino globale nello spazio dell’incertezza, dell’insicurezza e della vulnerabilità. In un siffatto clima è praticamente impossibile trovare l’antidoto per i mali del nostro tempo. Più probabile, invece, appare l’acuirsi del conflitto tra gli ultimi e lo scontro tra e all’interno di diverse civiltà. Per milioni di cittadini di altri regioni del mondo, l’Europa è diventata la terra promessa come lo furono i paesi d’oltre oceano per oltre 40 milioni di abitanti del Vecchio continente che, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento dello scorso millennio, s’imbarcarono su piroscafi e bastimenti alla ricerca di una nuova condizione umana e di cittadini. E tra questi tanti italiani, tantissimi cittadini di altre nazioni che oggi erigono muri e spargono il seme dell’intolleranza che poi viene alimentato dai nazionalismi e dagli sciovinismi.
L’immigrazione è un fatto globale che non darà tregua per i prossimi quarant’anni. Con gli immigrati, dunque, è importante dialogare, guai chiudere i canali della comunicazione, per giungere ad un modello condiviso di tolleranza, di convivenza capace di produrre anticorpi socio- culturali resistenti a qualsiasi forma di integralismo e razzismo.
Antonio Latella – giornalista e sociologo