Il VIRUS CHE CI “MUTA”

La pandemia da CoronaVirus ha letteralmente stravolto il modo di vivere dell’intero pianeta. Ogni nostra abitudine, dalla più banale alla più necessaria, è stata completamente ridimensionata e modificata. In primis, è cambiata la percezione che ognuno di noi ha di se stesso.

di Elisabetta Festa

Le nostre società complesse e globalizzate, il progresso medico e scientifico, ci avevano abituati a concepirci come degli esseri in grado di gestire qualsiasi tipo di pericolo, di affrontare al meglio le malattie e persino di schivare o di ritardare il più possibile la morte. Ebbene, il Covid19 ha azzerato tutto ciò. Ci siamo riscoperti fragili, vulnerabili, impotenti ed impauriti dinanzi ad un nemico malvagio ed invisibile. Anche il nostro rapportarci all’altro è profondamente mutato, le misure di distanziamento forzato ci hanno isolati gli uni dagli altri, ed  i nostri affetti più cari improvvisamente sono percepiti in maniera dicotomica, cioè li viviamo contemporaneamente sia come persone da voler proteggere a tutti i costi ma anche, paradossalmente,  di cui diffidare (specie ad ogni rientro in casa) perché fonte di probabile contagio.

Louvre

Dunque, mutano le relazioni sociali, così come muta la gestione delle attività produttive, fatta eccezione di quelle necessarie per garantire i mezzi di sussistenza, ecco che si fa strada lo smart working (telelavoro). Anche l’agenzia educativa si adatta alla didattica a distanza per garantire ai ragazzi il diritto allo studio.

La rete, con le sue straordinarie potenzialità da molti denigrata, diventa dunque in questo periodo addirittura salvifica e provvidenziale. Ed ancora, mai come in questo periodo, la metafora del “villaggio globale”, menzionata per la prima volta dal noto studioso delle comunicazioni di massa Mashall McLuhan, è mera realtà, tutti i governi, quasi simultaneamente, seguono con attenzione ed apprensione l’espansione del virus e adottano un protocollo similare per ridurre ai minimi termini i contagi e le morti, con il lockdown che ne rappresenta la strategia finale. La comunità scientifica internazionale ci impone la “desertificazione urbana e sociale”, evento del tutto inedito nella nostra storia fin qui. È la società tutta che si trasforma, costretta ad una involuzione perché ridotta ai minini termini: via lo svago, lo sport, gli incontri, la freneticità, il superfluo.

Il fuori, quello dell’attore sociale di Goffman, non esiste più, ovunque regna il nulla, il vuoto, il silenzio; dai piccoli centri alle grosse metropoli il cliché è tristemente ripetuto, si osservano infatti  immagini spettrali che ci rimandano ad una realtà ancora più fantascientifica del miglior film di fantascienza.

Si fa strada l’unica alternativa possibile: il rifugio domestico, la casa, che diventa come le mura che cingevano le città medievali, ossia la protezione assoluta, dove ogni giornata sembra un déjà vu. In questa catastrofe, dove l’uomo, almeno momentaneamente, perde la centralità dei propri spazi, fa capolino la natura.

Chi non ha osservato la presenza di animali selvatici gironzolare indisturbati nelle città? Essa sembra aver avuto un giovamento, in termini di riduzione dell’inquinamento, per lo stop imposto per necessità. Questo è uno dei pochi aspetti positivi che ci restituisce il virus. Mentre l’uomo lotta per la sopravvivenza, la natura rifiorisce, cieli tersi, acque limpide, quasi sembra  voglia dare una lezione o una punizione, per gli scellerati comportamenti che l’umanità, in nome del progresso, ha per secoli adottato fino ad arrivare a minare seriamente la sua salute. Edward Wilson, il fondatore della sociobiologia, in una delle sue opere afferma:

”L’umanità è un’entità ecologicamente anomala da qualunque punto di vista la si consideri: si appropria dell’energia solare fissata nella materia organica dai vegetali in misura variabile dal 20 al 40 per cento del totale, e va da sé che è impossibile sfruttare le risorse del pianeta in tale misura senza che ciò incida in modo drasticamente riduttivo sulle condizioni di vita di quasi tutte le altre specie”. 

Le misure restrittive per il virus, specie quelle che riguardano il blocco quasi totale delle attività industriali, si fanno sentire anche sulla qualità dell’aria. Gli ultimi dati ottenuti dal satellite Copernicus Sentinel-5P dell’Agenzia spaziale europea mostrano una diminuzione dell’inquinamento, in modo specifico delle emissioni di diossido di azoto su tutta l’Italia.

Questo calo è particolarmente visibile in Italia settentrionale, l’area conl’aria più inquinata d’Europa. Questo dovrà far riflettere tutti i potenti della terra nel post emergenza, su quanto sia davvero prioritario il tema della salvaguardia del pianeta e su come sia necessario riconvertire l’intera economia produttiva alla “Green Economy”. Quandoavremosuperato questo incubo, ci saràtanto dariprogettare, ripensare, ricostruire.

Un mondo di ritirati sociali

Servirebbe un Piano Marshall, ma questa volta di ordine etico e morale prima che economico e produttivo, un paradigma planetario che consideri centrale l’ideazione di un equilibrio stabile e duraturo tra uomo e natura, senza il quale non ci sarà davvero certezza del futuro. Questo tema dovrà essere la condicio sine qua non di ogni agenda politica mondiale. Lo dobbiamo alle nuove generazioni e ai tanti, troppi morti, che giornalmente stanno accompagnando le nostre giornate.

Se il COVID19 ci farà  mutare in meglio allora avremo finalmente capito la lezione…!

dott.ssa Elisabetta Festa – sociologa


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