Il teatro di una società malata: la pornografia on-line
di Patrizio Paolinelli
Nel mercato delle immagini il sesso costituisce una delle voci più importanti per dimensioni, fatturato e influenza culturale. All’interno di tale mercato è tuttavia decisivo distinguere tra hard-core, soft-core e corpo glamour.
<<== Prof. Patrizio Paolinelli
Le tre offerte sono destinate a consumatori differenti ma nella nostra società hanno finito per assumere alcuni rilevanti tratti in comune: 1) veicolano la medesima idea di orgasmocrazia, ossia un’idea del sesso concentrata sull’orgasmo e sul suo raggiungimento il maggior numero di volte possibile nella giornata e nel corso della vita; 2) azzerano o quasi gli aspetti emotivi della sessualità per cui la carne prevale sulla psiche; 3) erotizzano fino al parossismo il corpo della donna, la quale, nell’attuale ordine visivo, è sottoposta al piacere dello sguardo maschile che essa stessa ha interiorizzato. Movimento che John Berger ha ben riassunto – e ancor meglio problematizzato – nella formula: “Gli uomini guardano le donne. Le donne guardano se stesse mentre sono guardate”.
La formula di Berger vale soprattutto per il soft-core e il corpo glamour, ormai completamente legittimati nel nostro ordine visivo in nome di un anticonformismo pilotato dal mercato delle immagini e trasformato così in una nuova forma di conformismo. Tant’è che oggi è forse più rivoluzionario recuperare il senso del pudore che dare quotidiane prove di disinibizione. Diverso è il discorso sull’hard-core. Il quale, con l’avvento del World Wide Web, è praticamente scomparso dalle edicole, ha condotto alla quasi estinzione dei cinema a luci rosse e spostato on-line il videonoleggio. Il che sul piano delle relazioni faccia a faccia presenta il vantaggio di aver messo acquirenti e spettatori al riparo da giudizi, rimproveri e pettegolezzi. E tuttavia, nonostante tale vantaggio, sul piano delle relazioni virtuali la completa clandestinità non è consentita al navigatore perché ogni movimento in Rete è osservato, tracciato e valutato. Ma con le dovute accortezze (ad esempio, cancellare la cronologia o attivare la funzione “navigazione in incognito”) la reputazione nel mondo reale è salva e si può consumare materiale pornografico con relativa tranquillità.
Il mercato dell’hard-core non è quantificabile con precisione. Secondo l’ONU nel 2012 generava profitti per 96 miliardi di dollari di profitti l’anno. Sembra poi che il 25% (ma c’è chi parla del 30%) del traffico mondiale su Internet abbia carattere pornografico, che i database crescano al ritmo di 22mila nuovi video al mese e che i gestori di siti hard incassino circa 3 miliardi di dollari l’anno per le sole inserzioni pubblicitarie. Per quanto concerne il traffico altri studi forniscono cifre più basse attestandosi intorno al 10-12%. Assai più certe sono invece le cifre relative alla tipologia di consumatori, in larghissima maggioranza maschi (80-90%), al modello di consumo (il 70% dei maschi guarda immagini porno per eccitarsi e praticare l’autoerotismo), al numero dei portali dedicati alla pornografia (oltre 4 milioni), al progressivo abbassamento dell’età dell’utenza (ormai si parte dagli 11 anni), alla fonte di produzione (gli USA per circa l’85%).
A partire da questa ridda di numeri sono state avanzate diverse riflessioni: alcune molto allarmate dinanzi all’enormità del fenomeno e alla diffusione della pedopornografia; altre si concentrano sulla porn-addiction; mentre altre ancora considerano la pornografia on-line socialmente sopportabile così come avviene con la prostituzione di strada. Ma al di là dei punti di vista e delle incertezze statistiche c’è un altro aspetto che merita un supplemento di attenzione. Ed è la progressiva banalizzazione della pornografia come conseguenza della sua trasformazione in fenomeno di massa. Tale banalizzare ha uno scopo assai chiaro: per il mercato delle immagini si tratta di spostare la pornografia da fenomeno socialmente deviante a fenomeno socialmente anticonformista, quasi fosse una espressione della cultura di massa come i video-musicali (i quali peraltro giocano parecchio con la trasgressione sessuale).
Il tentativo di normalizzare in via definitiva la pornografia ha permesso a un manipolo di pornoattori di diventare dei personaggi pubblici rincorsi dai giornalisti. Seppur per lo spazio di un mattino alcuni anni fa la pornostar Moana Pozzi venne trasformata dal sistema dei media in un mito dello spettacolo al pari di qualsiasi altra diva del grande schermo. Mentre recentemente si è cercato di costruire una professionalità cinematografica intorno al pornoattore Rocco Siffredi, approdato quest’estate al Festival di Cannes insieme alla moglie, anch’essa pornoattrice. Tali tentativi sono possibili proprio perché, da un lato, i confini tra hard-core, soft-core e corpo glamour sono sempre più sottili e, dall’altro, perché lo sguardo del grande pubblico è addestrato dal mercato delle immagini a erotizzare corpo, in particolare quello femminile. Proprio all’ultimo Festival di Cannes alcune ragazzotte in cerca di notorietà si sono esibite sul tappeto rosso con abiti dagli spacchi vertiginosi da cui si evinceva l’assenza degli slip. Grande interesse di fotografi e stampa che per l’ennesima volta hanno soffiato sul fuoco dell’esibizionismo.
Ma l’esibizionismo praticato da star e starlette fa sempre più parte delle regole del mondo dello spettacolo, costituisce la principale forma di anticonformismo permessa dal mercato delle immagini ed è ampiamente giustificato dai media in nome dell’emancipazione femminile, dell’evoluzione dei costumi, dei diritti civili, o semplicemente perché va di moda. Tuttavia, quando l’erotizzazione parossistica del corpo passa dallo schermo alla realtà non sempre si assiste all’happy end cine-televisivo e talvolta possono capitare delle vere e proprie tragedie. E il caso recentissimo del suicidio di Tiziana Cantone. Una bella trentenne napoletana che sui social network si presentava secondo la norma visiva dominante, ossia come una diva da rotocalco. E come una diva da rotocalco ha girato un video hot mentre tradiva il fidanzato (il quale non si sa se fosse consenziente o meno, o se addirittura istigasse la fidanzata a simili pratiche).
Purtroppo Tiziana ha avuto la malaugurata idea di condividere il video con un gruppo di cinque amici su WhatsApp. Da lì è rimbalzato su Facebook diventando virale. Persa la reputazione la ragazza non poteva più uscire di casa. Ha chiesto inutilmente la cancellazione del filmato ma su Internet il diritto all’oblio sembra di là da venire. E così per la vergogna si è tolta la vita. Quel che è peggio è che subito dopo la notizia della sua morte sui social network in tanti si sono scatenati contro di lei insultandola pesantemente. Non basta. E’ andata deserta una fiaccolata organizzata in sua memoria. Sulla stampa qualcuno si è fugacemente interrogato sul mancato rapporto tra l’alta tecnologia che pervade la nostra società e la persistenza di una diffusa mentalità maschilista anche tra i giovani. Insomma nonostante tutti gli sforzi del mercato delle immagini la pornografia, pure se fatta in casa e senza fini di lucro, resta un’astrazione dalla realtà e non perde la propria connotazione deviante.
La vicenda della ragazza napoletana non è l’unica, un anno fa una quarantenne di Treviso si suicidò per motivi analoghi. E a riprova di quanto sia delicato l’equilibrio tra mantenere la propria immagine pubblica e perdere la faccia nell’estate del 2015 fece scalpore la notizia dell’hackeraggio di gran parte dei profili del sito di appuntamenti extraconiugali Ashley Madison il cui motto era “La vita è breve, fatti una scappatella”. Insieme ai nomi degli iscritti vennero rese note le loro fantasie sessuali e gli indirizzi mail. Tre utenti non ressero la gogna virtuale e si suicidarono. Per la cronaca l’anno scorso la community contava 37 milioni di utenti distribuiti in 46 Paesi del mondo e per il 95% maschi.
Nonostante sui media vecchi e nuovi le donne siano protagoniste di un sesso disinvolto, dal mondo reale emergono tre elementi: sentimenti fortemente sociali come la vergogna convivono con un immaginario collettivo in guerra col senso del pudore; l’erotizzazione della società è un processo controllato dallo sguardo maschile; la separazione tra erotismo e amore su cui tanto insiste il mercato delle immagini non è affatto compiuta. Da qui una diffusa crisi psicologica, identitaria e di senso. Una crisi che passa attraverso il corpo delle donne perché la sessualità è uno degli oggetti su cui maggiormente si esercita il potere. Ieri era il potere politico (la donna intesa come angelo del focolare e dunque dipendente dall’affetto maschile) oggi è quello economico (la donna intesa come macchina erotica e dunque indipendente da qualsiasi affetto).
Va sottolineato che il dominio dello sguardo maschile è decisamente perverso perché fa leva sull’istanza di liberazione del corpo per la quale le donne hanno lottato durante la modernità. Non sembra troppo azzardato affermare che la cosiddetta rivoluzione sessuale degli anni ’60 del secolo scorso – e sulla quale prospera ancora oggi una parte consistente dell’industria culturale – si sia trasformata nel suo opposto. In un’oppressione fondata sul piacere di guardare, essere guardati e di guardarsi mentre si è guardati. Un’oppressione che non vieta, anzi incita all’orgasmo continuo e le cui danze sono dirette da chi gestisce il mercato delle immagini (i media) e da chi lo finanzia (gli imprenditori).
Un certo cinema degli anni ’70 (si pensi alla commedia erotica all’italiana), l’avvento della Tv commerciale negli anni ’80 (con il suo corredo di donne seminude in prima serata) e Internet oggi hanno detabuizzato il sesso attraverso un’offerta pressoché illimitata di immagini erotiche. Ma ieri come oggi viviamo in una società capitalistica e tutto deve essere messo al lavoro perché tutto deve generare profitto. E così il sesso è stato industrializzato. Tra le fabbriche più redditizie c’è proprio il porno on-line. Entriamo in alcune di queste fabbriche. Nella maggior parte dei casi l’ingresso è gratuito e i proprietari del sito si ripagano con la pubblicità e la vendita dei profili degli utenti. A proposito di pubblicità in quasi tutti i siti gratuiti campeggiano promozioni di prodotti che assicurano l’allungamento strabiliante del pene nel giro di pochi giorni. Promessa di gigantismo anatomico da intendersi come segno del dominio maschile.
Di solito queste promozioni sono affiancate a quelle di ragazze che con un linguaggio colorito e molto esplicito offrono prestazioni sessuali di ogni tipo. Come di ogni tipo sono le collezioni video a cui l’utente può accedere e, giusto per dare qualche indicazione, sono catalogate: per attività (sesso orale, anale ecc.); per comportamento (all’aperto, in gruppo); per caratteristiche fisiche (bionde, brune, di colore, dal seno grande); per classi di età (mature, teen); per nazionalità e così via. Nei siti gratuiti modelle e modelli sono persone dall’aspetto normale che si esibiscono in modeste stanze. D’altra parte le riprese insistono con primi piani sui genitali e non c’è bisogno di grandi bellezze (le quali peraltro costerebbero maggiormente alla produzione). Il porno-chic invece è a pagamento e il corpo delle modelle è fortemente glamour. In questi siti le donne sono molto più attraenti rispetto alle operaie del sesso dei siti gratuiti, sono ben truccate, ben vestite, meno frettolose, spesso sottoposte a interventi di chirurgia estetica e si esibiscono in location di un certo lusso. Chic o non chic, in tutti i casi la donna è un oggetto di piacere da usare e gettare.
Se si supera il voyeurismo e si osservano i siti porno con occhio critico essi si rivelano molto istruttivi. Per esempio i video hard made in USA mettono in luce, per così dire spontaneamente, alcuni aspetti essenziali del carattere sociale degli statunitensi. Innanzitutto l’aggressività. Sono infatti realizzati all’insegna della performance fisica. Palesemente si vedono modelle e modelli impegnati in una frenetica prova in cui prevale la forza muscolare. Maschi e femmine sembrano partecipare ad una gara in cui la donna perde sempre per almeno tre motivi: 1) perché a differenza dell’uomo non raggiunge mai l’orgasmo; 2) perché il suo corpo è soggiogato anche quando si impegna fino allo spasimo in termini di atletismo sessuale; 3) perché spesso subisce forme di violenza quali lo schiaffeggiamento dei seni, dei glutei e del viso.
I video hot giapponesi sono invece all’insegna della lentezza. L’attenzione delle telecamere si concentra sul lavorio delle modelle. Le quali appaiono come servizievoli e sorridenti lolite dedite al piacere di un maschio in attesa di essere appagato. Qualsiasi interpretazione culturale del porno non può tuttavia prescindere dalla mercificazione del corpo e dalla miseria umana a cui l’alta tecnologia offre uno spazio illimitato. Quando tale spazio è occupato da masse di persone che guardano e che si vendono perdendo in entrambi i casi la dignità vengono in mente le parole del parroco che ha celebrato il funerale di Tiziana Cantone e che nella sua omelia ha parlato di una società malata. Gravemente malata, vorremmo aggiungere. E guarirla non sarà facile.
Patrizio Paolinelli, via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro