Il social che spesso uccide senza saperlo

 

                                                     Era l’1 luglio del 2016 quando Roberta Smargiassi perde la vita, a causa di un impatto violento all’incrocio di una via di Vasto, in Abruzzo

Matteo Spagnuolo piccolaLa dinamica dell’incidente viene ripresa attraverso le telecamere, che hanno permesso alla magistratura di visionare i tempi dell’incidente, spezzati nei secondi, che hanno preceduto la morte di Roberta, che stava per passare dall’ incrocio di una strada di Vasto, catapultata poi da un’auto, alla cui guida c’era Italo D’Elisa, morto ammazzato con tre colpi di pistola calibro 9, davanti all’ingresso di un bar, per mano di Fabio Di Lello, marito di Roberta. Si trattò di omicidio stradale, le cui indagini erano e sono allo stato attuale in corso, solo che pochi giorni fa il marito di Roberta, ha pensato di farsi giustizia da solo, uccidendo l’investitore di Roberta, definito dai media “l’assassino”, un termine che ha provocato molto dolore in Italo. Fabio Di Lello decide di farsi giustizia da sé, senza pensare al corso delle indagini, in effetti secondo la Giunta distrettuale dell’associazione nazionale Magistrati Abruzzo, il lavoro svolto dai magistrati, dalla procura era alquanto regolare, senza ritardi, e tempestivo in toto. I social media si sono scatenati in modo imperante ed aggressivo, costruendo un muro di odio: hanno creato gruppi Facebook su versanti contrapposti, da una parte i simpatizzanti di Fabio e dall’altra di Italo, come se la vicenda fosse una sfida a due, in cui la vittoria era già una partita a perdere. Alcuni commenti sull’impunità ingiusta di Italo caricarono ancor di più la rabbia di Fabio, ormai caduto nel baratro della disperazione e dell’instabilità emotiva e psicologica. Uccidere l’investitore della moglie era l’unica ragione di vita di Fabio, accusato ora di omicidio premeditato, ai danni del 21enne ucciso a colpi di pistola. Ci sono due morti, due famiglie, due dolori, urla di strazio e di poca rassegnazione: un mix di odio e di frasi ad hoc, al fine di danneggiare l’immagine di un giovane 21enne, pieno di vita e poi reso esanime per via di Fabio Di Lello, che non aveva superato il trauma, macchiandosi di un crimine terribile.

La società civile non si occupa di traumi, ma pensa solo a capire o meglio a dettare leggi su quali misure o strumenti punitivi si debba intervenire, senza spesso averne le competenze e conoscenze necessarie, lasciando in oblio le vittime, in tutti coloro che fanno parte di un caso drammatico. Il video comincia con un’auto ferma in attesa che scatti il semaforo verde, nel frattempo in un’altra frazione di secondo un’altra auto sorpassa a destra un mezzo fermo e tira dritto, travolgendo lo scooter in cui era in sella Roberta, che passa perché trova il semaforo verde, al centro dell’incrocio, ma non viene avvistata da Italo, che la travolge. Sicuramente l’investitore è stato imprudente, poco attento alla guida, distratto e poco consapevole delle sue manovre, ma non voleva uccidere Roberta, ed in questi casi di “omicidi stradali” interviene solo la magistratura, o meglio dovrebbe intervenire (nel caso specifico un parente ha pensato di compiere gesti che nemmeno Roberta avrebbe voluto vedere). Roberta muore, ma insieme a lei muore anche l’investitore, il cui nome è Italo, un ragazzo di 21 anni, che non meritava una fine senza difesa, e senza possibilità di dire: “Io non volevo, ma sono a vostra disposizione, anche perché non ho omesso di soccorrere Roberta”.

Vite spezzate, rotte dall’incantesimo della fatalità, ove non si trova riparo, consolazione e rassegnazione, tanto che Fabio decide di diventare un paladino nero della giustizia ( un giustiziere da solo non esercita in pieno il diritto alla difesa). La campagna dell’odio sui media ha influenzato gli animi delle persone affrante dal dolore, portando dispersione di idee e sentimenti, effetto di una deriva sociale grave e caratterizzante. L’incidente probatorio stabilirà che misure adottare in caso di colpevolezza premeditata, e se al fianco di Fabio ci fosse un complice, ed in questo caso assisteremmo alla tragedia nella tragedia. Un caso italiano, fresco e sempre attuale, nella speranza che la giustizia possa riportare dignità alla famiglia di Italo e di Roberta: due vittime insieme, ovviamente ognuno racchiuso nel guscio del proprio destino, nefasto e senza ritorno. L’odio non può sostituire la giustizia, anzi non deve, ed in questo anche i rotocalchi dovrebbero funzionare, evitando le campagne di schieramenti o di giudizio facile: tutto questo poteva essere evitato, se alla base ci fosse stata un’analisi di coscienze, al fianco di un supporto morale, da parte della società civile, costituita anche da psicologi, volontari e addetti ai lavori.

Matteo Spagnuolo


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