Il mondo digitale? Non è un bel mondo

di Patrizio Paolinelli

Le più diffuse sulle conseguenze sociali delle tecnologie digitali sono divulgate da un esercito di apostoli della civiltà del silicio presenti pressoché ovunque nell’infosfera. In genere si tratta di informatici, scienziati, imprenditori, manager, giornalisti e conferenzieri che si lanciano in rosee previsioni sulla società del futuro grazie alla digitalizzazione e alle sue applicazioni nella robotica, nell’automazione, nella comunicazione. È dagli anni ’50 del ‘900, ossia da quando i primi computer comparvero nelle fabbriche automobilistiche statunitensi, che questo storytelling globale va avanti rinviando sempre a domani l’avvento di un’età dell’oro all’insegna delle macchine intelligenti

Da qualche tempo lo storytelling risulta un po’ meno convincente e le voci critiche si moltiplicano. Tra queste è possibile annoverare quella di Vanni Codeluppi con il suo: Mondo digitale, (Laterza, Bari-Roma, 2022, pp. 113, 13,00 euro). La disamina che conduce è pacata e motivata, ma dopo aver chiuso il libro al lettore resta la netta sensazione che il mondo digitale nel quale viviamo non sia affatto un bel mondo. Si può non essere daccordo con questa conclusione. Di certo però il mondo digitale dei nostri giorni ha mancato tutte o quasi le promesse fatte dai pionieri dell’età dell’informazione. Tim Berners-Lee, creatore del World Wide Web (immaginato al suo esordio come un luogo di libertà, gratuità e cooperazione), definisce oggi Internet “una distopia lastricata di pregiudizi, odio e disinformazione”. Kevin Kelly, teorico dell’open source e assertore della combinazione tra il capitalismo e un vago anarco-socialismo ha visto svanire il suo sogno. Leonard Kleinrock, il primo a inviare nel 1969 un messaggio on-line, ha assistito impotente al passaggio di Internet da bene pubblico a luogo per fare profitti. La Dichiarazione di indipendenza del cyberspazio presentata da John Perry Barlow al vertice economico di Davos l’8 febbraio 1996 è rimasta lettera morta. E se oggi si riprende in mano un classico della cultura digitale come Digerati di John Brockman (Garzanti, Milano, 1997) ci si rende conto che è in larga misura un cimitero di ipotesi sbagliate sulle conseguenze sociali delle nuove tecnologie della comunicazione.

Il colossale fiasco previsionale sul destino della Rete da parte di personaggi diversissimi, ma uniti dalla fede nella tecnologia di migliorare la società, meriterebbe un’analisi approfondita perché a suo tempo Internet diede luogo a una vera e propria epopea che riempì di speranze il cuore dei libertari di tutto il mondo. Di primo acchito possiamo dire che tali personaggi non avevano chiari i rapporti tra tecnologia e società. E tra costoro i più ingenui tecno-entusiasti non avevano chiara la natura predatoria del capitalismo. Il quale mai avrebbe permesso una gestione dal basso, democratica e gratuita di Internet. Privi di una seria lettura politica del fenomeno Internet e prigionieri del determinismo tecnologico i pionieri dell’età dell’informazione ipotizzarono un futuro impossibile da realizzare.

Comunque sia, oggi che questo ipotetico futuro ce lo siamo lasciati alle spalle, dovremmo essere vaccinati contro le facili previsioni. Purtroppo non è così. Proprio perché le tecnologie digitali sono una nuova fonte di accumulazione del capitale basata sull’informazione e uno straordinario strumento di dominio politico-culturale, i mitografi dell’hi-tech continuano a insistere sul radioso domani offerto dalla civiltà del silicio. Ancora oggi è pressoché incalcolabile la produzione di contenuti lanciati quotidianamente nell’infosfera per sedurre il pubblico con le meraviglie della tecnoscienza e le sue benefiche applicazioni. Il merito di Mondo digitale è di non strizzare l’occhio alla mitologia, osservare la realtà dei fatti e mettere in fila una lunga serie di conseguenze sociali in atto derivate dall’affermazione delle tecnologie digitali. Il punto da cui Codeluppi parte è il progressivo processo di fusione tra l’on-line e l’off-line. Allinterno di tale processo individua contraddizioni problemi e limiti. Tutte criticità che possiamo annoverare tra le conseguenze negative del digitale. Ora, se non cediamo alla moda secondo la quale ogni fenomeno sociale è ambivalente e dunque non si possono esprimere giudizi definitivi, appare chiaro che le conseguenze negative della digitalizzazione prevalgano nettamente su quelle positive.

Proviamo a stilare un rapido elenco iniziando a sgombrare il campo dall’illusione che la Rete veicoli solo novità. Sulla scorta di Umberto Eco, Codeluppi ribadisce che le forme espressive presenti su Internet sono del tutto convenzionali, ossia conformi a quelle prodotte dai vecchi media. Per esempio, l’immagine del corpo che vediamo esibirsi su Instagram riproduce pari pari quella della TV commerciale: giovane, sexy, in forma. In secondo luogo, il potere sugli utenti da parte di Big tech come Google e Facebook è del tutto simile a quello televisivo, cioè nettamente sbilanciato a favore della proprietà. Solo questi due fattori mettono in crisi l’idea di rivoluzione associata a Internet. Per di più se il codice culturale tra vecchi e nuovi strumenti di comunicazione è lo stesso, altrettanto si può dire del codice economico. In termini di spietatezza il capitalismo digitale non si differenzia poi molto da quello industriale. Infatti trae profitti dai contenuti generati gratuitamente dagli utenti della Rete e dà vita a forme di sfruttamento intensivo dei lavoratori tramite la gig economy.

Il mondo digitale è dunque ben lontano dal “capitalismo senza attrito” annunciato da Bill Gates nel suo libro, La strada che porta al domani (Mondadori, Milano, 1997, ediz. aggiornata). Anzi, i new media e la new economy hanno rafforzato vecchi attriti e ne hanno prodotti di inediti. Per esempio, con le tecnologie digitali il sovraccarico informativo è cresciuto a dismisura. E se questo è certamente un problema lo è forse ancor di più la riformulazione del tempo e dello spazio a vantaggio di piattaforme. Le quali finiscono per costituire una sorta di recinto in cui utenti profilati consumano gran parte della loro giornata. Un’altra conseguenza delle tecnologie digitali è il costante aumento di potere degli algoritmi. Procedure di calcolo nient’affatto oggettive perché tutelano gli interessi di chi le finanzia e perché costruiscono la realtà senza il coinvolgimento degli utenti. In definitiva, sostiene Codeluppi, gli algoritmi “tendono a spingere la società verso una conferma dell’ordine già vigente.”

Di quale ordine sociale stiamo parlando? Di quello forgiato dal neoliberismo. Un ordine che trascina verso il basso il livello culturale degli utenti della Rete, riduce la loro capacità critica, mina la formazione di cittadini consapevoli. Premono in questa direzione fenomeni come la perdita della capacità di effettuare una “lettura profonda” dei testi scritti; l’indebolimento dei legami sociali off-line a favore di quelli on-line; l’isolamento e l’individualismo; la con-fusione tra immagini e realtà; i modelli comunicativi dei social network: reattivi più che riflessivi, competitivi più che cooperativi. Per non togliere al lettore il piacere o il dispiacere di scoprire molti altri effetti sociali conseguenti alle tecnologie digitali non indugiamo oltre sul libro di Codeluppi. In conclusione resta da dire una cosa: Mondo digitale conferma che per quanto dirompente possa essere la tecnologia, essa è solo una forza del cambiamento sociale e da sola non può nulla o quasi. Dietro le meraviglie delle macchine intelligenti c’è sempre l’interesse economico e la lotta per il potere politico. Ovvero tutto ciò che i cantori della civiltà del silicio omettono nelle loro narrazioni.

Dott. Patrizio Paolinelli

La critica sociologica, LVII, 226, Estate 2023


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