Il mondo di seconda mano. Una ricerca sociologica sull’espansione del mercato dell’usato

di Patrizio Paolinelli —

Recentemente la sociologia dei consumi si è arricchita di un importante contributo grazie a Domenico Secondulfo – ordinario di sociologia generale all’Università di Verona – che ha curato una ricerca intitolata, “Il mondo di seconda mano. Sociologia dell’usato e del riuso” (Angeli, Milano, 2016, 31,00 euro). Il libro contiene scritti dello stesso Secondulfo, di Paola Di Nicola, Gian Paolo Lazzer, Lorenzo Migliorati, Francesca Setiffi e Debora Viviani. La novità rappresentata da questo lavoro si può così sintetizzare: si tratta del primo studio sociologico sull’emergente mercato degli oggetti usati.

<<= Prof. Patrizio Paolinelli

Partiamo dai numeri: “Il volume d’affari generato in Italia dall’usato è stato nel 2013, 18 mld, 1% PIL, di cui 7 mld on line (come risulta da un’indagine Doxa commissionata da Subito.it); la Camera di commercio di Milano ha stimato, tra il 2009 e il 2014, un incremento regionale dei punti vendita di usato pari al 40%. Secondo il rapporto nazionale sul riutilizzo del 2013, pubblicato dal Centro di ricerca economica e sociale “Occhio al riciclone”, nel 2013 il 48% degli italiani ha fatto ricorso almeno una volta al mercato dell’usato, on o off line“. La consistente crescita della domanda di beni di seconda mano ha indotto l’Unione Europea a inserire il mercato dell’usato nel piano strategico (2014-2020) che prevede il passaggio da un’economia lineare (basata sulla produzione di scarti) a un’economia circolare (basata sul riuso e il riciclo).

Dinanzi a questi numeri e all’iniziativa dell’Unione Europea emerge in tutta la sua rilevanza un fenomeno dalle ragguardevoli proporzioni economiche fino ad oggi quasi del tutto trascurato dalla sociologia dei consumi. E il motivo di tale disinteresse è dovuto tra l’altro a una sorta di pregiudizio ancora oggi largamente diffuso: si intende per merce solo ciò che è nuovo, solo ciò che non è entrato in contatto col consumatore finale. A ben vedere si tratta di una credenza abbastanza fragile. Perché, per esempio, sarebbe molto complicato sostenere che un’automobile usata non sia una merce. Entra così in gioco il sistema dei valori che permea le società in cui la mistica del nuovo assume un ruolo centrale sotto il profilo simbolico.

Difatti sia per gran parte della sociologia sia per molti consumatori il mercato dell’usato assume i contorni della marginalità, della povertà e persino dello sporco. Come se un cappotto usato non godesse dello status di merce rientrando in un mercato informale, per non dire in un mercato degli esclusi. E per sostenere questo stigma nella nostra società il prodotto nuovo è idealmente considerato un valore in sé, mentre ciò che è vecchio è bollato come un disvalore. Ma come dimostrano i sociologi impegnati nella ricerca curata da Secondulfo le cose stanno cambiando anche sul piano simbolico. Ad esempio la sharing economy valorizza positivamente la condivisione di beni e servizi al di là del possesso personale mettendo così in discussione la mistica del nuovo. Entrano poi in gioco altri valori come la memoria depositata nelle cose tanto cara al consumo critico e che il mercato ufficiale delle merci tenta in qualche modo di recuperare attraverso l’effetto vintage su prodotti nuovi come nel caso dei jeans invecchiati artificialmente con strappi e toppe.

Lo studio del mondo dell’usato è inserito da Secondulfo e dagli altri autori che hanno partecipato alla ricerca all’interno della teoria della cultura materiale cercando di comprendere come i beni di seconda mano stanno gradualmente conoscendo un vero e proprio riscatto culturale caricandosi di nuovi significati. D’altra parte da precedenti studi Secondulfo e i suoi collaboratori avevano notato la tendenza delle famiglie italiane a non gettare le cose trasferendole a parenti o amici oppure cercando di ripararle. Successive ricerche hanno poi evidenziato che il fenomeno è in espansione fino a diventare un vero e proprio mercato parallelo. Oggi non è più l’usato nobile come l’antiquariato e il vintage ha occupare la scena nel mondo di seconda mano ma anche l’usato ordinario. Tant’è che molti punti vendita di tale usato stanno sempre più somigliando ai negozi che vendono merce nuova di zecca.

L’espansione del mercato dell’usato è legata a due fattori: da un lato, la lunghissima crisi economica che impone alle famiglie di riutilizzare il più possibile una vastissima gamma di prodotti; dall’altro, la consapevolezza da parte di una massa crescente di consumatori dei problemi ambientali causati dallo spreco a cui si è indotti dalla religione dei consumi. Entrambi i fattori stanno permettendo al mondo di seconda mano di uscire dallo stigma della povertà e dall’essere rappresentato come un mercato di scarsa rilevanza. Non basta. C’è un’altra dimensione che contribuisce al successo dei prodotti di seconda mano: quella estetica. A differenza dell’oggetto nuovo, che la martellante pubblicità incita ad acquistare soprattutto in base a un’estetica della seduzione, l’oggetto usato si fonda su un’estetica del ricordo permettendo così al consumatore di uscire dal gregge di chi segue la moda e di personalizzare il proprio modo di apparire agli occhi degli altri.

Il mondo di seconda mano” è un libro che sollecita molte riflessioni. Ne propongo brevemente una partendo da una domanda: stiamo uscendo dalla società dei consumi? In parte sembrerebbe sì. E l’espansione del mercato dell’usato parrebbe confermarlo. Allo stesso tempo risulta difficile immaginare che lo stile di vita fondato sul consumismo si estinguerà senza una violenta reazione da parte dei poteri economici. I quali, tanto per dirne una, non vivono i problemi ecologici causati dallo spreco e dall’usa e getta come un dramma. Ma, al contrario, come un’ulteriore occasione per realizzare profitti. Per farla breve, il capitalismo si fonda essenzialmente sulla distruzione. Che ci capiti di mezzo l’ambiente è per banche e grande industria del tutto secondario. Non a caso è stata inventata quella truffa ai danni dei consumatori qual è l’obsolescenza programmata. Naturalmente questa è una riflessione che nasce dalla mia personale interpretazione del libro curato da Secondulfo. Ma credo che ogni lettore troverà molti altri motivi per riflettere sul dominio della forma-merce che sta portando le nostre società a soffocare tra i rifiuti.

Prima di chiudere mi sia concesso di dire due parole sul prezzo del libro. 31 euro per un testo accademico stampato col contributo del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi di Verona (dunque senza rischi per l’editore) e destinato al mercato universitario (dunque senza rischi per gli autori) è davvero troppo. Sorvolando sulla presenza di diversi refusi “Il mondo di seconda mano” è tuttavia un libro che consiglio di leggere. Che fare allora? Semplice: compratelo usato.


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