Il finanzcapitalismo che avvelena il calcio
di Giampaolo Latella
Il senso comune vince per cappotto: la vicenda della SuperLega europea di calcio fa inorridire anche i più indulgenti. Eppure no, non basta indignarsi. Occorre riflettere, perché se si è arrivati a questo punto non può essere solo a causa del vizio capitale dell’ingordigia.
<<== Giampaolo Latella
La gestazione del progetto risale di qualche anno: tutti lo sapevano e tutti ne scrivevano. Ma cosa è stato fatto per impedire che venisse alla luce l’idea – certamente deprecabile – di creare un calcio per soli ricchi, appartenenti al club esclusivo dei club esclusivi, al novero opulento delle squadre opulente? La risposta, disarmante, è racchiusa in una sola parola: nulla. Oggi le 15 maggiori società europee hanno deciso di staccarsi dalle altre perché non si reggono più in piedi, sepolte da debiti a nove cifre espressi in euro. Per l’impresa calcistica europea – che presenta un’alea di gran lunga maggiore delle altre imprese, legata al risultato del campo – l’alternativa è tra evolvere verso il modello NBA del basket, e così sopravvivere, o rimanere attaccata alla zavorra e soccombere.
Tutto questo stride con i valori sportivi con cui siamo cresciuti, a partire dal più nobile, quello dell’eguaglianza sostanziale tra tutti i partecipanti al gioco – ché sempre di gioco si tratta – raccontato nello spot che l’Uefa realizzò lanciando la campagna #equalgame.Di “equo”, nel calcio professionistico di oggi, non c’è nulla. Di solidale, invece, sì, almeno tra i club della diaspora: hanno stretto un patto per andare avanti e forse, un giorno, raggiungere un equilibrio tra costi e ricavi oggi paragonabile a una chimera. La “bolla” finanzcapitalistica è pronta a esplodere, la Lehman Brothers del calcio è dietro l’angolo e non bastano gli steroidi anabolizzanti dei diritti televisivi, gonfiati all’inverosimile, per garantire la tenuta di un sistema ormai al collasso.
Non è sufficiente, dicevamo, ammonire e condannare. Bisogna anche domandarsi perché. Il motivo principale di questa condizione è la mancata riforma di un sistema che da anni non funziona più e continua ad accumulare passività spaventose.
Il modello del calcio europeo di vertice è drogato da ingaggi folli, da plusvalenze più che discutibili, dalle carenze del sistema dei controlli su un mercato incapace di autoregolarsi. Si parla da anni di salary cup, contrappeso decisivo per garantire la sportività della competizione, ma perché non è stato introdotto?
Oggi ci indigniamo tutti, giustamente. I più colpiti sono i tifosi delle tre squadre che hanno aderito alla SuperLega: Juventus, Inter e Milan, rispettivamente citate per numero di tifosi. Quasi 9 milioni di fan bianconeri, 4 milioni di nerazzurri, altrettanti rossoneri. Un popolo che va rispettato perché il calcio è una questione tremendamente seria, sul piano sociale prima ancora che sul versante economico: la passione per questo sport è stata infatti per molti anni, prima della pandemia, l’unico fattore in grado di generare una mobilitazione popolare su larga scala.
Ma se i tifosi meritano considerazione, i cittadini hanno diritto di essere rispettati. Come la metteremmo se, un giorno, i signori del calcio pensassero nuovamente di presentarsi al cospetto dello Stato rivendicando un aiuto economico per il prossimo e probabile tracollo del sistema? I debiti del calcio non possono ricadere sulla collettività, per una questione etica e per la drammatica contingenza economica causata dal coronavirus, che pure ha pesantemente danneggiato le aziende calcistiche, oggi ridimensionate in due fonti di ricavo fondamentali: il botteghino e le sponsorizzazioni.
Per tutte queste ragioni, è auspicabile che il dibattito sul calcio vada oltre il senso comune e assuma connotati di maturità, per una riforma profonda della governance, dei campionati professionistici, dei requisiti tecnico-economici per la partecipazione alle competizioni e delle garanzie di solvibilità finanziaria da prestare al momento dell’iscrizione.
Senza comprendere che si è toccato il fondo, si continuerà a guardare il dito, mentre la luna del pallone sarà prossima a una dolorosa e desolante eclissi totale.