IL DISTINGUO E LA CONTRAPPOSIZIONE HANNO UN COMUNE DENOMINATORE: LA SOLIDARIETA’ PELOSA, FINALIZZATA AL CONSENSO
Solidarietà ed egoismi si intrecciano in questi ultimi tempi col dibattito socio-politico sull’accoglienza agli immigrati. Tutti dicono di avere ragione: una ragione gridata, che spinge l’opinione pubblica ad attestarsi su due fronti opposti. In Italia e, soprattutto, nel Mezzogiorno troviamo chi è favorevole all’accoglienza e chi, invece, non ne vuole sapere di ospitare sul territorio quanti, appartenenti a culture diverse, giungono dal mare. Oltre ai favorevoli e ai contrari, troviamo i furbi: quelli che con gli immigrati fanno business.
Ma c’è anche una politica ondivaga, impotente che neanche sulle quote immigrati riesce a compattarsi e farsi sentire dai partner europei che, in nome del capitalismo finanziario, già da tempo hanno limitato la sovranità del nostro Paese. Su qualsiasi problematica da affrontare dobbiamo sentire quello che “dice l’Europa” e se l’Unione dice no, Governo e Parlamento hanno l’obbligo di adeguarsi. E’ il prezzo che gli stati nazionali, soprattutto quelli alle prese con la crisi economica e la disoccupazione, stanno pagando all’Unione monetaria monopolizzata dalle economie di alcuni stati come la Germania.
Nata sotto una cappa d’indifferenza, l’Agenda europea sull’immigrazione, per le troppo divisioni all’interno dell’Unione, stenta a partire: niente via libera a luglio; se ne parlerà a settembre. Forse. Intanto, le nostre coste sono sempre più interessate allo sbarco di migliaia di immigrati, mentre ulteriori 500 mila disperati bivaccano in Libia in attesa di giungere nella “terra promessa”. Ma quanti di questi nostri simili scappano in cerca della liberà e quanti, invece, sono attratti dal modello occidentale?
Accettare o respingere. Tutti – favorevoli e contrari – dicono di avere ragione, di essere nel vero. Ma si tratta di una verità esteriore, interessata, funzionale alle parti, mentre ci vorrebbe una “verità che nasce – come scriveva Hegel – dalla condivisione delle coscienze”. Che purtroppo sono divise, lacerate dagli interessi, dalle logiche degli schieramenti, dagli egoismi, dall’individualismo e dall’apparire.
La condivisione dell’accoglienza, della tolleranza e della solidarietà fanno parte della nostra cultura: nessuno può imporle o negarle in nome di uno schieramento politico o per decreto. L’accoglienza, però, comporta disagi, costi sociali per una nazione, quella italiana, dove milioni di famiglie vivono al di sotto della soglia di povertà e la disoccupazione supera il 12%.
La solidarietà non si discute. Tuttavia, non si può accettare – bisogna dirlo a muso duro a Junker e a quanti la pensano come lui o la Merkel, che ci chiedono sacrifici, tagli e riforme – l’idea di caricare sugli enti locali territoriali il peso dell’accoglienza agli immigrati, compito che spetta a l’intera Europa comunitaria, togliendo risorse già destinate al territorio e ai suoi poveri per darle ad altri bisognosi. Il distinguo e la contrapposizione hanno un comune denominatore: la solidarietà pelosa, finalizzata solo alla ricerca del consenso.
Quelli che sbarcando in Italia, finalmente, hanno un pasto caldo assicurato, mentre molti dei nostri connazionali sono costretti a rovistare nei cassonetti dell’immondizia.
Migliaia sono i senza tetto nel nostro Paese – per indigenza, per gli effetti della perdita del posto di lavoro, per lo sfaldarsi della famiglia – mentre alcune categorie di immigrati trascorrono il loro esilio in strutture accoglienti, in precedenza destinate all’attività recettiva e turistica: un tetto, un letto, tre pasti, un contributo giornaliero. Danaro che, in prevalenza, usano per dotarsi di Ipad e telefonini di ultima generazione, nel tentativo di adeguarsi ad un modello occidentale che oggi, con il passaggio dalla società dei produttori a quella dei consumatori, è una delle fonti di nuove diseguaglianze e di nuove povertà. Molti non si lamentano dell’accoglienza, altri invece protestano. E le loro richieste vengono accolte.
Ma il pianeta immigrati italiano presenta una grande contraddizione: da un lato quanti soggiornano negli alberghi, nei B&B; dall’altro immigrati, dotati di permesso di soggiorno o irregolari, che vivono -ad esempio a Rosarno e non solo – in accampamenti di fortuna (senza acqua, luce, servizi igienici) per iniziare all’alba un lavoro di 12 ore per 25 euro di salario, di cui una percentuale,forse, trattenuta dal “caporale” di turno
Le contraddizioni della solidarietà: quella disinteressata, che vede protagonista la gente comune; e quella del business, delle partite ive, degli scandali, delle ruberie, dello sfruttamento. I sindaci protestano, e lo fanno in modo bipartisan rispetto alla loro collocazione politica, perché l’ospitalità agli immigrati toglie risorse ai bilanci dei loro comuni sempre più asfittici per i tagli dei trasferimenti statali.
Le strumentalizzazioni lasciano il tempo che trovano, ma gli italiani, già tartassati del fisco, non hanno più la forza a sopportare sacrifici aggiuntivi per una solidarietà che vede protagonisti solo i cittadini di uno dei paesi fondatori dell’Unione europea. Respingere i barconi, assolutamente, no. Ma dissuadere le partenze, sì. Magari interrompendo il servizio di pattugliamento delle navi della Marina militare lungo le rotte interessate all’immigrazione. A salire sui barconi della speranza sarebbero in meno e, sicuramente, più prudenti e responsabili. Solidarietà sì, ma fino a un certo punto.
Antonio Latella – sociologo