IL DIRITTO COSTITUZIONALE E PUBBLICO E LA SOCIOLOGIA
La cerimonia di consegna del premio “Speciale cultura” che rientra nella “Giornata del libro”, manifestazione ideata dal sociologo Antonio Polifrone, segretario nazionale ANS, conferma l’importanza della sociologia nello studio del diritto costituzionale e pubblico. A sostenerlo non è un sociologo, ma un costituzionalista: Claudio De Fiores, professore ordinario di diritto costituzionale presso la Seconda Università di Napoli. Il docente di origine calabrese (di Bovalino, provincia di Reggio), parlando ai sociologi dell’ANS nel corso dell’assemblea nazionale svoltasi nell’aula “Wolf” della facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università la Sapienza di Roma, attribuisce importanza agli studi sociologici rispetto alla sua formazione giuridica.
Il prof. De Fiores, nel corso all’assemblea dell’Associazione Nazionale Sociologi, ha ritirato il Premio Cultura – che lo scorso anno è stato conferito a Matteo Orfini, autore del libro “Con le nostre parole” – assegnatogli per la sua pubblicazione “L’Europa al bivio. Diritti e questione democratica nell’Unione al tempo della crisi” (Ed. Ediesse) nel quale tratta il profondo malessere che assedia l’Europa, i cui assetti interni, in questi anni, sono stati posti a dura prova dall’incalzante crisi economica globale. Nel lavoro del prof. De Fiores vengono messe in evidenza tutte le contraddizioni che, in passato, avevano plasmato il processo d’integrazione e che, “nell’arco di poco tempo, improvvisamente sono venute allo scoperto: un’unione politica senza politica, una moneta senza stato, una forma di governo senza governo, una democrazia senza demos, un patto di stabilità che non garantisce stabilità. L’Europa, dunque, si trova di fronte a un bivio: “Continuare ad essere un opaco luogo d’interesse tecnico-normativo (fra élites, giudici, poteri economici, lobbies finanziarie, governi) oppure voltare finalmente pagina, provando a rilanciare su basi democratiche il processo d’integrazione”.
Prof. De Fiores, Lei sostiene che lo studio del diritto pubblico e costituzionale non avrebbe avuto l’assetto che ha caratterizzato i percorsi del Novecento senza un’interazione profonda con i sociologi.
Penso ad un riferimento costante, ai contributi di Renato Treves, e sono convinto che anche oggi, in una fase di crisi cos� profonda, lo studio del diritto non possa, in alcun modo, prescindere o affrancarsi dei contributi di Max Weber. ‘Economia e società’, infatti, è un caposaldo dello studio del diritto: quindi non soltanto parlamento e governo, considerati nell’ambito costituzionalistico più avanzato, ma anche l’economia e la società. Dico questo perché, probabilmente, oggi, non saremmo in grado di comprendere i processi che abbiamo sotto i nostri occhi senza tenere in considerazione quelle che erano le dinamiche indicate in modo così originale da Weber. Le forme di legittimazione del potere che in questi anni si sono profondamente trasformate rispondono sempre a quella logica. Si parla tanto di populismo, di capi soli al comando, eppure c’è quella riflessione di Weber, secondo me imprescindibile, che riguarda il ruolo che assume, proprio nei casi di crisi, il carisma. Cioè l’entità provvidenziale nella quale ci si rifugia. Nel diritto pubblico e costituzionale c’è il tentativo di chiudersi in se stessi, di prescindere da quelle che sono le dinamiche sociali e, in questi ultimi anni, vi è quasi un’adorazione dell’ingegneria costituzionale: quanto di peggio possa esistere, perché significa immaginare dei modelli astratti che non tengono conto né delle dinamiche sociali né dei processi storici.
Professore, Lei ci invita ad osservare le dinamiche prodotte da certi esperimenti, oggi sotto gli occhi di tutti, destinati a fallire perchè non fanno i conti con la società e con quanto sta avvenendo oggi.
Tutto questo avviene in un ambito in cui si dà peso, forza, rilievo alla scrittura e al valore che essa assume. Detto da un giurista, questo è ancora più rilevante perché la scrittura ha sempre costituito una sorta di argine al fronte dell’arbitrio.
Il dott. Antonio Polifrone, sintetizzando le motivazioni della giuria che Le ha assegnato il riconoscimento e della necessità di fare emergere la forza e l’importanza del linguaggio scritto e della comunicazione attraverso la scrittura in un’epoca come quella che stiamo vivendo dominata dalla cultura dell’immagine e dell’appartenenza, ha fatto riferimento alle vostre comuni origini calabresi.
A me piace fare riferimento alla terra di Zaleuco, il primo legislatore del mondo occidentale: colui che intuì che proprio nella scrittura risiede l’origine del potere astrattamente considerato e nelle diverse e concrete articolazioni: dal potere politico a quello dei giudici. Questi ultimi, fino a quel momento, giudicavano sulla base dell’intuito, dei responsi dell’oracolo, interpretando le dinamiche, astrattamente considerate a seconda delle circostanze. Con la scrittura, invece, sono chiamati – proprio per questo vincolo che s’impone – a rispondere ad un’istanza che, diciamo, è quella della carta. Ed è la carta che assume un ruolo importante nel diritto, quindi non soltanto nel pensiero greco, anche rispetto al significato della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 affissa nel luglio di quell’anno nei punti principali della città di Parigi”.
Il significato di tutto questo?
Che dentro la carta, dentro la scrittura c’è, innanzitutto, una connotazione forte, anche polemica nei confronti del potere. In essa risiede l’istanza forte di riconciliazione e di esercizio dei diritti. E diciamo anche di forme di adempimento del dovere, visto che c’è questa stretta relazione che è un portato tipico del costituzionalismo.
Prof. De Fiores, nel Suo un libro viene presa in esame la questione centrale dell’Unione europea.
Nel mio testo c’è un riferimento costante al contributo di alcuni sociologi che sono stati la punta di diamante, un punto di riflessione più avanzato per comprendere i processi di globalizzazione in genere e in particolare le dinamiche d’integrazione a livello sovranazionale nell’ambito europeo.
Professore, non è certo casuale un riferimento a Zygmunt Bauman, il sociologo della postmodernità da cui trae origine una società che respinge la stabilità, impone la flessibilità, preferisce l’apparenza alla sostanza e dove la massima espressione della libertà è lo zapping. C’è il rischio che noi tutti possiamo diventare cittadini di un mondo fatto di macerie del vecchio ordine politico in cui emerge il disordine e la deregulation economica.
La questione europea è centrale come si è visto nelle ultime elezioni e tende sempre più ad acquisire una connotazione politica. In quest’epoca storica dobbiamo fare i conti con due filoni di euroscetticismo: quello che tende a rifugiarsi nell’ambito delle Patrie e che mi fa pensare alle istanze aggressive così come si sono consolidate in Francia a ridosso del fenomeno Le Pen; e all’euroscetticismo che ritiene che l’integrazione europea, così come compiuta, sia il massimo delle soluzioni esperibili a fronte di un contesto, si dice, frammentato. Questo non è vero, perché è una costruzione insufficiente: non fa i conti con la politica, non fa i conti con la democrazia e non fa i conti con le costituzioni. Ed è questo l’elemento di maggiore debolezza del processo d’integrazione europea. Si tratta – come dico nell’ultima parte del mio libro – di un processo che può essere ribaltato, a condizione che non poggi sulle istanze della governance, della tecnocrazia, del rapporto tra poteri (quali Commissione e Consiglio), ma attivandolo dal basso. Insomma, avviando processi d’integrazione in senso democratico che sono le uniche condizioni in grado di ribaltare quest’idea d’Europa che tende sempre più a chiudersi nei parametri di Maastricht senza fare i conti non soltanto con i processi politici e democratici, ma soprattutto con le tragedie sociali che l’acquisizione di parametri contabili, strettamente considerati, di per se porta. Parlare oggi d’Europa, dal mio punto di vista, significa fare i conti con i processi sociali che non sono così come ci vengono descritti dalla Commissione europea e con quelli che sembrerebbero alludere alla politica del fiscal compact, ma che hanno ben altra natura. O con questi processi facciamo i conti o l’integrazione europea rischia di fallire.