Il CORONAVIRUS NEL SECOLO DEGLI SPETTATORI
Il mondo assiste impotente all’avanzata di un nemico invisibile che ci spinge nel ghetto della sofferenza globale. E mentre il contagio si espande, milioni di uomini vengono risucchiati dal vortice dell’angoscia. Da ieri, Nord e Sud sono uniti nel tentativo di rallentare la corsa del coronavirus.
Nel decreto del Governo non ci sono più zone rosse, ma l’Italia tutta. Con le sue differenze strutturali, anche sanitarie, con un diverso approccio nell’affrontare questa epidemia sconosciuta che, da più parti, è stata definita la peste del terzo millennio.
Il bollettino quotidiano dei contagiati e dei morti ci riporta indietro nella storia: alle narrazioni bibliche e coraniche, ai dolorosi ricordi delle grandi epidemie del ‘900. A distanza di un secolo gli anziani del nostro Paese non hanno certo resettato dalla mente quanto appreso dai loro nonni: il virus della “spagnola” e gli effetti drammatici in termini di vite umane (diversi milioni) ed economici.
Il pericolo di oggi è grande, ma dobbiamo tenere conto delle scoperte della scienza medica e della farmaceutica e non dimenticare che l’attuale società della conoscenza è impegnata nella scoperta di un nuovo vaccino in grado di limitare e/o neutralizzare gli effetti del Covid -19.
LA PREVENZIONE UNICO ANTIDOTO ALLA DIFFUSIONE DEL VIRUS
Al momento l’unico antidoto al contagio è l’osservanza dei comportamenti decisi dalla nostra autorità sanitaria e recepiti dal Governo nei Dpcm (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) che tutti gli italiani – del nord come del sud, isole comprese- hanno l’obbligo di rispettare. Per farlo bisogna modificare le nostre abitudini. Il diritto alla salute, in questo particolare momento della vita del Paese, uscirà rafforzato solo con la rinuncia di alcuni nostri comportamenti e, soprattutto, se consapevoli di adempiere ad un preciso dovere sociale.
Ho letto da più parti la proposta di applicare il modello Wuhan: parliamo della Cina che non è certo un modello di libertà e di democrazia. L’atto amministrativo del presidente Conte, è vero, prevede anche le sanzioni, ma sono diverse da quelle applicate nella Repubblica Popolare Cinese che ha aperto alla modernità e ai mercati, ma continua a segnare il passo sulla via della democrazia.
La prevenzione deve registrare anche il protagonismo della Pubblica Amministrazione,per impedire il contagio dei suoi dipendenti. Nella società della comunicazione globale nessun datore di lavoro può ignorare lo Smart Working. Nemmeno lo Stato e gli enti locali territoriali che, dalla lezione di questo tragico momento, dovranno trarre la forza di avviare un vero ammodernamento del Paese, iniziando dal sistema sanitario. Un cammino che dovrà essere supportato dal ritorno al primato della politica liberandola dalla subalternità nei confronti della burocrazia.
DIRITTO ALLA SALUTE E RIVOLTA NELLE CARCERI
Il diritto alla salute deve essere assicurato anche al mondo carcerario – addetti al sistema come ai detenuti – senza pregiudizi, egoismi, vendette e discriminazioni.
Il richiamo alla responsabilità non riguarda solo i liberi cittadini, ma è anche un obbligo per quanti si trovano dietro le sbarre.
Ma il coronavirus non può diventare l’alibi per scatenare atti di violenza, dentro e fuori le carceri, magari, finalizzati ad ottenere benefici di vario genere. In uno stato di diritto, la pena (art 27 della Costituzione) è lo strumento che mira alla rieducazione del condannato in funzione del suo inserimento nella società. Rivendicare un diritto è una cosa, affidarsi alla violenza, invece, rappresenta un comportamento contrario alla legge. Le evasioni di gruppo con conseguenti rapine di mezzi di trasporto, l’assalto alle infermerie degli istituti di pena (per rifornirsi di metadone), lasciarsi andare a vendette tra detenuti con morti e feriti è solo lo strumento per fare pressione sullo Stato. Pressione che si espande anche fuori dal perimetro carcerario con i sit-in di familiari ed amici dei detenuti. Forse ci troviamo di fronte al tentativo di ottenere l’amnistia?
IO RESTO A CASA
Se restare a casa è un rimedio temporaneo quanto essenziale per impedire la diffusione del virus, rinunciare all’apericena, far rimanere deserti i luoghi di aggregazione, evitare lo “struscio” nel salotto buono delle nostre città non sono certo un grande sacrificio. Ma solo una responsabilità che, purtroppo, viene appena percepita dai giovani di oggi: figli del consumismo, del tutto e subito, poco inclini ad ogni piccola rinuncia e sempre pronti a contestare gli appartenenti alle precedenti generazioni. Guai a pensare che la chiusura di scuole e università sia un’anticipazione delle vacanze di Pasqua o, addirittura, estive.
Ai millennial e soprattutto alla generazione Z, bisognerebbe far capire i sacrifici e le rinunce della generazione dei baby bomber, quella dei loro nonni: i figli del dopoguerra che hanno patito fame e disagio sociale, ma non si sono arresi. Da non dimenticare i genitori della generazione X: testimoni della fine della guerra fredda, della caduta del Muro di Berlino. Generazione testimone della recessione, dell’affermarsi della società liberista e dei disagi introdotti dal passaggio dal capitalismo industriale a quello finanziario, alla fine del sistema produttivo taylorista fordista. Generazione schiacciata tra il sogno americano e l’attentato alle Torri Gemelle. Questi giovani vanno seguiti, incoraggiati, aiutati a capire che la vita è fatta anche di momenti difficili che vanno affrontati con grande responsabilità e piccole rinunce.
UN BOMBARDAMENTO MEDIATICO ALIMENTA LE NOSTRE FRAGILITA’
In questo mese e mezzo abbiamo subito un vero e proprio bombardamento da parte dei mezzi d’informazione che, nostro malgrado, ci hanno posto di fronte alla globalizzazione della sofferenza. Le autostrade telematiche che hanno reso il mondo quel “villaggio globale” ipotizzato agli inizi del Novecento dal sociologo canadese Marshall McLuhan, oggi, nell’era dei media, ci consentono di assistere alle “sofferenze degli altri trasmesse in una forma vivida e facilmente leggibile, che sono disponibili all’istante quasi ovunque”. Questo ci mette di fronte a “due dilemmi etici. In primo luogo ‘essere spettatori’ non è più la condizione eccezionale di poche persone perché tutti siamo testimoni dell’afflizione, del dolore e della sofferenza. In secondo luogo abbiamo tutti bisogno di discolparci e di giustificarci. E tutti, o quasi tutti, ci troviamo a dover ricorrere, una volta o l’altra, all’espediente della negazione della colpa” (tratto da “Il Secolo degli Spettatori” di Zigmunt Bauman).
Negazione che coinvolge, da un lato, chi è causa del male e, dall’altro, chi non riesce ad opporsi al male stesso. Nell’attuale situazione di emergenza (in attesa di un vaccino) l’unico modo di opporsi al virus è l’osservanza dei comportamenti codificati dalla scienza medica e affidati sia alla comunicazione pubblica sia alla costellazione dei media tradizionali (giornali, radio, televisione) e dei social.
COMUNICARE IN TEMPO DI CRISI
Nella comunicazione di crisi, gli esperti si affidano alla formula C4I (comando, controllo, comunicazione, computer e intelligence) per la raccolta di una grande quantità di informazioni per poi scegliere quelle che producono solo effetti positivi.
Dalla chiarezza, dalla tempestività e dall’obiettività di queste informazioni dipende la buona gestione di una crisi. Invece la sovrapposizione di messaggi e le interferenze tra le fonti, sommate alla frenesia di chi (come gli imbecilli della tastiera) vuole primeggiare, creano panico, ansia, stress. Spesso una tale confusione provoca il danno collaterale dell’abbattimento delle nostre difese immunitarie. Quel domandarci quanto durerà il pericolo, come salvarci dal contagio, diventa ossessione ad ogni zapping per la ricerca di un tg, di uno speciale, di una trasmissione radiofonica; ogni bip delle applicazioni che giunge sul telefonino diventa una sorta di campanello d’allarme per il controllo delle nostre emozioni.
LA FUGA DI NOTIZIE, PESSIMO ESEMPIO DI COMUNICAZIONE
La fuga di notizie sui provvedimenti governativi sulla prevenzione del rischio ha provocato l’esodo di massa dal Nord verso il Mezzogiorno. Quella manina che tutti sospettano di aver anticipato i contenuti dell’ultimo provvedimento prima ancora della sua pubblicazione ufficiale è un comportamento sanzionabile penalmente. Gli italiani hanno il diritto di conoscere la fonte e le finalità di quest’azione censurabile. Viaggiatori come sardine in scatola in un percorso di otto e più ore potrebbero aver spostato il virus di qualche migliaio di chilometri e in territori quasi incontaminati, dove i servizi ospedalieri sono talmente carenti da agevolare, in tempi normali, l’immigrazione sanitaria che trasferisce migliaia di pazienti nelle eccellenze del nord e con essi ingenti risorse economiche.
In emergenza “L’informazione diventa anch’essa un bisogno fondamentale: perché ‘l’essere a conoscenza’ di quanto è accaduto e di ciò che si deve fare, serve a ridurre lo stato di ansia che da sempre prende le vittime’”. È questa una delle motivazioni che ha spinto l’Associazione Sociologi Italiani, attraverso uno dei suoi laboratori – il GEA SociolLab di Amantea, diretto dalla ricercatrice dottoressa Sonia Angelici- a predisporre un apposito vademecum (pubblicato nei giorni scorsi su questa rivista). Sette i suggerimenti: “Verifica sempre l’attendibilità delle fonti”; “Agisci collettivamente”; “Attieniti al pericolo oggettivo”; “No all’Isteria mediatica”; Prendi consapevolezza di non poter avere certezze”; “Non rinunciare alla tua vita sociale”; “Guardati intorno”. L’intento è di aiutare i cittadini a comprendere cosa sta succedendo altrimenti la preoccupazione diventa incontrollabile. Un sistema sociale – si legge nel vademecum – estremamente vulnerabile, che non ha ancora fatta propria una dimensione ‘cognitiva’ dell’emergenza, va in panico”
Ancora qualche concetto sulla spettacolarizzazione del dolore da parte di tv, radio, siti e social. Siamo tutti spettatori di notizie vere e di fake news. Un bombardamento che ci disorienta, fa aumentare in noi lo stress, condiziona le nostre scelte. E allora vale la pena di incominciare ad immaginare un periodo di quarantena per disintossicarci da questa babele di immagini, parole, litigi, linguaggi equivoci, di falsi miti, di notizie che condizionano gran parte delle nostre scelte. E se oggi qualche programma televisivo viene mandato in onda senza pubblico o momentaneamente sospeso, abbiamo qualche libertà in più di dedicarci alla lettura e, cambiare, tante altre nostre abitudini che oggi condizionano la nostra vita. E meglio ascoltare testimonial come Fiorello, Amadeus, la capitana della fiction don Matteo e tanti altri personaggi del mondo della cultura, dell’arte e dello spettacolo i quali, con la loro simpatia, ci aiutano a gestire l’ansia, lo stress, il pessimismo riconducibile all’attuale status di potenziali contagiati di questo pericoloso virus.
Non chiudiamo la porta all’ottimismo se vogliamo sentire sentire il vero profumo della vita.
Antonio Latella – giornalista e sociologo