“Il bello e  il brutto ” della Rete, Henry & Sherry a confronto…

foto Giacomo Buoncompagni  1Henry Jenkins, Sherry Turkle, entrambe docenti universitari statunitensi e autorevoli studiosi di media digitali e del loro impatto psico-sociale nella società contemporanea, quella che  il sociologo Castells definirebbe “società delle Reti”. I loro saggi sulla tecnologia, sul mutamento delle relazioni , dei linguaggi in Rete e sui fenomeni di “convergenza, partecipazione ed isolamento sociale”, risultano estremamente chiari e completi nell’analisi proposta, oltre che ovviamente ,molti interessanti.Ma…le loro tesi appaiono completamente opposte ed è proprio questo a rendere la questione ancora più intrigante ed attuale.Per Jenkins , stiamo assistendo ad  un positivo cambiamento socio-culturale, ad una evoluzione dei vecchi media,  ad un processo tecnologico che ingloba più funzioni in un unico strumento (fenomeno che definisce “Convergenza”) e alla nascita di “nuove abilità partecipative”che coinvolgono il produttore-consumatore in prima persona; per la Turkle invece, non è tutto “rose e fiori”: le nostre relazioni sociali sono sempre più “fredde”, siamo fisicamente presenti ma mentalmente assorbiti dalla tecnologia , inseriti in un macro ambiente virtuale dove si perde sempre più “ il senso di comunità”.

henry_jinkes 1Chi ha dunque ragione? Qual è “il bello” e il “brutto”  della Rete? Cosa c’è di dannoso e di vantaggioso per l’individuo nell’utilizzo dei media digitali ? Essi  fanno ormai, senza dubbio, parte della nostra quotidianità.Tutto accade con e nei media , restiamo continuamente  “connessi”, a contatto con gli altri grazie alla natura interattiva dei media digitali: gli individui hanno “preso in mano” i media, per citare l’antropologa Mizuko. Secondo Jenkins, tutto ciò porta degli enormi vantaggi di carattere relazionale-comunicativo ed economico: possiamo determinare il flusso dei contenuti su più piattaforme, interagire in profondità scegliendo quello che vedere ed usare, modificare nuovi contesti. Si sviluppa cosi una maggiore  cooperazione tra pubblico (ora più attivo che mai) ed industria dei media, i cui prodotti culturali diventano sempre più prodotti di nicchia di cui il singolo individuo si appropria,  ampliando cosi “l’esperienza della narrazione”. Nuove narrazioni significano  per il prof. Jenkins anche partecipazione, sviluppo di nuove e ricche identità o meglio ancora,  “capacità di estrarre dal flusso mediatico frammenti d’informazione che diventano risorse per la quotidianità”.Questo nuovo tipo di consumo e processo mediatico-antropologico determinano quello che il cyber-teorico Pierre Lévy definisce “intelligenza collettiva”: la formazione e l’unione di più conoscenze ed expertise in Rete che si presentano come fonte alternativa di potere mediatico.

L’analisi della psicologa Turkle invece, non sembra fornire uno sguardo cosi fiducioso e costruttivo nei confronti delle nuove tecnologie che, fin dall’inizio dei suoi saggi ,definisce trattarsi Sherry Turkledi “sole macchine in grado di plasmarci”, oggetti che ci portano a condurre “vite parallele in mondi virtuali, scoprendo un nuovo e perverso senso del luogo”.Le nuove identità che sviluppiamo in Rete , le visioni del sé meno unitarie e più proteiformi de-costruiscono quel rapporto sociale 1:1 e muta in un legame ossessivo uomo-macchina che non prevede confini spazio-temporali.La macchina diventa la nostra compagna di vita, oggetto da amare e curare, “architetto della nostra intimità”, scrive la studiosa, che ci offre l’illusione della compagnia e allo stesso tempo rafforza le nostre insicurezze evitando le vere relazioni sociali cosi ormai complesse ed impegnative (es. il mondo virtuale di Second Life). L’accesso al web è la nostra vera casa ora , il “luogo della speranza nella vita”. Allarmante,  potremmo definire la tesi della psicologa Turkle.Tali opinioni per Jenkins non sono altro che  “pregiudizi” in quanto la tecnologia è creatività, curiosità e condivisione ed inoltre l’analisi  è da applicare non tanto alla natura dei media e agli strumenti che essi offrono ma alla modalità  con cui l’individuo si rapporta con la Rete e utilizza consapevolmente tali strumenti.Entrambe le tesi dunque si mostrano interessanti e discutibili, ma vi è un aspetto che senza dubbio troverebbe d’accordo noi tutti, compresi i due studiosi: c’è un problema ancora aperto e che andrebbe al più presto preso in considerazione e cioè quello inerente all’etica dei media digitali.

Non si è ancora sviluppata una percezione etica chiara su questa tema ed il fenomeno del cyber- bullismo ne è un chiaro esempio: una presa in giro in un cortile di scuola , per quanto grave, non ha lo stesso peso (psicologico ,sociologico e  criminologico) di uno scherzo filmato  e messo in Rete: cosi si diventano vittima due volte.Si prospetta dunque la necessità di  elaborare e diffondere un nuovo modello di “alfabetizzazione mediatica”, come anche Jenkins suggerisce, in quanto manca ancora una seria capacità di attivare un confronto serio sulle competenze digitali,Disegno Giacomo

sull’acquisizione di nuove abilità in maniera cosciente e non semplicemente per soddisfare bisogni sociali ed individuali, come tipico degli adolescenti. Nell’era della partecipazione,la tecnologia non può continuare ad essere circoscritta solo come “conoscenza profonda della natura” ,  come afferma il filosofo Walter Benjamin. Cambiando il panorama mediatico, mutano e si evolgono anche tratti e pratiche culturali che ritraggono la stretta relazione tra società, tecnologia ed individuo e proprio quest’ultimo, è al centro di un cambiamento culturale che lo vede protagonista attivo , come consumatore  di nuove esperienza transmediali, sempre più stimolato a ricercare ed attivare contenuti mediatici differenti.

                    Buoncompagni Giacomo

 

* Buoncompagni Giacomo – Presidente provinciale Aiart Macerata (Associazione spettatori onlus).Laureato in comunicazione e specializzato in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche. Esperto in comunicazione strategica e linguaggio non verbale. Collaboratore di Cattedra in “Sociologia dei processi culturali e comunicativi “e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata ,  docente di “Comunicazione e crimine “presso la Libera Università di Agugliano (AN. E’ autore del libro “Comunicazione Criminologica”(Gruppo editoriale L’Espresso,2016)                                             

giacomob89@libero.it

 

 

 

 


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