I media digitali nell’emergenza

                                              

giacomo buoncompagni foto tessera“La paura , l’insicurezza sono oramai una merce: i media la offrono a chi la chiede, e aumenta cosi l’information anxiety “.I media stanno istituzionalizzando l’esperienza della paura e della violenza, ci mostrano quotidianamente continue situazioni di emergenze di varia natura: black-out totali, alluvioni, terremoti, attacchi terroristici, incendi ed è soprattutto in questi casi che  le Istituzioni devono mostrarsi presenti, responsabili, pronte ad agire, attraverso una comunicazione pubblica chiara e approfondita, costantemente aggiornata, rendendo partecipi i cittadini. Perciò è necessario essere pronti a comprendere tali contesti, saperli analizzare e, soprattutto, essere in grado di comunicarli adeguatamente. Purtroppo però il fenomeno della spettacolarizzazione mediatica sembra avere sempre più spesso il sopravvento e si aggiunge  cosi “l’ansia da news”.   L’informazione breve, sempre più veloce, in continuo aggiornamento, colpisce il nostro cervello in maniera “multitasking”, con stimoli differenti che rischiano di non offrirci il tempo di valutare, approfondire, distinguere, e cadiamo così in stati d’ansia.La maggior parte di tali notizie poi  hanno come contenuto la violenza, le stragi, le separazioni, le catastrofi, continue scene di emergenza e di morte che scorrono davanti ai nostri occhi. Con il fenomeno del digitale, la trasmissione dell’emergenza diventa rappresentazione di frammenti d’informazione e di vita sociale attraverso  codici linguistici precisi, diretti e “digitali” e il pubblico esprime l’esigenza di una chiave interpretativa di avvenimenti straordinari, che da solo non riesce a spiegare.

Molto spesso poi  è proprio un cittadino comune, non un giornalista professionista, che sfruttando la natura interattiva dei new media fornisce immagini in diretta dell’evento ad una redazione , partecipando attivamente  e contribuendo a garantire un’informazione costantemente aggiornata L’informazione infatti, è ormai parte di un processo di produzione di nuovi contenuti che è spesso da attribuire ai “semplici” utenti consumatori di  media digitali; anche i social network sono divenuti piattaforme che hanno assunto un ruolo “investigativo e di comunicazione istantanea” di un emergenza o crisi, offrendo al loro interno la creazione di “spazi”(pagine) ad hoc destinati a segnalazioni, integrazione dell’informazione, inserimento di video-foto e contatti utili per le emergenze.                                                                                                                    Ecco un esempio di  schema d’intervento corretto di un’agenzia di stampa in situazioni di crisi ed emergenza:dopo la prima segnalazione, circoscrivere e precisare l’entità dell’evento; contatto con organismi competenti come vigili del fuoco, carabinieri, uffici regionali ecc..;  decidere il numero di inviati da mandare sul posto, in appoggio all’ufficio locale; inizio dell’opera di approfondimento dell’evento con la richiesta di pareri di esperti.Buoncompagni 1

E’ fondamentale però prima di tutto , definire il problema reale nella sua evoluzione anche se la stampa di fatto, per rigidità dei tempi, spesso preferisce annunciare comunque l’emergenza senza avere una chiara conoscenza del fatto, con il rischio di generare panico ed insicurezza nell’ascoltatore. C’è uno stretto legame tra aspetti psicologici, nei momenti immediatamente successivi al manifestarsi di un’emergenza/crisi, e i  messaggi e le informazioni dei media e delle reti di comunicazione.  Le reti di comunicazione locali e i canali telematici orientano l’opinione pubblica, potrebbero ridurre la paura, possono indicare vie di fuga ed è per questo che sarebbe auspicabile una maggiore collaborazione tra professionisti della comunicazione e psicologi dell’emergenza, per “rimodellare” in termini positivi  il messaggio mediatico durante e dopo l’evento , fornendo in questo modo modalità che aiutino l’adattamento alla situazione.  In queste situazioni è necessario inoltre l’intervento di quelle che vengono definite Crisis Management Team (Cmt), squadra di gestione della crisi, posizionata in staff al vertice aziendale o delle pubbliche amministrazioni che hanno come compito anche quello di organizzare e gestire la comunicazione interna ed esterna.  Il ruolo chiave è quello svolto dal portavoce, che deve saper affrontare i media, rispondere in maniera chiara, precisa e documentata e pertanto  deve godere allo stesso tempo della fiducia dei vertici ed essere in grado di gestire  “crisi d’immagine” lavorando a stretto contatto con tutti i livelli organizzativi coinvolti.   Infine, è di dovere sottolineare, come in  situazioni caratterizzate da aspetti tecnico scientifici  come alluvioni, terremoti, epidemie, crac finanziari, si possa ricorrere a figure specializzate che assumano il ruolo di portavoce, responsabili della comunicazione pubblica in loco ed in Rete. La profonda rivoluzione riguarda dunque, anche i social network che  hanno trasformato la realtà sociale in una   “società delle Reti” , riprendendo una definizione del sociologo Manuel Castells e cittadini in “ pubblici attivi”.

buoncompagni 2Attraverso piattaforme social come Facebook, Twitter , la trasmissione di un qualsiasi contenuto informativo è disintermediata, più veloce, generata dagli stessi utenti dei social, il lavoro del giornalista professionista viene fortemente messo in discussione da questo tipo di comunicazione in cui siamo tutti reporter.  Questo mette in evidenza anche “il ruolo della cittadinanza attiva”per quello che concerne il rapporto con le istituzione ma allo stesso crea troppa e confusa informazione e non capisce più “chi parla con chi e chi ascolta chi”. I media digitali, a volte , “producono molto sociale mettendo  a rischio le relazioni interpersonali  ”,  sostiene il filosofo francese Jean  Baudrillard.  Essi sono divenuti strumenti di interconnessione tra società e individuo, mezzi per narrare noi stessi, raccontando  frammenti di quotidianità, utili  nei casi di crisi ed emergenze per favorire la piena collaborazione tra istituzioni e cittadini.  Non rimane dunque che riprendere in mano la situazione, ristabilire il ruolo del cittadino e delle istituzioni attraverso un’informazione corretta e un uso razionale della Rete, in cui il costante flusso di notizie, difficilmente governabile, con opportuni interventi formativi potrà essere generato e interpretato con maggiore senso critico, a servizio della comunità e nel pieno rispetto della dignità di ogni persona.

Giacomo Buoncompagni  

Laureato e specializzato in comunicazione pubblica e criminologia.  Presidente provinciale AIART Macerata, collaboratore presso cattedra di  sociologia della comunicazione Università di Macerata. Autore del libro“Comunicazione Criminologica” (Gruppo Editoriale l’Espresso,2016)

 


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