I danni collaterali dello storytelling anti ‘ndrangheta.
Le gesta di singoli delinquenti che certa letteratura antimafia definisce boss, e di gruppi criminali che il linguaggio corrente (dal giornalistico al comune, fino agli atti polizia giudiziaria) indica come cosche, ‘ndrine, locali, mandamenti (e per motivi di spazio ci fermiamo qui) continuano a destare lo stesso interesse delle narrazioni dei secoli scorsi. Questo non è certo un bene per la società contemporanea ammaliata da modelli effimeri, dalla forza e dall’ostentato “prestigio” di quanti militano nelle file dell’antistato.Dopo la premessa, alcune considerazioni generali appaiono pertinenti.I processi globali stanno determinando una metamorfosi della natura dell’esistenza umana. Si tratta degli effetti secondari di una radicale modernizzazione tecnologia ed economica che chiama in causa il nostro modo di essere nel mondo. Un mondo di spettatori, sorvegliato dal “Grande fratello” della comunicazione digitale, monopolio delle multinazionali e del capitalismo finanziario, colossi che comprimono al massimo, e in molti campi annullano, le nostre libertà. I poteri che gestiscono il mondo, che sono anche i detentori delle moderne tecnologie, fanno leva sulla persuasione occulta tipica della società consumistica al fine di conoscere l’orientamento dei cittadini. Il passaggio dai media tradizionali ai social media ha amplificato nell’opinione pubblica l’interesse per i fatti negativi che quotidianamente si registrano sul nostro pianeta: dalle guerre agli omicidi, dal terrorismo con le sue stragi alla rapina nella tabaccheria di Segrate, dalla sparatoria in un campus universitario del Missouri alle operazioni di polizia giudiziaria e finanche al semplice avviso di garanzia.
Il mondo, oggi, è diviso in buoni e cattivi: categorie che, di volta in volta, guadagnano o perdono posizioni nella hit parade del consenso gestito dei detentori dei mezzi di comunicazione e da quanti, per via di uno status privilegiato, hanno facile accesso al sistema che, ad orologeria, confeziona anche pacchetti di fake news.Il bombardamento mediatico lascia poco margine alla verifica delle notizie. Il sistema narcotizza l’opinione pubblica, la rende eterodiretta e, dunque, incapace di decidere liberamente sulla concessione del consenso sia politico che sociale. In atto, “madre terra” è alle prese con una grande metamorfosi che – secondo Ulrich Beck – “non è un cambiamento sociale, non è trasformazione, non è rivoluzione, non è crisi, ma il nostro modo di essere nel mondo”.L’uomo postmoderno è sempre più assetato di cronaca: assomiglia ad un vampiro, mai sazio di sangue. La violenza, i comportamenti contrari alla morale e alle regole di civile e pacifica convivenza, veri o presunti, catalizzano l’attenzione dell’opinione pubblica e regalano forti emozioni, grandi scariche di adrenalina. Lo stesso effetto è provocato dalla spettacolarizzazione delle operazioni di polizia giudiziaria, specie quando le analisi socio – antropologiche, formulate negli atti d’indagine, veicolano fuori dalle sedi delle giurisdizioni nomi, ruoli e gesta di personaggi che suscitano curiosità e interesse in vasti strati dell’opinione pubblica. La stessa attenzione viene riservata ai processi mediatici.
Torniamo allo storytelling dei fatti di ‘ndrangheta
Certe figure – esempio: “boss”, “picciotto, “sgarrista”, “santista”, “quartino” – destano l’interesse del grande pubblico (al colto e all’inclita) sempre più curioso e attento ai ruoli e alle gerarchie degli ambienti criminali che, in tutte le ore del giorno e della notte, entrano nelle nostre case attraverso i notiziari e le fiction televisive. Atti d’indagine e sceneggiati si “sovrappongono”, si fondono fino a creare forme di narrativa che provoca suggestione e lascia tracce indelebili nella mente del telespettatore o del lettore. E in una società povera ed emarginata, in cui sottosviluppo, vecchie e nuove povertà alimentano disperazione e incertezza, questo modello di narrazioni finirebbe per condizionare il comportamento di quanti privi di anticorpi sociali vengono plagiati dal potere criminale. Il “tutto e subito”, paradigma dell’occidentalizzazione, apre le porte all’emulazione.Nelle scorse settimane i quotidiani italiani e stranieri, i network televisivi e la rete hanno riportato l’episodio che ha visto protagonista un adolescente, compagno di scuola della figlia di un pregiudicato, attualmente, ospite delle patrie galere. In una lettera, consegnata alla compagna d’istituto con preghiera di farla recapitare al padre, il ragazzo, unitamente all’ammirazione per il recluso, esprimeva il desiderio di diventare boss. Cioè delinquente.Il tenore delle reazioni al gesto ha ricalcato il vecchio cliché dell’indignazione, dell’analisi tout court, della condanna, dei buoni propositi: in una gara di comunicati stampa da parte di politici, società civile, Chiesa, magistratura, associazionismo antimafia ed altri soggetti delle istituzioni pubbliche e del privato.Nessuna autocritica. Ma un modo gattopardesco d’invocare nuovi paradigmi socio-culturali e pedagogici in grado di avviare il cambiamento. Chiacchere tipiche della società italiana, mai così qualunquista come in questo momento.
Al cambiamento non bastano le semplici ricette, né i buoni propositi come testimonia il fallimento delle azioni di bonifica sociale, in gran parte finalizzate all’assistenza rispetto alle politiche di vero sviluppo delle aree contaminate dalla presenza criminale e dalla mentalità mafiosa che taglia trasversalmente la società meridionale. Le prediche che seguono un fatto eclatante appaiono, e fondamentalmente lo sono, sincere, solo che alle parole non seguono i fatti e le stesse buone intenzioni finiscono per avvelenare il dibattito politico, la dialettica istituzionale, i rapporti tra cittadini e, cosa ancor più grave, contribuiscono ad aumentare la sfiducia nei confronti dello Stato.“La mafia non è affatto invincibile: è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”, con questa frase il giudice Giovanni Falcone auspicava un cambiamento umano e culturale di quelle realtà geografiche soffocate della presenza della criminalità organizzata. Una metamorfosi gestita dall’uomo che in Calabria non è mai iniziata. Eppure, come in Sicilia, non sono mancate iniziative finalizzate a sconfiggere le varie articolazioni dell’antistato. Sistema che, nonostante i duri colpi inferti dell’attività di polizia giudiziaria e della magistratura, si rigenera e diventa sempre più pervasivo e potente economicamente. Evidentemente sono sbagliate le strategie, i messaggi inefficaci, i progetti culturali (tanti e quasi tutti finanziati con soldi pubblici) non rigenerano gli anticorpi sociali di una terra che dal giolittismo ad oggi è stata considerata una colonia a cui destinare solo le briciole dei grandi interventi statali destinati allo sviluppo del nord del Paese. Immaginiamo le conseguenze di un osso lanciato a una muta di cani affamati: le guerre mafiose restano l’esempio più significativo.
La stessa Cassa per il Mezzogiorno, alla quale vanno riconosciuti i meriti dell’infrastrutturazione post bellica, è stata un catalizzatore di risorse clientelari, in parte finite nei bilanci delle imprese in odore di mafia. ‘Ndrangheta rurale, del tabacco, dell’edilizia, imprenditoriale, leader mondiale del traffico di droga che poi ricicla il danaro sporco nelle attività commerciali. La ‘ndrangheta del terzo millennio è diventata economica con i centri decisionali trasferiti nelle metropoli del mondo. Ed è proprio nel cuore commerciale ed economico dell’Europa che lo Stato deve energicamente intervenire. Localmente invece bisogna avere il coraggio e l’onesta intellettuale di dire basta ai convegni (occasione per parlarsi addosso), ai protocolli d’intesa, alle lezioni di legalità che servono solo per evitare l’interrogazione in latino o in matematica, alle fiaccolate, ai balli & canti, alle infiorate, alle veglie di preghiera, alle pastorali anti ‘ndrangheta, alle inaugurazioni di strutture sportive precedute da coreografie forzate e pagate da Pantalone.
Ed ancora: rendere pubblici i bilanci dell’associazionismo – confessionale, laico, culturale, antimafia, sportivo, della cooperazione sociale – beneficiario dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. In particolare conoscere i ricavi delle produzioni agricole come degli altri cespiti e, soprattutto, la tipologia dei contratti applicati ai lavoratori. A “pensare male è peccato”, ma qualche volta dietro il volontariato potrebbero celarsi situazioni che meritano di essere chiarite.Il bene comune non è uno slogan, un paravento dove si nasconde l’interesse dei singoli o di gruppi organizzati. Altrimenti il meridionalismo piagnone continuerà a perpetuarsi nei secoli a venire.Lo storytelling anti ‘ndrangheta, mutuato dagli atti di polizia giudiziaria, infine, produce danni gravissimi anche all’immagine di persone che, nonostante siano estranee ai fatti che portano all’incriminazione di uno, dieci, cento cittadini, compaiono ugualmente nei provvedimenti adottati della giurisdizione penale. Poco importa se il politico tizio, l’imprenditore caio, il professionista sempronio nulla hanno a che fare con gli indagati, basta che il suo nome risulti tra righe degli atti processuali per finire al centro dell’attenzione mediatica. L’uomo è distrutto, il sensazionalismo è assicurato…
Robert Davidson