I BENI CULTURALI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI, IL COLOSSEO NON SARA’ PIU’ OSTAGGIO E IL SINDACATO E’ SERVITO
Quello che il sindacato non ha ancora o non vuole capire. Il mondo del lavoro è cambiato. E ignorare questa trasformazione non è solo miopia, ma anche il goffo tentativo di difendere un modello che oggi non ha più motivo di esistere. Il sindacato italiano, infatti, rimane abbarbicato al vecchio metodo corporativo in un mondo senza più confini e in un mercato globale in cui la flessibilità e la delocalizzazione richiedono ben altre strategie rispetto al tentativo di sciopero camuffato da assemblea sul posto di lavoro.
Sgombriamo il campo alla strumentalizzazione o alle accuse nei confronti di chi, democraticamente, decide di andare controcorrente. I diritti dei lavoratori, acquisiti e costituzionalmente garantiti, sono sacrosanti, non si toccano e nemmeno si discutono. Però la loro difesa va fatta con grande responsabilità e, soprattutto, con la consapevolezza che un diritto di alcuni non può, assolutamente, limitare quello di molti altri. E’ giusto che al lavoratore sia pagato il salario accessorio ( le domeniche e lo straordinario), ma la rivendicazione di tale diritto non può diventare una prova di forza che produce danni ad altri cittadini, all’economia del territorio e all’immagine di una città d’arte e di un intero Paese. In Italia tutti stanno affrontando grandi sacrifici per i danni prodotti dal sistema Paese che girava attorno ad una classe politica spendacciona, corrotta e poco lungimirante. Tali colpe, però, vanno equamente condivise tra la politica, la classe dirigente, i cittadini, i governi, le amministrazioni pubbliche e, perché no, il sindacato.
Un anno di lavoro festivo o di straordinari non ancora corrisposti quanto farà pesare in meno la busta paga di un lavoratore? Moltissimo per il bilancio di una famiglia monoreddito. Di questo siamo tutti consapevoli. E siamo anche coscienti che ogni cambiamento deve fare i conti con la logica della conservazione. Non ce ne voglia nessuno se pensiamo ad un sindacato che, nostalgico del potere e dei privilegi, si affida a poche decine di lavoratori, sicuramente spinti dal bisogno, per riacquistare quella rappresentatività che i cambiamenti epocali hanno quasi del tutto cancellato. Colpire la collettività usando lo strumento delle necessità di piccoli segmenti del mondo del lavoro non fa parte del patrimonio genetico del sindacato: quell’organizzazione di uomini e donne che, con determinazione, responsabilità e sacrificio, ha guidato, soprattutto negli anni del dopoguerra, milioni di italiani alla conquista di importanti diritti legati al loro impegno lavorativo che ha agevolato la crescita sociale ed economica dell’Italia.Dalla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, però, il sindacato è diventato un centro di potere, di privilegi per molti furbi che hanno fatto carriera sulla pelle dei lavoratori. Nasce la professione del sindacalista: una figura potente che sfrutta il nuovo status per svestire il camice di metalmeccanico, d’infermiere, la divisa di ferroviere o di poliziotto, allontanarsi dalla cattedra per una nuova vita: niente più turni, niente più lezioni, ma tanta notorietà fino a spalancare le porte dei consigli d’amministrazione, il privilegio di uno scranno nei consessi elettivi e finanche in Parlamento.
Sbarrare le entrate del Colosseo per un’assemblea sindacale ( legittima perché prevista dai contratti di lavoro) è un atto d’irresponsabilità non già del lavoratore, ma delle RSU – e risalendo il vertice delle responsabilità – della federazione settoriale del sindacato territoriale e di quello nazionale. Appare evidente che le confederazioni sindacali non riescono a liberarsi della vecchia filosofia di lotta e sono sempre più in difficoltà a trovare idonee strategie per affrontare i cambiamenti della società postindustriale. E ogni qualvolta sono contraddetti o richiamati al senso di responsabilità nei confronti del Paese – che nonostante qualche segnale di ripresa non è al sicuro dal pericolo del baratro – agitano il timore dell’attentato alla democrazia. Siamo seri! Perché la cultura non è più ostaggio e i Beni culturali (dai musei ai siti archeologici pubblici e privati) sono servizi pubblici essenziali. E il sindacato non ha ancora capito di non essere più quella cinghia di trasmissione dei partiti, di lotta o di governo, che in passato predicavano il cambiamento ma di fatto difendevano, con le unghie e i denti, il conservatorismo, i privilegi e la corruzione che hanno provocato l’impoverimento del Paese.
Il vecchio sindacato ostenta scetticismo anche davanti al decisionismo del Governo Renzi che, piaccia o no, sta tentando di raddrizzare il timone della Nave Italia prima della sua deriva. Il primo ad essere sorpreso della tempestiva risposta dell’Esecutivo, che ha inserito Musei e Beni culturali nell’elenco dei servizi pubblici essenziali, a nostro parere, è il sindacato, al quale viene meno anche l’escamotage di vestire lo sciopero con il dimesso tailleur dell’assemblea sindacale. Finalmente per indire e svolgere un’assemblea di lavoratori e proclamare uno stato di agitazione, il sindacato dovrà confrontarsi con il Garante degli scioperi. Altro che attentato alla democrazia: adesso l’interesse generale gode di maggiore tutela.
Anche questo è il segno dei tempi che cambiano. Tutti gli italiani se ne sono accorti e si stanno adeguando, tranne il sindacato che si ostina a completare il necrologio di un’organizzazione che ha contribuito alla nascita e al consolidamento della nostra democrazia e dello stato di diritto. Difficile spiegarlo a Susanna Camusso o a Carmelo Barbagallo, un po’ meno ad Annamaria Furlan il cui realismo, come quello degli ultimi due predecessori, sta portando la Cisl sulla strada cambiamento.
Antonio Latella – Giornalista e sociologo ( Presidente del Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)