FOGLIE DI FICO PER LA VENERE CAPITOLINA E PER IL CAVALLO DI MARCO AURELIO

latella 19 gennaio 2016

Il rischio corso dalla Venere Capitolina è stato davvero grosso, oseremmo dire “vitale”. Chiunque abbia deciso di nasconderla al passaggio della delegazione iraniana in visita ai musei capitolini meriterebbe il più alto riconoscimento che viene conferito dalla Repubblica italiana. Una solennità in barba alle ipocrisie di quanti “non potevano non sapere” che il nudo marmoreo, che ben rappresenta la nostra cultura e la nostra civiltà occidentale, sarebbe dovuto finire dietro il paravento per non “turbare” Hassan Rouhan e il suo seguito, a Roma per accordi commerciali tra l’Iran e l’Italia.  La trovata è servita a risparmiare alcuni pezzi pregiati  del nostro patrimonio   artistico dalla decapitazione perché in quel tempio culturale doveva avvenire la salvezza della nazione. Per 13 miliardi di euro cosa non si fa, soprattutto in un momento di sofferenza per il Paese saccheggiato da una classe politica che, in passato, ha brillato di luce propria, alimentata dalla corruzione, dalle ruberie e dalle prebende di un sistema partitico che pur di ottenere e consolidare il consenso non ha badato a spese. Solo che a pagare è stato Pantalone, cioè gli italiani.  E come sempre accade dopo le brutte figure, si cerca il responsabile. Si invocano a gran voce le commissioni d’inchiesta alla ricerca del capro espiatorio. Candidata al sacrificio sembra essere la responsabile del protocollo di Palazzo Chigi. Le indagini interne portano sempre al più debole. Come quel funzionario Rai che viene indicato unico responsabile dell’inganno consumato ai danni dei telespettatori costretti a salutare in anticipo il 2016. Quando si dice la consuetudine. Meno male che i pannelli sono stati la classica foglia di fico per le parti intime di statue e affreschi “osè”, compresi gli attribuiti del cavallo di Marco Aurelio.  Da due giorni tutto il mondo ride alle spalle degli italiani: ironia, sfottò, vignette, titoli coloriti caratterizzano i contenuti dei più prestigiosi giornali e riviste del pianeta, Iran compresa. Volutamente non consideriamo i commenti sul web…  Lo stesso presidente Rouhani è sembrato più divertito che sorpreso quando qualcuno ha tentato di conoscere il suo pensiero sulla vicenda. Il suo però è sembrato un sorrisetto amaro: forse sarebbe stata meno imbarazzante una sbirciatina al Ratto delle Sabine, residuato di una civiltà predominante nelle terre degli infedeli, rispetto ai rilievi sulla violazione dei diritti umani, pena di morte compresa, che caratterizza il suo Paese ricco di risorse energetiche.

Per la ragion di stato, alla fine, è prevalso il buon senso marcatamente italico: meglio non irritare il Presidente iraniano per evitare che possa sbatterci in faccia le porte del business dopo la fine delle sanzioni occidentali nei confronti di una nazione tanto ambigua quanto ambiziosa. E così, in nome degli affari, è stato coperto tutto quanto sarebbe potuto risultare irriguardoso, se non offensivo, alla cultura islamica. Come tanti agnellini affamati, infatti, abbiamo impedito il presunto turbamento dell’illustre Capo di Stato subordinando le nostre libertà democratiche ad una cultura ostile all’occidentale, alla sua storia e ai suoi costumi.  Abbiamo perso la faccia senza ombra di dubbio. E la dignità?

Antonio Latella – Giornalista professionista e sociologo ( Presidente Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)

 


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