EU SUGNU ARMENI
Vogliamo dire la verità, una volta almeno? Vogliamo spogliarci del buonismo di maniera, delle prese di posizioni politically correct, dell’ovvio trasformato in notizia? Vogliamo confidare le nostre debolezze, senza ergerci ad eroi della solidarietà a mezzo stampa? Ed allora, io dichiaro che sono d’accordo con Ferdinando Armeni. Sono d’accordo con il suo coraggio da uomo della strada, da antieroe, da “borghese piccolo piccolo”.Inondato da un fiume in piena di solidarietà, da una marea di inviti a resistere ed insistere, il presidente dello Sporting Locri ribadisce la sua intenzione di chiudere qui la bella avventura delle sue ragazze nella serie A del campionato femminile di calcio a 5, non lasciandosi irretire dalle dichiarazioni altisonanti dei più alti vertici dello sport nazionale. Certo, fa piacere sentir dire al presidente nazionale del Coni che “Locri deve giocare. Il 10 gennaio voglio vedere le ragazze in campo”. È bello sapere che il presidente della Figc, Carlo Tavecchio, testimoniando all’Ansa tutto il suo sdegno, annuncia: “porteremo a Locri le azzurre del calcio a cinque per testimoniare la nostra solidarietà”. Ed ancora, il capitano della nazionale femminile Panico, indignata e impressionata, che invita “a non restare negli spogliatoi”, perché “La migliore risposta a simili nefandezze è quella di non mollare”. E penso che presto ascolteremo l’annuncio di una bella fiaccolata per le vie di Locri e successivi dibattiti, incontri e forum. Forze politiche di ogni ordine e grado che si stracceranno le vesti e grideranno tutto il loro sdegno.
E poi…?Dopo questo bailamme che conquisterà pagine e titoloni sui giornali per alcuni giorni, come andrà a finire?Andrà a finire come sempre è andata a finire. Malagò, Tavecchio, Tonelli, la Panico e via elencando riprenderanno il loro posto al caldo della poltrona occupata, torneranno nelle loro lussuose sedi nazionali al centro dei riflettori della mondanità ed a Locri rimarrà Armeni e le sue ragazze, Armeni e quelle minacce, Armeni e la sua famiglia entrata drammaticamente, oltre che pericolosamente, nel mirino di questi vigliacchi intimidatori. A Locri ed in Calabria rimarranno i tanti Armeni a sbarcare il lunario, a sopravvivere sognando e tentando di realizzare i propri sogni, che a volte diventano pure “sogni di serie A”.
La questione è altro e non c’entra con la solidarietà. E saranno pure sincere e vere le tante dichiarazioni, sarà pure vero lo sdegno, ma nessuno si pone la più banale delle domande, si chiede il perché. Perché a Locri non si può e non si deve fare una serie A? Perché a Locri – e in tutta la Calabria – si deve vivacchiare senza che possano attecchire iniziative importanti, belle, degne di pagine di giornali che non siano quelle di cronaca? A chi ed a cosa serve una Calabria brutta, da ultimi posti nelle stantie classifiche sulla qualità della vita? Perché la Calabria deve fare notizia solo per atti e fatti vergognosi, intollerabili, incivili? Perché? A che pro? Così come l’Isis distrugge le testimonianze di culture passate e gloriose, così come l’Isis innestando la paura in ciascuno di noi vuole trasformare il mondo occidentale del viver bene in una gabbia dalla quale non uscire più, così come i fanatismi vogliono distribuire burqa per nascondere le bellezze “tentatrici” del viso e del corpo femminile… così la più becera criminalità vuole chiudere le fonti di un vivere migliore.
Così come le dittature, ogni dittatura in tutti i secoli ha bruciato libri, chiuso scuole, censurato il pensiero… così la mentalità ‘ndranghetista intende impedire ogni azione che liberi la società. Perché il bello fa paura. Perché la felicità fa paura. Perché le eccellenze preoccupano. Perché la cultura fa paura! Una società che si crogiuola nella mediocrità non fa paura. Uomini annichiliti da un continuo stato di bisogno non preoccupano. Comunità che non pensano, che vivacchiano privi di sogni ed aspirazioni, che non credono nel futuro è quello che serve perché tutto sia gestito senza problemi: meglio una massa informe e priva di prospettive. Si esortano i calabresi a reagire con fermezza inondandoli di solidarietà un tanto al chilo… ma cosa possono o dovrebbero fare i cittadini, gli imprenditori e le autorità locali per sottrarre questa Regione al «dominio» della criminalità? E sia chiaro: non servirebbe e non sarebbe sufficiente la militarizzazione del territorio, come pure qualcuno richiede.
Il primo atto è un dato culturale e sociale: dobbiamo trasformare la lotta alla ‘ndrangheta da semplice esercizio dialettico ad impegno fattivo e praticato sul campo; dobbiamo interrompere, anzi invertire, quel flusso di rapporti fatto di ammiccamenti, favori, riguardi, assuefazione alla presenza; flusso di rapporti che in una sola parola si può definire «rispetto». Perché le organizzazioni criminali a precipua connotazione consociativa (camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, mafia) traggono alimento ed esercitano potere, più che in rapporto alla violenza, che pur massicciamente e drammaticamente praticano, essenzialmente per il loro «speciale» rapporto con il territorio. Un rapporto stretto, intenso, insostituibile per quello che è il vero discriminante fra questi fenomeni e le altre manifestazioni di illegalità che coesistono, si sviluppano, ma in nessun caso assurgono, né aspirano al rango di «sistemi criminali»; e cioè, il ruolo che queste organizzazioni (e mi riferisco ad ognuno degli associati, dal più «umile» gregario al più «riverito» boss) ricoprono nella società, intesa nel suo complesso e pertanto estesa al mondo delle istituzioni, a quello della politica, a quello dell’economia e del lavoro, alla cosiddetta «società civile».
Pure il riferimento, operato da molti, alla «mafiosità» variamente diffusa nella mentalità dei calabresi è, a mio modesto giudizio, elemento di disturbo per un’efficace lotta alla ‘ndrangheta. Si corre infatti il rischio, con una ingiusta generalizzazione, di sollevare il classico polverone. A parte l’ingiustificabile mortificazione che verrebbe inflitta ai calabresi, dei quali il naturale riserbo – ed anche il sospetto e la diffidenza indotti da decenni di insipienza, quando non di malgoverno da parte del potere centrale – verrebbero scambiati per omertà, propensione innata a delinquere, in una riviviscenza di elucubrazioni lombrosiane.
Dobbiamo pertanto smetterla di trattare con «rispetto» la ‘ndrangheta e gli ‘ndranghetisti, ed allora di questo cancro malefico rimarranno le sole attività illegali. A questo compito è chiamato ciascuno di noi, la classe dirigente calabrese, tutta intera e nel suo significato più ampio. A non riconoscere più, mai più in nessuna circostanza e per nessun motivo, il ruolo di interlocutore a chi da questo riconoscimento trae lo status di «uomo di rispetto». La lotta alla criminalità organizzata non può essere confinata solo ad un’attività di polizia, sia pure indispensabile ed insostituibile. Serve una convinta ribellione delle coscienze dell’intera società civile che stia – con orgoglio, coraggio e senza rassegnazione alcuna – al fianco dei tanti Armeni di cui è popolata la Calabria, dei tanti amministratori, imprenditori, commercianti, professionisti e semplici cittadini, tutti indistintamente – purtroppo – nel mirino della malavita. Ma serve anche che la Calabria non sia lasciata sola a combattere questa guerra. Serve uno Stato che faccia sentire quotidianamente la sua presenza, serve che la Calabria sia sempre – e nei fatti e non a parole – in Italia.
Je suis Paris abbiamo gridato all’indomani degli attentati dell’Isis a Parigi.
“Eu Sugnu Armeni” gridano ora – in calabrese – tutti gli italiani.
Maurizio Bonanno – Giornalista professionista e sociologo ( Dirigente dell’Associazione Nazionale Sociologi)