Espiazione della pena attraverso l’adozione di misure alternative alla detenzione…
ESPIAZIONE DELLA PENA ATTRAVERSO L’ADOZIONE DI MISURE ALTERNATIVE ALLA DETENZIONE
REMISSIONE DEL DEBITO E AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE
L’argomento oggi in esame è stato spesso da me trattato in passato, avendo perciò avuto modo di esprimermi in altri contributi anche relativamente al poco spazio che a mio avviso offrono i media, e financo alcune riviste specializzate, a ciò che avviene nella giurisdizione di sorveglianza; vale a dire quella fase procedurale nell’ambito della quale si affronta il delicato tema dell’esecuzione penale. Giurisdizione, appunto, chiamata a pronunciarsi su questioni riguardanti i detenuti, come – solo per fare un esempio fra tanti – la concessione e gestione delle pene alternative alla detenzione. Ebbene, siccome dal mio punto di vista la questione socialmente rilevante della perpetrazione di un reato non si esaurisce con la condanna definitiva del colpevole, bensì prosegue almeno per tutta la durata della espiazione pena e dunque fino alla piena riacquistata libertà personale, allora credo sia utile rendere noto al grande pubblico anche ciò che avviene oltre la fase del processo di cognizione, vale a dire quello nel corso del quale si è accertata la colpevolezza del reo. L’odierno caso specifico riguarda la misura alternativa alla detenzione corrispondente al cosiddetto “Affidamento in prova al servizio sociale”, ovverosia, brevemente, che il condannato può essere affidato al servizio sociale fuori dall’istituto penitenziario per un periodo uguale a quello della pena da scontare, salvo revoca qualora il comportamento del medesimo soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.
Tanto premesso, nel caso concreto, il Tribunale di Sorveglianza rigettava l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale avanzata da un soggetto ristretto agli arresti domiciliari. Il predetto stava espiando una pena per omicidio stradale, commesso in forte stato di ebbrezza e, ad aggravare la sua posizione, vi era già un pregresso pregiudizievole penale sempre per guida in stato di ebbrezza.Il Tribunale concludeva che non solo il soggetto era in grado di rendersi conto delle conseguenze della sua grave condotta irresponsabile – anche per aver guidato con eccesso di velocità, uccidendo una giovanissima vittima –, ma addirittura non aveva manifestato alcuna forma di revisione critica né di resipiscenza rispetto ai fatti; ed anzi, apparendo la figura della vittima sempre estranea ad ogni sua prospettazione di vita futura.Inoltre, stigmatizzava il Tribunale: «che l’avvenuto risarcimento del danno da parte della compagnia di assicurazione non lo esonerava affatto da comportamenti rilevanti come la presa di contatto con i familiari della vittima o la richiesta del loro perdono […] al contrario, anche la sua istanza era stata autoreferenziale e fondata sulla sua condotta regolare nel corso degli arresti domiciliari nonché sullo svolgimento di un lavoro, mentre non vi era alcun accenno all’uso smodato di sostanze alcoliche. Si riteneva pertanto necessario per il condannato un percorso espiativo intramurario, con l’accompagnamento di figure professionali che ne osservassero scientificamente la personalità».
Avverso il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione, con esito lui sfavorevole. Infatti, hanno sentenziato i giudici di legittimità, il Tribunale di Sorveglianza ha correttamente «valutato tanto il pregresso comportamento del ricorrente (in termini di condotta di vita adusa all’abuso di sostanze alcoliche e di reiterata commissione di reati legati appunto a quell’abuso) quanto l’estrema gravità della condotta posta in essere e delle conseguenze della stessa, a fronte della quale è stata considerata insoddisfacente la revisione critica manifestata dal medesimo […] si tratta di un elemento rilevante poiché l’adesione a valori errati dimostra un’insofferenza alle regole poste dallo Stato a tutela di una ordinata e civile convivenza e questa condizione, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, costituisce quel disadattamento al quale consegue la necessità di sottoposizione dell’interessato ad un trattamento rieducativo da realizzarsi anche, ricorrendone le condizioni, con le misure alternative alla detenzione […] Correttamente – in relazione al tipo di valutazione da effettuare – il Tribunale di Sorveglianza ha sottolineato l’assenza nel ricorrente di una vera autocritica o di una reale dichiarazione di ripudio della propria devianza che, senza attenere ad una sfera morale estranea al rilievo giuridico, potesse dimostrare un recupero almeno parziale di valori sociali».
Prosegue la sentenza, che ha peraltro condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che l’ordinanza impugnata ha tenuto conto dei principi consolidati in tema di concessione della più ampia delle misure alternative, chiarendo che nel «giudizio prognostico concernente la concessione della misura dell’affidamento in prova al servizio sociale, deve pervenirsi ad una valutazione di fronteggiabilità della pericolosità sociale residua con gli strumenti dell’istituto indicato». In altri termini, elementi quali la condotta precedente e quella recente dell’interessato: «la sussistenza di più precedenti penali, la mancanza di revisione critica della condotta e la nebulosità degli intenti di disintossicazione ben possono valutarsi ai fini della formulazione di una prognosi sul comportamento futuro del condannato e sul ragionevole esito del beneficio. Del resto, poiché non esiste una sorta di presunzione generale di affidabilità di ciascuno al servizio sociale, ma al contrario devono sussistere elementi positivi sulla base dei quali il Giudice possa ragionevolmente “ritenere” che l’affidamento si riveli proficuo, appare evidente che – in relazione agli obbiettivi di rieducazione e di prevenzione propri dell’istituto – la reiezione dell’istanza di affidamento può considerarsi validamente motivata anche sulla sola base delle informazioni fornite dagli organi di polizia o dai servizi sociali o da quelli di osservazione» (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 8044/2019).
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Contributo presente anche in “Sociologia Contemporanea” (ISSN 2421-5872)
Dott. Marco LILLI
Sociologo Criminologo
(Giudice Onorario del Tribunale di Sorveglianza)