Equipe Itineranti per il Sistema Sanitario della Sardegna
di Francesco Oggianu Pirari
Un possibile modello da integrare, sull’esempio delle altre regioni.
Introduzione
Il Servizio Sanitario della Regione Sardegna è articolato nei seguenti enti di governo: Azienda regionale della salute (ARES), Aziende socio-sanitarie locali (ASL), Azienda di rilievo nazionale ed alta specializzazione (ARNAS), Aziende ospedaliero-universitarie (AOU) di Cagliari e Sassari, Azienda Regionale dell’emergenza e urgenza della Sardegna (AREUS) e Istituto zooprofilattico della Sardegna (IZS). In particolare, in Sardegna vi sono 8 aziende ASL (Sassari, Olbia, Nuoro, Lanusei, Oristano, Sanluri, Carbonia, Cagliari) e un’Azienda Ospedaliera (“Brotzu”) in grado di offrire tre tipologie di assistenza sanitaria: collettiva, distrettuale e ospedaliera.
Per l’assistenza “collettiva”, facciamo riferimento a tutti quegli adempimenti in merito ai contesti di vita e di lavoro, come la profilassi contro le malattie infettive e parassitarie, la prevenzione dei rischi ambientali e infortunistici, le attività di medicina legale, il controllo igienico degli alimenti e l’assistenza veterinaria. Con assistenza “distrettuale”, invece, si fa rimando a tutti quei presidi e professionisti sanitari che sono dispiegati sul territorio regionale e che, attraverso una serie di servizi assistenziali, garantiscono le prestazioni sanitarie di base, quelle farmaceutiche, l’assistenza integrativa alimentare, l’assistenza specialistica ambulatoriale e domiciliare.
Infine, con assistenza “ospedaliera” intendiamo quell’insieme di attività che vengono erogate attraverso i presidi ospedalieri gestiti dalle ASL e dalle aziende ospedaliere afferenti, come il pronto soccorso, i ricoveri in degenza ordinaria, day hospital e day surgery, nonché interventi ospedalieri a domicilio, prelievi, trapianti, ricoveri per riabilitazioni e altre prestazioni sanitarie di questo genere. Per far fronte a un numero così alto di prestazioni sanitarie equamente divise sul territorio tra assistenza collettiva, distrettuale e ospedaliera, il Servizio Sanitario della Regione Sardegna deve aver a disposizione un numero congruo di medici che, stando alle ultime rilevazioni, viene a mancare, in particolare per le Unità Operative ad alta specializzazione.
Conseguentemente all’assenza dei medici, si dimezzano, pertanto, anche il numero (e la qualità) di servizi sanitari e assistenziali offerti alla popolazione sarda nei vari territori delle ASL. A volte, ma non esclusivamente, anche per una ragione di razionamento dei costi del servizio sanitario regionale. Al fine di contrastare la carenza di personale e, quindi, garantire al contempo un alto livello e numero delle prestazioni sanitarie come sopra indicato, si è pensato all’avvio di un modello “a pendolo” costituito da equipe itineranti, sull’esempio di quanto fatto da altre regioni italiane. L’ausilio di un modello fondato su equipe di medici itineranti sul territorio, che rivoluzionerebbe il paradigma sanitario sardo finora in vigore, consentirebbe di spostare le equipe di specialisti laddove necessario, garantendo al contempo le coperture territoriali e l’alto livello di professionalità. Tale modello si integrerebbe con il Piano Regionale dei Servizi Sanitari 2022-2024 attualmente in vigore in Sardegna, sull’esempio, peraltro, di quanto fatto da altre regioni italiane.
Le ragioni alla base delle equipe itineranti
In ragione della frammentazione dei territori e, al contempo, della complessità delle patologie, nonché della presa in carico “multidisciplinare” delle stesse, all’interno delle tradizionali idee di modelli sanitari si stanno facendo largo nuove concezioni di assistenza. Per tale motivo, negli ultimi anni si sono fatti strada, nei sistemi sanitari di varie regioni italiane, i modelli di unità multidisciplinari ed equipe itineranti, le cui funzionalità possono integrarsi vicendevolmente anche nel sistema sardo.
Secondo l’approccio multidisciplinare, un determinato tipo di problema, in base alla tipologia, deve essere preso in carico dall’ASL di riferimento secondo un’ottica “di rete”, ovvero da più professionisti che possano analizzarne il caso sotto ogni punto di vista, al fine di una globale presa in carico del paziente. Si tratta ovvero di aggregazioni e meccanismi organizzativi che fanno convergere più specialità e specialisti per la risoluzione del problema di salute del paziente che, sul piano organizzativo, comporta il prendere in carico un problema attraverso articolazioni organizzative funzionali e trasversali di diverse Unità Operative.
Accade, però, che non sempre l’approccio multidisciplinare può essere adottato in tutti i contesti territoriali di un’ASL, come nel caso sardo, proprio perché in determinate circostanze non si dispone di Unità Operative complete e sufficienti di ogni singola specializzazione medica. La prestazione sanitaria, pertanto, non può essere svolta nella dislocazione territoriale dell’ASL, ma rinviata al presidio ospedaliero centralizzato, con conseguenti estensioni delle liste d’attesa. In queste circostanze, il modello delle equipe itineranti rappresenta la giusta soluzione, in quanto consiste nella creazione di meccanismi di movimento delle Unità Operative sanitarie sui diversi nodi della stessa rete ospedaliera e territoriale.
Secondo l’approccio delle equipe itineranti, ovvero, vi è un cambio di approccio rispetto al modello tradizionale di assistenza sanitaria, seppur intesa nei suoi parametri multidisciplinari e trasversali. Una rottura, in altre parole, del legame tra luogo ospedaliero e cura della malattia, con un’equipe di medici che, invece, si integra nel territorio, apportando la propria professionalità laddove richiesta. Il tutto al fine di garantire una risposta sì “multidisciplinare”, ma adeguata, nonché una distribuzione dei servizi a più elevata specializzazione a livello locale. Le equipe itineranti, in definitiva, rappresentano delle soluzioni organizzative differenti e flessibili per ciascuna rete ospedaliera in relazione alle motivazioni alla base dello spostamento dei professionisti, agli obiettivi da conseguire e alle caratteristiche intrinseche dell’assistenza sanitaria.
Gli esempi delle altre regioni
Un esempio lungimirante di modello di equipe itineranti è offerto dal Servizio Sanitario della Regione Emilia Romagna, che da tempo lo ha sviluppato nelle proprie ASL di riferimento. All’interno della Regione Emilia Romagna, infatti, si è sempre promosso il tema della distribuzione e concentrazione dei servizi sanitari attraverso schemi organizzativi sia intra-aziendali sia interaziendali. In tal senso, ad esempio, l’azienda USL della Romagna, nata nel 2014 dalla fusione di 4 aziende USL, è caratterizzata per un’alta ramificazione nel territorio e da un bacino di utenza che supera il milione di unità. La formazione di un modello basato (anche) su equipe itineranti è partita dalla costituzione di Unità Operative trasversali e, in egual modo, dalla creazione di un modello a rete di tipo multidisciplinare, incentivando la collaborazione tra Unità Operative diverse. I nodi di questa rete, che è stata formata nel tempo, sono costituiti proprio da professionisti che si muovono e connettono sul territorio in maniera multidisciplinare e “a rete”, sopperendo all’eventuale carenza di personale e, soprattutto, sviluppando le proprie competenze a vantaggio dei pazienti.
Questo modello si è reso necessario, in Emilia Romagna, per l’aumentata complessità assistenziale che ha richiesto la concentrazione in pochi luoghi fisici di tutti i servizi sanitari di supporto e delle necessarie competenze specialistiche, soprattutto in casi di complesse attività chirurgiche. È stato quindi fatto uno studio della letteratura per consentire la creazione di equipe itineranti in merito a quelle tipologie di assistenza sanitaria per i quali fosse più complicato garantire una continuità assistenziale dislocata nel territorio regionale (come ad esempio le Unità Operative di Ortopedia, Otorinolaringoiatra, Chirurgia specialistica…). Il modello dell’USL della Romagna permette così di raggiungere con efficienza e competenza anche le “periferie” sanitarie, ovvero quei territori, come quelli di montagna o dell’entroterra, in cui alcune competenze professionali non potevano essere garantite. Con l’ausilio di equipe specialistiche itineranti, infatti, i professionisti si muovono nell’ambito della stessa unità operativa (ginecologi, chirurghi, gastroenterologi) che ha più sedi territoriali, nello stesso dipartimento (radiologi, senologi…) o tra dipartimenti diversi. La costituzione di tali equipe itineranti, pertanto, garantisce una buona risposta alle criticità determinate dalla dispersione del territoriale dovuta all’eventuale carenza di medici.
Entrando più nello specifico nel caso della Regione Emilia Romagna, prendiamo ad esempio l’esperienza dell’ASL di Reggio Emilia, che estende la propria area di competenza nell’omonima provincia situata intorno al centro della regione Emilia Romagna, nella quale risiedono circa 500000 abitanti. Il presidio ospedaliero, in particolare, si compone di 5 stabilimenti ospedalieri che svolgono un ruolo di riferimento fondamentale per rispondere ai bisogni di ricovero e assistenza specialistica della popolazione residente nei distretti. All’interno di questi stabilimenti sono integrati servizi ospedalieri e territoriali, in particolare la specialistica ambulatoriale, il centro prelievi e il CUP. Per alcuni servizi sanitari (Oculistica, Urologia, Endoscopia digestiva…) è stato sviluppato un servizio di collaborazione interaziendale in grado di garantire ai professionisti che fanno parte di Unità Operative complesse una sede fissa, ma al contempo di spostarsi tramite i nodi della rete ospedaliera (con relativo rimborso delle spese di trasferimento per gli stessi professionisti), nell’ottica delle equipe itineranti.
Da questo modello sono nati, peraltro, i dipartimenti interaziendali di radiologia e di emergenza-urgenza, che hanno visto migliorare i servizi sanitari territoriali dati ai pazienti, in merito a tempestività e qualità d’intervento. Altro esempio proviene dalla Regione Toscana, dove è stata istituita l’Azienda USL Toscana centro a partire dal gennaio 2016 con un bacino di quasi un milione e mezzo di persone, 13 presidi ospedalieri organizzati secondo il modello dell’intensità di cura e diffusi capillarmente su tutto il territorio dell’azienda, 220 strutture territoriali, 8 zone distretto e 7 società della salute.
La necessità di dotarsi di svariate specializzazioni e di un’equa distribuzione dei servizi nei diversi luoghi della regione Toscana ha reso necessario, per la verità fin dal 2004, un processo di sviluppo non solo della rete del sistema sanitario, ma anche della programmazione delle equipe specialistiche itineranti (con un complessivo riordino del Sistema Sanitario Regionale fino ad allora esistente). Per la parte che ci interessa, in merito al modello itinerante prospettato, la Regione Toscana ha scelto nel tempo di centralizzare soltanto i casi e le patologie più complesse, che necessitano di tecnologie e dotazioni di supporto e, al contempo, di prevedere la possibilità di fare chirurgia anche nei presidi ospedalieri minori, laddove non sia necessario disporre di tecnologie di supporto. In tal modo, i professionisti sanitari, in base alle loro competenze, possono operare nelle sedi periferiche gli interventi di chirurgia generale e meno complessi, nonché operare nelle sedi centralizzate quelli più complessi. Con interventi complessi si intendono quelli che hanno bisogno di una tecnologia strumentale di supporto, mentre quelli meno complessi che non ne hanno bisogno. Quello della Regione Toscana è quindi un servizio sanitario che si basa su un modello misto, con specializzazione dei centri su determinate prestazioni ed equipe itineranti.
Altro esempio da riportare è quello dell’ASST Ovest Milanese, comprendente le strutture ospedaliere e territoriali di Legnano e dell’ASL n. 1 di Milano, costituita da 4 presidi. Le equipe coinvolti nelle attività di “movimento” sono in questo caso numerose, e abbiamo ortopedia, chirurgia generale, chirurgia plastica, chirurgia vascolare, neurologia, nefrologia, gastroenterologia ed endoscopia digestiva. Su queste Unità Operative si basano le collaborazioni interaziendali che, nel tempo, hanno consentito anche una forte condivisione dei progetti tra le equipe delle Unità Operative stesse. Nel caso di discipline specializzate al proprio interno come, ad esempio, neurologia e gastroenterologia ed endoscopia digestiva, il percorso è stato più semplice poiché lo spostamento viene considerato dai professionisti come parte imprescindibile della propria attività di «esperti di patologia». Anche la creazione di Unità Operative trasversali ai diversi ospedali ha aiutato lo sviluppo di queste esperienze, sebbene lo sforzo maggiore sia stato quello della costruzione di un’identità culturale comune all’interno dell’azienda.
Il possibile modello “itinerante” della Sardegna
Sulla base dell’esempio delle altre regioni italiane e della situazione sanitaria attualmente in essere all’interno della regione, anche in Sardegna lo sviluppo di un modello di equipe itineranti può portare notevole giovamento al servizio sanitario regionale. Partendo dal già menzionato Piano Regionale dei Servizi Sanitari 2022-2024, legge regionale 11 settembre 2020, n. 24, art. 32, che prevede una riorganizzazione territoriale e dell’offerta dei servizi, implementando la visione paziente-centrica e ponendo il cittadino al certo del servizio assistenziale, il modello di equipe itineranti può integrarsi alla perfezione con questa visione.
Il Piano, infatti promuove il potenziamento del distretto sociosanitario quale punto di riferimento per l’assistito rispetto alla complessità della rete dei servizi e favorisce la presa in carico globale dell’assistito. Tale presa in carico globale, tuttavia, non può sussistere se manca il personale che possa garantire, per l’appunto, una presa in carico “multidisciplinare”, nei canoni che abbiamo detto sopra. La creazione di equipe itineranti può quindi ridimensionare tale problema, ma non solo.
I passaggi da fare, sull’esempio delle regioni menzionate sopra, sono chiari. Dapprima, uno studio riguardo le competenze specialistiche di cui il sistema sanitario regionale sardo difetta, quindi la costituzione di Unità Operative trasversali e, dunque, la creazione di equipe itineranti che possano muoversi nel territorio, tra i vari distretti ospedalieri e sanitari sardi. In tal senso, rifacendoci al Piano Regionale Sanitario 2022-2024, occorrerebbe distinguere la presa in carico del paziente con bisogno semplice (PDTA) e quello del paziente con bisogno complesso (PAI). Laddove siano necessari esami strumentali specifici, occorrerebbe mantenere la centralizzazione degli interventi presso i presidi ospedalieri. In caso contrario, le equipe itineranti create si muoverebbero tra i distretti socio-sanitari e le sue strutture (case della comunità, centrali operative territoriali, ospedali di comunità…). Si dovrebbero creare ovvero delle linee guida che permettano alle Unità Operative di acquisire delle competenze trasversali, nell’ottica futura di sviluppare delle equipe di “movimento”, al pari di quanto fatto nelle altre regioni italiane analizzate.
Questa nuova riorganizzazione del sistema sanitario, in merito alle procedure di intervento sanitario più urgenti, garantirebbe una più fattiva condivisione tra le diverse Unità Operative di intervento, nonché un cambio di paradigma in merito all’idea di assistenza sanitaria sarda. Ridimensionerebbe, al contempo, la problematica dell’assenza di specialisti medici (per le quali Unità Operative carenti sarebbero formate unità itineranti e trasversali) e, a lungo termine, è auspicabile possa anche ridimensionare le liste d’attesa, in quanto non più centralizzate nei presidi ospedalieri, ma delocalizzate nei vari distretti territoriali distaccati, che sarebbero dunque garantiti dalle equipe itineranti formate.
Francesco Oggianu Pirari — Sociologo, Dottore in Alimentazione e Nutrizione Umana