DONNE: POVERE O IMPOVERITE?

MANGO  BRUZZESEQuando ho iniziato a scrivere, mi sono subito chiesta se oggi le donne fossero povere o impoverite?Perché è chiaro che la povertà della donna non è un fenomeno sociale attuale, è sempre esistita. E’ una povertà intesa come scarsa o nulla possibilità di accesso alle risorse (siano esse materiali, culturali o sociali), una povertà che da sempre è strettamente legata a forme di emarginazione, discriminazione, disagio sociale, violenza femminile, per dirne alcune. Ma tutte queste forme che ho appena elencato, non sono forse le condizioni che portano ad un impoverimento della donna?Mentre scrivevo, c’erano tutte queste domande a cui tentavo di dare risposta, e allora da brava sociologa, ho chiesto aiuto ai dati, alle statistiche. E quante sono le donne povere in Italia? Difficile dirlo, dal momento che le statistiche ufficiali sulla povertà fanno riferimento principalmente a tipi di famiglie distinte per condizione socio-anagrafica (famiglie di anziani soli, famiglie con minori etc) piuttosto che fare riferimento al  genere del capofamiglia. Non sono statistiche individuali. Per non parlare poi della difficoltà di stimare il reddito individuale partendo da quello familiare, un problema che emerge in tutta la sua rilevanza quando, in caso di separazione o divorzio, vi è la dipendenza della donna dal reddito del marito. In tal caso le donne a rischio povertà diventano delle invisibili! Non le vediamo più, non rientrano nelle statistiche. Allora intanto, dobbiamo aver chiaro che quando si parla di impoverimento delle donne, la maggior parte degli studi si sono occupati principalmente di appurare se le donne siano più povere degli uomini (cioè, uno studio della povertà delle donne) o se tra i poveri ci siano più donne che uomini (cioè, uno studio della “femminizzazione” della povertà).Ora sebbene l’importanza di questi studi sia ben riconosciuta, di recente ci si sta muovendo verso studi di povertà al femminile che adottano una prospettiva di genere. In altri termini, non si tratta tanto di vedere che le donne siano povere, quanto che la povertà è condizionata dal genere (dall’essere donna). In effetti la povertà è un fenomeno che colpisce in maniera diversa uomini e donne anche perché sono significativamente diversi gli eventi che determinano la povertà maschile da quella femminile. Le donne diventano povere per problemi relativi alla nascita dei figli (come ad esempio maternità affrontate in solitudine), oppure per insuccessi nel lavoro, per rottura del matrimonio, vedovanza, l’arresto del marito, e ovviamente le donne diventano povere per tutti quei problemi che nascono dalla dipendenza sia economica che emotiva dagli uomini. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) calcola il grado di sviluppo umano di ogni Paese, ma ovunque le donne sono sempre svantaggiate. Per questo motivo, le Nazioni Unite, con documenti annuali, denunciano che “nessuna società tratta le donne tanto bene come gli uomini”. Oggi a ben vedere, l’icona dell’insicurezza economica, è una madre lavoratrice in affanno di prima mattina, di corsa mentre tenta di sistemare contemporaneamente il figlio e un genitore anziano, schiacciata tra lavoro a basso reddito e i diversi compiti di cura.

 

SAN MANGO d'AQUINO MONUMENTO EMIGRANTICi troviamo in un momento storico in cui le donne si trovano a ricoprire ruoli che in passato appartenevano solo agli uomini, cioè ai capofamiglia: se, da un lato, continuano a mantenere le responsabilità affettive e di cura, dall’altro i loro compiti si sono estesi alla direzione familiare e al mantenimento dei figli. Ma come vedremo a breve, questa trasformazione del ruolo della donna non ha coinciso con una trasformazione del mercato del lavoro e delle politiche sociali rivolte alle donne, e se ciò in parte è avvenuto, è ancora insufficiente. I cambiamenti culturali ci sono ma sono lenti, allora iniziamo con lo sfatare alcuni luoghi comuni come ad esempio «la donna ha il marito ed i figli ed è dunque più protetta e rischia meno sul fronte della povertà», questo luogo comune oggi perde di senso, non ci fa comprendere il fenomeno dell’impoverimento della donna, poiché le donne continuano a farsi carico del lavoro di protezione degli altri membri della famiglia anche in condizioni economicamente difficili e precarie, finendo per essere loro più svantaggiate degli altri membri della famiglia.A conferma di ciò, un Rapporto di Save the Children su “Le condizioni di povertà tra le madri in Italia”, rileva come le donne che vivono in coppia sono più a rischio di impoverimento, soprattutto se risiedono nel Mezzogiorno, hanno tre o più figli, e/o condividono l’abitazione con altri soggetti (spesso figli adulti sposati o genitori anziani). Ecco, queste donne risultano più a rischio povertà, poiché spendono i propri guadagni per la famiglia e per la gestione della casa anziché per se stesse. Sono loro infatti che gestiscono magri bilanci familiari e che decidono cosa si compra al mercato e cosa no, quali bollette occorre pagare e quali possono aspettare, come si ridistribuiscono i soldi della pensione del nonno o il salario – quasi sempre al nero – del figlio maggiore. Ma a ben vedere, questo potere di scelta e di azione circa la destinazione da dare ai pochi beni appare più come l’ effetto di un processo di interiorizzazione di obblighi familiari, più che essere un vero e proprio potere di decisione della donna. Non a caso la ricerca tende oggi a parlare di “femminilizzazione della sopravvivenza”  un fenomeno che vede ricadere sulle donne la crescente responsabilità di assicurare la sopravvivenza familiare, alimentando così la mancanza di presa in carico da parte della società per sopperire appunto ai bisogni delle famiglie e alla loro sopravvivenza. Perché faccio questa affermazione perché in Italia anche quando si  investe per combattere la povertà, per aiutare la famiglia, si tende a dare soldi piuttosto che servizi durevoli nel tempo, piccoli benefici economici che sono un palliativo e non la soluzione al problema.

SAN MANGO AQUINO ANFITEATRODunque chi sono le “donne povere”? Sappiamo che esse non costituiscono un gruppo omogeneo, nel senso che vi sono tanti tipi di situazioni: può trattarsi della donna in famiglia oppure sola, sposata o separata/divorziata o vedova o nubile, giovane o anziana, con o senza figli.  Ma tra questi gruppi quello composto da donne sole con figli, è attualmente un nuovo gruppo sociale che rientra ahimè a pieno titolo nella categoria sociale dei “nuovi poveri” di cui si parla tanto.Il genitore solo è quasi sempre donna per varie cause: perché c’è la tendenza ad affidare alle madri la custodia dei figli in caso di separazione o divorzio, perché ci sono molte madri single con figli nati al di fuori del matrimonio che vanno a vivere con la madre, o perché c’è una più elevata propensione da parte degli uomini rispetto alle donne ad un secondo matrimonio o convivenza.E qual è la condizione in Italia delle donne sole con figli? La maggioranza di loro quando lavorano, continuano ad essere segregate in lavori meno retribuiti, con contratti precari, relegate in forme di part time che magari inizialmente hanno scelto per conciliare vita e lavoro, ma dai quali non riescono poi ad uscire per raggiungere un’occupazione piena e stabile. Permettetemi un inciso che vale sia per le donne sole con figli che per le donne in generale, credo che la disparità di trattamento economico tra uomini e donne nel mondo del lavoro, il cosiddetto differenziale retributivo, sia legata anche al persistere di un altro “luogo comune” che vuole l’uso del part-time come strumento quasi esclusivamente al femminile. Poiché sono le donne che, a causa degli impegni familiari hanno meno disponibilità temporale e spaziale e quindi hanno carriere più discontinue e meno prestigiose, e conseguentemente hanno stipendi più bassi e pensioni più basse, dovendosi però confrontare con un modello e con un sistema premiante che si basa invece sulla presenza. Pensate che l’80% delle discriminazioni nel modo del lavoro è legato alla maternità! Un esempio sono le cosiddette “dimissioni in bianco”.

SAN MANGO FOTO GRUPPOIl quadro che si presenta è alquanto complesso: di fronte al mercato del lavoro la madre sola o più in generale la donna che non può contare né su una rete di aiuti familiari per la cura dei figli, né su un idoneo sistema di welfare, anche se in possesso di un titolo di studio medio-alto, subisce quello che il sociologo Merton ha chiamato “effetto Matteo”, cioè la donna accumula svantaggi su svantaggi con molta difficoltà ad uscirne. E’ evidente, quindi, che non è tanto – o solo – la condizione di genitore unico in sé a rendere poveri e impoveriti, quanto quella di “genitore unico donna”. E quando la donna diventerà anziana, sarà forse fuori da questo “effetto Matteo” o circolo vizioso dell’impoverimento? Ebbene le donne anziane, assieme alle donne sole con figli, sono un’altra consistente categoria di “nuovi poveri”, di donne più a rischio di povertà. Le donne si chiederanno “chi arriverà mai all’età pensionabile? morirò prima!” E invece no, ecco un punto a nostro favore, mediamente le donne vivono più a lungo degli uomini, circa il 90% delle donne anziane sopravvivono ai loro mariti, percependo una pensione di reversibilità mediamente pari a € 640. Dunque spesso queste “nonne” diventano una parte indispensabile della famiglia, poiché grazie alla loro, seppur piccola, entrata sono in grado di fornire un sostegno economico importante. Ma, quando le donne anziane rimangono sole cadono in una condizione di povertà assoluta. Le donne anziane povere  lo sono  a causa delle ridotte possibilità di lavoro che hanno avuto da giovani, come dicevamo prima, a causa dell’irregolarità contributiva e delle penalizzazioni che hanno subito durante gli anni lavorativi. Lo sono perché il lavoro di cura, a cui si sono dedicate per tutta la vita, sopperendo alle lacune di un welfare quasi inesistente, non ha trovato alcun riconoscimento contributivo. La povertà anziana si fa ancor più pesante con l’avanzare dell’età, quando cominciano ad aumentare i rischi per la salute e la progressiva perdita di autonomia che si accompagna alla solitudine, che diventa l’ unica compagna di una vita povera e impoverita.

 

MANIFESTO 26 settembre 2015Concludo il mio intervento, consapevole di non aver potuto toccare tutti gli aspetti di questo fenomeno sociale, ma una risposta al mio interrogativo iniziale se “le donne sono povere o impoverite?” credo di poterla dare: la donna seppur povera, può e deve scegliere di non essere impoverita. Sì, perché la povertà delle donne non è solo quella materiale, è anche e soprattutto impoverimento culturale e sociale. Viviamo in una società dove si rischia di rimanere impoverite di diritti, una società che tenta di impoverirci di idee buone e di voglia di combattere, allora bisogna reagire e non lasciarsi sopraffare. Occorre battersi contro le discriminazioni e le false credenze, contro una tv e un sistema informativo che ci mostra stereotipi di donne che nulla hanno a che vedere con la realtà quotidiana. Dobbiamo pretendere ad esempio che i servizi e gli interventi di conciliazione vita-lavoro non siano un optional ma una certezza, dobbiamo rendere ancora più chiaro il concetto che senza una presenza reale delle donne che sia numericamente forte (in tutti contesti, in primis nei luoghi di decisione politica) è impossibile avviare una trasformazione della società anche e soprattutto nelle misure contro la povertà. La crisi ha colpito anche le donne, forse siamo un po’ più povere economicamente ma ribadisco non possiamo permettere a nessuno di impoverirci delle nostre idee, della nostra dignità e di quella forza che ci permette di sorridere ai nostri figli e ai nostri mariti, anche dopo una dura giornata di lavoro.

 

 Annamaria Bruzzese – Sociologa ANS-

Relazione Convegno “Le nuove povertà”- San Mango D’Aquino, 26/09/2015.


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