DIRITTO ALLA RESISTENZA NELLA GOVERNANCE GLOBALE,STRUTTURARSI PER DESTRUTTURARE

SONIA 15 LUGLIO 2015L’universalità del diritto all’alimentazione, implica la possibilità per ogni individuo di accedere al cibo o ai mezzi per approvvigionarsene, quindi diritto a poter produrre il cibo. Tuttavia, in ogni Paese il reddito dei produttori agricoli è notevolmente inferiore rispetto a quello degli occupati nelle aree urbane, con la conseguente e paradossale povertà e fame del mondo rurale. Il rafforzamento del settore agricolo e, soprattutto, dei contadini di piccola scala, potrebbe essere un primo passo per abbattere questo muro. La rinnovata attenzione al settore primario incontra, però, diverse prospettive al suo sviluppo: chi combatte per avere un cibo senza patria, senza origine, omologato, di trasformazione industriale, cibo dei mercati del mondo e di nessuno (tipico di un’agricoltura mineraria proiettata su consumi di massa) e chi lotta per un cibo frutto naturale di un territorio, ricco di tradizione e degno di contemporaneità, incorporato nei cicli naturali, ancorato ai mercati locali (tipico dell’agricoltura di prossimità funzionale alla sopravvivenza sociale). Inoltre, nel proiettare  l’agricoltura nell’economia globalizzata per agevolare il Sud del mondo ad uscire dalla  morsa del sottosviluppo, non si è tenuto conto della diversità dei contesti rurali. La produzione contadina di piccola scala, infatti, è stata considerata come un settore arcaico non funzionale al progresso, con la conseguente trasformazione del contadino in agricoltore, fino a diventare imprenditore agricolo, privo di spirito innovatore, figlio dell’agricoltura moderna, che persegue la massimizzazione delle rese, dedito alla produzione di massa omologata di un cibo come commodity (1). Il nuovo paradigma dell’agricoltura industrializzata sostituiva così quello dell’agricoltura contadina, familiare, di piccola scala e agro ecologica: il contadino rimpiazzato con l’imprenditore, il lavoro col capitale.

Le crisi che si sono susseguite come tempeste tropicali sull’economia mondiale, impongono una rivisitazione dei sistemi agroalimentari.

L’agricoltura contadina deve essere considerata un mondo composito culturale e produttivo non omologabile ed  estremamente dinamico, nel quale si produce innovazione. Pertanto, il ruolo dell’agricoltura dovrebbe essere quello di:

  • Tutelare la sicurezza alimentare in qualità e quantità;
  • Mantenere gli equilibri sociali;
  • Contribuire alla crescita economica e culturale dei ruoli;
  • Gestire in modo ecologicamente giusto le risorse.

L’agricoltura capitalista e industrializzata è un’agricoltura mineraria poiché prende di quanto immette nel sistema. All’agricoltura mineraria, corrisponde una forma di governo orientata a sostenere questo tipo di agricoltura basata sulla concentrazione, il consolidamento e il controllo.

La modernizzazione dell’agricoltura è stata caratterizzata da:

  • Economie di scala;
  • Specializzazione produttiva;
  • Redditività;
  • Efficienza;
  • Mercato;
  • Vantaggio cooperativo e vocazione;

Le conseguenze di ciò si possono sintetizzare in:

  • Capitalizzazione crescente;
  • Concentrazione;
  • Controllo in aumento di processi e prodotti;
  • Costo decrescente delle materie prime agricole;
  • Estroversione dell’agricoltura, ossia un espandersi delle distanze che allunga il tempo di trasporto dei prodotti;
  • Riduzione del lavoro in termini di addetti e nelle aziende agricole;
  • Insicurezza alimentare;
  • Subalternità dell’agricoltura;
  • Pagamenti diretti alti che contribuiscono alla formazione del reddito aziendale;
  • Politiche europee che promuovono un certo tipo di agricoltura attraverso cicli di investimenti (2).

I dati  2010 di Fao e Onu, mostrano come il sostenere un’agricoltura industrializzata non rispettosa della stagionalità e della prossimità spaziale così come delle tecniche proprie dell’attività agricola che si inscrivono nei cicli naturali della natura, comporta degli squilibri a livello mondiale non indifferenti:  più di 1 miliardo di persone sono sottoalimentate, l’80% degli affamati vive in aree rurali, il 90% del cibo consumato dai poveri (3) è prodotto localmente. È chiaro, dunque, che fame  povertà non sono fenomeni urbani e che l’agricoltura figlia adottiva della modernizzazione, ha condizioni di vita insostenibili dal momento in cui viene soffocata dal contesto politico e sociale.

La limitazione dello spazio di mediazione, ossia del dialogo sociale, che si manifesta essenzialmente con l’imposizione delle regole e con la coercizione, provoca la rivolta e la resistenza contro il sistema imposto dall’alto. È così che la guerriglia istituzionale è mirata a sovvertire i processi di forza all’interno delle istituzioni, mentre la sovranità alimentare diventa una forma di lotta nella sua accezione più profonda, o meglio, una piattaforma di lotte articolate e condivise tra  organizzazioni sociali diverse tra loro per natura, scopo e dimensione.

Contemporaneamente si rileva un mutamento nei consumi che è sia sintomatico della crisi economica e finanziaria degli ultimi anni (4) e sia conseguenza di un cambiamento della scala gerarchica dei valori di ogni individuo. La variabile del consumo è molto importante per i processi di cambiamento, in quanto il consumo può agire come forza modellante della produzione.

Pertanto, affinché sia visibile il cambiamento, è necessario intraprendere un percorso che coinvolga produzione e consumo, contadini e Gas. L’accorciamento delle distanze tra produttori e consumatori, prendendo come punto di riferimento il prezzo sorgente che è quello proposto dal produttore prima di qualsiasi passaggio nella catena commerciale, incide sicuramente in maniera positiva sulla fascia povera dei consumatori, i quali tendono a spostarsi su scelte non di consumo critico  mano a mano che peggiora la loro situazione economica. Tuttavia, pur lottando per fin comuni, si incontrano degli ostacoli non indifferenti, come la questione del giusto prezzo: quale prezzo si dovrebbe pagare? Quello corrispondente al costo del prodotto del lavoro del contadino? Sicuramente, non sarebbe l’opzione ideale, in quanto i mercati si adeguerebbero a quel prezzo alimentando una concorrenza sleale, che vorrebbe dire un vero e proprio suicidio dei contadini.

Inoltre, quanto l’avanzata dei diritti dei contadini negli spazi lasciati dalla politica e nelle grandi istituzioni governative per rivendicare la sovranità alimentare, può essere incisiva in assenza di una democrazia effettiva?

Una certezza che possiamo avanzare da quanto detto finora, è che se si intende salvare un Paese povero che vive di agricoltura, è necessario investire sull’agricoltura. Tuttavia, spesso si assiste o una sottocapitalizzazione del settore agricolo, per ragioni di ignoranza o di superficialità, oppure ad un errata valutazione della spesa. A 18 anni dalla Conferenza di Rio, si è assistito ad una esplosione delle crisi, tutte legate tra loro: quella alimentare nel 2007, la quale ha comportato la messa in discussione del commercio libero e ha aperto uno spiraglio alla piccola produzione su base familiare, a seguire, quella energetica, climatica, economico-finanziaria, che sono espressione di una debolezza della governance globale (5). La struttura del potere decisionale sta vacillando da un po’ di tempo, sotto l’urto dei movimenti sociali che sono espressione della forza di opposizione che è produttrice di  innovazioni. Dunque, accanto ad una retorica di partecipazione sociale, stanno emergendo determinati linguaggi rivelatori di una resistenza. Allo scopo di comprendere quanto il sistema delle Nazioni Unite si sia aperto alla  società civile, è stata avviata una ricerca sulla legittimazione della governance globale per fare il punto della situazione attuale a dieci anni dall’esplosione di relazioni nei Vertici Mondiali che hanno aperto le porte della governance globale ad attori non governativi. Alla fondazione delle Nazioni Unite, nel 1945, senza dubbio gli Stati sovrani sono gli unici giocatori. L’art.77 della Carta delle Nazioni Unite, a differenza della Lega delle Nazioni – l’antecedente esperimento di governo globale – prevede che l’ECOSOC (il Consiglio Economico e Sociale) possa entrare in rapporti consultativi con delle organizzazioni non governative che si occupano di materie rientranti fra le competenze del Consiglio: una dicitura estremamente vaga che in definitiva offre la possibilità di creare dei rapporti formali attraverso l’accreditamento con dei Consigli internazionali, professionali, religiosi o sindacati da cui si prevede un contributo morale e intellettuale, in quanto osservatori di un processo puramente intergovernativo. Queste organizzazioni sono definite in opposizione ai governi – si parla di organizzazioni non governative (6), anziché in termini positivi per evidenziare altre loro caratteristiche – e manifestano la visione prettamente occidentale di una società civile strutturata. Nello stesso periodo, nel 1944, vengono fondate le Istituzioni di Bretton Woods (la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale). A differenza delle Nazioni Unite, dove i membri hanno un voto (anche se alcuni hanno un peso maggiore di altri), nella BM e nel FMI non tutti gli Stati sovrani sono automaticamente accettati come membri e il peso del voto dipende dalla quota di contribuzione. Inoltre, queste Istituzioni inizialmente non prevedono alcun tipo di rapporto con le organizzazioni non governative.

All’inizio degli anni ‘70a si verifica il boom dell’indipendenza di molti Stati africani: più di 100 nuovi membri entrano nelle Nazioni Unite e quindi si ha uno sconvolgimento, sia nel numero che nella tipologia dei Paesi membri, che introduce all’interno delle Nazioni Unite una serie di questioni Nord/Sud. Allo stesso tempo, accanto ad un sistema Nazioni Unite in mutamento, emergono nuove tipologie di organizzazioni della società civile che si mettono in rete per condurre delle campagne, dando vita ad un fenomeno di networking e di dialogo tra organizzazioni non governative (tuttavia sempre del Nord), che seguono con enorme interesse i dibattiti intorno alle questioni Nord/Sud. Negli anni ‘80 si assiste anche alla crescita di movimenti popolari di resistenza all’impatto delle politiche neoliberali nel Sud del mondo. Negli anni ’90 si comincia a parlare di società civile (7), proprio in u periodo in cui viene messo in discussione il rapporto tra stato e mercato. L’espressione “società civile” non è di facile definizione. Ciò che sembra chiaro è che si parla di uno spazio, più che di una categoria di organizzazioni, che si colloca tra Stato, mercato e individui/famiglie. Fra questi tre componenti della società esiste, infatti, uno spazio in cui più persone si organizzano per portare avanti interessi, valori e progetti. Sempre negli anni ’90 si assiste al fenomeno dell’estensione e della radicalizzazione dei movimenti sociali: come abbiamo appena detto il Movimento dei Senza Terra nasce nel 1984; nel 1993 nasce la Via Campesina, una realtà prima latino-americana ed europea che poi si estende anche nelle altre regioni del mondo; il ROPPA (Reseau des Organisations Paysannes et des Producteurs de l’Afrique de l’Ouest, la Rete di Organizzazioni Contadine dell’Africa Occidentale) nel 2000. Insomma, un periodo storico in cui si regionalizzano e si globalizzano i movimenti sociali e in cui l’incontro con il mondo del sistema Nazioni Unite, che prima si svolgeva solo nelle sale del Palazzo di Vetro a New York e nelle altre agenzie disseminate sul territorio, si sposta nelle strade del mondo. Il luogo di riferimento è Seattle, dove nel 1999 la contestazione dei movimenti sociali si manifesta in modo eclatante. È uno shock per il sistema delle Nazioni Unite il fatto che tanta gente sia giunta da ogni parte del mondo nel profondo Ovest degli Stati Uniti, dimostrando grande forza e organizzazione tra le Ong.

Da parte delle Nazioni Unite, si avverte sempre di più la necessità di passare da un processo assolutamente intergovernativo, in cui i governi erano gli unici attori, a quella che inizia ad essere definita “governance globale”. Le organizzazioni della società civile chiedono di partecipare nelle sedi decisionali con due aspettative: incidere sui processi politici in atto (scopo non ancora pienamente raggiunto) e favorire la conoscenza reciproca per creare rete.

Alcuni degli attori che giocano un ruolo rilevante nella governance globale sono:

  1. Il sistema delle Nazioni Unite che, nonostante tutte le sue debolezze, comprende una membership universale, in cui ogni Paese ha un voto (non tutti dello stesso peso) e che ha il mandato di lavorare per la pace, l’equità e la difesa dei beni pubblici.
  2. Le istituzioni finanziarie (BM, FMI, WTO) che hanno una governance diversa e che hanno il mandato di promuovere uno sviluppo prettamente economico e il libero commercio, senza la priorità di ridurre la povertà nel mondo;
  3. Da una parte, i Forum dei Paesi ricchi (il G7, poi divenuto G8, e che ora tende a manifestarsi anche come G20 per apparire più politically correct incorporando le cosiddette economie emergenti) e l’OCSE; dall’altra, il G77, dei Paesi nominati “in via di sviluppo”, che però ha molte più difficoltà ad esprimere una voce unica, dal momento che di tale gruppo fanno parte Paesi (come Cina, India e Brasile in particolare) che hanno anche interessi diversi da molti punti di vista, mentre il G8 risulta molto più compatto;
  4. Un tessuto molto complesso di meccanismi regolatori internazionali che hanno grandi difficoltà a tenere il passo con le evoluzioni tecnologiche (ad esempio, con le nanotecnologie), accompagnato da reti globali di politiche settoriali che vengono gestite da gruppi tecnici, che richiede un livello di lavoro molto intenso e che non è sottoposto ad un controllo politico globale;
  5. Ancora più incontrollati, sono gli attori globali finanziari ed economici che non sono controllati da nessuno;
  6. La società civile, che tra tutti gli attori, rappresenta l’unico insieme di “difensori dei valori” su cui sono formalmente fondate anche le Nazioni Unite (l’equità, i diritti umani, la difesa dei beni comuni) e che sembrerebbe, dunque, rappresentare il braccio operativo delle Nazioni Unite.

Guardando al rapporto tra società civile e Nazioni Unite, alcuni sviluppi che si notano in tutto il sistema negli ultimi 15 anni sono:

  • Una forte crescita di interesse verso la società civile che si evidenzia con una strategia di collaborazione con la società civile;
  • Una prolifica moltiplicazione di pratiche di partecipazione, le quali favoriscono la trasparenza dei processi e che permettono, appunto, alle organizzazioni di partecipare senza, però, avere incidenza sui processi politici organizzativi. Una sorta di conferenze parallele in cui la società civile è semplicemente un osservatore silenzioso;
  • La volontà delle organizzazioni di influenzare le decisioni politiche, pur non aspirando all’ottenimento del voto;
  • Il sospetto tendente alla certezza, che quella delle organizzazioni governative sia solo un’apertura di facciata nei confronti della società civile.

Ulteriori interrogativi hanno stimolato il percorso di analisi: quali sono le sfide mirate a conferire una maggiore incidenza politica ai movimenti sociali? Quali sono le sfide portatrici di futuro e come viene gestito il rapporto collettivo tra Nazioni Unite e società civile? Sono state studiate 24 organizzazioni ognuna delle quali ha manifestato un risvolto diverso. Solo per due casi su 24, l’Agenzia delle Nazioni Unite attribuisce alle organizzazioni, autonomia di gestione e di intervento. Tuttavia, è da precisare che la stragrande maggioranza delle organizzazioni con cui le Nazioni Unite sono in contatto, sono delle Ong.

Resterebbe da capire quali potrebbero essere i potenziali benefici di una interazione più intensa e come superare il gap tra globale e locale. Inizialmente, le Nazioni Unite avevano stabilito dei principi per definire il coinvolgimento della società civile:

  • La presenza di democrazia rappresentativa e partecipativa;
  • Il diritto ad aut organizzarsi della società civile;
  • La responsabilità delle organizzazioni sociali di praticare governance e trasparenza;
  • Impostare un rapporto paritario e continuativo tra Nazioni Unite e società civile;
  • Rispettare le pratiche di consultazione delle organizzazioni popolari;
  • Il rispetto delle regole all’interno degli spazi di interfaccia coogestiti;
  • La coerenza tra teoria e pratica, tra quanto si stabilisce e quanto poi si concretizza.

Una problematica da analizzare, è come colmare il gap tra le cose che avvengono a livello globale e quelle a livello locale. Dalla ricerca emerge, infatti, che l’interazione, solitamente, è molto debole e questo è un dato alquanto negativo, se pensiamo che il motore del cambiamento deve venire dal basso.

Le conclusioni a cui perviene la ricerca sono essenzialmente due: le organizzazioni della società civile hanno poco peso politico, e mancano le voci che sono più colpite dall’iniquità della governance globale. Per andare più a fondo su tali questioni, bisognerebbe concepire delle metodologie che consentano di integrare gli attivisti sociali nella ricerca insieme ad accademici, personale dell’ONU e rappresentanti dei governi.

Un’altra ricerca ha riguardato il caso-studio di un movimento sociale del sud: il movimento contadino dell’Africa occidentale e il cammino che hanno compiuto negli ultimi 30 anni, partendo dalle ragioni iniziali della loro marginalizzazione fino al rovesciamento della situazione.  La ricerca è stata avviata allo scopo di  osservare dall’altra parte della barricata come nasce, cresce e si sviluppa un movimento contadino e, soprattutto, come arriva ad incontrarsi, e qualche volta scontrarsi, con il sistema della governance globale.

Le condizioni che facilitano la nascita di un movimento sociale che sia incisivo sul territorio sono:

  1. Un contesto sociale ed economico che si trovi in una fase di cambiamento;
  2. La capacità di sfruttare gli spazi politici disponibili ovvero la capacità di proporsi e di legittimarsi;
  3. Coltivare reti di alleanze composte da attori sociali con cui non si è mai avuto comunicazione.

Tali premesse devono svolgersi non solo nell’arena politica formale, ma anche  e soprattutto nella pratica quotidiana. In Africa non si è colto il protagonismo degli attori rurali capaci di innovazione. Si conserva un pregiudizio di fondo il quale impedisce l’ascolto e la considerazione. Da un vertice mondiale sull’alimentazione del 1996, è emerso che quasi la metà degli 80 Paesi che non riescono a produrre, si trovano in Africa. Un secolo fa, circa l’80% dei piccoli contadini africani soddisfano in gran parte il fabbisogno alimentare interno e questo era indicativo di una buona gestione delle risorse con una conseguente sicurezza alimentare. Quindi, nell’Africa precoloniale vi erano:

  • Tecniche agricole inscritte nei cicli naturali;
  • Reti di contadino e reti di scambio all’interno della regione;
  • Soddisfazione del bisogno alimentare interno.

Con l’avvento del colonialismo, i contadini africani vengono letteralmente delegittimati: l’uomo bianco insegna ai contadini africani le moderne tecniche di produzione agricola, a scapito delle tradizioni e della naturale vocazione dei territori. I cambiamenti prodotti dal colonialismo sono stati deleteri a causa dello sconvolgimento dell’equilibrio esistente e dell’assenza di un nuovo equilibrio; ciò è ancora più evidente se pensiamo che il cambiamento è stato provocato dall’esterno, non è frutto di un processo interno di trasformazione, come è avvenuto per l’Italia che si avviava all’industrializzazione. L’impatto devastante è stato generato da:

  • L’introduzione di esportazioni, allo scopo di alimentare le fabbriche dei poteri coloniali che tendevano ad occupare le loro terre;
  • La monetarizzazione dell’economia, che ha convinto i contadini ad abbandonare la loro economia di scambio attraverso la tassazione, innescando un processo di cambiamento e di indebitamento di questi Paesi.

Tali meccanismi hanno:

  • Indebolito le unità familiari di produzione;
  • Creato un dualismo tra settore di produzione moderno e sistema di sussistenza, ormai invisibile e lasciato in mano alle donne;
  • Intensificato la crisi alimentare.

L’intervento coloniale è stato giustificato dall’ideologia del “selvaggio arretrato” che, non solo giustifica il colonialismo, ma fa in modo che gli africani diventino da attori degli spettatori e genera cecità rispetto alla realtà africana. Nonostante, oggi non si parli più in questi termini razzisti, la tendenza alla cecità da parte dell’uomo occidentale continua a permanere.

Con l’indipendenza politica dell’Africa (10), la situazione non cambia di molto poiché ci troviamo di fronte a:

  • Stati deboli con confini stabiliti artificialmente a tavolino;
  • Classi governanti più attente all’urbano che al rurale e più rivolte verso l’esterno che all’interno;
  • Margini di autonomia molto limitati;
  • Difficoltà nell’agevolare la vera vocazione del territorio: la ricchezza delle campagne va a finanziare altre attività dedite all’industrializzazione; questa rappresenta la principale causa di povertà dell’Africa.

Il contadino, dunque, viene marginalizzato attraverso:

  • la proclamazione di una sola ricetta valida per tutte le situazioni;
  • la consacrazione della scienza e della tecnica a danno dei saperi locali;
  • la pianificazione centralizzata dello sviluppo.

Si definiva economia affettiva quella degli africani che si opponevano all’economia capitalistica. Il movimento nazionale dei contadini in Senegal, si è preoccupato sin da subito di ripristinare l’identità dei contadini, attraverso la costruzione di una piattaforma in cui tutti si riconoscessero nell’agricoltura familiare. La mobilitazione e il confronto sono stati altri due elementi determinanti. Il Roppa (11) , che rappresenta i contadini dell’Africa Occidentale, porta a livello regionale i valori di una cultura contadina ad unità produttiva familiare. Caratteristica del Roppa è l’inclusione di altri gruppi comuni che intendono interfacciarsi con Governi e Banca  Mondiale,  allo scopo di costruire una piattaforma continentale delle organizzazioni agricole africane. Il dialogo si basa essenzialmente sul fatto che in Africa si è registrato un forte incremento della produzione, ma allo stesso tempo si registra un netto aumento della dipendenza alimentare. Le linee-guida della piattaforma Roppa per ridurre la povertà e recuperare le famiglie dei contadini sono:

  • diversificare l’economia;
  • supportare politicamente l’agricoltura;
  • agevolare la coltivazione dei prodotti locali;
  • assicurare privatizzazione trasparente delle catene alimentari: non si nega completamente la possibilità di privatizzare, ma si chiede di farlo in modo trasparente, permettendo alle organizzazioni agricole di partecipare a tali catene e agli agricoltori di avere una parte del valore aggiunto (12);
  • garantire la sovranità alimentare (13) e la partecipazione democratica.

I risultati a cui perviene la ricerca si rifanno, sostanzialmente, alla necessità di azione nei territori africani in recupero delle tecniche e delle tradizioni contadine. È proprio per queste ragioni, infatti, che il movimento contadino si è organizzato e si è arrampicato fino alle sale del Congresso della FAO. Visto l’incremento della popolazione e l’avanzata galoppante dell’urbanizzazione, quello africano sembra essere l’unico mercato destinato veramente a crescere. Tuttavia, il solo dialogo tra governi e organizzazioni sociali non basta, poiché manca l’apertura di un confronto con l’interlocutore principale: le multinazionali, le quali rappresentano il vero potere nel campo agroalimentare moderno. Il conflitto, dunque, permane ed è più acceso che mai tra le famiglie contadine a cultura locale e la globalizzazione modernizzatrice  e omologante.

 

In conclusione, è impellente la necessità di organizzare una nuova agenda internazionale che parta dai diritti, dal contributo ambientale e culturale che l’agricoltura assolve, in modo da ridefinire funzioni e rapporti con i territori; riconsiderare il mondo rurale compresi i suoi piccoli produttori e contro la deriva produttivi sta e liberista. È vero che le forze economiche egemoni producono il cambiamento, ma è anche vero che le politiche del WTO, della Banca Mondiale  e delle governance istituzionali, hanno impattato su Nord e Sud del mondo in maniera forte  e diversa, ma  allo stesso tempo, si registrano  delle prese di posizione dal basso. Da non sottovalutare, per ultimo, il ruolo dei consumatori, i quali svolgono sicuramente un ruolo di sostegno all’agricoltura di prossimità; la presa di coscienza di fette sempre più larghe di popolazioni sulle problematiche che attanagliano ambiente, società ed economia e che investono  l’equa ripartizione delle risorse alimentari, è sintomatico di un cambiamento di paradigma degli stessi consumi: un consumo consapevole, critico, responsabile verso sé stessi e verso gli altri.

Per quanto concerne la governance globale , questa ha sicuramente dei punti critici da analizzare e risolvere. L’avanzamento di alcune proposte, come quella di far in modo che i processi di concertazione partano dal basso, invertendo in tal modo il meccanismo di funzionamento dei centri decisionali governativi, può essere di sostegno ad una logica rinnovata di azione, più incisiva e più efficace.

Tuttavia, il problema è che probabilmente le Nazioni Unite incidono relativamente poco sul sistema di governance globale, in quanto il potere rimane e si accumula nelle mani delle grandi istituzioni finanziarie (WTO, BM e FMI). Certo è che il movimento sociale, più che la società civile, porta delle resistenze importanti e produce innovazioni, modificando, seppur lentamente, un sistema che finirà con l’accartocciarsi su sé stesso senza il consenso del popolo. È necessario aggirare i pericoli di cooptazione dei valori propri dei movimenti sociali, ma rimangono dei dubbi su come far in modo che questi non vengano strumentalizzati. Le cooptazioni più forti avvengono nell’ambito della Banca Mondiale dove la società civile ed i movimenti sociali vengono tenuti fuori e dove si fa una distinzione netta tra chi nella società civile accetta il dialogo e chi lo rifiuta. Ad esempio, Via Campesina non accetta il dialogo con la BM, mentre dialoga molto con la FAO perché percepisce un potenziale spazio politico. Adottare la politica dell’esclusione può portare a dei risultati con “poca fatica”, mentre quella dell’inclusione potrebbe rivelarsi più efficace nel lungo periodo ma più esposta ai fallimenti.

Riguardo al movimento di resistenza contadino in Africa, invece, è chiaro come la reazione occidentale alla carestia ha ignorato totalmente il modo in cui gli Africani stessi stavano tentando di dare soluzioni ai loro problemi. In primo luogo, la popolazione locale non vagliava la situazione come una “crisi”, ma come esito di una condizione che avevano osservato svilupparsi. Dunque il termine “crisi”, di cui tanto si parlava in occidente, per loro era una categoria artificiale. Inoltre, le popolazioni rurali stavano contrastando in modo positivo e creativo le problematiche attraverso dei meccanismi di solidarietà, l’elaborazione di strategie alternative di sviluppo, realizzando e consolidando le loro organizzazioni per dare avvio alla costruzione di un movimento contadino. Tuttavia, le iniziative autonome intraprese dalla popolazione non sono state riconosciute e sostenute né dai governi locali, né dai donatori esterni. È palese che, in realtà, l’aiuto allo sviluppo offerto dall’occidente, tende spesso a bloccare le trasformazioni sociali essenziali allo sviluppo, anziché sostenere le strategie e i movimenti contadini.

NOTE

[1] Tant’è che l’efficienza dei sistemi agrari è valutata in funzione della produttività per addetto e, in questi termini, l’agricoltura industrializzata non ha nulla da temere.

2 La PAC  per le aziende rappresenta il 3,5% del reddito nazionale.

3 Per povero si intende colui che vive con meno di 2 dollari al giorno.

4 La diminuzione degli acquisti di prodotti alimentari e il cambiamento della natura dei consumi, sono indici di una fortissima crisi.

5 Per governance globale si intende: Onu, Banca Mondiale, FMI, reti globali di politiche settoriali, società civile, attori economici e finanziari, Wto, Ocse, forum dei Paesi ricchi, G8.

6 Intese come organizzazioni volontarie no profit ed intermediarie che offrono servizi ai settori svantaggiati della popolazione, in termini sia di azioni operative sul terreno sia di advocacy nell’interesse delle popolazioni svantaggiate, senza tuttavia rappresentare direttamente i soggetti ai quali vengono prestati tali servizi

7 Sono, in sostanza, organizzazioni popolari di emanazione diretta di questi settori della popolazione, che li rappresentano e sono dunque capaci di parlare a loro nome, dovendo poi anche rendere conto agli interessati.

8 La speculazione finanziaria che è emersa con queste ultime crisi ne è la dimostrazione.

9 Alcune dipendono direttamente dal Segretario Generale delle Nazioni Unite e dall’Assemblea Generale dell’ONU: Department of Public Information (DPI); Division for Advancement of Women (DAW); Department of Economic and Social Affairs (DESA); Financing for Development Office (FFD), DESA; Commission for Sustainable Development (CSD), DESA; NGO Section, DESA; United Nations Centre for Human Settlements (HABITAT); United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD); United Nations High Commission for Refugees (UNHCR); United Nations Environment Programme (UNEP); United Nations Development Programme (UNDP); World Food Programme (WFP).  Altre sono delle Agenzie specializzate: Food and Agriculture Organization (FAO); International Labour Organization (ILO); United Nations Industrial Development Organization (UNIDO); World Health Organization (WHO). Altre ancora sono delle istituzioni finanziarie internazionali: Asian Development Bank (ADB); African Development Bank (AfDB); Inter-American Development Bank (IADB); International Fund for Agricultural Development (IFAD); International Finance Corporation (IFC); International Monetary Fund (IMF); World Bank (WB). Infine anche il WTO (World Trade Organization) e l’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development).

10Il Senegal è l’unico Paese che mantiene un certo clima di autonomia e democrazia.

11 Il motto del Roppa è: “Afrca can feed itself!”, l’Africa può i sé stessa.

12 Tuttavia, questa sembra essere una contraddizione in termini, poiché se c’è privatizzazione non ci può essere trasparenza.

13 La sovranità alimentare è la capacità (un diritto all’autodeterminazione) di un popolo di soddisfare il proprio fabbisogno alimentare (diritto al cibo e a produrre cibo) in quantità e qualità. Oggi i governi investono sempre meno nell’agricoltura (gli aiuti ufficiali sono diminuiti del 35% rispetto al decennio precedente, i fondi della BM sono diminuiti dal 39% al 7%.; inoltre, in Africa solo il 6% della terra arabile è irrigata, contro il 40% in Asia) tanto che sembra incredibile come i contadini africani riescano ancora a sopravvivere con la sottocapitalizzazione e la situazione in cui si trovano.

Sonia Angelisi   – sociologa ANS

 

 


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