DIALOGO GENITORI E FIGLI NELL’ERA DIGITALE
La società contemporanea è alle prese con una delle più importanti rivoluzioni della storia dell’uomo: quella digitale che ci ha proiettato in un mondo dominato dalla comunicazione e dall’informazione. Dalle reti, dunque, che ci catapultano in un mondo in cui spazio e tempo sembrano non esistere e la velocità impressa alla vita assottiglia sempre di più, fino a tranciarle, le nostre radici storiche, sociali e culturali. Noi tutti, obtorto collo, siamo diventati naufraghi della società liquida teorizzata da Zygmunt Bauman.
L’individualismo sembra prevalere sulla comunità e gli egoismi sulla solidarietà. Noi tutti viviamo il disagio della postmodernità, epoca in cui finanche sentimenti importanti come l’amore diventano liquidi e le persone, per effetto della globalizzazione, della delocalizzazione, dei fondamentalismi religiosi e non, dei modelli di produzione, della dittatura del capitalismo finanziario che continua a smantellare lo stato sociale, ci riducono in potenziali scarti da conferire in una grande discarica sociale.
Secondo teorie sociologiche ricorrenti, il modello occidentale di società, oggi, è caratterizzato dalla virtualità: anche perché mediamente trascorriamo online sei/sette ore della nostra giornata e quando stacchiamo la spina, cioè ritorniamo nella posizione di offline, avvertiamo un forte senso di disagio, di disorientamento, come dopo una sbornia. Ipad, Iphone, Facebook, Twitter ed altri strumenti tecnologici ci aiutano a diventare cittadini del villaggio globale, teorizzato negli anni Cinquanta del Novecento da MacLhuan, e, di conseguenza, ad allargare le nostre relazioni sociali fino a fare amicizia con centinaia o migliaia di utenti del web che poi, in qualsiasi momento, possiamo cancellare con un semplice clic del mouse sul tasto delete. E’ questo un esempio (ovviamente non il solo) di mondo virtuale, di società liquido – moderna. A questo modello, in modo sempre più insistente, però si contrappone una grande voglia di comunità.
Questa grande rivoluzione si ripercuote anche nelle relazioni generazionali, provocando effetti senza precedenti nei sistemi culturali e nelle strutture fondamentali della società. Innanzitutto, in seno alla famiglia e di conseguenza nelle relazioni tra genitori e figli.
In ogni periodo storico – il nostro punto di partenza è lo scorso secolo -, il rapporto, dunque il dialogo, tra genitori e figli ha una sua identità. Pensiamo alla famiglia patriarcale: un modello in cui, innanzitutto, la vita era caratterizzata dalla presenza di più elementi, finanche da più nuclei, e il lavoro scandiva i ritmi della giornata, organizzata dal capo famiglia. Al centro di questo modello troviamo l’autorità del capo. Il sistema di economia rurale imponeva l’esigenza di stare uniti per non disperdere le energie familiari. Ed i rapporti tra elementi erano – come detto pocanzi – disciplinati dall’autorità del capo famiglia, con il rapporto genitori /figli fondato su codici rigidi. Soprattutto rispetto alla figura del padre, mentre la donna, ancorché impegnata sia nell’educazione della prole sia nel lavoro dei campi, riusciva a svolgere quel ruolo affettivo di mamma di cui i figli, soprattutto durante l’infanzia e la preadolescenza avevano (ed hanno) bisogno. Non dimentichiamo che l’economia rurale necessitava di manodopera e, pertanto, l’alternativa per i ragazzi non era la scuola, ma il lavoro. Un dato confermato dall’analfabetismo, presente soprattutto nel Mezzogiorno.
Nel secondo dopoguerra – in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta, il periodo del cosiddetto “boom” economico-, le nuove tipologie di lavoro legate ai ritmi della fabbrica hanno provocato la radicale trasformazione della famiglia. Si passa così dalla famiglia patriarcale a quella nucleare (composta dal marito, dalla moglie e dai figli). Il ruolo di capofamiglia è svolto ancora dall’uomo, almeno fino all’entrata in vigore del nuovo diritto di famiglia del 1975.
In questo segmento di ‘900 cambiano i sistemi di vita: nasce una nuova figura di madre che si dedica interamente alla famiglia ed alla casa. E mentre l’uomo provvede al mantenimento, trascorrendo gran parte della giornata in fabbrica o in ufficio, è la donna il punto di riferimento della prole: mamma, sorella, confidente, a volte “complice” e finanche difensore d’ufficio dei figli anche rispetto alle loro pretese di non rimanere indietro rispetto ai coetanei appartenenti alla piccola borghesia. Il frigorifero in casa, poi la prima automobile per la gita domenicale fuoriporta che diventa elemento aggregante e strumento di un nuovo e diverso dialogo tra genitori e figli che assume un rapporto confidenziale.
Il modello di produzione americana, il cosiddetto fordismo, con la ricostruzione postbellica, per gli italiani del tempo, è un’ occasione da non perdere. Il sogno della fabbrica provoca la spoliazione delle campagne (soprattutto del Sud), produce un nuovo tipo di urbanizzazione e di organizzazione della società. Si afferma il modello consumistico che consente all’operaio di accedere al mercato dei beni di consumo che egli stesso produce.
Il nuovo benessere incide moltissimo sul dialogo tra genitori e figli e sulla stessa comunicazione all’interno della famiglia che, adesso, deve cominciare a fare i conti con la conflittualità generazionale, fino ad allora assente dalle mura domestiche per via dell’indiscutibile autorità paterna. Inizia l’ omologazione culturale, anche attraverso la televisione veicolo di propaganda della società consumistica. In questo periodo si registra altresì un profondo cambiamento anche per quanto riguarda l’istruzione a cui, grazie alla scuola dell’obbligo, fasce di ragazzi, appartenenti ai diversi segmenti di popolazione, e in misura sempre maggiore, possono accedere alla scuola media e ai successivi passaggi alle superiori e alle università.
Le lotte sindacali, i flussi migratori dal Sud verso il Nord Italia, la contestazione studentesca, la legge sul divorzio, l’aumento dei matrimoni civili producono ulteriori effetti in seno a questo microsistema sociale, a quest’organismo etico (come lo definì Emile Durkheim nella sua teoria organicistica) in cui le nuove generazioni acquisiscono le norme fondamentali di comportamento. Dal punto di vista etico – come cristiano e credente non posso non sottolineare questa circostanza- la famiglia trova nel cristianesimo e nella Chiesa cattolica un baluardo a difesa della dignità e della formazione umana e sociale dei suoi elementi.
La stessa Costituzione attribuisce un ruolo fondamentale a questo nucleo primario della società e la legislazione successiva alla legge del 1975, le situazioni di fatto, con l’importazione di modelli di convivenza già sperimentati nel mondo e in Europa, proiettano la famiglia nucleare in una dimensione tecnologica, come scrive il compianto sociologo pugliese Renzo Montemurno – al quale ci legava una comune militanza in seno all’Associazione Nazionale Sociologi – nel suo libro “Dalla famiglia patriarcale alla famiglia nucleare e tecnologica”.
Accennavamo agli effetti che la società dell’ICT (Information and Communication Tecnologicy) continua a produrre nei rapporti interpersonali e di gruppo e, naturalmente, nel dialogo genitori /figli. In un papà e in una mamma, oggi alberga il forte timore di perdere l’affetto dei figli, per questo, tendono ad assecondarli, a sedurli invece di educarli. Siamo così di fronte a un rapporto difficile, che ostruisce, a volte interrompe, il canale di comunicazione e, ovviamente, il dialogo tra genitori e figli. Non si può sottacere che le relazioni positive sperimentate nella loro infanzia rendono i genitori più sensibili e attenti alle esigenze dei propri figli. A ciò, spesso, si contrappone la percezione narcisistica del figlio considerato più come la realizzazione del desiderio di paternità/maternità anziché come soggetto autonomo. Accade così che la figura del genitore–educatore si trasformi in quella di genitore–amico. Cioè, assistiamo all’abdicazione delle responsabilità genitoriali. A risentirne è tutta la famiglia. I genitori, nell’impegno di formazione di educazione dei figli, sono chiamati a fare i conti con altre variabili: il lavoro della donna costretta a svolgere la doppia funzione di lavoratrice e di mamma, le separazioni, i divorzi, la convivenza. Le fattispecie sopra ricordate producono in seno alla famiglia due tipi di relazioni: orizzontale che riguarda gli stessi coniugi e verticale tra genitori e figli. Questi ultimi, però – come sostengono illustri pedagogisti-, non accettano la presenza di due amori paralleli e rivendicano, invece, un sentimento triangolare in cui padre e madre agiscono in perfetta unità prima di rivolgersi ai figli. Un comportamento che – sempre secondo gli esperti – dovrebbe riguardare anche i casi di genitori separati o divorziati, perché è sempre importante l’accordo degli adulti sulle regole e sui valori trasmettere ai figli. Lo sfaldamento della famiglia comporta sempre forti traumi nei figli, sia durante la fanciullezza, sia durante l’adolescenza e, in misura minore, anche nelle fasce giovani. Il comune agire dei coniugi contribuisce a prevenire, o limitare, il disagio esistenziale cui tendono i giovani quando mancano loro le solide fondamenta della famiglia.
I cambiamenti culturali, economici e sociali registrati nelle società occidentali negli anni Settanta hanno “portato, tra l’altro, ad una riformulazione delle identità maschili e femminili”. Analogamente con quanto avveniva in tutta Europa Occidentale, la maternità non fu più considerata l’unica fonte d’identità femminile per ricercare anche quella relativa all’inserimento nel mercato del lavoro. Ciò avvenne in due fasi: quella della discontinuità, con la donna che dopo la nascita del primo figlio usciva dal mondo del lavoro, salvo poi tentare il rientro; e il modello della continuità, caratterizzato dalla doppia presenza in casa, soprattutto come mamma, e sul posto di lavoro. In questo caso altre figure, come la televisione, svolgono un ruolo di sussidiarietà nella formazione del bambino. Televisione cattiva maestra, ricorderete il saggio di Karl Popper (che invocava una sorta di patente per gli addetti al varo dei programmi televisivi), mentre John Condry, riferendosi agli effetti dannosi prodotti dal piccolo schermo, definiva la TV “ladra di tempo e serva infedele”.
Anche l’immagine contemporanea dei padri è cambiata. Anna Laura Zanatta nel suo saggio “Nuove madri e nuovi padri, essere genitori oggi”, edizioni il Mulino 2011, definisce questa immagine “ambivalente e contradittoria: da un lato – scrive – sta emergendo con forza a livello europeo la figura del padre coinvolto effettivamente nella cura dei figli, dall’altra però si sta delineando con pari forza quella del padre assente, non tanto nel senso della perdita di autorità, quanto, piuttosto, come conseguenza dell’aumento della separazione e dei divorzi”.
E’ inutile nasconderlo in atto c’è una crisi di dialogo tra genitori e figli; una crisi nella comunicazione familiare che produce un conflitto intergenerazionale: i genitori non riescono a capire i figli, soprattutto gli adolescenti sempre più alla ricerca d’indipendenza. In una famiglia in cui alla stessa ora, dopo cena, il papà guarda la partita di calcio, la mamma la telenovela con Pepa, il figlio maggiore naviga su internet e il piccolino messaggia con l’amichetto, il dialogo si riduce a poche espressioni verbali. E se tra le mura domestiche il silenzio è una delle caratteristiche nel rapporto tra genitore e figlio, quando quest’ultimo si allontana da casa – per andare a scuola, uscire con gli amici, andare al cinema o a una festa – avviene il cosiddetto fenomeno di “teleparentage”: il telefonino diventa lo strumento di insistente dialogo. “Dove sei, “che fai”, con chi ti trovi” sono le domande più frequenti di questo dialogo telefonico che diventa strumento di controllo dei genitori nei confronti dei figli nel tentativo di proteggerli dalle insidie e dai rischi di una società aperta e complessa come quella attuale. Il telefono cellulare diventa il cordone ombelicale, una sorta di guinzaglio elettronico, secondo una ricerca dell’Osservatorio “ I Pinco Pallino” codificata in una pubblicazione dell’editore Donzelli, firmata da Daniela Brancati, Annamaria Aiello e Pier Cesare Rivoltella. Questo tipo di comunicazione tra genitori e figli da un lato contribuisce a tenere a bada le ansie dei grandi per i pericoli che insidiano i giovani e dall’altro non solo non favorisce l’autonomia e la sicurezza ma diventa un ostacolo sullo sviluppo psicologico del minore. Un ostacolo pressoché insuperabile, soprattutto quando vengono a mancare le figure di riferimento per i giovani di oggi che crescono con la TV, con Internet e col telefonino.
Antonio Latella – giornalista e sociologo ( presidente Dipartimento Calabria ANS)