DATI SVIMEZ SULL’ECONOMIA NEL MEZZOGIORNO, “I GIOVANI E IL LAVORO:UNA FRATTURA SENZA PARAGONI IN EUROPA”

logo ans calabria  “Il marcato dualismo generazionale del mercato del lavoro italiano assume connotati sempre più gravi e ‘strutturali’, accentuandosi ulteriormente nel dualismo territoriale”.  E’ questo un passaggio contenuto nelle anticipazioni sui principali andamenti economici del  rapporto Svimez 2015 sull’economia nel Mezzogiorno, presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa.   “I giovani e il lavoro: una ‘frattura’ senza paragoni in Europa”, perché  “ la contrazione dell’occupazione giovanile che ha riguardato nella prima fase della crisi tutti i paesi europei, tende invece a concentrarsi nelle economie più deboli nella seconda. In una prospettiva europea, rispetto al livello di occupazione dei giovani tra i 15 ed i 34 anni al primo trimestre 2008, le economie della zona euro in difficoltà perdono oltre il 30% degli occupati alla fine del 2014, con una dinamica discendente che segna l’intero periodo. Situazione molto diversa si rileva per le altre economie dell’Area Euro, che perdono nel complesso del periodo appena l’8% con una dinamica discendente concentrata tra il 2009 ed il 2010 ed un andamento sostanzialmente stabile negli ultimi 4 anni”.

Tornando alla situazione Italiana  nel rapporto Svimez si legge che “l’indicazione più nitida della ‘frattura’ generazionale che si è prodotta è riflessa dai tassi di occupazione giovanile. La flessione di questo indicatore era iniziata prima della crisi, in parte per effetto, nei primi anni Duemila, di un significativo aumento dei tassi di scolarità e di iscrizione all’Università. Dalla seconda metà del decennio, tuttavia, l’ulteriore più decisa flessione si è verificata in presenza di una sostanziale stabilità del tasso di scolarità superiore e di un leggero declino dei tassi di iscrizione all’Università”.

E nel mercato del lavoro del nostro Paese “il processo di aggiustamento in termini di maggiore flessibilità e minori costi continua sostanzialmente a realizzarsi a scapito prevalentemente dei giovani, estendendosi dai bassi livelli di istruzione ai più alti che fino a poco tempo fa avevano garantito, sia pur con un certo ritardo, un’occupazione. Una percentuale notevole e crescente di giovani – tra cui anche profili che in passato avrebbero facilmente trovato lavoro – sconta periodi sempre più lunghi di disoccupazione e di inattività, con effetti che in molti casi diventano irreversibili. Il calo complessivo dell’occupazione nella crisi è il risultato di andamenti contrapposti tra i giovani fino a 34 anni e le classi d’età da 35 anni in su. Come visto sopra, per i giovani l’occupazione si riduce di oltre 1 milione 900 mila (-27,7%)”.

Nel rapporto Svimez 2015 sull’economia nel Mezzogiorno,  si legge ancora: “Dinamiche simili, sia pur con diverse accentuazioni, si rilevano a livello territoriale: gli occupati 15-34 anni si riducono del 31,9% nel Mezzogiorno e del 26,0% nel Centro-Nord. Il calo dell’occupazione si accompagna ad un aumento 39 dell’incidenza delle posizioni non standard che da valori di poco superiori al 30%, prima della crisi, superano il 40% del totale nel 2014. Anche la dinamica della disoccupazione è rilevante, e benché nella crisi cresca maggiormente nelle classi di età più elevate e al Centro-Nord, è il livello raggiunto ciò che impressiona: nel 2014 il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 ed 24 anni sale a livello nazionale al 43% come risultato di un tasso del 56% nel Mezzogiorno e del 35% nella media delle regioni del Centro-Nord. Quasi raddoppiati, rispetto al 2008, risultano anche i tassi di disoccupazione dei giovani tra 25 e 34 anni, ad evidenziare le crescenti difficoltà di accesso al mercato del lavoro anche per i giovani più maturi e istruiti. Negli ultimi anni, infatti, le difficoltà di accesso al mercato del lavoro, caratteristiche delle regioni meridionali e dei livelli di istruzione più bassi, si stanno diffondendo nelle regioni del Centro-Nord e tra i giovani con medio alti livelli di istruzione. Le difficoltà maggiori riguardano nel nostro Paese i diplomati, con tasso di occupazione al 2014 del 38,3% a fronte del 52,9% dei laureati”.

E viene messo in evidenza che “nel sessennio di crisi il tasso di occupazione dei diplomati flette di 22,1 punti, a fronte dei 17,6 dei laureati. A livello territoriale, emerge il forte divario assoluto tra tassi di occupazione del Mezzogiorno, 24,7% e 31,9% rispettivamente per i diplomati ed i laureati, contro valori del 46,5% per i diplomati e del 64,7% per i laureati del Centro-Nord. Sono cifre che non hanno paragoni in Europa: basti pensare che il tasso di occupazione di diplomati e laureati (20-34 anni), a tre anni dal conseguimento del titolo, in Spagna è al 65% e in Grecia al 44%, mentre in Italia è al 45% e la media Ue a 28 è al 76%. A destare maggiore preoccupazione, è il confronto con l’Europa e i principali paesi, che delinea un quadro assai critico del rapporto tra giovani e mercato del lavoro in Italia. Emerge dai dati come l’Italia abbia quote superiori a tutti gli altri paesi di giovani solo in formazione e decisamente ancora più elevate di giovani Neet. Per converso, si rileva come l’Italia si caratterizzi per le quote più basse di occupati in formazione e di solo occupati (con l’eccezione di Grecia e Spagna)”.

Ed ancora: “A ben vedere, però, è evidente che i valori così negativi dell’Italia siano sostanzialmente ascrivibili alle regioni meridionali, mentre le regioni del Centro-Nord presentano valori tutto sommato in linea con quelli degli altri principali paesi, sia pure in tendenziale peggioramento. Il Sud si colloca in fondo ad ogni classifica europea, facendo registrare una condizione giovanile nel mercato del lavoro (e nella formazione) peggiore della Spagna, e persino della Grecia. Il complesso dei dati conferma la strutturale carenza, nelle regioni meridionali, di opportunità di lavoro, specialmente qualificato, frutto non soltanto di una mancata risposta a un’emergenza troppo a lungo rimandata ma di una carenza di strategie e politiche di sviluppo per un’area che ora presenta i tassi di occupazione peggiori d’Europa, ma che già partiva da valori eccezionalmente bassi prima della crisi. L’impatto negativo di questa evoluzione è duplice: da un lato, induce il depauperamento del capitale umano già formato, dall’altro, ritarda i processi di convergenza dell’Italia verso i più elevati livelli di istruzione europei e gli obiettivi di Europa 2020 e, al nostro interno, delle regioni meridionali verso quelle del Centro-Nord. La progressiva emarginazione dei giovani anche istruiti dai processi produttivi determinata dalla crisi recessiva è confermata dalla dinamica crescente dei giovani Neet (Not in education, employment or training): per essi, la difficoltà a trovare un’occupazione si accompagna ad un crescente scoraggiamento che li allontana non solo dal mercato del lavoro ma anche dal circuito dell’istruzione. La quota dei Neet, sostanzialmente stabile in Italia intorno al 20% della popolazione di età corrispondente tra il 2004 ed il 2008, è salita al 27,4% nel 2014. Rispetto al quadro europeo, pur segnato dalla crisi, la differenza è notevole: il Neet rate è salito tra il 2008 ed il 2014 “soltanto” di 3 punti nell’Ue a 28 e nell’Area Euro (portandosi rispettivamente al 16,5 ed al 17%) ed è in calo nell’ultimo anno. In base ai dati ISTAT, nel 2014 i giovani italiani Neet hanno raggiunto i 3 milioni 512 mila con un aumento rispetto al 2008 di circa 712 mila unità (+ 25,4%). Di questi, quasi 2 milioni sono donne (55,6%) e quasi 2 milioni sono meridionali. Se pure l’incremento registrato nel quinquennio è molto più accentuato al Centro-Nord (+46%, mentre al Sud è stato di poco superiore al 12%), permane una caratterizzazione meridionale del fenomeno. Le difficoltà incontrate spingono un numero sempre maggiore di giovani a cercare nuove opportunità al di là dei confini nazionali: una perdita netta di ‘capitale umano’ di proporzioni sempre più gravi”.

a.l./


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio