Dal ponte di Genova al caso Giustizia, dai furbetti del bonus al futuro dei giovani
Intervista a Giorgio Benvenuto di Patrizio Paolinelli
Dopo la pausa estiva della nostra rubrica riprendiamo gli incontri con Giorgio Benvenuto ripercorrendo alcuni dei fatti politici principali accaduti nel nostro Paese nelle prime tre settimane di agosto.
<<=== Prof. Patrizio Paolinelli
Nella recente commemorazione della strage di Bologna il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sostenuto che occorrono verità e giustizia. Siamo tutti d’accordo, ma dopo quarant’anni l’attesa non sta diventando troppo lunga?
Indubbiamente. Per di più tra commissioni d’inchiesta, indagini giornalistiche e commemorazioni ciò che ancora rimane oscuro è la storia di quegli anni perché non si è mai andati fino in fondo nello svelamento della strategia della tensione. Strategia di chiara marca di destra e che si richiamava alle posizioni più estreme del fascismo. Purtroppo le lungaggini sulla strage di Bologna dimostrano come il nostro Paese sia in grado di perdere cronicamente tempo. In questo drammatico caso facendo inconcludenti riforme dei servizi segreti. Sia detto con tutto il rispetto per chi mantiene viva la memoria della strage, ma ascoltare per così tanto tempo gli stessi commenti e le stesse denunce ci lascia ormai pensare che l’anno prossimo sentiremo ripetere da altri politici le stesse cose dette quest’anno da Mattarella. Venendo all’oggi penso e spero che se si riuscirà a realizzare la svolta economica resa possibile dall’intervento dell’Europa per affrontare la crisi in corso si potrà finalmente affrontare il problema della trasparenza dello Stato. Bruxelles considera superata la nostra macchina della giustizia perché è lentissima, perché non c’è certezza della pena e perché non tutela i più deboli. Come diceva Giovanni Giolitti da noi la legge si applica al nemico e si interpreta per l’amico. Un altro intervento da fare riguarda le forze dell’ordine. Siamo la nazione in Europa che ha il maggior numero di addetti alla sicurezza e poi ci ritroviamo con tanta insicurezza e con troppi casi in cui esponenti delle forze dell’ordine si macchiano di reati. Il nostro Paese ha bisogno di essere adeguato al mondo di oggi.
Per alcuni l’inaugurazione del Ponte di Genova ha rappresentato la metafora dell’Italia che sa rialzarsi. È un’immagine appropriata?
Magari lo fosse. Purtroppo nella confusione di oggi si predica bene e si razzola male. È giusto parlare della ricostruzione del ponte di Genova come di una vicenda molto importante, come un modo serio di progettare e realizzare infrastrutture. Tuttavia, gli stessi personaggi che dicono queste cose sono coloro che poi non fanno una riforma degli appalti pubblici e delle relative procedure. Il nostro è un Paese malato di controlli e alla fine non c’è la trasparenza, l’efficacia e la giustizia che vediamo in molte altre nazioni europee. Le nostre imprese all’estero realizzano infrastrutture viarie in tempi rapidi. Mentre da noi non è possibile perché le opere pubbliche vengono bloccate da veti, controlli e ricorsi. Su questo fronte l’Italia saprà rialzarsi quando finalmente si metterà mano al gigantismo burocratico e a una vera semplificazione delle procedure degli appalti.
Dopo il caso Palamara il governo ha varato una complessa riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. A suo giudizio funzionerà realmente o in forme diverse le cose resteranno più o meno come prima?
Temo che le cose continueranno come prima se non peggio di prima. Intanto lì ci sono problemi di efficienza e di funzionalità. Ma a parte questo aspetto, così come per anni si è combattuta e condannata la lottizzazione dei partiti non con altrettanta forza lo si è fatto per il Csm. Col risultato di trovarci i problemi che tutti conosciamo. Ed è un peccato perché ci sono molti magistrati che fanno il loro dovere e svolgono un ottimo lavoro. Purtroppo proprio perché il sistema è degenerato non sempre gli sono riconosciuti i meriti e la professionalità che esprimono. Spero di sbagliarmi, ma mi sembra che la riforma appena varata non permetterà di fare significativi dei passi in avanti in fatto di correttezza e trasparenza. Oltretutto un problema come questo – problema che dovrebbe interessare tutto il Paese – vede invece molta prudenza da parte dei partiti e della stampa. Tutti sanno che il meccanismo non funziona ma poi c’è la preoccupazione di non cambiare troppo le cose. Così dopo lo scandalo si fa qualche rattoppo ma si evita di prendere il toro per le corna. Ecco perché sono pessimista. Le correnti della magistratura si metteranno un altro vestito e continueranno a dettare legge.
Ha suscitato la fiera indignazione dell’intero corpo politico la richiesta da parte di alcuni parlamentari del bonus Covid destinato ai lavoratori autonomi. Al di là dell’inopportunità del gesto non le sembra che in troppi si siano scoperti moralisti a buon mercato?
Direi di sì perché è assai facile gridare all’immoralità degli altri. Parafrasando quanto le dicevo prima a proposito della giustizia, da noi la morale esiste per i nemici ma non per gli amici e ancora meno per sé stessi. Il bonus Covid destinato ai lavoratori autonomi era ragionevole e per una volta tanto non si sono complicate le cose. Sono stati dati subito i soldi senza inventare difficoltà, impedimenti burocratici, controlli, sottocontrolli. Il governo si è affidato alla correttezza dei cittadini, come peraltro avviene in tante altre nazioni. Purtroppo da noi non ha funzionato. E non solo nel caso da lei richiamato. In altre occasioni le diponibilità economiche offerte dal governo per far fronte alla pandemia sono finite nelle mani di chi non ne aveva diritto. È stato così con la Cassa integrazione guadagni di cui hanno usufruito migliaia di imprenditori e da ultimo i proprietari delle discoteche hanno richiesto miliardi in risarcimenti per la chiusura disposta dal governo e poi dichiarano in media 18mila euro l’anno di reddito. Siccome queste cose si ripetono da tempo immemore penso che lo Stato dovrebbe usare l’alta tecnologia per adottare efficaci sistemi di controllo sia sul piano fiscale sia sul piano delle risorse che dispensa e non per fare il Grande Fratello, ma per contrastare la diffusa immoralità e i moralisti a buon mercato come lei li ha definiti.
Sulla piattaforma Rousseau gli iscritti al M5S hanno deciso l’azzeramento del primo mandato comunale dei propri rappresentanti e dato il via alla possibilità di allearsi localmente con altri partiti. Le cose però non sembrano andare secondo le indicazioni della base grillina dato che Zingaretti non è disposto ad appoggiare la Raggi a Roma e alle elezioni regionali di settembre PD e 5 Stelle si sono alleati in una sola regione su sette.
Sono molto dispiaciuto che il confronto tra queste due forze politiche avvenga su questioni di alleanze per il potere. La discussione si è focalizzata sull’impedire al centrodestra di vincere le amministrative che riguardano oltre mille comuni e come lei ha menzionato ben sette regioni. Ovviamente l’obiettivo di non far vincere il centrodestra è legittimo. Quello che però mi impressiona è che tale obiettivo non sia finalizzato a realizzare delle proposte comuni, un progetto condiviso di città, di regione. E stiamo parlando di due partiti che sono al governo del Paese. Allora mi chiedo: allearsi solo per andare contro qualcuno è sufficiente? In caso di vittoria cosa si fa? Quali programmi si realizzano? Non si sa. E questo è molto preoccupante. In quanto all’approvazione del terzo mandato, che ha spianato la strada alla candidatura della Raggi a Roma per le amministrative dell’anno prossimo, viene introdotto un elemento di irrazionalità, di discrezionalità. Ieri i 5 Stelle giuravano: non più di due mandati. Oggi sono diventati tre. E domani? Va bene, c’è questo problema e ce lo teniamo. Tuttavia, se mi permette un ricordo personale, quando ero alla guida della Uil non mi sono mai appassionato al fatto che ci dovessero essere dei limiti di mandato. Se un dirigente non si dimostrava capace non aspettavo due giri di giostra per sostituirlo. Se invece si dimostrava capace cercavo di mantenerlo al suo posto. Mi sembra un atteggiamento razionale. Credo che questa operazione dei 5 Stelle sia stata fatta in vista del Congresso. Una logica tipica dei vecchi partiti.
A ridosso di ferragosto la Cassazione ha stabilito che finiti gli studi un figlio ha il dovere di rendersi autonomo dai propri genitori e cercarsi un’occupazione qualsiasi in grado di mantenerlo. In questo modo non si mette in discussione il rapporto di solidarietà tra consanguinei?
Sì e non va affatto bene. Questa sentenza mi ha molto colpito, non penso però che possa avere seguito. La famiglia in quanto istituzione traballa, la disoccupazione giovanile è da parecchi anni una vera e propria piaga sociale e i neolaureati scappano in massa dall’Italia per cercarsi un lavoro all’estero. Dinanzi a questo quadro non mi sembra proprio il caso di mettere i genitori contro i figli. Vorrei ricordare che proprio qualche giorno fa al meeting per l’amicizia fra i popoli Mario Draghi ha sostenuto che privare i giovani di un futuro è una grave forma di diseguaglianza. Aggiungo che le persone non devono cercarsi il lavoro così come Diogene cercava l’uomo con la lanterna. È necessario creare le condizioni affinché il lavoro sia offerto. Credo dunque che il pronunciamento della Cassazione non sia un invito da raccogliere.