CONCETTUALIZZAZIONE E OMOGENEIZZAZIONE DEL PENSIERO
L’universo in cui siamo immersi è trionfalmente vario, costituito da esseri, nessuno dei quali esattamente uguale all’altro. Esistono quindi delle specificità che rendono unica una persona, un territorio, dinanzi alle quali il nostro pensiero opera delle semplificazioni, alcune volte soltanto per poter memorizzare il tutto. Si è portati pertanto a tener conto di differenze notevoli, macroscopiche, e trascurare quelle infinitesimali, attraverso un processo mentale definito di concettualizzazione, ovvero attraverso la costruzione di classi mentali. Quanto più sintetizziamo le caratteristiche comuni e non consideriamo gli elementi di differenziazione, tanto più ragioniamo per classi, permettendoci di semplificare la realtà, ma anche di indurci in errori grossolani. Un classico esempio è quello del pregiudizio razziale, attraverso il quale le persone non sono giudicate per la loro specificità, ma per la loro appartenenza ad una classe o gruppo sociale. Ma lo stesso pregiudizio lo possiamo riscontrare quando si parla di persone con disabilità, la quali vengono classificate, banalmente, come handicappati, down o autistici, trascurando ciò che li rende unici. E così via quando giudichiamo gli altri, chi ci sta vicino. Ci piace etichettare gli altri ed auto qualificarci, riducendo la nostra esistenza ad un “lei non sa chi sono io”. Anche in campo scientifico ritorna utile la classificazione, degli animali, delle piante, dei virus, ma insufficiente quando si deve ricondurla a condizioni di causalità, ossia quando si debba ripercorrere un processo di causa effetto. Se non si fosse applicata l’osservazione empirica, la sperimentazione, l’individuazione dei nessi causali che sottostanno a determinati fenomeni Galilei non avrebbe scoperto nulla e così tutti gli altri inventori o ricercatori. Nel modo di pensare aristotelico i movimenti degli astri vennero intesi come perfettamente circolari mentre Keplero sostenne che il movimento dei pianeti non è né circolare e né uniforme, sconvolgendo le teorie esistenti e conclamate.
La classificazione pone tutto e tutti sullo stesso piano, uniformando comportamenti, atteggiamenti ad una caratteristica sociale: poveri e ricchi; all’età: giovani o vecchi; al sesso: uomini o donne; al momentaneo ed al durevole, all’oppositore piuttosto che al sostenitore. Questo modo di pensare può compromettere situazioni personali, ma anche, come detto, arrivare al pregiudizio razziale, omofobico e via dicendo. Avere pregiudizi significa pensare per categorie rigide, eccessivamente omogeneizzate: così gli zingari saranno tutti ladri, i napoletani tutti furbi, i siciliani e calabresi mafiosi, i tedeschi tutti puntuali. Le qualità o difetti di un gruppo di persone vengono così proiettate, con la stessa intensità, su tutti i membri di quella comunità. In ognuno di essi si preferirà individuare sempre quella caratteristica, utile, molto grossolanamente, a svantaggiare o favorire delle persone, magari anche a dispetto di concrete evidenze contrarie. Questo processo mentale porta a tenere distinte e distanti le classi generate, escludendo completamente la possibilità che una persona possa comportarsi in modo differente dallo stereotipo dell’altra classe. Così un medico, nell’immaginario collettivo, non potrà essere mai considerato in grado di riparare una presa elettrica, uno specialista essere paragonato ad un dilettante. È quella che Karl Dunker definisce “fissità funzionale”. Per chi ritiene che uno stuzzicadenti serva solo per pulire i denti e non per creare delle opere, la proposta di un uso inconsueto di un oggetto, di una visione non standardizzata delle cose, porta al rifiuto estremo e talvolta inconsulto del diverso.
Esempi tipici della concettualizzazione possiamo ricontrarli quando si prendono in considerazione casi limite per assolutizzare un nostro pensiero e si omettono invece tutti quelli che non lo confermano. Quando formuliamo soltanto delle ipotesi singole in una situazione che invece è complessa e richiede che vengano messe in gioco e collegate fra loro più ipotesi, attraverso un’analisi dubitativa e probabilistica; quando trasformiamo un’impressione di causalità in un giudizio di causalità o invertiamo il rapporto d’implicazione. In base a queste prese di posizione scegliamo le persone con cui stare e quelle che bisogna allontanare. I rapporti con le persone dovrebbero andare invece ben oltre ciò che appare, oltre il contingente. Bisognerebbe attraversare le loro storie personali fino a giungere all’essenza della persona, in un approccio più empatico che sintetico, interrogativo più che affermativo, rispettoso dell’universo uomo.
Davide Franceschiello, sociologo, dirigente nazionale ASI ( Associazione Sociologi Italiani)