Comunicazione ed educazione nell’era dei new media: una prospettiva sociologica
di Michele Petullà
Parlare di comunicazione, oggi più che mai, vuole anche dire confrontarsi con luoghi comuni, credenze sedimentate e, più in generale, con il nostro sapere implicito su di essa. È abbastanza evidente, ormai, che oggi la comunicazione umana – con la continua e progressiva diffusione dei new media digitali – costituisce uno dei fenomeni più importanti e determinanti che caratterizzano la nostra vita sociale e la società tutta.
<<=== dott. Michele Petullà
Una realtà, questa, che, tanto nel dibattito specialistico quanto nel sentire comune, diventa spesso oggetto di critiche o esaltazioni – dividendo le posizioni tra apocalittici e integrati – circa il potere dei media di manipolazione e/o rappresentazione della realtà. Nell’analisi di questo fenomeno sociale, improntata secondo una prospettiva di carattere sociologico, pertanto, non si può prescindere dal fatto che la convivenza con i media è divenuta sempre più stretta e che, oggi, la dipendenza dai loro contenuti in-formativi è progressivamente aumentata. Attraverso il loro uso, infatti, ci teniamo in contatto con quanto accade nel mondo, acquisiamo informazioni e conoscenze, intratteniamo relazioni interpersonali – sia pure indirette e mediate – superando i tradizionali vincoli spazio-temporali.
In questo contesto, che è in continua e rapida evoluzione, anche il mondo della scuola, e dell’educazione in generale, è chiamato a confrontarsi con esigenze e realtà nuove, ridefinendo il suo ruolo e le sue pratiche educative. Buona scuola, da questo punto di vista, è sicuramente quella che è capace di formare ed educare donne e uomini che sappiano leggere ed interpretare i segni di questo tempo, cittadini di questo mondo – sempre più contrassegnato dalla comunicazione massmediologica digitale e virtuale – che bisogna necessariamente imparare ad abitare. La comunicazione, in ambito educativo-formativo, è l’essenza dell’azione didattica stessa. Secondo l’assunto di Paul Watzlawick – psicologo e filosofo, esponente della scuola statunitense di Palo Alto – “è impossibile non comunicare”: ogni atto umano è un atto di comunicazione, anche quando non espresso attraverso la parola; anche il silenzio è un atto comunicativo; i gesti e la postura parlano per noi; il corpo è una fonte silenziosa, ma molto efficace, di comunicazione non verbale. La comunicazione rappresenta la condizione fondamentale per la creazione di relazioni sociali.
Il docente, l’educatore di oggi, e ancor più quello di domani, pertanto, deve sapere utilizzare tutti gli strumenti della comunicazione e conoscere tutti i codici linguistici e di significazione che vengono utilizzati dagli allievi per comprendere, indirizzare, saper ascoltare, valorizzare, in una parola e-ducare, cioè portare a compimento e realizzazione le loro potenzialità. Questo moderno campo di indagine e pratica sociale, noto come Educazione Mediale (o Media Education, come di solito si preferisce dire nel dibattito specialistico internazionale), si colloca a cavallo tra la Sociologia dell’educazione e la Sociologia della comunicazione. Una prospettiva secondo la quale i media, soprattutto quelli digitali, producono cambiamenti consistenti nel modo in cui i soggetti modellano il proprio pensiero e lo condividono con i loro simili.
Tipica di questo schema è l’idea che i media producano la genesi di un nuovo tipo di pensiero, un pensiero “parallelo” che va a prendere il posto di quello “sequenziale” coltivato dalla scrittura e dalla stampa (è questo uno degli argomenti che hanno condotto Marc Prensky – scrittore statunitense, consulente e innovatore nel campo dell’educazione e dell’apprendimento – a formalizzare la differenza tra “nativi” e “immigrati” digitali). Questo campo di ricerca (teorico-pratico, fatto di riflessioni e di azioni) potrebbe essere coperto anche dall’espressione “Pedagogia dei media”, intesa come elaborazione teorica, in prospettiva formativa, che assume i media come oggetto dell’azione educativa; una pedagogia, dunque, generata dalla cultura in cui i media sono i soggetti fondamentali.
C’è da dire che le ricerche condotte negli ultimi anni, sul duplice versante delle scienze della comunicazione e delle scienze dell’educazione, hanno messo in evidenza che esiste un profondo legame, di tipo circolare, tra i sistemi comunicativi (media) e i sistemi educativi. Da una parte i processi di formazione trovano sempre più nei media il proprio ambiente relazionale, per quanto riguarda la dimensione pratica della trasmissione del sapere (sul versante degli educatori, siano essi genitori o insegnanti o formatori) e la sua elaborazione (sul versante dei processi di apprendimento attivati dagli educandi); dall’altra parte i media vengono a loro volta “de-formati” e “in-formati” dalle dinamiche culturali originate dal sistema educativo come parte costituente e determinante di ogni cultura nel suo sviluppo storico-sociale.
La relazione tra comunicazione ed educazione, dunque, è ormai un dato di fatto, sempre più evidente è il ruolo determinante dei media come ambiente relazionale dei sistemi educativi. Questa relazione, inoltre, mette in gioco alcuni elementi teorici e pratici che hanno a che fare con i processi di formazione e di apprendimento e che sollecitano un’attenta riflessione sul carattere problematico dell’”educare nella società dei medi”. I new media, infatti, ci restituiscono una Società segnata dalla comunicazione non verbale e multimediale, caratterizzata da un flusso informativo continuo depositato su sistemi linguistici differenti, che coinvolgono suoni, immagini – fisse e in movimento – e testi scritti: una tale ricchezza segnica provoca una complessa ristrutturazione nella rappresentazione dei saperi, riorganizzando in parallelo anche il set mentale e le strategie cognitive dell’individuo.
Gli individui, di fatto, si nutrono dell’elaborazione culturale che abita nei mass media, rendendo tale sistema comunicativo lo spazio comune per la trasmissione degli orizzonti cognitivi e valoriali della società. Di fatto l’educazione dell’”oralità secondaria” vive nell’ibridazione tra ambienti formativi formalizzati (scuola) e ambienti (mediali) informali. Sempre più i processi formativi, anche quelli formalizzati, possiedono uno sfondo comune, quello mediatico, capace di dotare di nuovi significati l’esperienza socioculturale e di modellizzare i processi cognitivi.
Non è un caso che le cosiddette “agenzie educative tradizionali” (famiglia, scuola) – come generalmente riconosciuto, ormai, non solo dagli specialisti del settore – siano entrate, per certi versi, in crisi, perdendo il controllo dell’informazione educativa di fronte a un così potente concorrente. Il sistema mediale, infatti, si offre come spazio alternativo non formale, dotato di una pluralità linguistica e di una ricchezza rappresentativa che soddisfa la curiosità cognitiva delle molteplici intelligenze, anche se inevitabilmente porta alla contemporanea frammentazione/omogeneità dei contenuti informativi all’interno del flusso mediale, aprendo allo sviluppo di un pensiero più intuitivo rispetto a quello logico-argomentativo.
I nuovi media depositano su un solo supporto, sempre più miniaturizzato e personalizzato, tutta la molteplicità di codici rappresentativi in un unico ipertesto, che costituisce oggi l’ambiente comunicativo e cognitivo abitato non solo dai giovani. Un solo spazio comunicativo, nel quale convivono molti e diversi linguaggi, che apre a nuovi tracciati cognitivi. La struttura reticolare dell’ipertestualità e la sua plurilinguisticità rispecchiano non solo una nuova organizzazione dei saperi, ma anche una nuova idea di conoscenza. La natura connettiva e interattiva della Rete telematica (il ciberspazio) determina una serie di conseguenze nella riflessione odierna sull’educare: una nuova idea di alfabetizzazione, che tiene conto delle aperture connesse al leggere e allo scrivere nella Rete ipermediale; nuovi spazi “virtuali” di apprendimento, che provocano una tendenza alla delocalizzazione della “scuola”; la personalizzazione dell’apprendimento, che supera la standardizzazione dei processi imposti dalla struttura scolastica; il ripensamento del ruolo del docente, da intendere non più come colui che “scrive” nella mente dell’allievo (in-signum) ma come colui che allestisce situazioni atte a favorire/facilitare il processo di apprendimento (tutor), punto di orientamento nella vastità dell’informazione disponibile, orchestratore o regista della “drammatizzazione della comprensione”.
L’educazione mediale, pertanto, va contestualizzata oggi nell’ambito di una scena socioculturale in cui la presenza dei media digitali – dai media portabili, come il cellulare o l’iPod, agli applicativi del web 2.0, come i blog, Facebook e tutti i social media – è sempre più massiccia. Questa ricchezza del panorama che ci offre l’ambiente dei new media, ci pone di fronte a una realtà: la centralità del sistema neo-mediale nella costruzione della società e della sua cultura è oggi sempre più dominante. Un progetto educativo che abbia di mira la formazione della persona nella sua integrità non può, dunque, dimenticare una completa competenza mediale. Ciò vuol dire, in sostanza, che l’educatore contemporaneo dovrà possedere sempre più competenze da media educator.
Sulla base di questa prospettiva, l’Educazione mediale deve necessariamente declinarsi secondo tre prospettive fondamentali.
La prima è la prospettiva del Formare ai media digitali: assumerli, cioè, come oggetto della riflessione educativa per promuovere nei soggetti in formazione-educazione degli atteggiamenti di consumo corretti e, possibilmente, una consapevolezza critica al riguardo. Questa prospettiva è quella pedagogicamente più indispensabile. Essa fa riferimento alla riflessione e alla sperimentazione didattica riguardo ai media come risorsa integrale al servizio dei processi formativi-educativi e mira soprattutto alla promozione del senso critico dei soggetti. L’idea da veicolare è che i media non sono semplicemente una necessità cui tocca far fronte, ma un’opportunità cui non rinunciare; non sono una minaccia ai valori tradizionali della cultura, ma la possibilità di fornire ad essi una nuova articolazione; non sono una minaccia da cui difendersi, ma una risorsa cui attingere, sia pure con equilibrio e cautela.
La seconda prospettiva è quella del Formare con i media digitali: ricorrere ad essi come strumento, supporto per l’intervento formativo-educativo e veicolo dell’istruzione. I vantaggi di questa prospettiva vanno ricercati nelle possibilità offerte dal multimediale di operare attraverso una molteplicità di linguaggi, rompendo la monotonia della lezione frontale, innalzando i livelli medi di attenzione, moltiplicando i punti di accesso ai problemi.
La terza prospettiva è quella del Formare nei media digitali:assumerli, cioè, come contesto naturale di tutte le attività, come vero e proprio ambiente all’interno del quale l’attività di insegnamento/apprendimento avviene, secondo la logica implicita nel concetto di scuola digitale. Una scuola in cui la classe viene ripensata nei termini di una comunità di apprendimento, dove il computer, la LIM, i dispositivi mobili sono oggetto d’uso comune e non relegati a spazi deputati (l’aula informatica). A questo proposito giova fare riferimento a quella modalità particolare di formazione detta “a distanza”, che viene oggi indicata come online education: qui i media digitali sono realmente l’ambiente “in cui” si fa formazione; la piattaforma telematica, l’aula virtuale o il corso online costituiscono per gli studenti – che non condividono lo stesso spazio fisico – l’unico habitat all’interno del quale l’attività didattica si svolge, dove lo spazio dell’apprendimento è maggiore rispetto a quello dell’insegnamento, le attività di tipo collaborativo prevalgono rispetto a quelle di tipo trasmissivo e il docente assume più la funzione del facilitatore che di colui che trasmette le informazioni.
Queste prospettive, secondo cui intendere l’educazione mediale digitale, non vanno pensate in termini autoesclusive, ma vanno viste secondo un’ottica necessariamente integrata, tenendo a mente due indicazioni essenziali per ogni educatore: è necessario praticare e contestualizzare. Praticare, perché la debolezza delle idee di chi parla senza aver mai “navigato” una sola volta si vince solo facendo “navigare” e dimostrando che può essere un’esperienza produttiva dal punto di vista formativo-educativo. Contestualizzare, perché i media non vanno assunti come oggetto assoluto, ma sempre collocati nel contesto (socio-culturale) più appropriato, sullo sfondo di un ben preciso tipo di società e nella relazione con e tra i soggetti che concretamente ne fanno uso. Non esistono i media digitali: esistono i loro usi ed esistono le loro “ambientazioni sociali”.
Michele Petullà, sociologo