COLPEVOLI O INNOCENTI ? QUELL’INUSITATO CLAMORE MEDIATICO
Le motivazioni della Cassazione per l’assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, oltre ad evidenziare il “deprecabile pressapochismo” dell’attività investigativa, denunciano “l’inusitato clamore mediatico” che non avrebbe giovato “alla ricerca della verità” e provocato “un’improvvisa accelerazione” nella “spasmodica ricerca” di colpevoli “ da “consegnare all’opinione pubblica internazionale”.
Non è nostra intenzione commentare la sentenza in questione, oppure esprimere dubbi sulla bontà delle indagini, piuttosto vogliamo soffermarci sui tribunali mediatici le cui udienze si celebrano giornalmente sugli schermi sia della televisione di Stato che nei programmi delle emittenti commerciali. Due diversi modi d’informare milioni di telespettatori ma con un unico denominatore: fare a gara per incardinare processi, svolgere il ruolo di pubblica accusa, vestire i panni di moderni Sherlock Holmes o del tenente Colombo, ricercare e trovare testimoni d’accusa, recuperare indizi e prove anche attraverso la narrazione di fatti che spesso appaiono inverosimili. Nella fascia pomeridiana grazie al digitale si possono seguire, quasi contemporaneamente, due o tre processi – questo dipende dalla nostra capacità di fare zapping e dai tempi della pubblicità di cui sono infarciti tutti i programmi tv – che vedono sul banco degli imputati le categorie più disparate di “mostri”: mariti gelosi, mogli infedeli, religiosi dalla doppia personalità, presunti boss e quant’altro riesca a tenere incollati davanti al piccolo schermo milioni di telespettatori. Un grande bacino di opinione pubblica eterodiretta sempre più attratta dai fatti di cronaca che la coinvolgono e l’appassionano. Le nostre abitazioni, quotidianamente, si trasformano in camera di consiglio di giurie popolari che, senza perdere una battuta, seguono con attenzione gli interventi di avvocati, criminologi, psichiatri, familiari di vittime (ma anche di carnefici), di inviati speciali che si piazzano davanti ad abitazioni dove si è verificato un fatto di sangue o davanti alle carceri. Alcune delle parti processuali sono note, altre assomigliano a personaggi in cerca d’autore. Al centro di questo processo mediatico troviamo il protagonismo di un conduttore, di una conduttrice o di due “presidenti della corte” ( conduttore e conduttrice) che si alternano a chi la spara più grossa.
In questa rappresentazione nessuno interpreta la parte di Perry Mason in grado di smontare il castello accusatorio. Il processo mediatico termina, quasi sempre, con un verdetto di colpevolezza. Un marchio indelebile che neanche il processo vero, quello celebrato da giudici che amministrano la giustizia in nome del popolo, riuscirà a cancellare quando all’imputato viene riconosciuta l’innocenza. In questo caso c’è sempre qualcosa da ridire: uno sbaglio della corte … è il minimo che si possa ipotizzare. Certo, sia in caso di condanna che di assoluzione, il dubbio difficilmente tramonta. Colpevole o innocente? Solo la coscienza degli interessati conosce questa condizione. In uno stato di diritto vale solo la decisione delle giurisdizioni.
L’aspetto più inquietante è quando un indagato viene prosciolto o un imputato assolto da una regolare corte, mentre in precedenza l’opinione pubblica, complice la televisione, si era convinta della sua colpevolezza.Chi restituirà la dignità, l’onore di un qualsiasi cittadino finito nel tritacarne del processo mediatico che lo ha esposto al pubblico ludibrio svelando fatti riconducibili alla propria vita privata?
Ma che razza di civiltà giuridica è la nostra!.
Antonio Latella – Giornalista e sociologo ( Presidente Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)