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Affrontare la depressione: una guida per trovare la luce nella tempesta

Di Michele Miccoli*

La depressione è una malattia che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, con effetti profondi sulla salute mentale e sul benessere generale. Mentre ogni persona può sperimentare la depressione in modo diverso, è un problema reale e invalidante che richiede attenzione e supporto. In questo articolo, esploreremo alcuni modi per affrontare la depressione e trovare la luce nella tempesta.

1. Riconoscere i segni e chiedere aiuto: La prima e più importante cosa da fare è riconoscere i segni della depressione in se stessi o in qualcun altro. Sintomi come tristezza persistente, perdita di interesse per le attività quotidiane, cambiamenti nel sonno e nell’appetito, stanchezza e sentimenti di inutilità possono essere indicatori di depressione. Se sospetti di soffrire di depressione, non esitare a chiedere aiuto a un professionista della salute mentale o al tuo medico di fiducia.

2. Costruire una rete di supporto: La depressione può far sentire una persona isolata e sola. È fondamentale costruire una rete di supporto solida, composta da amici, familiari e professionisti della salute mentale. Condividere le proprie esperienze con persone fidate può alleviare il peso emotivo e contribuire a trovare una prospettiva più positiva. Un gruppo di supporto o una terapia di gruppo possono anche essere opzioni utili per condividere esperienze simili con persone che capiscono.

3. Adottare uno stile di vita sano: un’alimentazione equilibrata, l’esercizio fisico regolare e il sonno di qualità possono svolgere un ruolo significativo nel gestire la depressione. La ricerca ha dimostrato che l’attività fisica può aumentare i livelli di sostanze chimiche cerebrali come la serotonina e la dopamina, che sono importanti per il benessere emotivo. Inoltre, un’alimentazione sana può fornire al corpo i nutrienti necessari per il corretto funzionamento del cervello. Assicurarsi di dormire a sufficienza, in quanto la mancanza di sonno può influire negativamente sull’umore e sulla salute mentale.

4. Praticare tecniche di gestione dello stress: la depressione è spesso accompagnata da elevati livelli di stress. Imparare a gestire lo stress può aiutare a ridurre i sintomi depressivi. Tecniche come la meditazione, la respirazione profonda, lo yoga e la terapia cognitivo-comportamentale possono fornire strumenti efficaci per affrontare lo stress e sviluppare una mentalità più positiva.

5. Evitare l’isolamento e cercare piaceri semplici: quando si è depressi, può essere difficile partecipare alle attività quotidiane e socializzare. Tuttavia, è importante cercare il supporto degli altri e cercare piaceri semplici nella vita. Anche se può sembrare difficile, cercare di fare piccoli passi per coinvolgersi in attività che si amano o provare nuove esperienze può aiutare a migliorare l’umore e ristabilire un senso di gioia nella vita.

La depressione può sembrare una tempesta che sembra non finire mai, ma c’è speranza e supporto disponibile per affrontarla. Riconoscendo i segni della depressione, chiedendo aiuto e costruendo una rete di supporto, adottando uno stile di vita sano, praticando tecniche di gestione dello stress e cercando piaceri semplici, è possibile trovare la luce nella tempesta della depressione. Ricorda che non sei solo e che c’è aiuto disponibile per te.

Dott. Michele Miccoli

*Presidente ASI (Associazione Sociologi Italiani)


Quando l’invidia uccide: come affrontare una delle emozioni più distruttive

Di Michele Miccoli

L’invidia è un’emozione umana complessa e spesso negativa. Mentre è normale provare una certa invidia di tanto in tanto, quando questa emozione diventa ossessiva e tossica, può portare a conseguenze devastanti. In effetti, l’invidia può diventare così potente da distruggere relazioni, minare la fiducia e persino portare alla rovina personale. Ma perché l’invidia può essere così dannosa?

Innanzitutto, l’invidia nasce dal confronto con gli altri. Quando ci confrontiamo con gli altri e ci accorgiamo che hanno qualcosa che desideriamo o che sembrano avere una vita migliore, può scatenarsi un senso di frustrazione e insoddisfazione. Questo può portarci a provare rabbia, gelosia e risentimento nei confronti di coloro che sembrano essere più fortunati di noi. Quando l’invidia non viene gestita in modo sano, può trasformarsi in un sentimento distruttivo. Le persone invidiose possono diventare ossessionate dal successo altrui e cercare in tutti i modi di screditare o sabotare coloro che hanno ottenuto ciò che desiderano. Questo può portare a comportamenti manipolativi, diffamatori o addirittura violenti.

Ma come possiamo affrontare l’invidia in modo sano e evitare che diventi un’emozione distruttiva?

Ecco alcuni suggerimenti:

1. Rifletti sulle tue emozioni: prenditi il tempo per esaminare e comprendere le tue emozioni di invidia. Cosa ti sta veramente facendo sentire invidioso? Identificare le radici profonde di questa emozione può aiutarti a affrontarla in modo più costruttivo.

2. Concentrati su te stesso: invece di concentrarti sulle conquiste altrui, focalizza la tua attenzione su te stesso e sulle tue aspirazioni. Chiediti cosa puoi fare per raggiungere i tuoi obiettivi e lavora su di essi. Concentrarsi sul proprio percorso personale può aiutare a ridurre i sentimenti di invidia verso gli altri.

3. Pratica la gratitudine: anziché concentrarti su ciò che non hai, prendi nota di ciò che hai già. Coltiva un atteggiamento di gratitudine per le tue benedizioni e ricorda che c’è sempre qualcosa da apprezzare nella propria vita. Questo ti aiuterà a ridurre l’invidia e ad aumentare la gratitudine.

4. Costruisci relazioni positive: invece di nutrire sentimenti negativi verso gli altri, cerca di costruire relazioni positive. Sostituisci la gelosia con l’ispirazione e cerca di trarre insegnamenti dalle esperienze degli altri. Trovare modelli positivi può aiutarti a crescere e migliorare te stesso.

5. Sviluppa l’autostima: spesso, l’invidia può derivare da una bassa autostima. Lavora su te stesso, incrementa la tua autostima e impara a riconoscere il tuo valore personale. Quando ti senti sicuro di te stesso, l’invidia avrà meno presa su di te. L’invidia può essere un’emozione distruttiva se non viene gestita adeguatamente. Tuttavia, imparando a riconoscerla, affrontarla e trasformarla in modo positivo, possiamo evitare che questa emozione diventi letale. Concentrarsi sul proprio percorso, coltivare la gratitudine e costruire relazioni positive sono solo alcuni degli strumenti che possiamo utilizzare per sconfiggere l’invidia e vivere una vita più sana e appagante.

Dott. Michele Miccoli

Presidente Associazione Sociologi Italiani


Troppa violenza nella “nostra” società

Editoriale di Barbara Conti *

Ogni giorno si apprende dai giornali una notizia che riguarda un episodio di violenza, nella maggior parte dei casi la violenza è rivolta verso le donne. Molto spesso questa violenza sfocia in tragedia. Dal mese di gennaio ad oggi sono state uccise 109 donne: ogni tre giorni viene uccisa una donna. Questo dato deve fare riflettere attentamente: cosa ha portato la società ad arrivare fino a questo punto? E come si può intervenire per combattere le diverse forme di violenza?

Dal punto di vista sociologico, la violenza è un comportamento aggressivo e volontario rivolto contro determinate persone con l’intenzione di ferire o uccidere, arrecare un danno oppure sottomettere al proprio dominio la volontà di un altro individuo. Violenza è dunque ogni forma di abuso di potere e controllo che si può manifestare come sopruso fisico, sessuale, economico, psicologico o violenza di tipo religioso. Non esiste un solo tipo di violenza. I vari tipi di violenza possono presentarsi isolatamente, oppure, come accade nella maggior parte dei casi, sono combinati insieme. La violenza più diffusa è sicuramente quella all’interno delle relazioni affettive in ogni società e cultura, ed ha le proprie radici nella millenaria disparità di diritti e sottomissione delle donne nella società patriarcale. Si assiste sempre più anche ad un incremento della violenza fra i giovani, che si scagliano contro i loro coetanei o addirittura contro un semplice passante per strada o un soggetto indifeso. Per non parlare della violenza sui luoghi di lavoro, litigi che spesso finiscono in tragedia per una competizione lavorativa o per disguidi che si sarebbero potuti risolvere semplicemente con il dialogo. È qui uno dei problemi della nostra società: il dialogo. Non si dialoga più nemmeno col vicino di casa, i ragazzi dialogano sulle chat dei loro telefonini trasportando nel virtuale tutto ciò che invece dovrebbe essere reale. L’incontro, le relazioni nella rete sfociano spesso in atti di discriminazione, bullismo e nei casi più gravi, in violenza verso gli altri.La violenza sotto qualsiasi forma ha sempre e comunque gravi ed importanti conseguenze, sia sulla salute fisica sia su quella psicologica di chi la subisce, conseguenze che si manifestano nel breve periodo ma anche e soprattutto nel lungo periodo, se non si interviene precocemente.

Si possono distinguere diversi tipi di Violenza:
1) Violenza fisica
Rappresenta ogni forma di violenza contro il corpo o la proprietà. Si riferisce all’uso di qualsiasi azione destinata a far male e/o spaventare qualcuno. Le aggressioni possono essere evidenti, ma a volte si rivolgono a qualcosa cui la persone tiene, ad esempio oggetti personali, animali, mobili o cose che sono necessarie alla persona.
2) Violenza psicologica
Consiste nella mancanza di rispetto verso la persona oggetto di violenza, offendendo e mortificando la sua dignità. Questo tipo di violenza può manifestarsi da sola , ma è sempre presente anche in tutte le altre forme di violenza. E’ quella che generalmente si manifesta per prima e poi favorisce lo svilupparsi delle altre forme. E’ una violenza meno visibile perchè non lascia segni esterni sul corpo, ma lascia dei segni indelebili nell’ aspetto interiore, segni a volte anche più gravi di quelli esteriori: spesso chi subisce questo tipo di violenza finisce con il percepirsi con gli occhi di chi perpetra la violenza. Si parla in questo caso di veri e propri abusi psicologici come intimidazioni, umiliazioni pubbliche o private, continue svalutazioni, ricatti, controllo delle scelte personali e delle relazioni sociali fino ad indurre la persona ad allontanarsi da amici e parenti e ad isolarsi da tutti.
3) Violenza sessuale
Indica il coinvolgimento in attività sessuali senza consenso. Qualsiasi atto sessuale, o tentativo di atto sessuale, contro una persona con l’uso della forza.
4) Violenza economica
Questo tipo di violenza agisce come forma di controllo sull’autonomia economica di una persona. È spesso perpetrata dall’uomo nei confronti della donna. E’ difficile da rilevare e anche le vittime spesso non ne hanno consapevolezza. Comprende diverse forme di controllo economico che consistono non solo nel sottrarre o impedire l’accesso al denaro o ad altre risorse fondamentali, ma anche nell’ostacolare il lavoro della donna, impedendole di fruire delle opportunità e costringendo la persona a trovarsi inevitabilmente in una situazione di dipendenza che la priva della possibilità di decidere autonomamente.
5) violenza religiosa
Questo tipo di violenza si manifesta spesso nelle coppie miste: è una mancanza di rispetto verso la sfera religiosa o spirituale, quando non permette alla persona di esercitare le pratiche del suo credo religioso o vengono imposte le proprie.
6) Stalking
Anche lo stalking rientra nei comportamenti violenti e consiste in qualsiasi atto che va a ledere la libertà e la sicurezza. L’autore di questo tipo di violenza diventa un controllore sulla vittima e su tutte le azioni della sua vita quotidiana. E’ un tipo di violenza riconosciuta da pochi anni in Italia a livello normativo. Spesso si verifica quando una donna decide di interrompere la relazione con l’uomo. A volte accade anche al contrario, cioè che è la donna a perseguitare l’uomo dopo una relazione finita. Questo tipo di comportamento spesso precede i femminicidi o tentati femminicidi/omicidi. Si può manifestare con: invio indesiderato e quotidiano di regali di ogni genere, pedinamenti, minacce telefoniche, appostamenti presso l’abitazione, il luogo di lavoro o altri luoghi frequentati abitualmente dalla vittima.

Alle radici della violenza.

È risaputo che i comportamenti aggressivi sono innati nell’essere umano ed ereditati dal mondo animale per garantire alle origini la sua sopravvivenza. Nelle prime forme di società, infatti, la violenza è stata una costante abbastanza diffusa e praticata ma era un tipo di violenza messa in atto per un fine ben preciso: la sopravvivenza dell’uomo. L’Homo abilis la manifesta quando comincia a produrre degli utensili da usare per la vita domestica, per la caccia e per gli scontri a carattere tribale. Con l’apparire dell’Homo sapiens inizia a svilupparsi una cultura che porta alla nascita di forme di pensiero e di comunicazione; in questa fase vengono inventati mezzi di cooperazione attraverso relazioni sociali, basate su regole e divieti che riguardano l’allevamento dei piccoli, la difesa collettiva, l’attività sessuale di coppia, il sorgere della prima famiglia, imponendo anche i primi divieti (“tabù”) come l’incesto e il cannibalismo e la proibizione della violenza all’interno del gruppo. Si accentua la divisione dei compiti: l’uomo si dedica alla caccia e a procurare il cibo e la donna si occupa della cura dei figli. Nell’età moderna con la nascita dello Stato fondato sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, si riconosce un monopolio della forza, che prevede un utilizzo legittimo della violenza in forme e situazioni stabilite dalla legge, al fine di garantire una sorta di controllo della violenza stessa all’interno della società. In tutte le società, strutturate secondo il principio d’autorità, esistono norme morali, leggi giuridiche e regole diverse che limitano l’autonomia assoluta del cittadino, per cui ogni individuo, che vive all’interno di una comunità, deve riconoscere l’esistenza di altri individui, i quali hanno interessi e bisogni che possono coincidere o contrastare con i suoi. Pertanto esiste in questo tipo di stato, un ordine costituito di regole che consentono la convivenza comune e tendono a disciplinare ogni forma di attività umana. A partire dal Novecento c’è la terribile violenza perpetrata durante le due guerre mondiali e con il dramma dell’Olocausto. In questo periodo si è però verificato un fenomeno positivo: la diminuzione delle manifestazioni violente individuali soprattutto per quanto riguarda la violenza mortale (omicidi). Nel nostro secolo invece tutto è cambiato nuovamente: continuano a manifestarsi varie forme di violenza. La rincorsa al successo e all’affermazione dei singoli, l’apparenza, anche a costo di danneggiare altre persone, l’individualità, l’egoismo, l’egocentrismo, portano gli individui ad una serie di frustrazioni, che si scatenano poi in tensioni aggressive. Nella vita sociale e politica delle attuali società si assiste a forme di competizione che favoriscono l’aggressività fino ad arrivare a vere e proprie lotte, producendo gravi fenomeni negativi all’interno dell’istituzione familiare e nei processi di socializzazione delle nuove generazioni. Tutto questo rende difficile una libera formazione della personalità con tutte le conseguenze che ne derivano.

In questo scenario come si può fronteggiare la violenza?


In primis è necessario recuperare quei codici di comportamento che esaltino le regole di una convivenza civile. La prima istituzione su cui è necessario intervenire è sicuramente la famiglia, che rappresenta la principale agenzia educativa, dove però spesso continuano a essere presenti episodi negativi, forme di violenza fisica e psicologica che colpiscono i figli e il coniuge e che spesso si mascherano dietro aspetti di violenza invisibile. In particolare deve essere repressa ogni forma di violenza contro i minori e contro le donne che si verificano ahimè proprio nella famiglia.
In secondo luogo c’è la scuola che rimane l’istituzione pubblica più diffusa sul territorio, dove è possibile impartire un’efficace educazione contro la violenza, capace di ostacolare le pulsioni esterne che provengono dalla società, e fronteggiare con gli opportuni interventi i fenomeni di delinquenza minorile e di bullismo, fenomeni sempre più diffusi, messi in atto contro alunni ma a volte anche contro il personale della scuola.
Inoltre è fondamentale intervenire anche sul gruppo delle giovani generazioni, il gruppo dei pari, che ha un’enorme importanza nella formazione della personalità giovanile, perché al suo interno i giovani passano molta parte del loro tempo libero; si gioca in questo gruppo buona parte del loro futuro perché esso può essere un forte centro di aggregazione e di socializzazione positiva, ma può anche trasformarsi in luogo di origine dei comportamenti violenti spesso immotivati, messi in atto da individui che, presi singolarmente, non eseguirebbero delle pratiche violente. Il gruppo quindi che, da sano può trasformarsi in malato e pericoloso. È qui che bisogna stare attenti, fare in modo con diversi interventi che questa trasformazione del gruppo non avvenga. Essere più vigili sia da parte dei giovani stessi che fanno parte del gruppo, sia da parte delle loro famiglie e degli educatori che sono quotidianamente a contatto con loro e che devono essere in grado di comprendere i campanelli d’allarme.

C’è tanta strada da fare. Siamo un Paese immaturo da questo punto di vista. Siamo un Paese che ancora non accetta pienamente la cultura del rispetto, della parità, dei diritti delle donne, della diversità. La cronaca recente ci dice che una donna viene uccisa ogni tre giorni da un uomo che spesso è il suo compagno, o ex compagno, l’uomo che diceva di amarla . In Italia le leggi contro la violenza sulle donne ci sono: un nuovo disegno di legge è stato approvato e andrà ad implementare il Codice Rosso del 2019 e tutte le precedenti norme contro la violenza di genere. Si fanno nuove leggi ma nonostante ciò purtroppo lo scenario non cambia. Le leggi da sole non bastano, bisogna applicarle e garantire la certezza della pena, ridurre i tempi della giustizia; inoltre occorre investire sulla formazione e sulla rieducazione della società. Per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall’infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie. Affrontare con bambini, bambine e adolescenti i temi dell’educazione al rispetto, fornendo la possibilità di sperimentare un ambiente accogliente dove nessuno giudica gli altri. Questo consentirà loro di procedere verso una destrutturazione dei ruoli e delle relazioni basate su stereotipi, per poter creare invece relazioni con se stessi e con l’altro basate su princìpi di libertà e di responsabilità: tutto questo potrà contribuire a costruire una società accogliente, inclusiva e soprattutto non violenta. Ma si deve investire anche nella formazione sui luoghi di lavoro, dove ancora sussistono differenze di genere e di trattamento fra le diverse figure professionali.
C’è qualcosa che ancora non va in questa nostra società troppo violenta
.

* dott.ssa Barbara Conti

Sociologa, giornalista pubblicista e

Direttrice responsabile di Sociologia on web


Un approccio innovativo alle tecniche di selling per il salesperson

di Massimo Dagnino

Il prodotto e il servizio non bastano da soli, in un mondo globalizzato i clienti ci valutano e se non trovano quello che cercano, si rivolgono altrove, il palcoscenico della trattativa serve per far capire al venditore, a dare un senso di coinvolgimento in modo che il cliente si senta protetto.
Indipendentemente da ciò che proponiamo, dobbiamo essere consapevoli che è il nostro pensiero che va venduto, il risultato quindi deve essere preparato e confezionato precedentemente in modo strategico.
Dobbiamo cercare di prefissarci questo atteggiamento mentale, talvolta gli sforzi potranno richiedere più energia del previsto e non sempre i risultati verranno raggiunti. Quotidianamente interveniamo in trattative nel possibile punto d’incontro, questo fa sì che il nostro modo di pensare si arricchisca ogni volta che affrontiamo una nuova situazione.
Per affrontare le difficoltà del mercato attuale, dobbiamo assumere un atteggiamento volto al successo, saper usare tutte le risorse disponibili, come un artista sa usare la sua creatività. Non bisogna trascurare nessun particolare, dobbiamo accettare la sfida in un mercato competitivo, ogni particolare in più che possa differenziarci dai concorrenti risulterà a nostro vantaggio, soprattutto se è una cosa inaspettata. Dobbiamo orientarci nelle scelte del cliente, cercando di cucirgli addosso la proposta, come un abito su misura.

Il venditore non è superman, è una persona normale con limiti e paure, però le emozioni lo aiutano ad agire. Per Joseph LeDoux, uno dei maggiori studiosi di neurobiologia, sono fondamentali le emozioni nel business. Per esempio possiamo avere paura di non raggiungere il nostro obiettivo, quando i risultati discostano dalle aspettative oppure quando non soddisfano le aspettative degli altri, oppure la paura di non potercela fare ci limita a prendere le decisioni. Per affrontarla dobbiamo andare avanti negli obiettivi, cercando di affrontarli e superarli con strumenti come la formazione, la condivisione di esperienze e scomporre il problema in piccole parti risolvendone uno alla volta. Il pensare di potercela fare, crea connessioni neurali che producono una sinergia di pensiero, formulando idee o proposte, pensare invece di non potercela fare riduce l’attività di pensiero e induce ad ingrandire il problema e a trovare motivi per rinunciare ( I signori rappresentanti ricevono il martedì). Le emozioni ci rendono distinguibili, pensiamo ad una vittoria, quello che proviamo accompagna il nostro vissuto e modifica i nostri comportamenti verso di noi e verso l’ambiente circostante. Ogni singolo individuo vive la propria emozionalità, le emozioni formano i nostri pensieri. Il valore aggiunto è l’emozione, bisogna credere in ciò che facciamo e capire il tipo di emozionalità che arriva al cliente, dobbiamo trasmettere positività, fiducia, disponibilità, semplicità, umiltà, conoscenza e coerenza, tutte parole che portano a pensare positivamente.

Il processo di acquisto non è solo legato a principi logici mirati alla descrizione analitica di ciò che proponiamo, solitamente che ne esaltano le caratteristiche, ma deve essere introdotto il concetto delle tendenze emozionali delle persone durante la relazione che vogliamo instaurare, come affetti, emozioni, ideologia, cultura, queste forze influiscono la presa di decisione. Spesso questo non è dichiarato da parte del cliente; serve individuare questi parametri latenti, usando la gratitudine e un atteggiamento propositivo. Il bisogno del nostro interlocutore è il punto di partenza per qualsiasi azione di acquisto, per il cliente il bisogno è una consapevolezza, capito il bisogno, entra in campo il problema, abbiamo uno stato attuale ed uno auspicabile, stessa cosa vale nel business, a questo serve una soluzione, che è il processo con cui ci avviciniamo alla soluzione, un percorso rivolto al cliente, che vuole migliorare il suo stato attuale, il mezzo con cui lo aiutiamo per raggiungere e mantenere un determinato beneficio. Per fare questo occorre comunicare. Comunicare vuol dire anche disporre conoscenze con sequenzialità e logica per produrre significati. È comunque una delle attività più complesse dell’uomo, ci permette di produrre e capire ragionamenti per chiarire le nostre posizioni, capire la realtà che ci circonda in riferimento al cliente. Le due azioni, il narrare e l’argomentare, hanno legami tra di loro e si considerano gli assi portanti del comportamento linguistico, sia nelle occasioni linguistiche confidenziali orale o scritta, che in circostanze formali (vedi conferenze, riunioni ecc). Importante è anche la disposizione degli elementi che costituiscono il discorso, ossia il ragionamento che vogliamo affrontare. Per fare questo bisognerebbe prima commuovere e dopo convincere la persona del nostro argomento (Dagnino M. semiotica nella comunicazione aziendale applicata al marketing). Il sales manager deve far emergere il concetto di inconscio di cui ne ha parlato ampliamente Sigmund Freud, l’uomo è un iceberg nel senso che molti di nostri atteggiamenti, sono legati a dei bisogni sommersi, difficili da comprendere perché risultano appunto nascosti, il modello iceberg interpreta sia le motivazioni coscienti relative all’acquisto, sia un’interpretazione delle motivazioni inconsce del cliente su cui intervenire.

Le neuroscienze cercano di capire quali sono i meccanismi che creano la reazione emotiva, nel processo di elaborazione sulle decisioni di acquisto. Il cliente ha il ruolo di acquirente, al venditore spetta la centralità, la cornice di facilitatore del processo di acquisto. L’esperienza di acquisto è legata ad una reciprocità relazionale, un processo di transfert e controtransfert, due parole usate in psicoanalisi, oggi però hanno avuto un’evoluzione, infatti il venditore deve comprendere le esigenze del cliente, fare una diagnosi, sviluppare una soluzione e riportarla al cliente. In questa dimensione entrano in gioco la relazione emotiva con il cliente e l’attività volta a creare la soluzione, espressione di capacità di risposta che il venditore ha saputo magicamente elaborare e restituire. Queste indicazioni permettono di acquisire una maggior consapevolezza di se stessi, capire gli atti negoziali e migliorare gli schemi sulle abilità relazionali, non tralasciando nessun particolare, facendo attenzione a sviluppare le abilità comportamentali in relazione con la clientela ed i collaboratori, creando un clima ambientale lavorativo performante che dia stimoli nuovi trasformando gli obiettivi in risultati.

Dott. Massimo Dagnino

Psicologo Ordine Psicologi Liguria n° 3223 Sociologo A.S.I. n° 0196

Bibliografia

Cominetti E. I signori rappresentanti ricevono il martedì, Stilgraf 2019

Dagnino M. Semiotica nella comunicazione aziendale applicata al marketing,Aracne 2016


REFERENDUM PSICOLOGI: TRA IGNAVI E IGNARI

di Tommaso Francesco Anastasio

Nel mese di settembre 2023 si è votato, per chi ha potuto farlo e ne avesse contezza, al referendum per la modifica del codice deontologico degli psicologi. Su una popolazione di circa 118.000 iscritti (dati 2020 pubblicati sul sito del CNOP) hanno votato 16.909 psicologi: 9.034 voti favorevoli, 7.616 voti contrari e 258 schede bianche.

Il dato sconfortante, come notiamo, è l’altissimo numero dei non votanti. Probabilmente una fetta dei non votanti era all’oscuro del referendum in quanto non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale (via PEC o raccomandata) da parte del CNOP e, inoltre, era necessario possedere lo SPID/CIE per poter votare. Tali motivazioni pare siano state sollevate in dei ricorsi attualmente in corso presso il TAR Lazio. Dobbiamo quindi considerare tra i non votanti: gli ignari del referendum, i non possessori di SPID/CIE e chi ha scelto deliberatamente di non votare nonostante sapesse del referendum (magari tramite social o gruppi whatsapp), ossia gli “ignavi”. Mi vorrei fermare a riflettere su quest’ultimo gruppo. Nell’articolo 4 del codice deontologico “pre-referendum” vi è una parola molto significativa, una parola piena, ossia: autodeterminazione.“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni (…)”La parola “autodeterminazione” è stata espunta nel nuovo codice deontologico (su cui pende il succitato ricorso) ed è uno dei tanti motivi che hanno spinto circa 7600 psicologi a votare No (di coloro che almeno erano a conoscenza del referendum).

Ora, la domanda che ci si pone è: gli ignavi hanno mostrato autodeterminazione, hanno fatto ciò che dovrebbero promuovere nei loro interventi? Noi psicologi siamo il prodotto e i produttori della deontologia. Possiamo mai decidere di “lasciar scegliere agli altri” che deontologia dobbiamo tenere?All’interno della categoria professionale vi sono diversi argomenti spinosi, uno di questi è la psicoterapia. La legge 56/89 disciplina l’attività psicoterapeutica senza però definire cosa sia. Il povero Ossicini dovette mediare tra più istanze e la legge è il risultato di dibattiti e compromessi, di pesi e contrappesi. Ciò è comprensibile, ma ha lasciato spazio all’opinionismo più disparato. Oggi possiamo solo dire, in maniera lapalissiana, che la psicoterapia è l’attività espletata da coloro i quali sono in possesso della specializzazione in psicoterapia. Nessuna legge la definisce. Ma alcune scuole di psicoterapia, autrici di un “manifesto”, hanno avviato una battaglia per accaparrarsi l’uso esclusivo dei significanti “cura e terapia”. Quindi, mentre negli Stati Uniti considerano terapeutico anche una “pedicure”, qui in Italia alcune scuole promuovono una strategia commerciale denigratoria e fuorviante nei riguardi dello psicologo (non specializzato) secondo cui le sue attività, disciplinate dalla legge Ossicini, tra cui abilitazione, riabilitazione e sostegno, non sono attività terapeutiche e che gli “Psicoterapeuti” siano gli unici “titolati a curare”.

Per quanto mi riguarda non mi interessa definire se il lavoro dello psicologo sia terapeutico o meno, ho sempre visto questa meravigliosa disciplina come una scuola di libertà e di significazione della propria esistenza, capace di migliorare notevolmente la qualità della vita e il benessere psichico e non ho la velleità del camice bianco o di definirmi terapeuta. Ma da un punto di vista epistemologico come si fa ad escludere a monte le attività dello psicologo come terapeutiche? Questa parentesi l’ho aperta perché tali tentativi, foraggiati da meri interessi di bottega, hanno fatto in modo che nell’art 27 del codice deontologico non si parli più di rapporto “terapeutico” ma di rapporto “professionale”. Molti ordini regionali hanno preso una posizione netta rispetto a tali infondate pretese, mentre il CNOP ha mantenuto un silenzio poco pitagorico ma molto democristiano. Ma c’è anche un altro aspetto. Il CNOP ha emanato una “Premessa Etica” che è stata presentata agli psicologi come i 10 comandamenti donati a Mosè sul Monte Sinai. Non vi è stata concertazione e dibattito all’interno della comunità professionale su cosa fosse “etico” e su quali principi orientare la propria pratica professionale. Un gruppo ristrettissimo di persone si è riunito e ha deciso nella “stanza dei bottoni”. Così leggiamo nel secondo principio della premessa etica che:“La competenza delle psicologhe e degli psicologi è data sia da conoscenze teoriche acquisite all’Università e attivamente integrate e aggiornate, sia da una pratica sottoposta al confronto tra pari e alla supervisione di colleghe o colleghi esperti e altamente qualificati “Chi sono i colleghi esperti e altamente qualificati? Chi lo decide? In base a cosa? I colleghi sociologi sanno che secondo Bourdieu il mestiere del sociologo è “rompere” ciò che comunemente viene dato per scontato. Ma pare che Pierre Bourdieu non venga letto tra gli psicologi… e neanche la (Divina) Commedia!

Tommaso Francesco Anastasio

Laboratorio di Sociologia e Psicologia Clinica ASI

Note:https://www.psy.it/wpcontent/uploads/2021/11/Icritti2020.pdf

https://www.ordinepsicologiveneto.it/corretta-e-trasparente-informazione-sulla-figura-professionale-dello-psicologo


I limiti della democrazia nella società aperta. Riflessione sui sistemi democratici

di Rosario Fittante

“Con il termine politica intendiamo piuttosto riferirci soltanto alla direzione o all’influenza esercitata sulla direzione di un gruppo politico, vale a dire oggi di uno Stato” (Max Weber). “Pur nella sua imperfezione, la democrazia rimane l’unico sistema praticabile contro il pensiero unico; l’alternativa è un buco nero che preclude ogni libertà, i cittadini pensanti precipiteranno nell’oblio più profondo, e quando comprenderanno che la loro autostrada è diventata una mulattiera buia senza una via d’uscita, sarà troppo tardi e invertire la rotta sarà arduo”.

L’inizio del XXI secolo, ha visto profondi cambiamenti sociali, prodotti in gran parte dall’eredità del passato ed in parte da eventi nuovi che ne hanno caratterizzato le trasformazioni globali.

Nelle democrazie occidentali sono diversi i modelli costituzionali, la loro architettura definisce certamente la separazione dei poteri e dei sistemi nell’elezione delle cariche istituzionali. In Francia vige un sistema di repubblica semipresidenziale dove il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro. Il Presidente viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno, e ha il potere di nomina del primo ministro. In Germania vi è il cancellierato, una repubblica federale dove il cancelliere viene eletto dal Bundestag (parlamento) su proposta del presidente federale che lo nomina ed ha il potere di nomina e revoca dei ministri, e può sciogliere nei casi previsti, il parlamento. Nel sistema tedesco vi è la sfiducia costruttiva (il Bundestag può sfiduciare il cancelliere solo avendo la certezza di poter eleggere il successore a maggioranza dei suoi membri. In Gran Bretagna dove non vi è una carta costituzionale codificata, ma un sistema di norme e statuti che fanno riferimento ad una organizzazione consolidata dello Stato, vi è una monarchia costituzionale parlamentare che si fonda su tre ordini: La Corona, l’esecutivo e il parlamento. La Corona nomina il primo ministro sulla base dei risultati elettorali della Camera dei Comuni. Il premier nomina e revoca i ministri e può chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere. In Spagna vi è una monarchia costituzionale con a capo il re ed è fondata sulla divisione dei poteri, il potere legislativo è esercitato dalle due camere, con il congresso dei deputati che danno fiducia al capo del governo e può esercitare la sfiducia costruttiva. Il potere esecutivo spetta al premier che è proposto dal re. Negli Stati Uniti d’America vige una repubblica federale formata da 50 stati e un distretto federale ed è fondata sul presidenzialismo. Il potere politico è diviso tra il presidente degli Stati Uniti, il Congresso (Parlamento) e le corti giudiziarie federali. Il presidente è capo dello Stato e guida dell’esecutivo. La sua elezione passa attraverso il voto dei singoli stati poi conteggiato con il sistema dei grandi elettori, su base nazionale; non può essere rimosso tranne che nel caso di Impeachment.

L’esempio fatto di alcune democrazie occidentali, ci porta ad una riflessione sul significato etimologico della parola democrazia, “governo del popolo, ovvero sistema di governo e di valori sociali, in cui la sovranità è esercitata direttamente o indirettamente dal popolo, ovvero l’insieme dei cittadini che attraverso una consultazione popolare, eleggono i propri rappresentanti”. Karl Popper, (1902 Vienna- 1994 Regno Unito) uno dei più importanti filosofi della scienza del ‘900, nella sua opera, “La società aperta e i suoi nemici”, fa una netta distinzione nella descrizione dei valori tra una società aperta “democratica” e una società chiusa, “autocrazia/dittatura”, portatrice di valori presunti assoluti, da imporre con ogni mezzo agli individui subalterni e devoti. La società aperta è una società di valori, con più visioni del mondo, essa può introdurre proposte politiche, ed è aperta ai partiti politici che la compongono e si sottopone alle critiche più severe facendone tesoro. Karl Popper nella definizione di società aperta sosteneva: “La società aperta, è aperta alla fallibilità della conoscenza umana”. La società chiusa, è chiusa dalla pretesa di essere possessori di verità ultime, totali e razionali, addirittura incontrovertibili, e portatori di valori presunti assoluti razionalmente dimostrati e comunque da imporre agli altri, legittimando il consenso con ogni mezzo, anche con la violenza, reprimendo qualsiasi forma di dissenso. Nella società chiusa l’individuo non esiste come soggetto pensante. “La società aperta e i suoi nemici” è la risposta di Popper, principalmente per affrontare quelli che pensava fossero le ideologie più pericolose del suo tempo, principalmente “Fascismo a destra e Comunismo a sinistra”, quelli peggiori però secondo Popper sono gli irrazionalisti, cioè, sono quelli che non danno nessun valore alla ragione nella convinzione che non debba essere il principale valore sia individuale che sociale.

Le democrazie, si distinguono tra loro per vari aspetti, di carattere sociale, storico e culturale, ma hanno un unico denominatore comune, la libertà di agire degli individui, la possibilità di cambiare, di dissentire, di avere giustizia, Questi sistemi democratici, come è stato ribadito in precedenza, non sono perfetti, la richiesta di cambiamento deve essere fatta sempre mettendo le libertà al primo posto, perché a volte l’irrazionale ricerca di un cambiamento a tutti i costi, può rivelarsi fatale, il pericolo di derive non democratiche è sempre in agguato, pronto con le sue ricette avvelenate di demagogia. Come è noto, la storia ci ricorda che le libertà conquistate, sono quasi sempre frutto di guerre, di rivoluzioni che hanno causato milioni di morti; quindi, nulla può essere dato per scontato, anche nel tempo dell’iper-velocità e dell’intelligenza artificiale. L’insoddisfazione che l’individuo subisce, spesso causata dal senso di abbandono delle democrazie post-moderne che a causa dell’eccessiva burocrazia, e dei sistemi di potere fatto dalle Caste, e dalle lobby dimenticano le sofferenze e le disuguaglianze del mondo esterno ad essi. Questo fenomeno sociale può indurre gli individui in modo inconsapevole a cercare un cambiamento che può rivelarsi fatale. Il populismo, e le fake news, sono i nemici della società aperta, ma hanno il loro fascino nella società di oggi; l’antidoto è quello di educare socialmente l’individuo ad una maggiore consapevolezza del proprio pensiero, della propria ragione.

In Italia si sta discutendo da tempo di una modifica dell’architettura costituzionale, per dare avvio ad una nuova forma di governo, per arrivare ad un sistema presidenziale o un premierato forte, le motivazioni date sono certamente valide, per fornire al sistema Paese le riforme necessarie per renderlo efficiente e competitivo. Riforme certamente da fare, in funzione di una società che cambia e si evolve, il punto è, come farle, con chi farle, e nell’interesse di chi? Dal 1970 al 2018, quasi tutti i partiti che ci hanno governato, hanno tentato di fare alcune riforme, in parte realizzate con qualche modesto risultato, in parte rimaste sulla carta, altre ancora hanno addirittura de-potenziato economicamente il sistema Paese. Il debito pubblico italiano, che nel 1970 era il 37,1 %, è arrivato al 131,5% nel 2018 (dati Fondazione Einaudi). Questa abnorme crescita ha portato l’Italia ad essere l’anello debole tra le economie avanzate. La politica senza una visione a lungo termine non può dare le risposte che i cittadini si aspettano, guardare solo al prossimo turno elettorale esclusivamente per tenere saldo il potere, con il tempo si troverà senza elettori, queste debolezze rischiano di fare il gioco dei populisti e dei propagatori di fake news che potranno prendere il potere nel nome del “Popolo”. Questa debolezza democratica, accomuna non solo l’Italia, ma anche molte democrazie occidentali, basta osservare i dati sulla bassa percentuale di elettori che si reca alle urne, un fenomeno che aumenta ad ogni elezione, arrivando in alcuni casi sotto la soglia pericolosa del 50%. Questo dato molto preoccupante, purtroppo è trattato con disinvoltura dai leader politici sia quando governano che, quando sono all’opposizione; il perché di questa scarsa attenzione verso il fenomeno potrebbe essere spiegato con il paradosso che meno persone votano, più aumentano i consensi per i monopolisti della politica, questo perché controllando una consolidata fetta di elettori ottengono risultati affidabili che garantiscono al 99% la possibilità di essere eletto. Chi sono gli elettori che favoriscono questo processo e che consentono con il loro voto una performance elettorale di tutto rispetto nell’elezione di uno o più candidati? Sempre indicati dal gruppo politico di riferimento e mai dagli elettori. Alcuni fattori condizionanti potrebbero essere: il disagio sociale legato alla mancanza di lavoro, o alla condizione socioculturale delle persone meno istruite, o ancora a fattori psicosociali (Carl Hovland 1912-1961), ma sono i social media l’arma più potente che molto spesso persuadono gli elettori, ad identificarsi con i loro leader veri o presunti.

La globalizzazione, l’immigrazione, l’invecchiamento, l’insicurezza della popolazione senza più solidi riferimenti sociali e istituzionali, contribuiscono a rendere l’individuo sempre più dipendente, dal medium digitale nella “società dell’indifferenza”.

Questa moltitudine di elettori sempre più numerosa, oggi si informa esclusivamente attraverso la piazza virtuale e, come un moltiplicatore si auto-manipolano, metabolizzano fatti, notizie, e quant’altro propinati dai social media senza verificarne l’attendibilità, diffondendo a loro volta notizie mai verificate. Questi soldatini della rete, armati di tastiera e smartphone, saranno sempre lì pronti a diffondere all’infinito le nuove fake news, nella spensierata convinzione di essere stati utili ad una giusta causa. Nell’ultimo decennio della post-modernità, vi è stata una forte accelerazione della comunicazione nella piazza virtuale, gli algoritmi, i medium digitale (siti web, chat room, posta elettronica, forum, ecc…) hanno completamente modificato la struttura sociale e la vita degli individui, completamente assorbiti dalla web society, dove discernere il reale dall’irreale diventa sempre più complicato. Il cambiamento sociale è irreversibile, le società cambiano e si adeguano ai processi sociali sulla base delle nuove scoperte scientifiche. Nuovi paradigmi rimoduleranno la società proiettandola nel nuovo mondo degli avatar: sarà progresso oppure no? La risposta la darà il tempo, il pericolo però è dietro l’angolo e si chiama: “cattivo utilizzo delle tecnologie” che può far precipitare l’individuo in un buco nero, dove l’attrazione gravitazionale è così forte da catturare anche il futuro. La sfida dei governi eletti democraticamente, sarà quella di sconfiggere questo moltiplicatore di fake news, per evitare che la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale possa diventare “stupidità artificialmente costruita”.

Il Potere e la Potenza- Max Weber (Erfurt 1864- Monaco 1920)

In politica la differenza tra potenza e potere è sostanziale, sono due concetti antitetici che segnano la differenza tra la libertà e la sua negazione, questi due concetti e il suo seguito descritti da Max Weber, ci portano a definire meglio limiti e debolezze dei sistemi democratici moderni. La “Potenza” è la possibilità di imporre a un altro individuo la propria volontà, a prescindere dalla volontà che questo individuo ha di obbedire o meno, questo concetto è quasi come un brutale rapporto di forza. Il “Potere” è la possibilità di trovare obbedienza ad un proprio comando. Una relazione di potere è quando colui che obbedisce assume il contenuto del comando come massima del proprio agire. Vi sono molti modi che portano all’obbedienza di alcuni individui verso altri individui, per esempio per paura, per convenienza, per interesse ecc… Ma ce n’è uno che rende davvero stabili le relazioni di potere, questo elemento è la credenza nella legittimità di chi esercita il comando, questa legittimità del potere può durare nel tempo. Il potere per Weber è l’elemento centrale sul quale si fonda il rapporto dell’individuo cittadino elettore con lo stato, egli elenca tre forme di potere legittimo: Potere tradizionale – Potere razionale/ legale -Potere carismatico. Il potere tradizionale si basa sulla credenza e sulla fede, nell’autorità dell’eterno ieri, è una forma di potere in cui noi obbediamo ad una persona, perché essa incarna una tradizione valida da sempre. Non si obbedisce al comando di una persona, ma alla tradizione che essa rappresenta ed è valida da sempre. Il potere razionale /legale è una forma di potere che si basa sulla credenza nella legittimità, cioè un insieme di regole razionalmente stabilite, si obbedisce ad un bene superiore, perché agisce sulla base di regole definite razionalmente leggi, che non sono frutto di una tradizione, e preesistono alla persona alla quale si obbedisce, potere impersonale di natura ordinaria che è routine nella vita sociale. Il potere carismatico è una forma di potere in cui si obbedisce alla persona in quanto tale, perché si ha fiducia nella persona che impartisce il comando per le sue doti straordinarie; secondo Weber questo potere si manifesta in tempi di crisi e non rispecchia nel suo agire norme tradizionali o regole razionali. La sua legittimità è condizionata da un meccanismo di prova e di riconoscimento, il capo carismatico è l’uomo che deve risolvere la crisi e deve dimostrare di essere in grado con il suo successo, con la sua gloria, di risolvere una situazione eccezionale. Ma come tutti i poteri carismatici nella storia se questa prova non c’è, le cose vanno male, il potere carismatico del capo inizia a dissolversi lentamente fino a perdere ogni consistenza, (Il potere carismatico per Weber non ha durata) qui è il punto in cui avviene il ripudio. Max Weber specifica che il riconoscimento dei dominati nei confronti del capo carismatico, non configura in nessun modo un processo democratico, ma esso ne pretende il riconoscimento. Nel saggio del 1919 “La politica come professione”, Weber precisa che il luogo della politica come professione è nei partiti politici, e quando arriva la democrazia succedono 4 cose:

1) arrivano i partiti politici e la politica deve organizzarsi;

2) Chi controlla il partito controlla tutto: nasce una nuova oligarchia.

3) Arriva il cesarismo e i partiti si sottomettono al leader che li fa vincere.

4) I parlamentari diventano un branco di votanti ben disciplinati che segnano la fine del parlamentarismo: tutto si sposta nelle segreterie dei partiti.

Nei periodi di cambiamento, “le ideologie non devono vincere”.

La politica può essere fatta in due modi, si può vivere per la politica, o vivere di politica, nel primo caso la politica è fatta per passione ed è alimentata da un fuoco anteriore che anima quella persona; vivere della politica invece vuol dire trovare quei mezzi che permettano di occuparsi di politica costantemente. Qui Weber differenzia i due concetti, quello dell’etica dei principi o dell’intenzione e l’etica della responsabilità, sostenendo che questi due concetti apparentemente antitetici possano convivere. Per comprendere la relazione dei due concetti Weber traccia le tre caratteristiche che contraddistinguono l’uomo politico e sono: la passione, il senso di responsabilità e la lungimiranza. Quindi vivere di politica, perché si hanno dei temi da proporre (passione, valori ecc…), ma chi si occupa di politica solo per passione è destinato a perdere, poiché per Weber la sola passione non crea l’uomo politico, può però farcela se nella causa che vuole portare avanti, non fa anche della responsabilità, nei confronti di essa la sua stella polare dell’agire. Quindi la qualità principale del politico deve essere la sintesi dei due concetti e cioè avere la capacità di coniugare la passione con la lungimiranza, con la responsabilità, essere spinti da una causa ispiratrice, prevedendo le conseguenze del proprio agire, mettendo una sorta di barriera tra sé e il mondo circostante senza farsi coinvolgere eccessivamente (passione e freddezza). Il pericolo maggiore del politico però è rappresentato dalla vanità, essa è un vizio radicato in ogni uomo e in ogni professione, e comporta il pericolo dell’auto compiacimento, che mette il proprio ego di fronte a qualsiasi cosa, in politica questo vizio è fatale perché viene meno la causa del proprio intervento, e in preda alla vanità tenderà ad agire nel vuoto, senza vedere ciò che accade intorno a lui. La politica deve essere fatta con la testa, ma non solo con essa, etica della responsabilità, etica dei principi e buon senso possono aiutare a commettere meno errori.

Dott. Rosario Fittante, sociologo

Bibliografia di riferimento:

Tuccari F. “Carisma e leadership nel pensiero di Weber”, il Mulino 1995.

Tuccari F. “Economia e società di Max Weber” – festival filosofia 2014.

Marco Biagini “Max Weber. La politica come professione” 2020.

Umberto Pagano “L’uomo senza tempo” Franco Angeli 2011.

Dario Antiseri “Karl Popper” Rubbettino 1999-2011- Biblioteca Austriaca, 1999-2011, pp 195-196.


In ricordo di Francesco Alberoni

Il 14 agosto è venuto a mancare Francesco Alberoni. Sociologo, accademico, giornalista e scrittore, noto in tutto il mondo per i suoi studi sui movimenti collettivi e sui processi amorosi.

Alberoni è nato a Piacenza il 31 dicembre del 1929. Docente di sociologia all’università di Milano dal 1964, si è occupato di comunicazioni di massa, di fenomeni migratori, di partecipazione politica. Tra le sue opere più celebri, “Movimento e istituzione”; “L’élite senza potere: ricerca sociologica sul divismo”; “l’Italia in trasformazione”; ma anche “Innamoramento e amore”; “L’erotismo”; “L’arte del comando”; “Sesso e amore”; “Leader e masse”; “Lezioni d’amore”; “L’arte di amare”. “Il grande amore erotico che dura”.
Alberoni è stato un uomo di grande cultura che ha ricoperto diversi incarichi nella sua lunga carriera: è stato membro del consiglio di amministrazione e consigliere anziano facente veci di presidente della Rai nel 2005, è stato anche editorialista del Corriere della Sera: dal 1982 al 2011, ogni lunedì, ha ospitato in prima pagina una sua rubrica intitolata Pubblico e privato. Alberoni è stato anche rettore dell’Università di Trento dal 1968 al 1970 e della Iulm dal 1997 al 2001

Nel 2015 è stato pubblicato il volume antologico “Il tradimento. Come l’America ha tradito l’Europa” e altri saggi. Nel 2016 è stato pubblicato il saggio “L’arte di avere coraggio”. Ma ciò che lo ha reso celebre in tutto il mondo è sicuramente la sua opera “Innamoramento e amore”: il saggio uscito per la prima volta nel 1979, è stato tradotto subito in 25 lingue.

I sociologi Marcello Bovi e Italo Caruso, soffermandosi proprio su quest’opera, hanno voluto rendere omaggio al grande sociologo italiano, realizzando un video che è possibile visionare al seguente link: https://youtu.be/0KP8k7w0nnE


Il network marketing. Storia e impatto sociale durante e dopo la pandemia

Maurizio Pesenti*

Una delle evoluzioni più intriganti negli ultimi decenni è stata quella del network marketing, un modello di business che ha radicalmente trasformato il concetto di vendita al dettaglio e promozione del prodotto. La genesi del Network Marketing può essere ricondotta alle innovazioni strategiche introdotte dalle pioniere aziende di vendita diretta che emersero negli Stati Uniti negli anni ’20 del XX secolo. In quel periodo storico, le vendite dirette si affermarono come uno degli strumenti di marketing più influenti, e numerose società iniziarono a sfruttare questo approccio per penetrare mercati distanti senza appesantire l’organizzazione interna o esacerbare i costi operativi. Fu proprio in questo contesto che videro la luce numerose sedi di rappresentanza, ognuna delle quali aveva il duplice ruolo di promuovere le vendite e di raccogliere e immagazzinare i prodotti. Questa tendenza portò alla nascita delle prime organizzazioni decentralizzate, caratterizzate da ampi margini di autonomia operativa. Per sostenere un’espansione dinamica, i responsabili locali si impegnarono attivamente nel reclutamento e nella formazione di nuove risorse umane. Fu perciò implementato un sistema di incentivi, calibrato sui risultati raggiunti, per motivare la rete dispersa di collaboratori e facilitare la copertura del mercato.

Una peculiarità del Network Marketing è l’impossibilità, all’interno della stessa società, di essere sponsorizzati da più di una persona. Infatti, come tutte le professioni, anche il Network Marketing ha dei codici di comportamento che governano il modo in cui le persone conducono le loro attività. Alcuni di questi standard etici sono codificati e formalizzati, mentre altri sono semplicemente acquisiti e messi in pratica dai singoli. Le società, ad ogni modo, non permettono che i loro distributori abbiano più di uno sponsor. In questo contesto, vengono utilizzati diversi termini specifici: “Line” o “livello”, che indica un ordine di distributori all’interno dell’organizzazione; “Down-line” o “sottolivello”, che comprende tutti i membri di un’organizzazione, da quelli sponsorizzati direttamente a quelli a loro volta sponsorizzati da questi, e così via; “Front-line” o “primo sottolivello”, che si riferisce a quei distributori dell’organizzazione che sono direttamente collegati allo sponsor; “Organizzazione”, che include tutti i livelli di un network, gestito indipendentemente, dallo sponsor in giù; “Up-line” o “sopralivello”, che include chiunque sopra uno sponsor nella rete di distribuzione, compreso lo sponsor di lui stesso; “Cross-line” o “side-line” o “livello incrociato o laterale”, che si riferisce a chiunque, pur facendo parte della stessa organizzazione, non è né direttamente, né indirettamente collegato ad un dato distributore. Nel Network Marketing, l’incaricato non è responsabile solo dei contatti diretti con i clienti o potenziali tali.

IL MINDSET. Il network marketing è un modello di business che si basa sulla vendita di prodotti o servizi attraverso una rete di distributori indipendenti. Questo settore è conosciuto per offrire opportunità di guadagno flessibili, che possono variare da un reddito supplementare a una carriera a tempo pieno. Tuttavia, il successo nel network marketing richiede più che una buona strategia e competenze di vendita; richiede un mindset positivo e orientato alla crescita. Il mindset si riferisce alle credenze e agli atteggiamenti che una persona ha riguardo a se stessa e alle sue capacità.

RESILIENZA E PERSISTENZA. La resilienza è l’elasticità emotiva che ci consente di resistere alle tempeste della vita, adattarsi ai cambiamenti e emergere più forti . Questa qualità è cruciale nel network marketing, dove le sfide e i rifiuti sono comuni. La resilienza permette ai professionisti di mantenere il focus sugli obiettivi a lungo termine nonostante le difficoltà.

SVILUPPO DELLE RELAZIONI. Nel network marketing, uno dei pilastri fondamentali per il successo è lo sviluppo e la manutenzione di relazioni solide con clienti e distributori. Questo richiede una combinazione di competenze interpersonali, una mentalità aperta, e la capacità di adattarsi a diverse situazioni.

MINDSET POSITIVO E INTERAZIONE Avere un mindset positivo può facilitare significativamente l’interazione con potenziali clienti e distributori. Secondo Wealth Mission Possible, per ottenere risultati significativi nel network marketing, è necessario creare una mentalità vincente. Questo implica essere ottimisti, aperti a nuove opportunità e pronti a imparare. Avere un atteggiamento positivo rende una persona più accessibile, il che a sua volta attrae le persone e apre la porta a relazioni più forti. Inoltre, è importante utilizzare piattaforme di social media per potenziare le relazioni.

EVOLUZIONE DEL MERCATO E NECESSITÀ DI ADATTAMENTO. Il network marketing, essendo parte dell’ambito del marketing e delle vendite, è soggetto a rapidi cambiamenti.

GESTIONE DEL TEMPO E DELLE PRIORITÀ. Questa è particolarmente importante nel network marketing, un settore che richiede una pianificazione strategica, il raggiungimento di obiettivi e la creazione e mantenimento di reti di contatti. Uno dei segreti del successo è proprio la gestione del tempo. Come Jeff Bezos di Amazon ha dimostrato, lavorando velocemente e risolvendo piccoli problemi man mano, si può accumulare una grande ricchezza. Un altro approccio che può essere utilizzato nel network marketing è il Principio di Pareto, noto anche come la regola 80/20, che suggerisce che l’80% dei risultati può essere attribuito al 20% degli sforzi. Nel network marketing, ciò potrebbe significare concentrarsi su un numero ridotto di contatti o clienti che portano la maggior parte delle entrate o risultati, piuttosto che disperdere energie in una vasta rete che non produce rendimenti significativo.

LA VISIONE A LUNGO TERMINE. Nel mondo del network marketing, avere una visione a lungo termine e obiettivi chiari è un elemento centrale per il successo. Questo approccio può aiutare a mantenere la motivazione e l’energia necessarie per costruire un business solido e duraturo.

La pandemia globale di COVID-19 ha innescato un’onda di cambiamenti in tutta la società, dalla nostra vita quotidiana fino alle strutture economiche fondamentali. Tra questi cambiamenti, l’ascesa del network marketing rappresenta un aspetto interessante ed importante. Il network marketing è cresciuto durante e dopo la pandemia, ponendo una particolare enfasi sull’aspetto sociale e sulla trasformazione del lavoro. Durante la pandemia, molti hanno trovato nel network marketing un’opportunità per compensare la perdita di reddito dovuta a licenziamenti o riduzioni di stipendio. Ma questa crescita non si è limitata al periodo pandemico. Anche nel periodo post-pandemico, il network marketing ha continuato a fiorire, offrendo opportunità di carriera flessibili e remunerative. Dal punto di vista sociale, il network marketing ha avuto un impatto significativo. Ha permesso a molte persone di rimanere socialmente connesse in un momento in cui il distanziamento fisico era la norma. Le riunioni virtuali, i seminari online e le presentazioni dei prodotti hanno offerto un’alternativa alle interazioni faccia a faccia, mantenendo vive le relazioni personali e professionali. Inoltre, la natura inclusiva del network marketing ha dato a tutti, indipendentemente dal background o dall’esperienza professionale, l’opportunità di avviare un’attività propria. Nell’ambito della trasformazione del lavoro, il network marketing ha introdotto un nuovo paradigma. Ha promosso l’idea del “lavoro da casa”, offrendo un modello flessibile che ha permesso a molti di bilanciare le esigenze personali e professionali. Inoltre, ha aperto la strada all’idea del “lavoro come intraprendenza”, con le persone che gestiscono le proprie attività e sviluppano le proprie reti di marketing. La pandemia ha avuto un impatto profondo sul network marketing, sia in termini di crescita che di cambiamento. Ha cambiato il modo in cui lavoriamo e interagiamo socialmente e ha offerto nuove opportunità per l’indipendenza finanziaria. Sebbene ci siano state sfide lungo il cammino, è evidente che il network marketing ha dimostrato la sua resilienza e il suo potenziale durante questo periodo tumultuoso.

*Dott. Maurizio Pesenti, laureato in sociologia, coach professionista, esperto nel settore immobiliare e nella formazione


La violenza sulle donne e le leggi inutili

Di Antonio Russo

Dott. Antonio Russo, sociologo e criminologo

La Violenza contro le Donne è un fenomeno sociale sempre in crescita nel nostro Paese che non tende a fermarsi. E’ un fenomeno complesso e, per contrastarlo bisogna partire dal contesto culturale e sociale perché la violenza è radicata nella cultura ancora patriarcale dell’Uomo verso la Donna. I casi di violenza domestica sono in aumento, negli ultimi anni :
123 i casi di femminicidio nel 2017 in Italia;
142 nel 2018;
94 nel 2019;
91 circa nel 2020, una donna ogni 3 giorni;
81 sono stati commessi nell’ambito familiare, all’interno della coppia proprio in relazione alle condizioni di convivenza forzata dei nuclei familiari, determinando un rischio per le donne, già esposte alla violenza perché, chiuse in casa, non arrivano a chiedere aiuto e i FEMMINICIDI continuano.
Una carneficina, una mattanza che ha nella FAMIGLIA IL SUO DRAMMATICO TEATRO.
103 nell’ anno 2021;
89 nell’ anno 2022;
50 nell’ anno 2023 sino a luglio.
E’ l’ennesimo fallimento della legge, della stessa legge sullo Stalking, che è entrata a far parte del nostro ordinamento con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38), che ha portato all’introduzione dell’art. 612 bis c..p. il reato di “atti persecutori”, con il quale si vuol far riferimento a quelle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona.
Malgrado l’introduzione delle leggi, dalla legge sullo Stalking, alla convenzione di Instabul, al codice rosso, gli “ omicidi “ continuano (e, non “ femminicidi” come impropriamente chiamati dai mass media).
Gli omicidi continuano anche nel 2023 nel silenzio politico e, molte denunce di vittima, molte grida cadono nel silenzio, nel vuoto e l’esempio di tutte le “donne vittime del proprio aguzzino” è stato quello di Clara CECCARRELLI, 70 anni, uccisa a coltellate dal suo ex compagno a Genova. Clara due settimana prima era andata a pagare il suo funerale, “agghiacciante” la sua storia perché aveva capito che sarebbe finita male.
E’ bene tener presente che molte donne non denunciano perché non hanno fiducia nello Stato, nelle Istituzioni come testimoniano le cifre succitate. Molte vittime oggi, non denunciano il loro stalker, per paura, perché economicamente non sono autonome;

non hanno la sicurezza di essere protette e si chiudono nel loro mondo, nel loro “io”, continuando a subire le vessazioni dello stalker;

lamentano l’abbandono da parte dello Stato, la lentezza della burocrazia italiana;
-la mancanza di aiuto, la mancanza di “controllo” dello stalker una volta formalizzata
la denuncia;
-lamentano, la non applicazione della legge;
-l’incertezza delle pene.
La donna VITTIMA ABBANDONATA dallo stato, NON AIUTATA ECONOMICAMENTE e, l’unico appoggio è quello drastico di trasferirsi in una casa protetta con i propri figli staccandoli dalla casa paterna, uno dei piu grandi errori della legge sullo STALKING.
E a tal proposito si riporta una frase di una vittima di violenza domestica:
“ Quando si è vittime, si resiste sempre fino allo sfinimento fisico e intellettuale. Ci si annulla, ci si isola, ci si ammala e, sempre, ci si considera sbagliate e in torto”. La drammaticità di questa riflessione fa capire quanto sia necessario e urgente intervenire. In primo luogo culturalmente. La vittima si sente e vive in una GABBIA!
Il risultato sino ad oggi si fa fatica a vederlo malgrado la convenzione di Instabul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia nel 2013.
La convenzione di Instabul si basa su 4 P:
Prevenire la violenza maschile
Punire gli abusi
Proteggere le donne contro la violenza maschile.
Costruire Politiche integrate
E sarebbe da aggiungere la TUTELA DELLA VITTIMA , quale elemento fondamentale.
Anche l’introduzione il 9 agosto 2019 del codice rosso (si tratta di un provvedimento volto a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere, inasprendone la repressione tramite interventi sul codice penale e sul codice di procedura penale), che mira a garantire maggiore tutela alle vittime di violenza domestica e di genere, non ha avuto l’effetto desiderato.
Anche le ultime integrazioni del codice rosso da parte del Governo sono solo un inutile “palliativo” , che certamente non tutela la vittima.
Forse nessun risultato è stato fin qui raggiunto e, lo dimostrano i numeri che sono spietati, dove nel 44,6% dei casi la vittima aveva precedentemente denunciato il suo carnefice, il suo stalker, il suo orco senza ricevere protezione adeguata. Benché non esistano ancora dati concreti sulla portata del fenomeno, è quasi certo che il numero delle vittime di questo tipo d’intrusione violenta nella vita privata – vittime perseguitate, terrorizzate e talvolta anche aggredite fisicamente o psichicamente, è in costante aumento.

È imperativo e urgente trovare una soluzione per tutte le persone a rischio e, addirittura, per gli stalker, i quali vanno assistiti.

È un dovere premurarsi di chi, attraverso telefonate, sms, e-mail vuole dimostrare segni di affetto che, tuttavia, si trasformano in vere e proprie forme di persecuzione limitando la libertà della vittima, violando la sua privacy e giungendo perfino a spaventarla.

Ci vuole maggiore supporto alle vittime, un intervento in grado di affrontare la vera emergenza italiana, il “ VIRUS LETALE – LA VIOLENZA SULLE DONNE” che, ancora oggi pur avendo il coraggio di denunciare non hanno fiducia nello stato e nelle Istituzioni.

L’obiettivo principale di questa continua battaglia e impegno sociale è sensibilizzare l’opinione pubblica, lo stato, le istituzioni e, tutti verso un cambio radicale sociale, iniziando in primis dal linguaggio che deve essere meno violento. Il linguaggio, la comunicazione sono fondamentali e oggi siamo noi stessi che nel dialogare, creiamo le discriminazioni: dalle semplici parole come “AVVOCATA, ASSESSORA, SINDACA”. Possiamo parlare di parità di genere se poi, noi stessi, creiamo le disuguaglianze?

Purtroppo ben altro bisognerà fare per tutelare le vittime di violenza di genere, “Le grida di molte vittime cadono nel silenzio”.

Il femminicidio è una realtà quotidiana che non deve passare attraverso alcun cavillo politico. Dev’essere combattuto e condannato.

Antonio RUSSO , sociologo e criminologo


STORIE DI VITA: IL MAESTRO GIO BATTA LEPORI

di Tommaso Francesco Anastasio

Il maestro Gio Batta Lepori

Cosa rende umano l’uomo?

Marzo 2023. Fuori piove. Mozart mi fa compagnia mentre rimiro su internet quadri della scuola Labronica. Rapisce la mia attenzione un quadro del maestro Gio Batta Lepori dal titolo “Giornata di Pioggia”. Leggo la biografia dell’artista: padre di 10 figli che negli anni ’40 ha lasciato il suo lavoro di operaio per dedicarsi alla sua passione, l’arte. Numerosi riconoscimenti e mostre. Cerco su internet altre informazioni e trovo una fondazione a suo nome (1).Chiamo. Risponde Caterina, gentile e disponibile, nipote del maestro. Mi presento, chiedo informazioni sul quadro che ho successivamente acquistato e le chiedo se le va di raccontare la storia di vita di suo nonno. Entro in contatto con suo papà, Leonardo, nono figlio del Maestro, capisco che la gentilezza è di casa. Gli parlo del laboratorio di sociologia e psicologia clinica dell’ASI (2),che tra le sue attività vi è anche quella di osservatorio e di come suo papà, a mio avviso, sia stato uno dei precursori dell’attuale fenomeno del “quiet quitting” e di quanto mi affascina chi segue la propria “vocazione” prendendo scelte forti e coraggiose nonostante il contesto difficoltoso. James Hillman direbbe che si tratta di seguire la propria “ghianda” affinché diventi quercia. E ciò comporta anche lasciarsi guidare da quella “volontà involontaria” sartriana come ha fatto il Maestro Lepori.

Il fenomeno del quiet quitting, letteralmente “abbandono silenzioso”, ha assunto anche un significato di  “fare il minimo nel proprio lavoro” ma ritengo che questa concezione sia molto riduttiva rispetto alle possibili dinamiche psichiche che spingono gli individui a lavorare di meno oppure a dimettersi dal proprio posto di lavoro.

Dall’inizio della pandemia il numero degli under 40 che ha deciso di licenziarsi è aumentato del 26% (3).

Ma la domanda che mi pongo è: da quali lavori si dimettono? Per dimettersi devono essere dei lavoratori dipendenti.

I lavoratori, che siano operai, impiegati, quadri o dirigenti, debbono rispondere a dei processi industriali in cui “tutto è prevedibile e procedurizzato” e se da un lato ciò “deresponsabilizza” gli impiegati facendoli sentire “sollevati” da questa fuga dalla responsabilità, dall’altro rende l’uomo “passivo”, rendendolo molto vulnerabile a disagi psichici ed esistenziali. Il sistema uomo per funzionare bene necessita che siano soddisfatti sia i suoi bisogni materiali (cibo, casa, auto, ecc) che i suoi bisogni immateriali (ad esempio senso di vita e trascendenza).Se vengono solo soddisfatti i bisogni materiali, abbiamo individui che sopravvivono ma che di fatto non vivono.

Cosa rende umano l’uomo?

Ecco una lista, non esaustiva, delle possibili definizioni umane: Homo faber, capace di creare; Homo negans, capace di dire no; Homo ludens, capace di attività prive di “scopo”, di giocare; Homo sapiens, capace di una comprensione profonda dei fenomeni; Homo esperans, capace di sperare. Tra le esperienze propriamente umane possiamo citare: L’amore, la trascendenza, la fede, il coraggio, la speranza, la tenerezza e la compassione.

Ora, se l’uomo nella maggior parte della giornata non è nelle condizioni di creare, di dire di no, di fare attività “prive di scopo”, di riflettere o addirittura di sperare, che cosa diventa? Mi verrebbe da dire un “animal laborans” che piuttosto di chiedere “perchè?” chiede “come?” dinanzi a ogni ordine impartito. Ma l’uomo sente anche il bisogno di lavorare, di sentirsi utile, ma ha bisogno di un lavoro che lo faccia sentire “attivo” e non un mero ingranaggio passivo e alienato.

La soluzione quale sarebbe?

Rimando il lettore, per un’esaustiva risposta che non può essere affrontata in questa sede, alla lettura del testo “Rivoluzione della Speranza” di E. Fromm in cui vengono proposte delle iniziative per umanizzare la società e il lavoro. Ma fortunatamente non tutti siamo passivi, alcuni “ribelli” rendono viva e attiva la società emanando sapienza, forza e bellezza attraverso le loro “attività creative”, come nel caso del Maestro Gio Batta Lepori.

La mia indole da psicologo unita alla “sensibilità sociologica” mi ha spinto a indagare cosa avesse spinto e come avesse vissuto il Nostro Artista a lasciare il proprio lavoro “sicuro” per dedicarsi all’incertezza e alla trascendenza del mondo artistico. Quello che segue è il materiale gentilmente offerto dalla Fondazione Lepori a seguito di telefonate, corrispondenza a mezzo e-mail e anche a mezzo della romantica e nostalgica “posta ordinaria”. Leggiamo di un uomo che contiene, come tutti noi, l’intera umanità. Un uomo capace di conoscere la sua ombra e di integrarla nella propria personalità. Un uomo sublimato.Un uomo profondamente umano.

RELAZIONE DEI FIGLI SU GIO BATTA LEPORI (4)

Dopo la scomparsa di Gio Batta Lepori (2002) i figli, si sono dedicati alla sistemazione dell’archivio che ha permesso di leggere i numerosi scritti gelosamente custoditi nello studio dell’artista: racconti autobiografici, poesie, impressioni e ricordi dai quali risulta evidente la gran passione di Gio Batta per l’arte, di cui era veramente innamorato, come si evince dal racconto autobiografico intitolato NILDE (vedi monografia pag. 9). Molto attenta all’evolversi di questa sua passione era la moglie che lo ha sempre sostenuto, infondendogli coraggio e tanta fiducia e ammirazione. Mamma infatti aveva la chiara percezione che suo marito era un artista. (vedi vedi Monografia pag. 10 Metamorfosi) . Babbo spesso si alzava all’alba quindi, legata la cassetta dei colori alla sua bicicletta, andava alla ricerca del paesaggio campestre o marino per realizzare l’opera d’arte che era nata nella sua mente. Dopo il lavoro veniva a casa e dedicava ampi spazi alla famiglia.

Con noi era severo: vincolo della nostra obbedienza era il suo esempio. Era capace di empatia e dedizione. Ci ha educati alla nobiltà d’animo ,al rispetto reciproco e ad una comunicazione che escludeva qualsiasi tipo di volgarità. Nel tempo la severità si è stemperata e non era indifferente ai profondi cambiamenti della società. Un vero stress per lui era l’allestimento delle mostre personali dalle quali però riceveva grandi soddisfazioni sia dalla critica che dal pubblico. Affidava al suo segretario la parte commerciale dell’esposizione, perché babbo preferiva non rinunciare a dipingere. Fino agli anni 70 ha raccolto molti successi: gli estimatori venivano da varie parti d’Italia e questo ha significato un certo benessere. In seguito si è concentrato sulla pittura, lettura, scrittura, gustando pienamente la sua desiderata solitudine. Abbiamo ancora nelle orecchie il tic-tac della sua Olivetti (Lettera 22), alla quale affidava i suoi ricordi, le sue riflessioni e anche le barzellette con le quali ci faceva tanto ridere! Era allegro, anche un po’ burlone,un narratore simpatico e brillante, un tipo accentratore che con le sue imitazioni affascinava gli ascoltatori.

Spesso cantava, e dipingendo ascoltava musica classica; in particolare apprezzava il melodramma CAVALLERIA RUSTICANA del concittadino Pietro Mascagni, il cui figlio venne a conoscere babbo, perché aveva visto la realizzazione pittorica del brano “Inno alsole” dell’opera IRIS. Era il pubblico che lo rendeva esilarante, ma nello stesso tempo Gio Batta conosceva anche la malinconia e la nostalgia. (vedi allegato frasi autobiografiche tratte da LUCI e OMBRE ed altri scritti) Se riceveva critiche, ne soffriva; se per periodi piuttosto lunghi non venivano i “clienti” perdeva vitalità; come pure bastava un segno di apprezzamento per riprendere la consapevolezza del privilegio di essere portatore di un dono divino così grande e prezioso. Rimpiangeva gli anni di successo , conclusosi troppo presto. Noi figli nel 2009 abbiamo costituito una Fondazione per mantenere viva la sua figura, perchè ammiriamo e amiamo l’arte di babbo; ci sentiamo fruitori di beni preziosi, non solo artistici, ma umani e spirituali legati alla famiglia. Siamo circondati di bellezza: i suoi dipinti ci comunicano vitalità, serenità e anche fierezza.

FRASI AUTOBIOGRAFICHE TRATTE DAGLI SCRITTI DI GIO BATTA LEPORI (5)

L’energia e la vitalità che sprigionano dai quadri del Lepori da dove nascono? Forse il suo paesaggio interiore era tutta luce? No, anch’egli aveva le sue zone d’ombra ed era ben consapevole della fatica del vivere. Nel suo intimo erano presenti profonde lacerazioni, ferite, fragilità sentiva malinconia e più ancora la nostalgia, come emerge dai suoi scritti. La colonna sonora delle sue mostre personali era la musica di Mascagni proprio perché ci ritrovava consonanza fra il suo stato d’animo e il tono emotivo del compositore livornese.

Allora, perché tutta questa bellezza, tutta questa esultanza di colore e di vitalità nei suoi dipinti?

Gio Batta dipingeva dal vero, era capace di cogliere il linguaggio della natura, fatto di ordine, armonia, intelligenza, che gli donava meraviglia e stupore. La sua sensibilità molto viva, era dotata di numerose vibrazioni e captava dalla natura: le oscillazioni dell’aria, il sussurrare del vento, il canto degli uccelli, la miscela profumata di fiori e erbe, lo stormire delle fronde, il mormorio delle acque, i colori sfumati o intensi relativi all’ora e alla stagione, che gli offriva il paesaggio in cui si trovava e insieme al fuggevole gioco di luci e di ombre ne rimaneva sedotto. Tutto questo risvegliava in lui una ebbrezza che lo afferrava, dalla quale si sentiva preso e trattenuto come un ostaggio. Allora era incapace di sottrarsi all’imperativo interiore di esprimere la gioia della sua esperienza, di fronte alla perfetta costruzione architettonica che è la natura. Quindi Lepori non poteva che esprimere tutto questo che definiva “ misteriosa forza che dà potenza creatrice.”

A proposito della sua sensibilità è interessante questo suo ricordo: “Quand’ero ancora infante spesso trascorrevo la notte insonne per un fuoco che mi bruciava in petto. Cos’era quel fuoco che mi toglieva il sonno? Era paura, tormento o fantasia? No. Mi accorsi poi che era poesia, che presomi, mai più mi lasciò. Per tutta la vita fui legato al sentimento, al mistero che è tormento: è poesia”. possiamo tradurla con ESPRESSIONE ARTISTICA. “Il giorno in cui saprò imprimere sulla tela un attimo di ciò che sento, potrò dichiararmi soddisfatto di aver speso un’intera vita per l’arte “ Quindi quel fuoco di cui parla nel ricordo di bambino, è un insieme di sensazioni e di sentimenti incontenibili che urgevano nel suo animo e che desiderava ordinare ed esplicitare.

LEPORI facendo arte, ha compiuto il processo di conoscenza della sua interiorità : ha fatto evolvere ed ha integrato la sua ombra nella sua personalità e questo gli ha conferito una decisa identità, Quale? Quella dell’artista.

Sentiamo cosa dice a proposito dell’artista:

“L’uomo artista è per così dire un malato per un ideale che lo tormenterà ovunque: lo farà soffrire e godere, passando da un eden ad un tormento infernale con se stesso e con gli altri. L’artista ama la sua arte più di ogni altra cosa…” e quindi il suo più grande dolore è quando vede il disprezzo delle proprie opere”. LEPORI ha amato l’arte più della fama, del successo, del denaro. E ancora: “Gli artisti, quando lavorano, non appartengono più al mondo e spesso le loro mani sono guidate da una misteriosa forza che dà loro potenza creatrice”. Qual è la concezione dell’arte di L? Ce lo dice lui stesso: “L’arte ha un linguaggio misterioso che arriva al cuore dell’uomo, è sollevare da terra gli uomini e spiritualizzare la materia, a tal punto da rapire il pensiero degli uomini e portarlo in alto”. Arte dunque come attività spirituale, come linguaggio universale capace di far vibrare in ogni persona gli aspetti belli, nobili, consoni alla sua dignità , quindi secondo L. l’arte contribuisce ad umanizzare l’uomo, ogni uomo, e a farlo sentire parte di quell’unica avventura che è il cammino dell’umanità.

Tommaso Francesco Anastasio

Materiale offerto gentilmente dalla Fondazione Gio Batta Lepori

Tommaso Francesco Anastasio insieme alle opere  “Giornata di Pioggia”  e “La Legnaia” del Maestro Gio Batta Lepori

1 https://www.leporigiobatta.it/

2 https://www.asi-sociology.com/e-learning/laboratorio-di-sociologia-e-psicologia-clinica/

3 https://www.ilgiornale.it/news/economia/quiet-quitting-italiani-vedono-lavoro-2079246.html

4 Ricevuta via mail dalla Fondazione Lepori il 12 aprile 2023.

5 Allegato ricevuto via mail dalla Fondazione Lepori il 12 aprile 2023.


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