Mille nomi per Lady Society
di Patrizio Paolinelli
Le immagini della società orientano il modo in cui individui e gruppi miinterpretano il mondo in cui vivono. Ma come orientarsi quando tali immagini si moltiplicano senza sosta? Mille nomi per Lady Society costituisce un iniziale tentativo di risposta. Allo scopo fa un primo punto della situazione, problematizza la proliferazione di immagini della società e sollecita l’apertura di nuovi spazi di comunicazione tra la sociologia e il suo oggetto di studio.
A thousand names for Lady Society. Images of the society shape how individuals and groups interpret the world they live in. But how to choose from a wide range of interpretations created by images multiplying tirelessly? A thousand names for Lady Society is an initial attempt to answer the question. For this aim, it outlines the situation, problematizes the proliferation of images of the society and urges on the opening of new spaces of communication between sociology and its object of study.
KEY WORDS Society, images, naming, nomenclature, communication.
1 – LAVORO DI NOMINAZIONE
Il nome è un’immagine. Società arretrata. Ecco un nome attribuito a una popolazione umana osservata dalle scienze sociali. Il nome presenta il vantaggio di fotografare tale popolazione colta in un determinato spazio-tempo. Tra le discipline che hanno la legittimità di coniare nomi per identificare una società la sociologia si è conquistata da tempo il posto donore. Ieri come oggi i sociologi analizzano le società e individuano dei tipi. Ai tipi di società impongono un nome con cui rimandano a un’immagine sintetica in modo da qualificarli e stabilire delle differenze: società agricola, società industriale; società tradizionale, società moderna; società di massa, società individualizzata e così via.
Il nome è un evento. E l’evento è il libro con cui si attribuisce un nuovo nome alla società. Il libro può avere diversi destini determinati dalle porte girevoli con cui il testo entra ed esce dai circuiti di lettori specializzati e da quelli dei lettori non specializzati. Due casi: un libro può registrare più vendite fuori che dentro la comunità scientifica e suscitare un’attenzione elevata nelle pagine culturali del mondo dell’informazione; oppure può registrare poche vendite tra il pubblico dei non addetti ai lavori, ma godere di un’alta attenzione del mondo universitario e di un’attenzione relativa del mondo dellinformazione. Si tratta di due tipi di successo che possono essere analizzati da diversi punti di vista: commerciale, culturale, politico.
Lavoro di nominazione. Ciò che agli occhi del pubblico rende persuasiva un’immagine della società è la quantità di lavoro contenuto nel nome che la qualifica. Si tratta di un’attività collettiva che comprende: l’imprescindibile impegno dell’autore o dell’autrice; il sostegno della casa editrice; il livello del dibattito che il nuovo nome suscita all’interno della comunità scientifica; l’attivazione di una rete di relazioni che vede il concorso dell’autore e dell’editore da un lato, del mondo dell’informazione e di quello della politica dall’altro. Solitamente un nome di società ha molte più opportunità di circolazione nella sfera pubblica se stabilisce una relazione virtuosa fra tutti questi soggetti.
Canone e pluralismo. Il lavoro di nominazione intreccia due tipi di immagine: 1) quella che accompagna il passaggio da un mondo unico a un altro mondo unico (dalla società agricola alla società industriale) e in questo caso il nome della società entra a far parte del canone sociologico; 2) quella relativa alle trasformazioni interne al medesimo mondo (per esempio: dalla prima alla quarta rivoluzione industriale). In questo secondo caso lo sviluppo della differenziazione sociale favorisce il pluralismo degli approcci e di conseguenza la pluralità di nomi. Oggi in modo particolare a causa dell’epocale fase di transizione che l’intero pianeta sta vivendo. Lo sforzo della sociologia è quello di individuare sul piano macro e micro le direzioni della transizione in atto. Da qui tre dilemmi: basta spiegare i nuovi fenomeni sociali per comprendere la natura della società che si va annunciando? Quanto a lungo la nuova società conterrà ancora il vecchio mondo con nuove vesti? È possibile prevedere quand’è che la nuova società costituirà un mondo unico? In ragione di queste domande può essere utile interrogare i nomi della società e le immagini che evocano.
Il chiodo e il martello. Tra i classici della sociologia il dibattito sullo statuto della disciplina è stato assai più intenso e combattuto rispetto al dibattito sull’oggetto della disciplina: la società. È un po’ come se ci si fosse interrogati più sul chiodo che sul martello. Poiché non si dà chiodo senza martello, il serrato dibattito metodologico dei padri fondatori non poteva che essere accompagnato dall’individuazione di nuove immagini della società. Man mano che si scavava venivano fuori delle novità. Senonché queste novità potevano essere sia nuovi reperti (un’inedita tecnologia, una maggiore divisione del lavoro, l’affermazione di nuove classi e categorie sociali) sia gli elementi strutturali di ogni società osservati in maniera diversa: valori, integrazione, conflitto, cooperazione e così via.
Lady Society immortalata/1. Inquadrata dalla nascente sociologia Lady Society inaugura l’album di famiglia. Per Marx la società è una totalità storicamente determinata dalla lotta di classe; per Comte è un fenomeno dalla crescente complessità intellettuale rivolto al progresso; per Tönnies un’unione contrattuale in cui vige l’individualismo e l’egoismo; per Spencer un organismo che si mantiene stabile attraverso il suo sviluppo; per Weber il risultato di azioni individuali dotate di senso; per Simmel lazione reciproca degli individui tra loro; per Durkheim la combinazione di una forza costrittiva, una forza naturale e una forza morale.
Lady Society immortalata/2. Dopo i classici l’album di famiglia di Lady Society non smette di arricchirsi. Per Pareto la società è un sistema di elementi in equilibrio; per G. H. Mead è un insieme di significati condivisi; per Parsons è un sistema articolato in status e ruoli tra loro intrecciati; per Wright Mills una specificità storica che ai suoi tempi vedeva contrapposte l’élite alla massa; per Marcuse la società industriale avanzata è una forma di totalitarismo in cui l’uomo è un mezzo e non un fine; per Elias la società è costituita da un intreccio di individui interdipendenti che dà luogo a differenti configurazioni.
Mille nomi per Lady Society. Dopo un ciclo di lotte sociali con gli anni ’80 del Novecento prende avvio la grande normalizzazione: fine della contestazione operaia e studentesca, avvento del post-fordismo, inizio della lunga cavalcata neoliberista. Proprio questi mutamenti daranno luogo a un’ulteriore proliferazione di immagini della società. Proliferazione indotta dall’approfondimento della ricerca e da un clima culturale che favorisce la pluralità delle nominazioni. Con ciò si intende: 1) che sempre più si individuano fenomeni sociali da osservare e ai quali attribuire un nome; 2) che sempre più il sociologo di professione avverte la necessità di trovare differenze da battezzare. Si viene così a creare un circuito in grado di autoalimentarsi. Possiamo vederlo all’opera se dividiamo la produzione di nuove immagini della società tra due gruppi di studiosi: uno tutto straniero, che individua trend transnazionali; e uno tutto italiano che individua trend nazionali. Il primo ha coniato o valorizzato nomi quali: società dei consumi (Baudrillard), società post-industriale (Bell), post-moderna (Inglehart), del rischio (Beck), della sorveglianza, (Lyon, Zuboff). Il secondo gruppo ha coniato nomi quali: società fuori squadra (Bagnasco), società della prestazione (Chicchi, Simone), della prevenzione (Pitch); post-razionale (Costa), società irretita (Ferrarotti); società digitale (Granieri); società signorile di massa (Ricolfi).
Un puzzle molto complicato. Le ultime ondate di immagini della società sollecitano diversi interrogativi. Quale nome imporre a una società che è allo stesso tempo post-moderna e signorile di massa? Una volta trovato il nome lo si potrebbe attribuire anche a una società che è della sorveglianza e post-razionale? Difficile. Allora per facilitare la risposta proviamo una combinazione tra immagini più affini. Ad esempio, la società dei consumi si incastra abbastanza bene con la società signorile di massa. Ma quale nome assegnarle? Stesso problema per la coppia ben assortita società post-industriale/società digitale. Forse fino a ieri questa coppia sarebbe potuta ricadere sotto l’ombrello della globalizzazione. Ma intanto quale, viste le differenze tra parecchie correnti di pensiero? E poi, da quando gli Stati Uniti hanno scoperto che la globalizzazione non gli conviene più l’ombrello si va chiudendo, mentre si leva alto il nome di società occidentale. Immagine di forte presa sul grande pubblico, ma molto vaga (per non parlare del suo uso propagandistico). Per farla breve, è difficile trovare un minimo comun denominatore tra coppie di nomi e le cose si complicherebbero ulteriormente se dovessimo aggiungerne altri. Eppure se le tante immagini di società oggi in circolazione fossero completamente svincolate l’una dallaltra in qualche punto del processo di nominazione dovrebbero verificarsi delle rotture significative. Ma per trovarle bisogna guardare al lontano passato. Sin dagli esordi della sociologia le immagini della società nascono in polemica col marxismo, successivamente con la teoria critica della Scuola di Francoforte e con la sociologia radicale Nord-Americana. Invece, nell’attuale mondo in transizione tutto si tiene: un’immagine non esclude l’altra. Questa serena convivenza è preoccupante. C’è da chiedersi: nulla cambia dove tutto cambia?
2 – MOVIMENTI DELL’IMMAGINE
Circolazione dell’immagine. La comunità scientifica non si limita a fare da madrina al battesimo di una nuova immagine della società. Di sicuro col suo patrocinio ne favorisce la circolazione dentro e fuori il circuito degli addetti ai lavori. Se il patrocinio viene ridotto si assiste a una decrescita della circolazione. Se invece viene in larga misura ritirato l’immagine circola solo occasionalmente e quasi non esce dal circuito accademico (dove vive un’esistenza periferica). Parabola che assume un significato politico: l’immagine che non circola o circola pochissimo esce dalla sfera pubblica e perde, o riduce fortemente, la sua capacità di attrazione tra addetti e non addetti ai lavori. Il caso forse più macroscopico è oggi offerto dall’immagine di società capitalistica. Dopo molte incertezze dovute all’egemonia culturale del neoliberismo si è ripreso a parlare in termini più o meno critici di capitalismo: globale, transnazionale, finanziario, cognitivo, flessibile, soft, digitale, delle piattaforme, della sorveglianza e così via. Assai meno, per non dire quasi nulla, si parla di società capitalistica. Fenomeno interessante per il processo di nominazione: la presenza del capitalismo è innegabile, ma è negata la società che gli corrisponde. A dire il vero per un periodo l’immagine di società complessa ha preso il posto di quella di società capitalistica. Ma ci è riuscita per il solo fatto di tenerla fuori dalla porta? Effettivamente sì. E questa scortesia ha annullato il potere del capitalismo sulla società? Effettivamente no.
Immagine: forza centrifuga. Se la ricezione di un nuovo nome attribuito alla società supera abbondantemente il circuito dei lettori specializzati la nuova immagine rimbalza sui mass-media e diventa il fotoritratto in cui il pubblico può riconoscersi. È il caso della metafora della liquidità. Presto popolarizzata come società liquida è diventata la più riuscita immagine centrifuga della società degli ultimi vent’anni. Partita dalla modernità si è precipitata verso la periferia: vita liquida, amore liquido, paura liquida, male liquido. Partita dal mercato librario degli esperti ha conquistato anche quello dei non esperti. Per Bauman, al centro della società liquida ci sono i problemi del soggetto dato che la società è stata disintegrata da un potere senza volto ma molto mobile. Nascono così le immagini di società individualizzata e di società dell’incertezza.
Immagine: forza centripeta. Se la ricezione all’interno della comunità scientifica non è vasta, o lo è ma, per un qualsiasi motivo, la nuova immagine non entra a far parte del vocabolario politico e di quello giornalistico, si verifica un movimento centripeto dell’immagine, la quale torna a dirigersi verso il suo nucleo originario. Il che non significa la perdita della sua portata euristica. È il caso di Luhmann. La sua immagine della società – un sistema di comunicazione autopoietico ha conosciuto un quarto d’ora di celebrità per poi esaurire il proprio ciclo di vita in termini di diffusione tra il pubblico extrauniversitario (oggi quasi nessuno utilizza più una formula derivata come “sistema Italia”). È anche il caso dell’immagine di società delle reti – il mondo è una struttura di network – che anticipa la fluidità della società liquida, ma è troppo votata al lessico scientifico per essere utilizzata nel linguaggio quotidiano. Ed è pure il caso della sociobiologia. La cui immagine della società – un gruppo di individui appartenenti alla stessa specie e organizzati in maniera cooperativa – per quanto di immediata fruibilità è risultata una meteora a causa delle difficoltà di dialogo con la teoria sociologica, sia essa soggettivista che oggettivista. Rimasta isolata e con un piccolo drappello di estimatori la sociobiologia è rientrata in sé stessa.
3 – PUBBLICO
Il pubblico come consumatore. Il più delle volte il lancio di un nuovo nome di società significa proporlo al target dei lettori specializzati senza l’intenzione di uscire da quel circuito (strategia commerciale: restare nei sicuri confini del mercato universitario). Può tuttavia capitare che il successo all’interno del circuito degli specializzati faccia da trampolino per atterrare nel circuito dei non specializzati (strategia commerciale: rischio calcolato dello sconfinamento dal mercato universitario). Così come può capitare che in accordo con l’editore il sociologo o la sociologa si rivolga in prima istanza al pubblico eterogeno dei non specializzati scavalcando quello omogeneo degli specializzati (strategia commerciale: sconfinamento intenzionale dal mercato universitario). In questa dinamica le case editrici interessate all’intera popolazione dei lettori si fronteggiano con quelle di nicchia che godono di una solida presenza nel mercato universitario.
Forma. Ciò che permette l’aggregazione di un pubblico eterogeneo intorno a un nuovo nome della società è: 1) la risposta al bisogno dei lettori di strutturare la realtà in cui vivono; 2) l’immediatezza intuitiva di una formula utilizzabile anche dai non addetti ai lavori; 3) una teoria a sostegno dell’immagine in grado di suscitare un dibattito nazionale, internazionale, dentro e fuori la stampa specializzata; 4) l’occupazione di uno spazio mentale collettivo (il nome dà luogo a un’interpretazione condivisa) e di uno spazio temporale (il nome ha una durata: breve, media, lunga). Sin qui la forma.
Sostanza. Il processo di aggregazione di un pubblico o di pubblici differenti intorno a un nome di società non è naturale: è politico. Ed è politico per tre motivi: 1) il lettore tende a cercare un’immagine della società che corrisponda alla propria posizione sociale; 2) i sociologi tendono ad offrire al lettore un nome di società che non sia troppo estraneo alla posizione sociale del lettore; 3) sociologi e lettori di sociologi appartengono in genere al ceto medio. Da queste simmetrie scaturisce un altro tema politico: le risposte della sociologia al bisogno dei lettori di strutturare la realtà ne strutturano anche il bisogno. E il bisogno strutturato intorno a un nome di società si convalida in dialoghi, convinzioni, comportamenti. Tuttavia questa relazione sembra da tempo in crisi. Quali dialoghi, quali convinzioni, quali comportamenti dinanzi allattuale pullulare di nomi attribuiti a Lady Society? Società moderna? postmoderna? della seconda modernità? società digitale? neofeudale? cosmopolita? dell’informazione? della conoscenza? della tecnica? dell’accelerazione?
Autori e pubblico. Limitandoci ai libri, la partecipazione di un pubblico eterogeneo alla diffusione di una nuova immagine della società si esprime in diversi modi. Per esempio, il volume di acquisti del testo di chi ha coniato il nuovo nome e il numero di visitatori sui video on-line che parlano o fanno parlare l’autore o l’autrice; l’appropriazione collettiva di tale nome come chiave di lettura dei processi sociali da spendere nelle conversazioni della vita quotidiana (on-line e off-line). La funzione di acquisto e la funzione di scambio riguardano ovviamente anche il pubblico specializzato dei lettori. Ma con alcune differenze rispetto a quello non specializzato: 1) lo specializzato svolge un’attività retribuita all’interno di istituti culturali: università, fondazioni, enti pubblici, privati e così via; 2) in virtù dei propri studi e dei propri titoli ha l’autorità per legittimare o delegittimare la nuova immagine di società; 3) è esso stesso un emittente potenzialmente in grado di creare altre immagini della società; 4) solleva il pubblico dalla responsabilità di prendere in carico sé stesso e gli permette di stare al passo coi tempi con la produzione a getto continuo di nuove immagini.
La parola a Lady Society? L’asimmetria tra pubblico specializzato e non, fa emergere una dinamica di potere: i nuovi nomi della società provengono dall’alto seguendo la logica top-down. Esistono molte buone ragioni che spiegano questa dinamica. Per esempio: gli autori fanno gli autori, il pubblico fa il pubblico e tutti si riconoscono nella relazione che si instaura tra i rispettivi ruoli. Ma è insensato chiedersi se si possa seguire anche una logica bottom-up? Vanno in questa direzione le inchieste operaie e studentesche di un tempo, le storie di vita di Ferrarotti, l’analisi dell’uomo flessibile di Sennett. Tuttavia la logica bottom-up sembra più occasionale che strutturale. E alla fine Lady Society è più parlata che ascoltata.
Il bandolo della matassa. A cosa serve riflettere sul processo di nominazione della società? A favorire la comunicazione tra sociologia e società e tra società e sociologia. Scambio in cui le tante immagini di società dibattono nel parlamento dei sociologi formando maggioranze e minoranze. Alla fine qualcuno governa e chi siede all’opposizione subisce. Subisce una condizione di relativa marginalità nella sfera pubblica. Domanda: chi parla oggi di società borghese dato che è la borghesia a dirigere l’economia, la politica, la cultura, l’informazione e dunque la società?
Ceci n’est pas un sociologue. Immagini della società, immagini dei sociologi. Lo scatto fotografico ritrae Bauman seduto dietro la scrivania del suo studio. L’osservatore è allo stesso tempo avvicinato e allontanato. Ambivalenza causata da tre perfezioni contenute nell’immagine: 1) Bauman è in perfetta simbiosi con la macchina fotografica; 2) è perfettamente sicuro dei suoi mezzi espressivi; 3) è perfettamente immerso nel ruolo del maître à penser. A queste tre perfezioni corrispondono tre fatti: 1) Bauman guarda in camera; 2) non sorride; 3) è impegnato a fumare. Se distogliamo l’attenzione dallo sguardo del soggetto possiamo individuare due altri protagonisti del ritratto: la pipa e la nuvola di fumo che si allontana. La prima è un oggetto materiale, la seconda immateriale. La prima è statica, la seconda è in movimento. Per un attimo la sociologia rientra nel ventre della filosofia.
4- MORTE E RESURREZIONE DI LADY SOCIETY
Effetto Babele. Brutte notizie per tutti i sociologi, indistintamente dall’immagine di società che perorano. La guerra tra i libri che un tempo così tanti animi accendeva non è che un ricordo. La cultura tipografica è in declino e nessuno si scalda più di tanto per opporre la propria immagine della società a un’altra. Un Wright Mills che polemizza ferocemente con lo struttural-funzionalismo di Parsons oggi non si vede. E non si vede perché non è più necessario. Non ci sono le condizioni politiche per una tale necessità. Il neoliberismo è l’ideologia dominante dei nostri tempi. Ha riformato il linguaggio quotidiano, giornalistico e scientifico ed è penetrato in tutte le istituzioni: economiche, politiche, culturali. E seppure da dentro le istituzioni si levano voci critiche è debole la spinta della società. Con quale nome chiamarla a raccolta? La nomenclatura sempre più fitta ha generato un effetto Babele per Lady Society. Mille nomi non sono forse nessun nome?
Lady di ferro contro Lady Society. Il processo di nominazione della società non si esaurisce nel dibattito tra sociologi. Nel 1987 la Signora Thatcher gettò alle ortiche l’album delle foto di Lady Society dichiarando nel corso di un’intervista: «Non esiste una cosa come la società. Esistono solo individui e famiglie.» Molto prima e molto meglio della Lady di ferro aveva fatto von Hayek. Il quale considerava delle semplici astrazioni entità come società, capitalismo e imperialismo. Comunque sia, nel 1987 per Lady Society suonarono le campane a morto. Ma il discorso sociologico non si diede per vinto. E tuttavia i de profundis liberisti non restarono senza conseguenze. Per la politica la società poteva pur morire, ma non per la sociologia. E il buon senso suggeriva che nessuna delle due sarebbe passata a miglior vita. Occorreva trovare un accordo. Fu facile trovarlo in ciò che univa neoliberismo e sociologia liberale: il soggetto. E così le teorie sociali individualiste, già presenti in forze dentro e fuori i circuiti accademici, presero uno slancio che continua ancora oggi.
Un salutare funerale. Sarebbe un errore prendere alla lettera la condanna a morte emessa dalla Lady di ferro. Per un motivo molto semplice: la società non esiste è un’immagine della società. La sua negazione non istituisce un vuoto, ma un pieno: l’attuazione del progetto sociale neoliberista. Da questa attuazione scaturisce una sociologia che guarda con ancora più intensità al soggetto che al suo oggetto e incentiva il lavoro di nominazione (dove il lavoro raramente trova posto). E così, dopo il funerale di Lady Society non si è fermata la moltiplicazione delle immagini della società. Mai funerale fu più salutare perché le nuove immagini richiedevano un lungo e complesso confronto con tre questioni: 1) la negazione della società non poteva essere accettata in blocco, pena l’assorbimento della sociologia nell’economia, se non la sua svendita al marketing; 2) non poteva essere rigettata in blocco perché la corrente sociologica prevalente, quella soggettivistica, condivideva le ragioni di fondo dell’homo oeconomicus; 3) perché il neoliberismo ha continuato ad andare per la sua strada seguendo un preciso obiettivo politico: desocializzare la società. Tutti questi temi hanno dato ai sociologi più lavoro che grattacapi. E siamo arrivati all’oggi: persino la sociologia liberale scopre una venuzza critica dinanzi all’eccessiva frantumazione dei legami sociali. Ma studia quel che viene fuori dalle macerie come un fatto naturale e non come il risultato di una pianificazione politica perseguita con ogni mezzo, lecito e illecito. Dunque l’autonomia della sociologia dal neoliberismo diventa prevalentemente linguistica. Ed ecco apparire le immagini di società democratiche, società a democrazia liberale e il divertente ossimoro: capitalismo democratico.
Continuità nel cambiamento. L’alleanza tra ideologia neoliberista, potere politico, sistema dell’informazione e teorie sociali individualiste comporta per quest’ultime alcune scelte obbligate per rispondere agli squilibri della transizione in atto: ridurre la società a situazioni; abbracciare la causa dell’individualismo proprietario; non concedere alcuna speranza di emancipazione ai dominati. Tali scelte comportano la necessità di un grande sforzo intellettuale per diversi motivi: 1) per spoliticizzare i problemi sociali separandoli gli uni dagli altri e affidarli ai sociologi specializzati in questa o quella branca; 2) per aggirare la trappola dell’atomismo a cui conduce l’individualismo proprietario; 3) per liquidare la dialettica dei rapporti di forza tra lavoro e capitale; 4) per fare dei subalterni dei tipi ideali in mezzo a tanti altri tipi ideali (imprenditori, professionisti, rentier) e tutti insieme assicurare l’ordine sociale.
La fantasia al potere. Una delle migliori immagini prodotte dal pensiero liberale è quella di società aperta. Qual è il suo punto di forza? Fondarsi su un mondo fantastico. Un mondo dove ci si scambiano opinioni senza alzare la voce, dove tutti partecipano alle decisioni, dove le informazioni sono disponibili a chiunque e il potere passa di mano in mano con un cortese Prego, si accomodi. Non facciamo dell’ironia. Una tale mitologia ha avuto la forza di sostituire un vocabolario con un altro. Ha utilizzato la categoria della modernità al posto di quella di capitalismo; di tensione al posto di contraddizione; di strato al posto della classe. Cè poi da aggiungere che si tratta di una sintesi molto efficace sul piano retorico: chi mai può essere favorevole a una società chiusa? È soprattutto in questo senso connotativo che l’immagine di società aperta viene largamente usata dalla stampa, che la alterna o la associa con quella di società di mercato. Sintesi, quest’ultima, con la quale non si intende l’immagine elaborata da Polanyi, ma la cronaca delle decisioni economiche antisociali di governi e aziende e che la stampa quasi all’unanimità sostiene incondizionatamente.
5 – MOLTE INTERDIZIONI, UN’INVOLUZIONE
Società di massa. Il soggettivismo sociologico utilizza diverse tecniche di interdizione d’immagini della società che non gradisce. Una di queste è la cortina del silenzio. Nel caso della società di massa il silenzio è diventato pressoché totale perché implica l’eterodirezione degli individui. Processo che manda in crisi la convinzione di un soggetto autodiretto così cara ai teorici dell’individualismo metodologico. Eppure la nostra contemporaneità sarebbe profondamente diversa da quella che è senza fenomeni che investono le masse: i comportamenti imitativi nei giochi in borsa; l’uniformità dei costumi; la standardizzazione del divertimento; la diffusione planetaria del modello californiano del corpo; la McDonaldizzazione della società; lo spostamento, calato dall’alto, del conflitto dai diritti sociali ai diritti civili. E che dire dei mezzi di comunicazione di massa? Esistono ancora? Sì, esistono ancora. La stessa Internet non sarebbe quel che è senza il cinema e la TV, ancora oggi azionisti di maggioranza dell’immaginario collettivo. Ma i partiti di massa e le organizzazioni di massa non esistono più, mentre i sindacati sono al palo. Tutto vero: si è compiuta l’americanizzazione di massa.
Società dei consumi. L’interdizione dell’immagine di società dei consumi è più complicata data la loro continua misurazione come indice dell’andamento dell’economia. Dunque se ne parla ancora, ma recidendo di netto il suo collegamento con la società di massa. Il consumo diventa un problema individuale e il consumismo cessa di costituire un problema sociale risolvendosi nell’invito al singolo a cambiare stile di vita. Eppure per molti aspetti siamo ancora una società dei consumi nonostante i Trenta gloriosi siano finiti da un pezzo. Senza chiamare al banco dei testimoni Veblen il problema per le teorie sociali individualiste è politico: l’anticonsumista manda in crisi il modo di produzione dominante. Problema risolto: oggi i consumi sono per lo più inquadrati in due modi opposti: come misura della qualità della vita; come fattore di frustrazione dell’individuo. Ma come dicono i neoliberisti, la frustrazione non è uno stimolo per reinventarsi?
Società dello spettacolo. L’immagine elaborata da Guy Debord annunciava da un punto di vista marxista il dominio dei media sulla realtà. Anche questa sintesi non poteva essere tollerata perché spingeva a rivoluzionare in senso anticapitalista il mondo delle merci. Altre due versioni collegate alla dimensione dello spettacolo sono la società dell’immagine e la cultura del narcisismo. Anch’esse sono state praticamente interdette dal dibattito pubblico. La prima, perché muove da un approccio demistificatorio di quel comizio quotidiano delle merci che è la pubblicità. Acqua passata. Oggi pochi contestano la pubblicità nonostante la sua invadenza abbia raggiunto livelli degni di un distopico romanzo di fantascienza. La seconda immagine è stata interdetta perché fa luce sui meccanismi psicologici di un individuo che non può cambiare il mondo e la cui strategia di sopravvivenza è quella di esibire un io ripiegato in sé stesso. Il soggettivismo sociologico non poteva che rigettare immagini dell’uomo e della società così contrarie alla propria visione di un individuo libero, razionale e padrone di sé. E ha costruito i suoi esseri mitologici. Uno è lo spettatore attivo all’opera nella società della comunicazione. Indipendente e volitivo questi’individuo è in grado di condizionare i mass media a tal punto che ogni giorno va a pranzo coi produttori televisivi di Birmingham per discutere sceneggiature e decidere quali programmi mandare in onda sugli schermi inglesi.
Lady Society in Transition. Dopo i politici e i sociologi, a parlare della società troviamo altre figure: i più defilati, ma non meno incisivi, sono gli esperti di marketing; i pubblicitari hanno invece goduto di grande visibilità mediatica tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso; in quegli stessi anni sul palcoscenico hanno fatto irruzione i profeti della rivoluzione digitale per poi occupare tutta la scena. La rivoluzione che da allora annunciano condurrà a una nuova società al cui centro siederà l’informazione. Che l’informazione abbia acquistato un valore commerciale come non si era mai visto nella storia è innegabile. Che invece Lady Society stia transitando verso un mondo unico così come avvenne col passaggio dal feudalesimo al capitalismo è discutibile. Per il momento la new economy non sembra affatto generare una new society. Semmai finora ha alimentato il capitalismo primitivo teorizzato dai neoliberisti accompagnandolo con smartphone, social network, videogiochi e videoconferenze. D’altra parte non sempre le società evolvono. Possono anche involvere. E ad oggi sembra che Lady Society stia transitando più all’indietro che in avanti. Naturalmente per i tecno-utopisti la civiltà del silicio è alle porte e i tardo-umanisti sono più ritardati che ritardatari. Ma allora che ci fa Adam Smith nei libri di Bill Gates?
Esercizio. Scusi signor passante, mi sa dire in che società viviamo? Sono probabili le seguenti risposte: il passante, in imbarazzo, si arrampicherà sugli specchi; oppure darà risposte convinte; infine, nessuna risposta. L’incertezza della prima posizione e il silenzio della terza segnalano una parziale perdita di ancoraggio del socializzato dalla società. La certezza della seconda posizione preannuncia una socializzazione ben riuscita. Tuttavia l’incerto e il silenzioso fanno anch’essi parte della società. Perciò in linea di principio le tre risposte non si escludono a vicenda perché questo è un raro caso in cui non esistono risposte sbagliate qualsiasi cosa si dica e perché persino il silenzio parla (di un’assenza? di un analfabetismo? di un’indifferenza?).
Continuazione e fine dell’esercizio. A partire dalle ipotetiche risposte del nostro ipotetico passante possiamo ipotizzare alcune domande: 1) è la proliferazione di immagini della società a produrre gli incerti e i silenziosi? 2) Prima o poi i creatori di immagini esauriranno la vena creativa? 3) Quali immagini della società che hanno avuto recente successo finiranno nel dimenticatoio? 4) Si tornerà a un’immagine fondata sul conflitto? Poiché non sta bene lasciare troppe domande senza un accenno di risposta diciamo che molto dipenderà da tre capacità: la capacità delle élite che dirigono la old e la new economy di mantenere salda la loro alleanza; la capacità di aggregazione politica dei dominati; la capacità della sociologia di ritrovare lo spirito critico e impegnarsi per una società più giusta.
Dott. Patrizio Paolinelli
Bibliografia di riferimento:
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Patrizio Paolinelli, La critica sociologica, LVII, 227, Autunno 2023