L’analisi politica di Giorgio Benvenuto nell’intervista di Patrizio Paolinelli
Si sta iniziando a scaldare la campagna referendaria sul taglio dei parlamentari. A Montecitorio i partiti hanno votato per il sì quasi all’unanimità. Oggi invece sono attraversati da molti dubbi. Come spiega questo passaggio dalla certezza all’incertezza?
<<=== Prof. Patrizio Paolinelli
Lo
spiego col fatto che la politica non c’è più e che le decisioni si prendono in
base alle esigenze del momento. La politica si fa senza respiro, senza prospettive,
è tutta tattica e niente strategia. È incredibile: in parlamento alcuni partiti
avevano votato a favore del taglio dei parlamentari e ora rimettono in discussione
quella scelta. Va riconosciuto che i 5 Stelle sono i più coerenti, d’altra parte
la riduzione del numero dei parlamentari è un loro antico cavallo di battaglia.
Ma il quadro complessivo è quello di una
decadenza della politica. Comunque, i tanti ripensamenti nel fronte del sì sono
venuti fuori anche perché il voto in parlamento non è stato il frutto di un
dibattito interno ai partiti e ancora meno nel Paese. Si è trattato di
decisioni prese da gruppi dirigenti che pensavano di interpretare correttamente
la realtà. In tutta evidenza si sono sbagliati.
Nessuno
nega che occorra rendere maggiormente efficiente il nostro parlamento. Ma l’efficienza
non è un fatto quantitativo, è un fatto qualitativo. Non è riducendo il numero
dei parlamentari che automaticamente il parlamento diventerà più dinamico e
operoso. I problemi sono altri. Alcuni esempi: i regolamenti sono ormai superati
e vanno modificati, il bicameralismo perfetto non ha più una sua giustificazione,
infine, in questi ultimi anni il parlamento è stato espropriato dei suoi
compiti tanto da non avere più il valore che aveva nella Prima Repubblica e all’inizio
della Seconda. Purtroppo su questi problemi non vedo grande attenzione.
Tuttavia Zingaretti ha lanciato un appello a Conte affinché la maggioranza di governo approvi prima del referendum sul taglio dei parlamentari una riforma elettorale. Cosa pensa di questa mossa?
Che
arriva in ritardo. Anzi, con troppo ritardo. Innanzitutto mi ha stupito il
cambiamento repentino del Partito Democratico. Il quale, come è noto, ha votato
per tre volte no al taglio dei parlamentari quando il Movimento 5 Stelle stava
al governo con la Lega, poi quando è nato il Conte bis ha votato sì. È stata
una mossa tattica. Comprensibile, altrimenti il nuovo governo rischiava di
cadere, ma poi è mancata la strategia. Quella che adesso Zingaretti vuole mettere
in pista con la proposta di una riforma elettorale a poco più di tre settimane dal
referendum. Ciò denota come ancora oggi il Partito Democratico sia fermo all’emergenza.
Ossia impedire che vinca la destra. Obiettivo legittimo, ma per raggiungere il
quale non basta fare delle alleanze contraddittorie. Occorre avere un progetto.
Progetto che fino ad oggi non si è visto.
A
parte questo aspetto, quando la tattica non fa parte di una strategia può
rivelarsi assai problematica. C’è infatti da considerare che se al referendum
vinceranno i sì si tratterà di una vittoria dei 5 Stelle, se invece vinceranno
i no si tratterà di una sconfitta che coinvolgerà anche il PD. Non basta. Se come
sembra alla fine Zingaretti decidesse di lasciare libertà di coscienza agli iscritti
al partito e al suo elettorato si aprirebbe un problema di carattere generale,
che va al di là dello stesso PD e di Zingaretti. E cioè il fatto che su una
questione che investe la Costituzione un partito deve essere perfettamente
cosciente di quello che vuole e di quello che non vuole. In questo caso
lasciare libertà di coscienza è troppo comodo. È un atteggiamento da Ponzio
Pilato: qualsiasi soluzione va bene. Invece sui temi che investono la struttura
delle istituzioni i partiti non hanno mai lasciato libertà di coscienza, a partire
dal referendum per la scelta tra monarchia e repubblica. Hanno sempre dato indicazioni
precise e assunto posizioni molto chiare.
Lo scontro tra Regioni e governo nazionale si arricchisce di altri due capitoli. Il primo, riguarda la vicenda dell’ordinanza del presidente della Regione Sicilia, impugnata dal governo e sospesa dal Tar. Tale ordinanza stabiliva il trasferimento fuori dall’isola di tutti i migranti presenti nei sovraffollati hotspot della regione. Il secondo capitolo riguarda le regole per garantire l’apertura in sicurezza delle scuole. Si è faticato parecchio a trovare un accordo e comunque ci sono ancora diverse incognite. Questi continui tira e molla tra Stato e Enti locali stanno superando il livello di guardia?
Sì
e da molto tempo. Qui c’è una vecchia responsabilità. Mi riferisco alla modifica
del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001. Una riforma che tra i suoi risultati
ha avuto quello di aprire un forte conflitto tra Stato centrale e Regioni,
tanto che i quattro quinti delle sentenze della Corte Costituzionale riguardano
le diatribe tra questi due enti. Anche il caso della Regione Sicilia da lei menzionato
è stato risolto da un tribunale. Arrivati a questo punto a me sembra che siamo all’emergenza
perché i processi decisionali subiscono continui stop e non si può andare
avanti in questa maniera. La questione va affrontata e vanno stabilite
chiaramente le competenze tra Stato e Regioni per evitare che il continuo
ricorso ai giudici finisca per produrre una paralisi istituzionale. Il problema
è talmente serio che Conte fa continuamente ricorso ai Decreti
della Presidenza del Consiglio e utilizza la Cassa depositi e prestiti come uno
strumento amministrativo per rimettere in piedi l’intervento dello Stato nell’economia.
Cosa che ha una sua ragionevolezza, ma va disciplinata mentre oggi è assai confusa.
In
merito alla vicenda relativa all’apertura delle scuole debbo dire che è stata
gestita con un’enorme incompetenza. Mi spiace dirlo ma siamo a una specie di
carnevalata. Mi risulta difficilmente comprensibile questa storia dei banchi, delle
mascherine, delle distanze da tenere in aula e sui mezzi di trasporto, dei professori
over 55 anni che si sentono a rischio, di chi debba misurare la temperatura ai ragazzi
e così via. Si è iniziato a chiudere le scuole a marzo, siamo a fine agosto e a
distanza di poco più di due settimane dalla riapertura, stiamo ancora discutendo
su cosa si debba fare. Non ci si poteva pensare prima? E poi non è chiara la responsabilità
dei presidi, inoltre le assunzioni di nuovo personale debbono ancora essere fatte.
Insomma, come si dice a Roma, siamo a carissimo amico. Non voglio infierire, ma
cos’hanno fatto le due task force dedicate alla scuola? Francamente mi stupisce
la latitanza del governo. Vista la situazione perché non è stata indetta una riunione
urgente? È incredibile.
Pochi giorni fa ad Amatrice si è tenuta la commemorazione delle vittime del terremoto del 24 luglio 2016 che provocò oltre trecento morti e 65mila sfollati. Dinanzi alle rimostranze della popolazione per i ritardi nella ricostruzione il premier Conte ha dichiarato “Stiamo creando le premesse per procedere molto più speditamente rispetto al passato”. Sarà così?
Ce lo auguriamo tutti, soprattutto i cittadini di Amatrice. Non intendo affatto polemizzare con quanto ha detto il premier, purtroppo però registro una grande ricchezza di parole e un’altrettanta grande povertà di fatti: a quattro anni dal sisma non si è ricostruito quasi nulla. E allora, oltre alle rassicurazioni, bisognerebbe cominciare a tappe forzate a mettere in piedi un vero piano di ricostruzione. Ma per questo c’è bisogno di una volontà politica. Proprio per evitare ritardi eccessivi ritengo che emergenze come i terremoti vadano affrontate nello stesso modo con sui è stato affrontato il crollo del ponte di Genova. In due anni è stato ricostruito, mentre ad Amatrice ci sono ancora le macerie da sgombrare. Che posso dire? Rimboccatevi le maniche e fate come avete fatto a Genova.
Negli ultimi quindici
anni, la società italiana è stata interessata da alcuni cambiamenti della
propria struttura, che la rappresenta come una sorta di puzzle con tanti
tasselli, diversi tra loro, la cui immagine sembra con il passare del tempo
sempre più difficile da intravvedere. Nella nostra società l’eccesso, nei
comportamenti, negli atteggiamenti, nel linguaggio, si è elevato a regola,
mentre sembra perduto il senso del limite e della misura.
La struttura sociale
si presenta caratterizzata da una generalizzata, continua e velocissima
crescita quantitativa che coinvolge mercati, merci, persone e da un esaurirsi
delle tradizionali categorie di riferimento relazionale, principalmente spazio
e tempo. Gli spazi si accorciano e il processo di internettizzazione permette all’uomo
di relazionarsi, conoscere e visitare qualsiasi posto pur non essendo
fisicamente presente. Il concetto di tempo e di attesa è ormai divenuto
arcaico, poiché si predilige l’istantaneità che si riesce ad ottenere pur
restando immobili. In un attimo le attività si riducono in passività e le
capacità in incapacità perché gli individui non riescono più a concretizzare i
propri risultati in beni duraturi, le condizioni in cui si opera invecchiano
rapidamente, diventando obsolete prima che si abbia il tempo di imparare a
conoscerle. Diventa impossibile trarre insegnamenti dall’esperienza, fare
affidamento sulle tattiche e le strategie usate in passato poiché le
circostanze cambiano in fretta e in modo imprevisto. Si vive nell’incertezza,
formulare ipotesi attendibili è difficile e le previsioni sono impossibili.
Si fa strada un
nuovo principio base: sapersi sbarazzare delle cose è più importante che
acquisirle. I dilemmi e i rompicapi sono forniti dalle società con tanto di
strategia per la risoluzione, quindi l’uomo vive ogni episodio senza la
consapevolezza delle conseguenze. L’assenza di consapevolezza fa sì che si
resti inchiodati ad un presente privo di qualsiasi forma di valore durevole in
futuro. Diviene, inoltre, facile vendere conoscenze di cattiva qualità o
inutili perché l’ignoranza e la credulità degli uomini, rendono difficile la
conoscenza, la progettualità e il sapere. La crescita impetuosa di nuove
informazioni e il rapido invecchiamento della conoscenza preesistente agiscono
insieme per produrre e alimentare ignoranza. La società di oggi, quindi,
elimina due ideali fondamentali, la fedeltà e il patriottismo, per sostituirli
con la gratificazione istantanea, la felicità individuale, che non richiedono
alcun impegno durevole o permanente per acquisirle.
In questo contesto,
centrale è l’avvento e l’utilizzo dei media che pervadono la nostra percezione
del vivere nel mondo: un mondo sociale, un mondo dell’immaginazione, il mondo
della politica e del confronto globale (1).
Media è un termine ambiguo, si riferisce a istituzioni e infrastrutture che
producono e distribuiscono contenuti particolari, ma media sono anche i
contenuti stessi (2). I media
trasformano i più piccoli dettagli e i più grandi spazi in cui siamo coinvolti.
Internet è lo spazio di interazione e conservazione delle informazioni, la
caratteristica fondamentale è la sua architettura complessiva, sintetizzata
perfettamente da Clay Shirky nel 2010 “Internet è una serie di accordi su come
far viaggiare i dati fra due punti” (3).
Con l’accesso ad Internet in mobilità, questi punti possono essere accessibili
agli attori sociali da qualunque luogo nello spazio fisico. L’azione in
qualunque luogo può collegarsi ad azioni che si svolgono altrove, basandosi a
sua volta su azioni compiute in qualsiasi altro luogo (4).
I nativi digitali: comunicare con chi?
Non priva di
attenzione, è stata ed è tuttora la generazione di adolescenti che vive attorno
a noi: i cosiddetti nativi digitali. Pensando ai nativi digitali l’attenzione
viene immediatamente catturata dalle loro straordinarie capacità nell’approccio
alle nuove tecnologie e dall’uso pervasivo che essi fanno dei nuovi strumenti
comunicativi, ma è interessante evidenziarne l’aspetto emozionale che spesso
viene messo in secondo piano. L’adolescenza si svolge nel segno
dell’ambivalenza e di una conflittualità sia interiore che relazionale, si vive
nella perenne lotta per conquistare distanza e autonomia e al contempo si
rimpiangono in modo segreto e sotterraneo le sicurezze dell’infanzia. Nel
decennio tra gli anni ’70 e gli anni ’80, si riscontra il ripiegamento dei
giovani verso un individualismo, a tratti eccessivo, e verso forme più
praticate ed evidenti di edonismo (5)
. Il trentennio post anni Ottanta, si caratterizza per la crescita record
nell’utilizzo di Internet da parte degli adolescenti, maschi e femmine, la
frequentazione di chat come modi di comunicazione preferita, la diffusione di
telefoni cellulari, l’aumento del consumo di fumo, alcol e droghe. A ciò si
aggiunge la varietà di offerte che l’industria del divertimento mette a
disposizione degli adolescenti che diventano frequentatori assidui, di luoghi
del divertimento e del tempo libero. A tal proposito, sono interessanti le
parole di Mattia, 15 anni “ […] Anche se non vuoi andare su Facebook e
Instagram, e fai finta di ignorarli, sai che i tuoi amici sono tutti lì. […].
Ritengo che il proprio smartphone sia un’estensione della personalità.
All’interno c’è tutto il mondo e poi sta sempre con noi […]” (6).
Gli adolescenti di
oggi, quindi i nativi digitali, costruiscono la loro vita all’interno del loro
smarphone, lì possono comunicare, lì possono presentare l’immagine di sé,
possono ritrovare i modelli da cui trarre ispirazione per costruire questa
immagine, possono farsi accettare dal gruppo dei pari, possono ribellarsi,
esprimere liberamente le proprie emozioni. Da queste premesse, ciò che emerge,
è un cambiamento nell’assetto comunicativo: così come affermava la scuola di
Palo Alto, la comunicazione non verbale è importantissima per dare corpo ed
esprimere la sfera dei sentimenti, delle emozioni, dell’emotività. Le
informazioni trasmesse attraverso il codice corporeo, prevalgono su quanto
affidiamo al codice verbale, poiché sono le prime a essere registrate nello
scambio comunicativo. Gli adolescenti, sembrano avere i loro corpi custoditi in
una sorta di bolla, che esclude lo scambio con chi è accanto, prossimo o vicino
(7). La comunicazione non verbale
sembra essere congelata, mentre le loro dita scorrono velocemente sulla
tastiera dei loro smartphone per inviare messaggi, o qualche fotografia; in
effetti, la comunicazione non verbale è associata all’immobilità della
fotografia.
Nonostante ciò, comunque, si può dire che per
i nativi digitali, l’essere in relazione e il comunicare vengano sottoposti a
un costante processo di delocalizzazione, la felicità dell’altrove è sempre più
seducente della realtà che stanno vivendo e del luogo in cui si trovano.
L’obiettivo è spostare la propria attenzione su piani comunicativi collocati al
di là della realtà materiale in cui si trovano; tale spostamento, inoltre, è
accompagnato da una frenesia, che rende mai soddisfatta la loro ricerca di
contatti. Dunque, gli adolescenti di oggi sembrano essere divorati dal bisogno
di condividere ogni fatto, ogni esperienza, ogni emozione, e la comunicazione
online soddisfa ed esalta tale bisogno. La condivisione in effetti, viene
reclamata maggiormente per quanto riguarda le emozioni e i sentimenti, ne è
esempio la storia di Valentina, che aspetta arrivi un messaggio che tarda ad
arrivare o che semplicemente non arriverà, mentre continua a comunicare con il
gruppo delle amiche su WatsApp (8).
In una prima fase,
ha sottolineato con se stessa e con le amiche la propria indifferenza verso
l’arrivo di tale messaggio: “il non ricevimento del messaggio non causava
nessuna variazione dell’umore ma solo soddisfazione”. La seconda fase, è
relativa alla percezione secondo cui il mancato invio del messaggio, derivi
dalla paura, da parte del mittente, della reazione del destinatario, oppure dal
troppo orgoglio. Il gruppo delle amiche, la incoraggia in tale interpretazione,
Valentina trova nel gruppo WhatsApp messaggi che confermano ogni sua nuova
emozione. Poi vi è la terza fase, l’accettazione del fatto che il mittente non
abbia alcuna voglia di comunicare con lei; anche in questa fase, le amiche le
danno conforto. Infine, vi è la quarta fase, quella che Valentina definisce di
spionaggio: lei stessa e le amiche, controllano tutte le foto che il mittente
pubblica sui social network, con la speranza che a essere postate siano sono
immagini di amici dello stesso sesso, o ancora controllano l’accesso su
WhatsApp. Gli adolescenti di oggi, quindi, sembrano non temere la vicinanza con
l’altro, ma la compromissione affettiva derivante dalle interazioni faccia a
faccia, che comporterebbero un’elaborazione individuale e non condivisibile, in
maniera istantanea, con il gruppo dei pari.
Adultescenti
Anche la famiglia, è
coinvolta in questo processo, e si presenta con un atteggiamento pacato e
accogliente, spesso remissivo. Il rapporto genitori-figli si è trasformato e il
primo aspetto evidente di ciò è l’espressione linguistica: gli adolescenti di
questa generazione vivono il legame con i genitori in un clima di grande
libertà di espressione, pensiero e movimento, ne è esempio il “tu” quasi
accusatorio, usato di solito con tono di voce alto e una gestualità adatta alla
discussione con un coetaneo. Il metodo educativo fondato sull’assoluta autorità
genitoriale è stato messo in discussione con il prevalere di altri modelli di
riferimento per l’educazione dei giovani. Il rapporto è andato trasformandosi
all’insegna della democratizzazione, dell’informalità, dell’individualizzazione
e dell’autonomia dei figli, aspetti che continuano a consolidarsi e a connotare
la relazionalità tra le generazioni. A questa trasformazione hanno contribuito
la psicologia dell’età evolutiva, la pedagogia, la sociologia, solo per citare
alcune tra le scienze umane che più direttamente si occupano degli adolescenti
e che, se da una parte hanno messo in crisi propositiva la genitorialità
fornendo, però, al contempo riflessioni, indicazioni e possibili vie d’uscita
in senso educativo, dall’altra hanno consapevolizzato di questa messa in crisi
i figli (9) .
Gli adolescenti,
infatti, per il surplus di programmi televisivi, di rubriche e approfondimenti
sul Web, mostrano di avere conoscenza, non solo sulla crisi del ruolo degli
adulti, ma anche del potere contrattuale (10)
che loro detengono. Il prevalere delle ragioni dei figli all’interno delle
dinamiche familiari è segno dell’avvenuto cambiamento nei rapporti tra la
generazione degli adulti e la generazione dei giovani e che in maniera, forse
eccessiva, potrebbe essere definita de-autorizzazione della famiglia. Gli adulti
si trovano in difficoltà nel reagire a tale situazione non avendo alcuna
indicazione orientativa, se non i modelli del passato che risultano però
obsoleti. In mancanza di conoscenza risulta più facile incarnare la figura del
genitore-amico, che finge di essere “un pari” al fine di carpire informazioni e
penetrare segreti. Per di più, gli adulti sembrano vivere una sorta di
fascinazione giovanilistica (11),
che li porta a guardare i giovani e i giovanissimi con un’attenzione ammaliata,
nel tentativo di imitarli e cercare di essere come loro. Questo atteggiamento
non si traduce in una rielaborazione del passato, ma nella ricerca di una
realizzazione personale, non in quanto genitore, ma in quanto uomo o donna. La
realizzazione personale, però, avviene in un clima di insicurezza, che viene
superato solo cercando l’approvazione di un individuo con cui è instaurata una
relazione forte e duratura: il figlio. Tutto ciò se da un lato può facilitare
lo sviluppo dell’onnipotenza del figlio e la sua consapevolezza di poter
trasformare una negazione in asserzione, al contempo, può far emergere, in
particolare nel periodo adolescenziale, la sensazione di subire un furto.
Ne consegue che i
sentimenti di rabbia, offesa e risentimento, rimangono inespressi o non espressi
a chiare lettere perché circondati da adulti che tendono ad imitarli piuttosto che
a capirli. I genitori sembrano non riuscire a reagire alla sfida lanciata dagli
adolescenti, risulta evidente una difficoltà nel rendere sintonico il pensiero,
ovvero di acquisire consapevolezza di essere educatore, con atteggiamenti,
azioni o i comportamenti che ne derivano, a vantaggio di un modo di esprimere
la paternità confuso, discontinuo e contraddittorio. La paura di utilizzare un
sistema educativo errato porta, quindi, i genitori a rinunciare alla funzione
di guida educativa, promuovendo la “politica” del laissez faire. Nel contesto
contemporaneo, quindi, in cui media e sistema familiare interagiscono
vicendevolmente, molte delle famiglie dei Paesi industrializzati hanno
incorporato le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione all’interno
della loro routine quotidiana. In particolare, i media sembrano giocare un
ruolo fondamentale nelle famiglie con prole, dove vengono utilizzati dai
genitori per educare, intrattenere, occupare e confortare i figli, ma anche per
imparare ad essere dei genitori migliori (12).
E’ interessante soffermare lo sguardo su “imparare ad essere”, poiché
apprendere presuppone, in qualche misura, attivazione, esercitazione e
trasformazione di talune identità. In particolare, la contemporaneità sembra
prediligere l’esercizio di una specifica funzione: il genitore deve riuscire ad
allevare la prole massimizzando gli outcomes positivi (13), e minimizzando i negativi. I media
digitali, e in particolar modo i social media, possono facilitare questo
processo grazie alla loro funzione di creazione e mantenimento dei gruppi
informali. Le tecnologie digitali, quindi, sono utilizzate per dare e ricevere
supporto sociale ed emotivo. A tal proposito, numerose ricerche in ambito
internazionale, hanno investigato l’utilizzo di forum genitoriali, gruppi
Facebook e blog, come le piattaforme in cui le madri posso scambiare, ottenere
e co-costruire conoscenze e prassi rispetto alla genitorialità in generale, la
gestazione, il parto, l’educazione e l’istruzione dei figli, le abitudini
alimentari e perfino le scelte e le convenzioni di natura sanitaria (14).
Oltre a queste,
possiamo anche considerare le interazioni fra pari, quelle che avvengono in
seno alla vita scolastica dei figli ad esempio, dove la partecipazione a chat
costituite ad hoc, oltre la possibilità di comunicare e scambiarsi aneddoti,
rende meno complicata la partecipazione a qualsiasi questione scolastica, un
tempo difficile per la necessaria compresenza fisica. Un altro modo di
esercitare la genitorialità online è tramite la condivisione di foto, o più in
generale, di rappresentazioni dei propri figli; alcune ricerche suggeriscono
che la condivisione di rappresentazioni visive cominci ben prima della nascita
dei bambini, prosegua nelle fasi iniziali della genitorialità, e che la
condivisione abbia una relazione inversa con l’età dei figli, aumenta nell’età
infantile, diminuisce nell’età adolescenziale (15).
L’aspetto particolare è che con la condivisione delle immagini dei figli, non
si vuole solo far conoscere la vita del proprio figlio, ma anche performare il
proprio ruolo genitoriale: si cerca di ottenere un feedback, perché attraverso
i “Mi Piace” alcuni genitori credono di aver ricevuto un complimento sul lavoro
svolto (16) .
Media come vettori di emozioni
Come è possibile
leggere nei paragrafi precedenti, le emozioni sono al centro delle
trasformazioni culturali e relazionali, anche nella società contemporanea che
sembra mettere tra parentesi il contesto emozionale ed emotivo. In effetti, ciò
che è nuovo suscita da sempre emozioni, catalizza passioni e sublima
sentimenti; pertanto le nuove tecnologie e il loro rapporto con la società è
incessantemente mediato e veicolato a partire da emozioni, sentimenti e
passioni (17). Le tecnologie,
specie quelle destinate a mediare la comunicazione tra esseri umani, ovvero
quelle citate precedentemente, si presentano non solo come oggetti cui le
emozioni vengono indirizzate, ma anche vettori e mezzi di comunicazione delle
emozioni stesse. In effetti “quando parliamo di emozioni (…) abbiamo bisogno di
quello che l’antropologo americano Clifford Geertz definiva Thick description,
descrizione densa (…) è nella completezza del quadro, nella totalità della
storia, che si coglie davvero un’emozione” (18).
Questa descrizione, se riferita al “sentire tecnologico” si traduce
nell’intreccio tra mente e corpo, uniti in un continuum in cui si stabiliscono
fitte alleanze tra umani e non umani, che hanno un ruolo fondamentale nel dare
forma e voce alle emozioni, ai sentimenti e alle passioni. In effetti, il
potenziale trasformativo che il discorso pubblico associa a queste ultime è
caricato di un investimento emotivo che implica una forma di richiamo al mito,
o alla credenza religiosa; tutto ciò porta Vincent Mosco a coniare il termine
sublime digitale (19), e Leo Marx a
coniare il termine sublime elettrico (20).
Il potere del sublime tecnologico, in riferimento a ciò che è stato definito in
precedenza, è quello di mobilitare emotivamente sostenendo le alleanze, le
negoziazioni tra gli utenti ma, anche, tra umani e non umani che sono solo
artificialmente separati (21) .
Successivamente
questa necessaria premessa teorica, circa i media come vettori e oggetti delle
emozioni, il mio tentativo è quello di confrontare le emozioni principali
legate al discorso socio tecnico, con l’incertezza che caratterizza il mondo
degli “adultescenti”. Ciò che intendo analizzare è come tale incertezza, viene
espressa a livello emozionale nei media ma anche rispetto ai media. L’aspetto
interessante, inoltre, è osservare come emozioni antiche quanto la specie
umana, vengano costantemente rinnovate e amplificate da discorsi “vecchi” e
ri-mediate da nuovi artefatti socio tecnici sempre più prossimi e incorporati all’umano
(22). La prima emozione che
propongo è la paura, considerata come la più primitiva e fondamentale delle
emozioni umane (23). La paura delle
tecnologie è un sentire in cui prevale il pensiero della tecnologia autonoma e
al di fuori della possibilità del controllo umano, oppure può dispiegarsi nella
paura del controllo, paura di non potercela fare, paura che la tecnologia porti
dove non si vuole andare (24).
Riferendomi all’uso degli apparati socio tecnici da parte degli “adultescenti”,
preferisco pensare la paura come ansia: ansia da prestazione rispetto ad una
complessità soverchiante, che procura senso di inadeguatezza; o ancora paura
della solitudine e dell’isolamento. In effetti, è stato evidenziato come i
genitori non abbiano più schemi educativi di riferimento, pertanto utilizzano
il loro smarphone al fine di trovare delle risposte adatte al loro ruolo,
essere genitori.
La paura della solitudine e dell’isolamento si riscontra quando i genitori, continuamente, ricercano il feedback di altri utenti, cercano la costante interazione all’interno di gruppi Whatsapp, attraverso l’iscrizione a blog, a gruppi Facebook ecc. Queste, però, possono anche essere espressione di un’altra emozione, la speranza; assimilabili ad essa sono la gioia, la felicità, l’attesa o l’entusiasmo (25). Ogni nuova tecnologia reca con sé una qualche promessa di “paradiso in terra”, di miglioramento, di potenziamento, di rivoluzione radicale o, forse, solo apparente (26). In particolare, le azioni precedentemente citate possono essere visioni entusiastiche che si sviluppano sulle interpretazioni sociali di questi artefatti (27), come ad esempio la dimensione cui attingere informazioni necessarie per svolgere al meglio il proprio ruolo. Infine propongo un ulteriore confronto con la nostalgia, quasi mai indicata come una delle emozioni fondamentali, ma piuttosto come un sentimento che si compone di speranza, desiderio, tristezza e rimpianto.
Gli artefatti tecnologici, veicolano e alimentano la nostalgia del passato (28), e di ciò potrebbe essere espressione la costante condivisione di contenuti multimediali, da parte dei genitori, che ritraggono i figli sin dal periodo di gestazione, fino l’età adolescenziale. La condivisione, infatti, può essere interpretata, da un lato, come la volontà di ricevere costantemente feedback e quindi avere costanti conferme, dall’altro, invece, come il riproporre situazioni e azioni frequenti nel passato. Tutti in famiglia hanno diversi album fotografici, divisi per luogo, data ed evento; generalmente ci si riuniva per guardare, commentare e ricordare momenti del passato, per riproporre le emozioni provate in quegli istanti. Ecco, la condivisione costante di foto, può essere il riproporre abitudini del passato, di cui, solo una volta perse, si riconosce l’importanza.
Per concludere,
quindi, nella contemporaneità si evidenzia una nuova concettualizzazione, dalla
quale consegue una diversa interpretazione dei sentimenti che pone al centro
dell’analisi le nuove tecnologie in un rapporto ambivalente con gli individui.
NOTE:
(1) N. Couldry,
Sociologia dei nuovi media. Teorie sociali e pratiche mediali digitali,
Pearson, 2015;
(2) N. Couldry, Sociologia dei nuovi media.
Teorie sociali e pratiche mediali digitali, Pearson, 2015;
(3) N. Couldry, Sociologia dei nuovi media.
Teorie sociali e pratiche mediali digitali, Pearson, 2015;
(4) N. Couldry,
Sociologia dei nuovi media. Teorie sociali e pratiche mediali digitali,
Pearson, 2015;
(5) T. Iaquinta, A. Salvo, Generazione TVB, il
Mulino, 2017;
(6) T. Iaquinta, A.
Salvo, Generazione TVB, il Mulino, 2017, pagina 79.;
(7) T. Iaquinta, A.
Salvo, Generazione TVB, il Mulino, 2017, pagina 91;
(8) T. Iaquinta, A. Salvo, Generazione TVB, il
Mulino, 2017, pagina 93;
(9) T. Iaquinta, A.
Salvo, Generazione TVB, il Mulino, 2017, pagina 58;
(10) T. Iaquinta, A. Salvo, Generazione TVB,
il Mulino, 2017, pagina 59;
(11) T. Iaquinta, A. Salvo, Generazione TVB,
il Mulino, 2017, pagina 37;
(12) S.Demozzi, A.
Gigli, D. Cino, I media digitali come strumenti per “esercitare e performare”
la genitorialità, parte 1. Rief,n°2, 2019 pagina 84;
(13) S.Demozzi, A. Gigli, D. Cino, I media digitali
come strumenti per “esercitare e performare” la genitorialità, parte 1.
Rief,n°2,2019 pagina 84;
(14) S.Demozzi, A. Gigli, D. Cino, I media
digitali come strumenti per “esercitare e performare” la genitorialità, parte
1. Rief,n°2, 2019 pagina 84;
(15) S.Demozzi, A.
Gigli, D. Cino, I media digitali come strumenti per “esercitare e performare”
la genitorialità, parte 1. Rief,n°2,2019 pagina 86;
(16) S.Demozzi, A. Gigli, D. Cino, I media digitali
come strumenti per “esercitare e performare” la genitorialità, parte 1.
Rief,n°2, 2019 pagina 87;
(17) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 236, Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019 ;
(18) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 241, Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019:
(19) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 245 Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019;
(20) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 245 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019 ;
(21) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 245 Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019;
( 22) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 253 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019;
(23) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 253 Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019;
(24) G.Pellegrino,
Il sentire tecnologico: le nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali,
tra discorso e corporeità, pagina 254 Emozione, ragione e sentimento.
Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a cura di T. Iaquinta,
Novalogos 2019;
(25) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 255 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019;
(26) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 255 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019;
(27) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 245 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019;
(28) G.Pellegrino, Il sentire tecnologico: le
nuove tecnologie come oggetto/vettori emozionali, tra discorso e corporeità,
pagina 255 Emozione, ragione e sentimento. Prospettive pedagogiche per educare
all’affettività, a cura di T. Iaquinta, Novalogos 2019.
Bibliografia :
1) T. Iaquinta,
A.Salvo, Genarazione TVB. Gli adolescenti digitali, l’amore e il sesso, il
Mulino, Bologna,2017;
2) Emozione,
Ragione, Sentimento. Prospettive pedagogiche per educare all’affettività, a
cura di T. Iaquinta, Novalogos, 2019
Il Periodo pandemico che sta investendo il nostro Paese ha attribuito maggiori competenze a tutti noi; sono molti i “tuttologi” che partecipano a trasmissioni televisive, c’è chi non riesce, invece, ad arrivare al nostro medium di massa per eccellenza, e ne sceglie un altro, Facebook.
<<=== dott./ssa Alessia Maria Lamberti -sociologa
Secondo una ricerca del prof. Giovanni Boccia Artieri e colleghi, Facebook si presenta come una palestra sociale, e per comprenderlo bisogna partire dall’esperienza degli utenti, cioè dalla loro costruzione di provincie finite di significato. Nelle biografie che emergono ,dai soggetti intervistati dagli autori della ricerca, Facebook appare caratterizzato da 3 ambiti dell’esperienza che non sono percepiti come dialetticamente opposti, ma legati da uno stato di coalescenza, una percezione degli utenti che vede una co-implicazione dei due termini che caratterizzano ogni ambito, piuttosto che una loro separazione. Questi tre ambiti individuati nella ricerca “ Fenomenologia dei Social Network”, sono: online/offline, mondo vicino/mondo lontano, pubblico/privato. Le interazioni online e quelle offline, vengono complicate all’interno di un unico orizzonte di senso, nei confini di un’esperienza unitaria per la quale l’online è parte integrante dell’esperienza offline.
In questo, Facebook, riesce ad accogliere un eterogeneità di legami e di interazioni sociali che acquistano un inedita compresenza in chiave spaziale e temporale, nel collasso di mondi vicini e mondi lontani. Si tratta di una compresenza di rapporti che suggerisce agli utenti una forte consapevolezza nella gestione della propria presenza online, o li espone a dei rischi qual’ora non vi sia questa consapevolezza. Mondi vicini e mondi lontani si trovano in uno stato di coalescenza, nel quale reti intessute nella quotidianità si intrecciano con reti lontane, ridisegnando i confini dell’intimità e della relazione. Infine, lo stato di connettività introdotto dal processo di mediatizzazione, ha portato a vivere una quotidiana e costante gestione tra vita pubblica e vita privata, nei termini di una distinzione che non riguarda più una variabile spaziale, quanto un’operazione di scelta da parte degli individui che collocano la relazione pubblico/privato in uno stato di coalescenza. Ci troviamo, quindi, in una condizione in cui la distinzione tra pubblico e privato dipende dalla selezione comunicativa, che si fonda su una duplice scelta: produrre un contenuto o condividere un contenuto.
Ecco, in questa Pandemia, Facebook ha permesso a molti di noi di poter vivere nello spazio pubblico, pur essendo “reclusi” in uno spazio privato, è stato uno strumento necessario per rimarcare questo stato di coalescenza tra mondo vicino e mondo lontano, ma nel frattempo ha dato maggiore importanza all’online piuttosto che all’offline.
Questa premessa, per me fondamentale, nasce da una piccola osservazione riguardo la duplice scelta, evidenziata precedentemente: produrre un contenuto o condividere un contenuto. Ciò che mi ha colpito è che, in questa pandemia, la scelta è ricaduta prevalentemente sul condividere contenuti, piuttosto che produrli; questo per me è un atto di deresponsabilizzazione poiché denota la poca autonomia degli individui da chi possiede un ruolo importante all’interno della nostra società. Quello che tutti potremmo chiederci, è quanti di coloro i quali hanno condiviso contenuti su Facebook, conoscono realmente chi è l’autore del post, le sue fonti, ma soprattutto l’argomento in tutte le sue forme e sfaccettature.
In questo articolo, prevalentemente riflessivo, potrei fare un numero infinito di esempi riguardo ciò che ho appena affermato, ma vorrei concentrarmi su qualcosa che è accaduto di recente. In questi giorni, molti sono stati gli utenti Calabresi che hanno deciso di esprimere un loro parere riguardo : MODIFICHE ALLA LEGGE REGIONALE 31MAGGIO 2019, N.13 (RIDETERMINAZIONE DELLA MISURA DEGLI ASSEGNIVITALIZI DIRETTI, INDIRETTIE DI REVERSIBILITÀ E ADEGUAMENTO AL D.L. N. 174/2012), testo approvato in sede del consiglio Regionale nella seduta del 26 maggio 2020.
Molti sono stati i pareri contrastanti, molte le denunce pubbliche,
molti gli sgomenti. La pandemia, in questo senso, sembra presentarsi come una
cartina da tornasole riguardo fenomeni, come il clientelismo e la voglia di
ribalta elettorale della classe politica, pur in assenza di programmi, che sono
esistono da sempre, in particolare nel Mezzogiorno. Come mai solo oggi ci si
accorge di questi fenomeni? Quante volte ci siamo trovati ad ascoltare un
Comizio elettorale e, senza neanche ascoltare o comprendere effettivamente
l’oggetto del discorso, abbiamo deciso di applaudire solo per conoscenza?
Quante volte una parola di conforto, o un impegno preso lì per lì, ha
influenzato la nostra scelta di voto? Quanto siamo, ancora, dipendenti dalla
sfera politica? Siamo anche noi, quindi, coinvolti in tali decisioni? Viviamo
in democrazia proprio perché, come affermava Rousseau, un uomo libero è colui
che contribuisce a creare la legge, non chi è obbligato a rispettarla.
Ecco, per rispondere a tali domande penso sia opportuno delineare un escursus
storico di fenomeni particolaristici, quali in clientelismo, che ha influenzato
le scelte politiche degli elettori e le attività partitiche della classe al
potere.
Il Meridione, sin dagli anni ’60 del 900, è stato identificato come la culla del clientelismo. Il clientelismo è un fenomeno sociale osservabile nel sistema sociale stesso, ma come afferma un grande studioso delle politiche meridionali, Pietro Fantozzi, è osservabile in particolare nel sistema politico.
Alla base del clientelismo vi è l’emergere di una relazione sociale: la clientela. E’ una relazione sociale, quindi un agire sociale di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo contenuto di senso e orientato in conformità, che ha come protagonisti un patrono ed un cliente. L’agire sociale di entrambi i soggetti è orientato secondo il senso di appartenenza ( quindi un agire razionale rispetto al valore e orientato affettivamente, situazione tipica delle comunità) e il senso razionale rispetto allo scopo ( tipico, invece, delle associazioni). Il clientelismo viene fatto risalire, se leggiamo il saggio Politica, Clientela e Regolazione Sociale, all’800 e viene identificato come clientelismo fondiario: il patrono era il proprietario terriero e il cliente era il contadino. Naturalmente il patrono aveva una più alta posizione della scala gerarchica della società, mentre il cliente aveva una posizione inferiore ed era quindi subordinato al suo patrono. L’obiettivo del cliente era raggiungere una posizione migliore nella comunità, soprattutto in ambito lavorativo, e per raggiungerlo professava fedeltà e totale riverenza nei confronti del proprietario terriero. Il patrono, nel contempo, manteneva salda la relazione con il contadino per accrescere la sua preminenza sociale ed economica all’interno di una comunità chiusa. Si potrebbe supporre, quindi, che il clientelismo è associato alle forme tradizionali della società e che non possa svilupparsi in ambienti moderni.
In realtà la storia ci insegna che non è così, poiché nel 1876 Turiello identifica la nascita del clientelismo politico, ed è per questo che emerge la prospettiva secondo cui il clientelismo è un fenomeno che non resiste al cambiamento, ma si adatta ad esso tentando di coniugare aspetti tradizionali e moderni della società stessa. Il clientelismo politico, comporta una totale trasformazione nella relazione di clientela, poiché entrambi i soggetti, divengono soggetti di interesse, portando l’agire sociale ad essere orientato prevalentemente secondo la razionalità di scopo. Il passaggio da clientelismo fondiario a clientelismo politico giunge al suo apice con la nascita del partiti di massa; infatti nel saggio già citato, Politica Clientela e Regolazione Sociale, Pietro Fantozzi afferma che le pratiche clientelari e particolaristiche sono state alla base di tutti i partiti del Meridione, per l’ascesa elettorale. Un’ esempio potremmo farlo prendendo in considerazione la Democrazia Cristiana cosentina, che nel 1946 riesce a controllare il territorio cosentino sfruttando le clientele storiche e assumendo una nuova strategia politica: rapporti di clientela con i gruppi categoriali e con gli apparati finanziari, istituzionali e ideologici del paese.
Questa premessa, risulta di fondamentale importanza ai fini della mia riflessione, poiché le carenze evidenziate, in questo periodo di Pandemia, nel nostro Sud, sono da sempre esistite ma non denunciate da noi stessi cittadini del Meridione.
Si potrebbe supporre che tra le cause che permettono, ancora, l’avanzare
di tale fenomeno, c’è la carenza di capitale sociale. Una carenza di coscienza
civica e morale che si manifesta nella volatilità dell’elettorato ( voto colui
il quale può avvantaggiarmi, pertanto faccio una scelta razionale rispetto allo
scopo) , in una de- ideologizzazione delle masse e di conseguenza in una classe
politica che rinuncia ad agire in profondità, preferendo il più vasto consenso
e un immediato successo elettorale. Leggendo bene la mia piccola introduzione,
è possibile mettere in evidenza che il fenomeno clientelare sia partito dal
basso, forse perché non era chiara la differenza tra “favori” e “diritti”.
Ecco, ora abbiamo ben chiara questa distinzione? Probabilmente no. Infatti
leggendo un articolo su “ Il Corriere della Calabria”, mi hanno colpito le
parole di Don Panizza, dal 1976 fondatore di Comunità Progetto Sud, ed oggi
portavoce di Alleanza contro la Povertà in Calabria; in particolare lui afferma
: “ (..) La politica Calabrese non ha mai contrastato la povertà, ma i poveri.
E i poveri non se ne accorgono perché non conoscono i servizi legittimi di cui
sono privati. (..) Quando la politica offre servizi come fossero favori una
tantum, e non diritti certi, fa molto male alla società perché la invischia e
subordina (..)”[i].
Una maggiore importanza all’istruzione, secondo me, è il punto di partenza
verso una capacità di giudizio critico nei confronti degli altri, ma che deve
essere, principalmente, alla base delle nostre decisioni.
L’istruzione è l’unico strumento che ci rende liberi, ci rende differenti l’uno dall’altro, ci permette di assumere coscienziosamente delle scelte e di avere una percezione circa i nostri diritti e i nostri doveri. Di conseguenza subirà un radicale cambiamento anche il nostro sistema politico, a mio avviso verso la strada del concetto di burocrazia Weberiana.
Il clientelismo politico, che come si è letto precedentemente è una delle principali strategie adottate dai partiti politici per avere successo elettorale, è nettamente in contrasto con il potere razionale legale esposto da Weber; al contempo si può supporre che tale fenomeno sia nato proprio da una disfunzione del sistema burocratico . In primo luogo è importante sottolineare che la politica si distingue dagli altri sistemi sociali, poiché stabilisce norme vincolanti per gli altri sistemi, ma anche per se stesso. A permeare ,oggi, il sistema politico, secondo Weber, è il potere razionale legale che ha carattere di ordinarietà e impersonalità: vale in tutti i contesti della vita quotidiana e si basa sull’obbedienza verso la legge, non verso il soggetto che la emana. Il potere razionale legale si dota di un apparato amministrativo cui è legato tramite la burocrazia, la quale definisce una netta separazione tra proprietà dello Stato e la proprietà privata. Weber definisce la burocrazia come fenomeno tipico dell’epoca moderna, individua nel processo di razionalizzazione della società l’aspetto che qualifica più di ogni altro la modernità. Tale processo consiste in una trasformazione radicale, attraverso la quale i metodi di produzione, i rapporti sociali e le strutture culturali tradizionali, caratterizzati da modi spontanei e basati sulla pratica personale, vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente. Ciò permette innanzitutto di applicare le regole in modo imparziale, inoltre, il funzionamento di tutte le operazioni è governato da un sistema di regole scritte, che ha lo scopo di assicurare l’uniformità dello svolgimento di ogni compito al di là della persona che effettivamente lo svolge.
Il funzionario deve escludere i sentimenti personali, svolge il suo compito in modo imparziale e distaccato, considerando in modo impersonale i dipendenti e il pubblico. L’impiego ,nella burocrazia, costituisce una carriera, è basato su qualifiche tecniche, su un sistema di promozioni generalmente prevedibile basato sia sul merito, sia sull’anzianità, ma non su favoritismi personali.
Per concludere, vorrei che tutti riflettessimo sull’importanza del sapere, conoscere oggettivamente il mondo che ci circonda, assumere decisioni con consapevolezza; il sistema politico non cambierà per gli stati su Facebook, ma solo se alle nostre parole, corrisponderanno delle azioni.
BIBLIOGRAFIA
Fortunata Piselli, Forme di comparatico Italiano, Giardini editori e stampatori in Pisa, a cura di Italo Signorini.
Pietro Fantozzi, Politica Clientela e Regolazione sociale. Il Mezzogiorno della questione politica italiana, Rubbentino, Saggi, 1993.
Max Weber, Economia e Società, Introduzione di Pietro Rossi, Volume I, Edizioni di comunità.
Boccia Artieri, Gemini,Pasquali,Carlo,Forci,Pedroni, Fenomenologia dei social network. Presenza, relazioni e consumi mediali degli italiani online, Guerini Scientifica.
Alcune
recenti scomparse e le ricerche che ne sono conseguite, hanno scaturito diverse
polemiche, non solo da parte delle famiglie interessate dalla scomparsa, ma
anche nell’opinione pubblica che segue con attenzione le sorti delle persone in
difficoltà.
Perché negli USA e non solo, esistono squadre speciali per la ricerca delle persone scomparse?
Perché indagare le ragioni di una scomparsa significa prima di tutto applicare un approccio specializzato. Se come spesso accade in Italia, al momento della raccolta della denuncia il soggetto scomparso è maggiorenne, senza troppo scendere nei dettagli è considerato “libero di intendere e volere”, allora la scomparsa verrà trattata come una scelta volontaria. Niente di più sbagliato!
La
scomparsa di una persona comporta una serie di variabili che dovrebbero essere
indagate fin dai primi istanti con lo stesso metodo investigativo utilizzato
per i casi criminali. Quindi tutto ciò rientrerebbe nelle normali attività d’indagine
svolte dalle Polizie Nazionali, peccato che ancora oggi nonostante una Legge la
203 del 2012, e le indicazioni del Commissario straordinario, nonostante i
corsi erogati al personale delle Prefetture del territorio italiano, si
invitino ancora le persone che vogliono denunciare una scomparsa ad attendere
del tempo prima di depositare la denuncia. Allora urge un chiaro e incisivo
cambiamento e lo sradicamento di queste malpractise
che possono essere corrette solamente con una formazione adeguata del personale
preposto alla raccolta delle denunce e l’auspicabile costituzione di una
squadra nazionale scomparsi che conosca esattamente quali siano le peculiarità delle
possibili cause di scomparsa e guidi i colleghi verso l’applicazione di un
adeguato piano di ricerca.
Del
resto, anche di fronte ad una indagine per omicidio ormai tutti sappiamo che le
prime ore sono quelle che possono fare la differenza per la soluzione del caso.
E allora perché una scomparsa non viene trattata allo stesso modo, se in
potenza potrebbe trattarsi anche di un omicidio?
Potrebbe
però trattarsi anche di un incidente, vale a dire la persona non ha alcuna
volontà di scomparire, ma a causa di un malore, e/o la difficoltà di comunicare
dal luogo in cui si trova, ha bisogno di soccorso; oppure è una persona che ha
perso la memoria per aver subito un trauma o per il naturale declino cognitivo
legato all’età, ma allora cosa bisogna attendere? È invece utile indagare con
competenza la vita della persona scomparsa, avvalersi dei dati statistici e
spaziali raccolti dai casi risolti per applicarli a casi simili, ascoltare
attivamente i familiari, rivolgere loro delle domande mirate in sede di
denuncia, che ricordiamo dev’essere prontamente raccolta, per dare il via prima
possibile alle ricerche.
Ritornando
alla formazione, siccome potrebbe comportare dei costi notevoli specializzare tutto
il personale di polizia, in analogia a
quanto accade per gli omicidi, converrebbe dare poche e chiare indicazioni a tutte le forze dell’ordine per salvaguardare
e raccogliere le prime informazioni importanti, predisponendo anche una modulistica
mirata, e poi come per i casi criminali si ricorre al RIS o alla Polizia
scientifica, per la raccolta delle fonti di prova e la loro analisi,
converrebbe formare delle squadre competenti per le scomparse così come quelle
di cui si sono dotate altre Polizie mondiali.
Il
ricorso a Forze specializzate potrà fare la differenza tra la soluzione di un
caso e un cold case mai risolto. Del
resto i numeri lo confermano, quello degli scomparsi è un fenomeno stabile nel
tempo con numeri importanti, che necessitano di una risposta adeguata. Le
denunce di scomparse in questo primo semestre 2020 riportate nella XIII
Relazione del Commissario Straordinario per le persone scomparse, sono state
4.833 e anche se 3053 sono state ritrovate, questo ci sembra già un ottimo
risultato, ma 1781 persone sono ancora disperse e a queste presumibilmente si
sommeranno quelle della seconda parte di quest’anno; mentre sicuramente si
aggiungono quelle degli anni precedenti ancora da ritrovare che a partire dal
2007 sono 46.796 persone più che numeri, che a nostro avviso meritano un’attenzione
particolare con il perfezionamento delle tecniche di ricerca nonché la
necessità di realizzare attività di prevenzione per essere contenuti. Anche le
ricerche comportano dei costi ragguardevoli per lo Stato e l’ottimizzazione delle
modalità di acquisizione delle denunce e dell’attività di ricerca ovviamente
riguarderebbe in primis la salvaguardia
della vita umana, ma anche il risparmio di tempo e risorse con un’attenzione
anche ai costi. Un esempio per circoscrivere gli attori in campo per le
ricerche sarebbe il ricorso a team altamente specializzati in determinati
settori (basti pensare a come potrebbero essere sapientemente usati i
cosiddetti big data di cui facciamo parte e che ci caratterizzano).
Infine,
ci chiediamo, perché l’FBI, ma anche molti paesi Europei possono pubblicare le
foto dei loro scomparsi all’interno di siti web ufficiali e noi dobbiamo
ricorrere ad una trasmissione che ha fatto la sua fortuna su questo argomento,
ma che non sarà mai un canale diretto? Anche l’Italia possiede il sito del
Commissario Straordinario per le persone scomparse del Ministero dell’Interno
che potrebbe ospitare questa partizione.
La
privacy da risolvere è un falso problema, in questo caso gli organi competenti
valuteranno insieme ai familiari l’opportunità di divulgare l’immagine del
proprio congiunto per chiedere l’aiuto e la partecipazione della popolazione alla
sua ricerca. I criteri sono certamente diversi da quelli legati alla notiziabilità
che muove l’agenda-setting dei media. Seppur comprensibilmente i familiari
ricorrono a trasmissioni televisive per diffondere i dati della persona e per
chiedere il sostegno pubblico, ma senza una misura nell’informazione in alcuni
casi potrebbe rivelarsi controproducente.
Un
aspetto importante è che le notizie sia della ricerca che dell’eventuale
ritrovamento sarebbero controllate da fonti attendibili, cosa che il ricorso ai
social network con il meccanismo di replicabilità virale della notizia, non
sono in grado di garantire senza una fonte di riferimento sempre verificabile e
aggiornata.
Inoltre
le Polizie di molte parti del mondo si sono dotate di pagine ufficiali sui
principali social network, e anche in questo caso, l’utilità di allargare le
notizie di scomparse ad un pubblico più ampio si è rivelata una strategia
vincente, peraltro le forze dell’ordine sono in grado di filtrare anche i casi
di mitomania o di attendibilità degli avvistamenti che i familiari emotivamente
coinvolti non solo hanno difficoltà a discriminare, ma vanno a gravare
ulteriormente sulle loro ansie e ad alimentare speranze spesso deluse.
Numerose sono ormai le ricerche scientifiche a livello internazionale che hanno indagato il fenomeno della disparità di genere in ambito lavorativo. La disparità di genere nello studio delle STEM si manifesta già dall’infanzia e cresce con l’età.Ad influenzare le scelte sono soprattutto il contesto socio-culturale e gli stereotipi.
<<=== Dott.ssa Doriana Doro
Nonostante i progressi significativi registrati negli ultimi decenni, l’istruzione continua a non essere accessibile per tutti e persistono forti disparità di genere nel mondo.Non si tratta solo del numero di ragazze che vanno o non vanno a scuola, ma anche dei percorsi educativi che intraprendono. In particolare quelle delle materie STEM riimane il percorso meno favorito per le donne. .(ASVIS/Goal 5 – PARITA’DI GENERE-)
“Il rapporto “Cracking the code: Girls and women’s education in Science, Tecnology, Engineering and Mathematics (STEM) del 2017, pubblicato dall’Unesco, offre una panoramica sulle materie STEM e le disparità di genere nel mondo, analizzando i fattori che causano le disuguaglianze in questo ambito ed indicano alcune soluzioni per affrontare il problema.
Sono solo 17 le donne che hanno vinto un premio Nobel in Fisica, Chimica e Medicina dal 1903, rispetto a 572 uomini. Una disparità sorprendente che comincia a manifestarsi già dall’infanzia. Le disparità di genere nelle STEM possono essere osservate infatti fin dall’istruzione prescolastica e diventano sempre più evidenti con l’aumentare dell’età, tanto che nell’istruzione superiore solo il 30% delle donne sceglie percorsi di studio correlati con le STEM. Nell’istruzione superiore le disparità di genere sono particolarmente evidenti : gli uomini scelgono principalmente gli studi di ingegneria, produzione, costruzione, tecnologie dell’informazione e della comunicazione; le donne prediligono i campi dell’istruzione, arte, salute, benessere, scienze umanistiche, scienze sociali, giornalismo e legge.(ASVIS/Goal 5 – PARITA’DI GENERE-)
La disparità tra uomini e donne all’interno del mercato del
lavoro e’ collegata al fenomeno di una segregazione verticale ed orizzontale ai
settori economici che vede , da una parte, le donne come svantaggiate in
termini di raggiungimento di posizioni lavorative prestigiose e, dall’altra,
una diversa rappresentazione negli ambiti lavorativi.
“Nel mondo le donne rappresentano il 39% della forza lavoro, ma detengono solo il 27% delle posizioni manageriali. In Italia c’è stato un sensibile miglioramento registrato a partire dal 2010 , grazie all’aumento della quota di donne negli organi decisionali e nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, ma la media UE è ancora lontana.” (ASVIS/Goal 5 – PARITA’DI GENERE-)
Le donne nelle discipline STEM ( acronimo di Science, Technology, Engineering, Mathematics) sono , in generale, sotto-rappresentate, anche se è utile fare una distinzione. Il termine STEM (Koonce Zhou, Anderson, 2011) e’ utilizzato per indicare quegli ambiti educativi e lavorativi che si occupano di tematiche Scientifiche, Tecnologiche, Ingegneristiche e matematiche. Tale definizione viene attribuita a J. A.Ramaley, la quale, durante il suo mandato come direttrice del National Science Foundation’s Education and Human Resources Division, ha creato un curriculum educativo, inteso nel termine anglosassone di ‘istruzione” che racchiude al suo interno tali discipline.Bisogna ricordare che ogni sotto-disciplina STEM ha le sue particolarità quali il tipo di cultura, di preparazione richiesta e la tipologia di attività da svolgere.
Un recente studio, particolarmente interessante in questo senso, è quello condotto da Su e Rounds (2015), i quali hanno voluto indagare il fenomeno della sovra/sotto rappresentazione delle donne nei diversi ambiti disciplinari STEM, in quanto si è visto come la percentuale di donne vari di molto all’interno di questo raggruppamento. Per fare ciò, ricorrono al concetto di ‘interesse’, inteso come predittore di scelte future in ambito lavorativo e di carriera. Tali interessi professionali sono stati definiti attraverso le teorie che si occupano di indagare l’adattamento tra la persona ed il suo ambiente ( ad esempio, le Teorie di Holland, Pervin, Dawis e Lofquist e Schneider) considerati entro una dimensione bipolare orientata alle ‘cose’, con interessi nella dimensione del ‘reale’ da una parte ed alle ‘ persone’ riguardanti interessi nella dimensione del ‘Sociale’ dall’altra (Su, Rounds, 2015). Un individuo puo’ essere descritto, secondo gli autori, in termini dei suoi interessi più o meno orientati ad attività sociali e correlate alle persone, parallelamente l’ambiente viene inteso in funzione di un grado di aderenza a questi più o meno alto. Il grado di compatibilità tra le caratteristiche individuali e quelle ambientali e’ associato con la scelta di carriera, la soddisfazione e la performance (Su, Rounds, 2015).
Sotto questa prospettiva si e’ visto come gli uomini prediligano maggiormente lavori orientati alle cose, mentre le donne, professioni maggiormente orientate alle persone. Ciò potrebbe spiegare il fenomeno di una scarsa rappresentazione di donne nei lavori STEM, maggiormente tecnici, come quelli di Ingegnere ed , all’opposto, una loro sovra-rappresentazione nelle Scienze sociali e nelle professioni di aiuto. L’orientamento degli interessi di uomini e donne avrebbe un impatto , oltre che nel direzionarne la carriera in certi ambiti professionali anche indirettamente, sull’acquisizione di conoscenze che preparano o vincolano il perseguimento di obiettivi realizzativi in alcuni ambiti educativi e professionali, come , ad esempio, l’interesse allo studio della matematica ( abilità quantitative) che prepara allo sviluppo lavorativo in ambiti STEM più tecnici. Sarebbe dunque presente una relazione dinamica tra gli interessi e lo sviluppo di competenze ed abilità che caratterizzano i diversi ambiti disciplinari STEM.
I risultati dimostrano come la dimensione delle abilità quantitative siano un fattore che impatta sulla scelta di carriera, anche se non e’ una variabile che differenzia maschi e femmine a livello di capacità personali. Perciò , per comprendere l’allontanamento da certi ambiti STEM da parte delle donne, bisognerebbe immaginare che più di un evitamento da parte loro nei confronti di ambienti in cui sono richiesti alti livelli di abilità qualitative, sia maggiormente presente l’avversione ad ambienti che sono fortemente orientati alle cose e scarsamente alle relazioni sociali.
In conclusione, lo studio, tenendo in considerazione il livello di interesse per ciascuna disciplina, ha individuato drastiche differenze di genere riguardo la rappresentazione maschile e femminile all’interno del macro-ambito STEM, molto ampie ed in favore dei maschi negli ambienti associati all’Ingegneria ( Tecnica, Meccanica ed Elettronica), differenze di genere più moderate sempre in favore dei maschi nelle carriere matematiche ed, infine, una differenza di genere molto diversificata all’interno delle Scienze, da moderata in favore dei maschi nelle Scienze Fisiche, non significativa in quelle Tecniche, Biologiche e Mediche e moderata in favore delle femmine nelle Scienze Sociali e nei Servizi sanitari. Le femmine, infine, anche se dotate di elevate capacità tecniche-quantitative ed interessi in questa direzione, opterebbero per tipologie di carriere che permettano loro di esprimere maggiormente le loro abilità verbali e capacità orientate alle relazioni sociali.
In un altro studio, si e’ visto che la scelta di continuare con la Specializzazione Universitaria STEM ( Moakler, Kim, 2014) tenga conto di una serie di variabili tra cui il genere e’ risultato essere un fattore correlato negativamente con la scelta di un grado formativo più alto, identificando nelle studentesse minori aspettative sia nei confronti della riuscita all’interno della Specializzazione universitaria sia sullo sviluppo di una carriera in ambito STEM.
Case e Richley (2013) hanno voluto comprendere le dinamiche individuali ed ambientali che si riversano nelle scelte di carriera delle donne, nella soddisfazione lavorativa e nel continuare a far parte dell’ambiente accademico scientifico , considerando l’alto tasso di abbandono , durante l’esperienza post-dottorato, fenomeno definito con il termine “leaky pipeline”. Una grande percentuale di donne decide di non entrare nel mondo del lavoro, di uscirne presto o di fermarsi ai gradini più bassi della carriera. Il genere femminile viene quindi spesso paragonato, appunto, ad una ‘Conduttura che perde’. Questo sarebbe un periodo importante per lo sviluppo di una carriera accademica, si nota però una drammatica decrescita della percentuale di donne che proseguono la propria carriera, sembra infatti che il 52% di donne lasci il proprio lavoro con un picco intorno ai 35 anni (Hewlett et all.,2008).
Le barriere maggiori che le donne si immaginano di dover affrontare lavorando nell’area scientifica includono: un conflitto tra la percezione di se stesse come donne e come scienziate all’interno di un’organizzazione, il dover avere a che fare con un modello maschile scientifico che richiede un impegno totale ed infine la scarsa presenza di donne nel laboratorio che comporta un vissuto di isolamento. Il matrimonio e la famiglia sono considerati come altri fattori che precludono l’avanzamento di carriera accademica scientifica nelle donne di questa ricerca.Tutto questo ha un impatto sulla scelta futura delle donne, in questo caso se continuare con la ricerca oppure orientarsi verso l’insegnamento o il lavoro in industria.
Le donne, ( rif. Allo studio di Case e Richley, 2013) sono preoccupate di affrontare l’eventuale isolamento lavorando come ricercatrici perciò molte preferiscono insegnare per ‘lavorare con’ ed aiutare le persone. Il concetto di successo ed appagamento in proiezione al futuro di carriera è, per le donne in questione, inclusiva dello stare in relazione e la soddisfazione personale è collegata ad una integrazione del lavoro con altri aspetti della vita. In linea con quest’ultima ricerca, Palermo ( Gender and Science, 2008) ha condotto uno studio sulle rappresentazioni di uomini e donne riguardo alle problematiche legate al genere, sottolineando alcune differenze significative.
Uomini e donne, infatti, avrebbero visioni differenti su tali tematiche e sarebbero in particolare le donne ad essere maggiormente ‘critiche’ riguardo ai rapporti di genere all’interno delle istituzioni dedicate alla ricerca:
La maggioranza delle donne, il 76% sarebbe d’accordo con la credenza che il campo della ricerca è un dominio maschile comparato al 47,3% dei loro colleghi.
Il 75% delle donne credono che il loro genere sia spesso relegato a ruoli di minor prestigio contro il 33% degli uomini.
Il 57% delle donne e il 27% degli uomini pensa che le donne scienziate non siano in grado di raggiungere posizioni di prestigio in quanto meno determinate e competitive, caratteristica che attribuiscono maggiormente agli uomini.
Le rappresentazioni che uomini e donne hanno di se’ e dell’ altro collega maschio e femmina in ambito lavorativo delineano un bisogno di una promozione di politiche che intervengano non solo su problematiche pratiche, come il bilanciamento delle responsabilita’ familiari, criteri diversi di selezione e ridimensionamento di percorsi di carriera ma anche psicologiche, incoraggiando le donne a sviluppare maggiore confidenza nelle proprie capacita’ in ambiti lavorativi scientifici (Palermo, 2008).
Herbert Mead, nella sua opera “Mente, Se’ e Società”(1934) pone le basi per lo sviluppo di teorie e ricerche riguardanti l’interazionismo simbolico, considerando quale oggetto di studio l’analisi degli scambi tra gli individui nel contesto sociale. Secondo questa prospettiva è attraverso l’interazione sociale che si sviluppa il Se’, perciò la costruzione della consapevolezza di se stessi sarebbe un processo successivo rispetto all’esperienza relazionale con l’altro.La rappresentazione dell’altro influisce sulla rappresentazione di se stessi, attraverso l’interazione simbolica – o potremmo definirli in termini di collusione – l’individuo è in grado di acquisire il ruolo dell’altro e di adottarne l’atteggiamento assunto.
Gli sudi presentati in questo articolo confermano come le STEM siano un ambito in grado di abilitare a nuove professioni femminili superando certe convinzioni, , senza stereotipi autolimitanti, diventando consapevoli e maturando ambizioni a lavori che attualmente sono ancora quasi esclusivamente maschili.
Dottoressa Doriana Doro – Sociologa
BIBLIOGRAFIA
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maschile’.Saggi Universale Economica Feltrinelli.Milano.
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-Commissione Europea (2012). ‘She
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-Materiale per la tesi di ricerca “Genere
ed anticipazione della professione” della dr. Ludovica Buffa. (a.a.2014-’15).
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Giunti Editore. Firenze.
Moakler, M., W.,Kim, M., (“014). College Major Choice in STEM:
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Quarterly. Vol.62, 128-142
Su, R., Rounds, J.(2015) .’Not all STEM fields are created equal: People
and things interests explain gender disparities across STEM fields. Original
Research Article, Vol.6 (189), 1-20
Rapporto UNESCO “Cracking the code: Girls and women’s education in
Science, Tecnology, Engineering and Mathematics (STEM) “ 2017.
Intervista a Giorgio Benvenuto di Patrizio Paolinelli
Dopo la pausa estiva della nostra rubrica riprendiamo gli incontri con Giorgio Benvenuto ripercorrendo alcuni dei fatti politici principali accaduti nel nostro Paese nelle prime tre settimane di agosto.
<<=== Prof. Patrizio Paolinelli
Nella recente commemorazione della strage di Bologna il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sostenuto che occorrono verità e giustizia. Siamo tutti d’accordo, ma dopo quarant’anni l’attesa non sta diventando troppo lunga?
Indubbiamente. Per di più tra commissioni d’inchiesta, indagini giornalistiche e commemorazioni ciò che ancora rimane oscuro è la storia di quegli anni perché non si è mai andati fino in fondo nello svelamento della strategia della tensione. Strategia di chiara marca di destra e che si richiamava alle posizioni più estreme del fascismo. Purtroppo le lungaggini sulla strage di Bologna dimostrano come il nostro Paese sia in grado di perdere cronicamente tempo. In questo drammatico caso facendo inconcludenti riforme dei servizi segreti. Sia detto con tutto il rispetto per chi mantiene viva la memoria della strage, ma ascoltare per così tanto tempo gli stessi commenti e le stesse denunce ci lascia ormai pensare che l’anno prossimo sentiremo ripetere da altri politici le stesse cose dette quest’anno da Mattarella. Venendo all’oggi penso e spero che se si riuscirà a realizzare la svolta economica resa possibile dall’intervento dell’Europa per affrontare la crisi in corso si potrà finalmente affrontare il problema della trasparenza dello Stato. Bruxelles considera superata la nostra macchina della giustizia perché è lentissima, perché non c’è certezza della pena e perché non tutela i più deboli. Come diceva Giovanni Giolitti da noi la legge si applica al nemico e si interpreta per l’amico. Un altro intervento da fare riguarda le forze dell’ordine. Siamo la nazione in Europa che ha il maggior numero di addetti alla sicurezza e poi ci ritroviamo con tanta insicurezza e con troppi casi in cui esponenti delle forze dell’ordine si macchiano di reati. Il nostro Paese ha bisogno di essere adeguato al mondo di oggi.
Per alcuni l’inaugurazione del Ponte di Genova ha rappresentato la metafora dell’Italia che sa rialzarsi. È un’immagine appropriata?
Magari lo fosse. Purtroppo nella confusione di oggi si predica bene e si razzola male. È giusto parlare della ricostruzione del ponte di Genova come di una vicenda molto importante, come un modo serio di progettare e realizzare infrastrutture. Tuttavia, gli stessi personaggi che dicono queste cose sono coloro che poi non fanno una riforma degli appalti pubblici e delle relative procedure. Il nostro è un Paese malato di controlli e alla fine non c’è la trasparenza, l’efficacia e la giustizia che vediamo in molte altre nazioni europee. Le nostre imprese all’estero realizzano infrastrutture viarie in tempi rapidi. Mentre da noi non è possibile perché le opere pubbliche vengono bloccate da veti, controlli e ricorsi. Su questo fronte l’Italia saprà rialzarsi quando finalmente si metterà mano al gigantismo burocratico e a una vera semplificazione delle procedure degli appalti.
Dopo il caso Palamara il governo ha varato una complessa riforma del Consiglio Superiore della Magistratura. A suo giudizio funzionerà realmente o in forme diverse le cose resteranno più o meno come prima?
Temo che le cose continueranno come prima se non peggio di prima. Intanto lì ci sono problemi di efficienza e di funzionalità. Ma a parte questo aspetto, così come per anni si è combattuta e condannata la lottizzazione dei partiti non con altrettanta forza lo si è fatto per il Csm. Col risultato di trovarci i problemi che tutti conosciamo. Ed è un peccato perché ci sono molti magistrati che fanno il loro dovere e svolgono un ottimo lavoro. Purtroppo proprio perché il sistema è degenerato non sempre gli sono riconosciuti i meriti e la professionalità che esprimono. Spero di sbagliarmi, ma mi sembra che la riforma appena varata non permetterà di fare significativi dei passi in avanti in fatto di correttezza e trasparenza. Oltretutto un problema come questo – problema che dovrebbe interessare tutto il Paese – vede invece molta prudenza da parte dei partiti e della stampa. Tutti sanno che il meccanismo non funziona ma poi c’è la preoccupazione di non cambiare troppo le cose. Così dopo lo scandalo si fa qualche rattoppo ma si evita di prendere il toro per le corna. Ecco perché sono pessimista. Le correnti della magistratura si metteranno un altro vestito e continueranno a dettare legge.
Ha suscitato la fiera indignazione dell’intero corpo politico la richiesta da parte di alcuni parlamentari del bonus Covid destinato ai lavoratori autonomi. Al di là dell’inopportunità del gesto non le sembra che in troppi si siano scoperti moralisti a buon mercato?
Direi di sì perché è assai facile gridare all’immoralità degli altri. Parafrasando quanto le dicevo prima a proposito della giustizia, da noi la morale esiste per i nemici ma non per gli amici e ancora meno per sé stessi. Il bonus Covid destinato ai lavoratori autonomi era ragionevole e per una volta tanto non si sono complicate le cose. Sono stati dati subito i soldi senza inventare difficoltà, impedimenti burocratici, controlli, sottocontrolli. Il governo si è affidato alla correttezza dei cittadini, come peraltro avviene in tante altre nazioni. Purtroppo da noi non ha funzionato. E non solo nel caso da lei richiamato. In altre occasioni le diponibilità economiche offerte dal governo per far fronte alla pandemia sono finite nelle mani di chi non ne aveva diritto. È stato così con la Cassa integrazione guadagni di cui hanno usufruito migliaia di imprenditori e da ultimo i proprietari delle discoteche hanno richiesto miliardi in risarcimenti per la chiusura disposta dal governo e poi dichiarano in media 18mila euro l’anno di reddito. Siccome queste cose si ripetono da tempo immemore penso che lo Stato dovrebbe usare l’alta tecnologia per adottare efficaci sistemi di controllo sia sul piano fiscale sia sul piano delle risorse che dispensa e non per fare il Grande Fratello, ma per contrastare la diffusa immoralità e i moralisti a buon mercato come lei li ha definiti.
Sulla piattaforma Rousseau gli iscritti al M5S hanno deciso l’azzeramento del primo mandato comunale dei propri rappresentanti e dato il via alla possibilità di allearsi localmente con altri partiti. Le cose però non sembrano andare secondo le indicazioni della base grillina dato che Zingaretti non è disposto ad appoggiare la Raggi a Roma e alle elezioni regionali di settembre PD e 5 Stelle si sono alleati in una sola regione su sette.
Sono molto dispiaciuto che il confronto tra queste due forze politiche avvenga su questioni di alleanze per il potere. La discussione si è focalizzata sull’impedire al centrodestra di vincere le amministrative che riguardano oltre mille comuni e come lei ha menzionato ben sette regioni. Ovviamente l’obiettivo di non far vincere il centrodestra è legittimo. Quello che però mi impressiona è che tale obiettivo non sia finalizzato a realizzare delle proposte comuni, un progetto condiviso di città, di regione. E stiamo parlando di due partiti che sono al governo del Paese. Allora mi chiedo: allearsi solo per andare contro qualcuno è sufficiente? In caso di vittoria cosa si fa? Quali programmi si realizzano? Non si sa. E questo è molto preoccupante. In quanto all’approvazione del terzo mandato, che ha spianato la strada alla candidatura della Raggi a Roma per le amministrative dell’anno prossimo, viene introdotto un elemento di irrazionalità, di discrezionalità. Ieri i 5 Stelle giuravano: non più di due mandati. Oggi sono diventati tre. E domani? Va bene, c’è questo problema e ce lo teniamo. Tuttavia, se mi permette un ricordo personale, quando ero alla guida della Uil non mi sono mai appassionato al fatto che ci dovessero essere dei limiti di mandato. Se un dirigente non si dimostrava capace non aspettavo due giri di giostra per sostituirlo. Se invece si dimostrava capace cercavo di mantenerlo al suo posto. Mi sembra un atteggiamento razionale. Credo che questa operazione dei 5 Stelle sia stata fatta in vista del Congresso. Una logica tipica dei vecchi partiti.
A ridosso di ferragosto la Cassazione ha stabilito che finiti gli studi un figlio ha il dovere di rendersi autonomo dai propri genitori e cercarsi un’occupazione qualsiasi in grado di mantenerlo. In questo modo non si mette in discussione il rapporto di solidarietà tra consanguinei?
Sì e non va affatto bene. Questa sentenza mi ha molto colpito, non penso però che possa avere seguito. La famiglia in quanto istituzione traballa, la disoccupazione giovanile è da parecchi anni una vera e propria piaga sociale e i neolaureati scappano in massa dall’Italia per cercarsi un lavoro all’estero. Dinanzi a questo quadro non mi sembra proprio il caso di mettere i genitori contro i figli. Vorrei ricordare che proprio qualche giorno fa al meeting per l’amicizia fra i popoli Mario Draghi ha sostenuto che privare i giovani di un futuro è una grave forma di diseguaglianza. Aggiungo che le persone non devono cercarsi il lavoro così come Diogene cercava l’uomo con la lanterna. È necessario creare le condizioni affinché il lavoro sia offerto. Credo dunque che il pronunciamento della Cassazione non sia un invito da raccogliere.
Il crollo di una parte del tetto dell’auditorium “Nicola Calipari” del Consiglio Regionale crea un ulteriore disagio all’attività politico-amministrativa dell’Assemblea legislativa calabrese che si aggiunge a quelli già sopportati a causa della pandemia del Covid-19. Gli effetti prodotti dall’emergenza sanitaria hanno piegato su se stessa la Calabria che, tra mali atavici e fatalismo, stenta a recuperare il gap con altre realtà geografiche del sud Europa e del nostro Mezzogiorno.
<<== la sede del Consiglio regionale della Calabria
Palazzo Campanella e l’intera area in cui sorge la “Casa dei calabresi” sembrano aver perso quella vitalità che le caratterizzavano. Oggi è quasi un deserto: i dipendenti in smart working e all’interno solo piccoli gruppi di tecnici che controllano lo stato di agibilità ed effettuano i rilievi disposti dalla Procura della Repubblica.
I tempi di riapertura potrebbero non essere brevi per ragioni oggettive, nonostante le rassicurazioni, ma l’attività legislativa e istituzionale non deve e non può fermarsi. In attesa che l’intera sede consiliare torni ad essere operativa, riteniamo che la soluzione più idonea, in questo e in ogni futuro caso di inagibilità di Palazzo Campanella, sia quella di un momentaneo ritorno del Consiglio a Palazzo San Giorgio, sede storica dell’Assemblea legislativa calabrese.
<<== Gazzetta del Sud -8 agosto 2020
Siamo certi che l’Amministrazione comunale sarebbe ben disposta ad accettare un’eventuale richiesta formulata in tal senso dall’attuale Presidente, on. Domenico Tallini.
Palazzo S.Giorgio ==>>
In questa
struttura, situata nel cuore della Reggio post-terremoto del 1908, furono
scritte indelebili pagine della storia del primo regionalismo calabrese.
Artefice una classe politica illuminata che, nonostante la militanza in partiti
graniticamente ideologizzati e fedeli ad uno dei due blocchi in cui venne
divisa l’Europa dopo la fine della II guerra mondiale, fu in grado di
intercettare i bisogni sociali e strutturali dell’intera Calabria che il
centralismo statale aveva ignorato fin dall’Unità d’Italia.
L’Aula consiliare
di Palazzo San Giorgio – oggi intitolata a Pietro Battaglia, sindaco della
Rivolta, consigliere regionale e deputato della X legislatura – registrò il
protagonismo di politici orgogliosi della loro appartenenza e uomini dalla
grande umanità: Mario Casalinuovo, Scipione Valentini, Consalvo Aragona,
Rosario Chiriano, Anton Giulio Galati (per rimanere nei primi 20 anni di vita
della massima Assise calabrese).
Lo Statuto del
2004 – la legge fondamentale dell’ordinamento calabrese, approvata dall’intero
Consiglio del quale facevano parte anche gli eredi di quelle forze politiche che allo scoppio
dei Moti del ’70 ebbero posizioni contrapposte rispetto alla natura e all’anima
della Rivolta popolare – ha definitivamente riconosciuto la Città dello Stretto
come sede del Consiglio regionale della Calabria. Quella norma, che ha
codificato il patto sociale post Moti e che a nostro avviso ha un contenuto
immodificabile, ha contribuito a lenire le ferite di una stagione di rabbia e
di delusione, grazie alla consapevolezza che i campanilismi sono il male
incurabile della coesione sociale e che solo una Calabria unita possieda la
forza per rivendicare maggiore attenzione da parte dei Governi centrali.
Su queste basi, anche con il contributo dell’Associazione sociologi italiani, riteniamo doveroso raccontare – secondo una rigorosa lettura storica ma anche con una nuova luce di speranza – cinquant’anni di regionalismo calabrese, che nel bene e nel male rappresentano un patrimonio identitario da tramandare da parte di quanti sono stati protagonisti o testimoni di un evento che a pieno titolo fa parte della storia della Calabria.
Antonio Latella – giornalista e sociologo (Presidente nazionale dell’ASI- Associazione Sociologi Italiani)
Quanto segue rappresenta il secondo “appuntamento” con le devianze. In questo caso, e non solo, ci occuperemo della devianza come forza creatrice e innovatrice, che trova ampio spazio nei lavori di un grande artista calabrese, ossia Saverio Rotundo.
Cenni biografici a cura di Anna Rotundo, dottoressa in linguaggio dello spettacolo del cinema e dei media
Quando una persona inizia un nuovo cammino, non terreno, chi rimane, percorrere quello che resta della propria esistenza facendo i conti con la mancanza, con l’assenza.Quando Saverio Rotundo, mio nonno, è morto mi sono ritrovata ad affrontare la vita senza di lui, senza la nostra quotidianità, senza la sua presenza così ingombrante eppure così importante.Grazie alla sua arte nonno, non è andato mai via.
Chi è Saverio Rotundo meglio conosciuto come “U’ Ciaciu”?
Saverio Rotundo nasce a Catanzaro il 2 Giugno del 1923. Tutta la sua vita si è
svolta in questa adorata città, senza mai allontanarsi. Rimane orfano a soli 20
anni, (il padre Francesco muore il 28 agosto 1943 a causa dei bombardamenti
avvenuti a Catanzaro), prende le redini della famiglia (era il primogenito di 9
fratelli) decidendo di dedicarsi completamente al lavoro piuttosto che allo
studio. La sua caparbietà lo porta ad imparare a leggere e a scrivere da solo e
nel 1975 (a 52 anni) si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro nella
sezione scultura e negli anni avvenire conseguirà tutti i diplomi previsti.
Il soprannome “Ciaciu” identificava il mio bisnonno
Francesco e successivamente tutta la sua discendenza, compreso mio nonno.
Quando gli veniva chiesto (anche da me), cosa volesse significare “Ciaciu”
nonno raccontava che il padre quando partì per andare in guerra nel 1915, tutti
gli amici e i familiari salutandolo dicevano “ciau Cì”, sommando i vari saluti
e le abbreviazioni dialettali uscì fuori la parola “Ciaciu”.
L’arte del ferro e quindi la maestria nella lavorazione
dello stesso l’apprende nella bottega del Maestro (Mastru) Pullano. Per lui il
ferro è come una seconda pelle. Chiunque
gli è stato accanto ricorda il profumo di ferro che emanava. Nelle sue mani
questo materiale diventa morbido, malleabile, riesce a dominarlo e plasmarlo.
Per la realizzazione delle sue opere non utilizza solo il ferro ma anche, creta, gesso, mattoni, materiale cartaceo, tessuti, legno, pietra, lattine e plastica. Con molti di questi materiali ha realizzato abiti e cappelli che lui stesso indossava durante manifestazioni o performance. Attraverso i colori accesi e discordanti degli abiti, degli oggetti che indossava, e del trucco che spesso utilizzava in volto si può affermare che diveniva lui stesso opera d’arte.Nel corso degli anni ha realizzato numerose sculture in ferro di piccole, medie e grandi dimensioni, riciclando svariati materiali.
Negli anni ‘70 prendono vita i suoi lavori più importanti,
ad esempio, ispirato dalle disposizioni di circolazione automobilistica a
targhe alterne, crea “Malinconia dei
giorni festivi” (fig.1), una scultura di grandi dimensioni realizzata con
ferri di cavallo e altro materiale ferroso (fig.2), ritrae una donna dalle
forme armoniose stringere tra le mani un volante d’auto; degli stessi anni è
l’opera “La minigonna” (fig.3), realizzata con rame sbalzato e punzonato,
ritrae una donna in minigonna, simbolo dei movimenti femministi.
Gli anni ’80 sono
caratterizzati dalla realizzazione di opere di grandi dimensioni tra cui “L’Aquila”, “Cavallo” e “Il calciatore
agguerrito” (fig.4), quest’ultimo realizzato in ferro e rame alto circa 3
metri. A metà degli anni ’80 inizia a ricevere i primi premi, il diploma di
qualifica 1^ biennale “Città di Firenze”, l’assegnazione del diploma 1^
lingotto d’oro “omaggio a Donatello, rilasciato a Roma dall’Accademia
internazionale, il titolo accademico d’onore 1^ Medaglia d’oro “Città di Parigi”,
rilasciato dall’accademia culturale italiana Scandicci (Firenze).
Sono di recente
creazione “Pietà per Mussolini”
(fig.5) e “A serpa”, entrambe
esposte, con sua grande soddisfazione, a Villa Bagatti a Varedo, in occasione
di “ExpoArteItaliana”.
A causa di una rovinosa caduta e dopo aver lottato da guerriero, si spegne il 26 maggio 2019, all’età di 96 anni, all’ospedale di Serra San Bruno (VV) con accanto i suoi affetti più cari. Il complesso monumentale del San Giovanni ha ospitato la camera ardente e i funerali si sono svolti, nella giornata di lutto cittadino, il 28 maggio 2019.
L’arte di nonno è difficile da inquadrare. È un’arte
indipendente, che ha voglia di sperimentare e creare una nuova arte. Attraverso
la sperimentazione riesce a concretizzare le proprie idee. Disfa e costruisce
costantemente, la sua serietà nel fare le cose non tollera derisioni, come
invece accadde negli svariati anni.
Un pensiero costante durante la sua esistenza è l’amarezza di non essere apprezzato dalla propria città e di essere vessato dai politicanti del momento.
Dopo la sua morte, ad un tratto, le sue opere non sono più
accozzaglie di ferro o orride creazioni, tanto è vero che, in un articolo
addirittura è stato scritto che sarebbe necessario installare un cartello,
presso una proprietà di mio nonno, e spiegare che ci si trova d’avanti ad
un’opera d’arte e non ad una discarica. Così tutto è cambiato, le sue sono
definite vere e proprie opere d’arte e di questo sono molto felice. Dare
riconoscimento ad un uomo che ha donato tutta la sua vita all’arte è una
bellissima cosa.
Nonno diceva: “La spazzatura è oro. Di cosa credi siano
pieni i musei. Un giorno le discariche verranno scavate come miniere” (fig. 6).
In fondo alla discarica si può trovare tutto quello di cui si ha bisogno, così
da poter dar vita e speranza agli oggetti, come se si attuasse una
trasfigurazione onirica – favolistica, come del resto è stata la sua vita,
sospesa tra sogno e realtà.
Da qui anche il nome del suo laboratorio “Galleria dell’Arte
di tutti i tempi dell’Abbandono” (riaperta da poco). L’ho sempre vista e
concepita come una “nuova bottega d’artista” in cui nonno trae le migliori idee
per la sua arte. È un laboratorio dove si respirava aria di novità, energia
innovativa.
I materiali da lui utilizzati, non sono nati come opere
d’arte, ma lo diventano per pura imposizione e forza di volontà dell’artista.
Pensiamo alla serie di sculture che realizza negli ultimi anni, lattine schiacciate
e assemblate tra di loro. Sono prodotti realizzati in serie, se pur con alcune
varianti (utilizza lattine di coca-cola, Fanta, Sprite, latta di caffe etc.).
Si perde l’unicità dell’opera, tipica dell’arte tradizionale, accostandosi alla
cultura di massa che è anche la base della teoria della Pop-Art.
La mia mente torna all’infanzia, e penso a qualche
ricorrenza particolare, quando, scartando qualche regalo, pretendeva che la
carta non venisse buttata perché “può
servire per realizzare qualche opera o ricoprire chissà che cosa”. Ed ecco
che mi ritrovo ancora oggi con questo insegnamento: non gettare nulla e
conservare anche la più piccola cosa che
per gli altri potrebbe essere unicamente spazzatura, mentre per me è un tesoro
inestimabile.
Nonno ha lasciato tanto di sé tra cui il precetto di amare
l’arte e la libertà sopra ogni cosa a discapito anche delle persone che ci
stanno accanto!
A distanza di 1 anno dalla sua scomparsa, nonno non smette
mai di stupirmi!
Dopo la sua morte,
insieme a mia sorella Rita e al caro amico Stefano, abbiamo scoperto un
archivio storico costituito da migliaia di foto e vari documenti. Ciò che mi ha
colpito era l’ordine, non certo una delle sue peculiarità, e la meticolosità
dell’archiviazione; ho ritrovato opere, lettere, foto mai viste prima! Il che
mi ha consentito di ricostruire una parte della sua vita artistica che non
conoscevo minimamente. Di materiali ne abbiamo trovato tanto, ma uno a mio
avviso resta esemplificativo…Tra gli appunti datati 1980 ho rinvenuto un
bigliettino con su scritto: “Crisi
politica, crisi economica, crisi energetica ecc. arte più avanti”.
Ancora una
volta l’arte!
Grazie a lui, l’arte
ha superato tutti questi ostacoli, e a sua volta, grazie ad essi è riuscita a
trarne beneficio attraverso l’esplosione della creatività. Tutto è più semplice
con l’arte.
Voglio concludere questo breve racconto con un dialogo che
avveniva giornalmente tra me e lui. Quando si preparava per uscire, lo aiutavo
a mettere la giacca o il suo inconfondibile camice blu da lavoro e mi diceva: «Io vado, buona giornata bella mia», ed
io rispondevo: «Buon lavoro nonno». Ebbene con un sorriso nostalgico anche oggi
rinnovo il mio augurio: Buon lavoro nonno.
Considerazioni sociologiche a cura di Davide Costa, Sociologo e segretario regionale dell’Asi
“L’arte è (…)
assolutamente refrattaria a tutto ciò che assomiglia a una obbligazione, poiché
è il dominio della libertà. Essa è un lusso ed un ornamento che è forse
piacevole avere,(…).(…) L’arte
corrisponde al bisogno di espandere la nostra attività senza un fine preciso,
per il piacere di espanderla”(Durkheim, 1899).
Era così che intendeva l’arte uno dei padri fondatori della
sociologia, ovvero Emile Durkheim; eppure sembra una definizione creata ad hoc
per un grande artista come Saverio Rotundo!
L’arte è il dominio della libertà, ma è anche espressione di
quella naturale tensione che intercorre tra l’individuo e la società, tra
valori collettivamente definiti e bisogni inconsci.
Perché si parla su
una rivista sociologica de “U Ciaciu”? Per un motivo molto semplice, perché la
sociologia si interroga anche sulle relazioni che intercorrono fra la creatività artistica e il contesto
sociale. Inoltre “L’ arte costituisce un
settore della cultura estremamente ampio e variegato, nel quale trovano
espressione emozioni, sentimenti, dimensioni del desiderio e dell’immaginario
individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà naturale e sociale,
concezioni del mondo e della vita”(Caramiello et al, 2016)
Quindi, l’arte è per sua stessa natura una fotografia della
società; nel caso di Saverio Rotundo, parliamo di una vera e propria forma di
“arte sociologica”; così appare evidente
come la sociologia e l’immensa eredità
artistica lasciata dal Maestro Saverio possiedano una sorta di “interdipendenza
funzionale”, forse perché in questo artista, e nelle sue opere, vi era quella
forma di sociologia, che Alessandro Cavalli definisce “ingenua” ossia una sorta
di propensione innata verso la lettura e
l’analisi della società…. Un artista, come
u Ciaciu, è un “sociologo visuale e iconografico”.
Ma ancora più interessante è la questione della coesistenza
della creazione e distruzione nelle sue opere.
La convivenza di questi due fenomeni opposti ci ricorda come
“… la vita di quest’universo è un
perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di
maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione
del mondo; il quale sempre che cercasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe
parimente in dissoluzione”(Leopardi 1998).
Saverio Rotundo recuperava materiali abbandonati per farne
opere d’arte… Molto spesso gli oggetti impiegati venivano promossi a nuova
vita, distruggendo completamente la loro natura originaria.
Dappertutto è conosciuto come l’artista dell’abbandono… Ciò che non meritava di essere più considerato, nelle sue mani, prendeva una nuova vita.E’ in questi termini che Saverio Rotundo sembra aver interiorizzato il celebre concetto di Sabina Spielrein secondo il quale la distruzione sarebbe causa della nascita.
“Ecco la frase
immortale: “Una parte di quella forza che vuole sempre il Male e opera sempre il bene”. Questa forza demoniaca, che
nella sua essenza è distruzione(il male) e contemporaneamente anche forza
creativa, dato che dalla distruzione(…)
ne nasce uno nuovo”(Spielrein frammento di una lettera inviata a
Freud nel 1909).
Creazione e distruzione, che potremmo anche definire come
“Eros e pulsione distruttiva” per dirla
in termini freudiani, le cui caratteristiche principali trovano una
significativa definizione nella prima scena del “Faust” di Goethe, quando
Mefistofele, definisce egregiamente la pulsione distruttrice:
“Perché tutto ciò che
nasce
Merita di perire(…)
Quindi tutto ciò che voi chiamate
peccato,
Distruzione e, insomma, Male
E’ il mio vero elemento”.
Ma, nella stessa scena, descrive brillantemente anche l’Eros
e la sua forza creatrice:
“Nell’aria, nell’acqua
e nella terra
E’ un continuo multiforme germinare,
Con l’umido e col secco, col caldo e
col freddo,
Se a me non avessi riservato il
fuoco,
Davvero che non ci avrei più neanche
una mia specialità”.
Saverio Rotundo, così, è un vero cultore della “burrasca
di distruzione creativa”, per dirla alla Schumpeter, ovverossia del “processo di mutazione (…) che rivoluziona
incessantemente la struttura (…)dall’interno, distruggendo senza sosta quella
vecchia e creando sempre una nuova”(Schumpeter 1994).
E’ necessario insistere ancora su questo concetto della coesistenza della creazione con la distruzione, perché potrebbe essere un nuovo importante paradigma psicosociologico con il quale analizzare fenomeni sociali come quelli artistici e non solo. Sulla scia di questa precisazione, il coesistere di questi due eventi opposti, ma interdipendenti, potrebbe spingerci a definire Saverio Rotundo e le sue opere come śivaisti.
Śiva, una delle grandi divinità dell’induismo, è
contemporaneamente creatrice e distruttrice, infatti nel suo culto “(…) La vita si alimenta con la morte. Non
c’è nulla che viva senza distruggere, divorando vita”(Daniélou 1980).
E, proprio come u Ciaciu, anche Śiva è un amante dei luoghi
dell’abbandono che diventano la fucina di nuove opere, infatti “(…)ama i luoghi della cremazione, ma cosa
distrugge? Non soltanto i cieli e la terra alla fine del ciclo, ma anche le
catene che legano ogni anima individuale. Che cos’è il luogo della cremazione? Non già il posto in cui si
bruciano le spoglie mortali, ma il cuore dei suoi fedeli, trasformati in
deserto. Il luogo in cui l’ego è distrutto rappresenta lo stato in cui
l’illusione e le azioni sono ridotte in cenere”(Coomaraswamy 1948).
Le opere di Saverio Rotundo, sono illusioni tangibili di
azioni, frammenti sociali polverizzati;
ed è così che l’arte di questo
creatore-distruttore “(…)è parte
“dissidente” del fluire storico, da cui fatalmente si differenzia, sia per
formalità che per valore d’uso. Tanto è vero che l’uomo, nel circondarsi di
oggetti d’arte, quindi nell’oggettivare “l’ideale dell’arte” non possiede in
realtà tale ideale, ma partecipa ad un processo di conversione energetica degli
oggetti, il cui sviluppo transnaturale delle loro energie vale come processo
culturale”(Cossi, 2005).
La “dissidenza” creatrice e
distruttrice di questo grande visionario è ancora oggi tangibile, anzi è più
forte che mai! Perché alla creazione e alla distruzione consegue un costante
fluire di forme, nel senso simmelliano del termine, ovverossia “(…) forme di relazione, istituzioni,
simboli, idee, prodotti della vita economica ed opere artistiche”(Jedlowski 2011), e in ognuna di queste
manifestazioni la vita, e la morte, creazione e distruzione, si affermano con
forza sempre più preponderante, da cui, a sua volta discende il mutamento di
tutte le “cose” di cui ‘Mastro’ Saverio resterà un grande Maestro perché “Il mutamento(…) è l’indice, o piuttosto la
conseguenza dell’infinita fecondità della vita-e quindi della creazione e
della distruzione-ma anche della profonda
contraddizione in cui sta il suo eterno divenire e mutarsi di fronte
all’obiettiva validità e l’autoaffermazione delle sue manifestazioni e forme,
con le quali o nelle quali essa vive”(Simmel 1976).
Approfondimenti
E’ possibile scaricare cliccando sul link una galleria
fotografica su alcune delle opere di Saverio Rotundo.
Riferimenti bibliografici
Caramiello L., di Martino G., Romano M, (2016), Percorsi di sociologia dell’Arte: Materiali
per una formazione riflessiva.
Coomaraswamy A., (1948), The
Dance of Shiva.
Cossi G. M., (2005), Il
contributo dei classici alla sociologia dell’arte.
Daniélou A., (1980), Śiva
e Dioniso la religione della natura e dell’eros.
Durkheim E.(1899), Rappresentazioni
individuali e rappresentazioni collettive.
In virtù del fatto della situazione post Covid 19, le aziende dovranno concentrarsi su alcuni aspetti fondamentali per una ripartenza, necessitano quindi di mettere in azione nuove strategie, ampliando il raggio di azione in diversi aspetti. Le due macro aree su cui concentrarsi sono, una in riferita al piano strategico di sviluppo sul mercato e una seconda riguardante la forza lavoro.
Dott. Massimo Dagnino == >>
Per il piano strategico di sviluppo si potrebbe adottare quanto segue: 1) certe aziende in determinate zona geografica anche estere, non hanno strutture distributive o rappresentative, pertanto i clienti non possono conoscere e utilizzare il prodotto; l’azienda che si trova in una situazione del genere, ha a disposizione un mercato ma «non è disponibile», perché nonostante abbia il prodotto, non dispone della rete commerciale per proporlo, quindi si potrebbe adottare una strategia di ampliamento delle zone di mercato; 2) orientarsi su nuove linee di prodotti correlati se il Core Business è la produzione di un determinato prodotto o articolo, interessante sarebbe produrre un prodotto nuovo ma correlato, il post Covid 19 porterà ad un calo inevitabile sia della domanda ma anche dell’offerta, producendo una serie di prodotti correlati si potrebbe compensare in parte la riduzione; 3) aumentare il livello estetico sia del packaging sia dell’usabilità dei portali web, oggi tramite le tecniche di Neuromarketing questo è possibile.
Si deve cambiare il modo di fare Business, soprattutto nell’immediatezza, importante è rinnovarsi con qualità adottando strategie mirate e misurabili.
Per quanto riguarda il piano della forza lavoro, le aziende nella situazione post COVID-19, necessitano di paini mirati di sviluppo del personale, gli elementi da tenere in considerazione sono i seguenti: Obiettivi individuali: vanno definiti con cura e in modo preciso monitorandoli; Contenuti formativi: flessibili, sempre calzanti alla realtà aziendale per aumentare la relazione cliente-azienda, adottando una formazione specifica e mirata; Verifica: si può optare per un sistema di valutazione e monitoraggio a step prestabiliti.
Rilevante è considerare al più moderno concetto di empowerment. Nella sua accezione originale significa “potenziamento”, inteso come avere la capacità di svolgere un determinato compito.
In pratica il processo di empowerment è volto ad acquisire fiducia in sé stessi e nelle proprie capacità e potenzialità, adattabile a situazioni molto diversificate. Possiamo utilizzare tre approcci operativi: Approccio individuale (Self-empowered): l’accento è rivolto al valorizzare le persone e creare il senso di identità aziendale; Approccio organizzativo (psico-sociale) si parte della consapevolezza della necessità di agire in modo nuovo a livello organizzativo; Approccio socio-organizzativo riguarda soprattutto il middle manager e il top management per promuovere una nuova cultura organizzativa che punta a lavorare sui gruppi di lavoro valorizzandoli.
L’empowerment consiste nel mettere gli individui al primo posto dando la possibilità di essere il filo rosso per la creazione di relazioni cooperative in un doppio progetto: la propria realizzazione e creare un vantaggio competitivo dell’impresa per cui lavorano. Si ricerca la necessità di creare nuove condizioni affinché i lavoratori occupino una posizione centrale e acquisiscano nuove competenze, per rendere l’impresa più performante, nella situazione nuova che il Covid-19 ha creato. Non si tratta di cambiare il comportamento dei lavoratori ma di reinterpretare la cultura del lavoro e del monitoraggio.
Le società devono pensare alla trasformazione, non solo per quanto riguarda l’operatività delle risorse umane (vedi smart working) ma anche per tutte le altre attività dell’impresa, tra cui la promozione aziendale, le strategie da adottare e lo sviluppo del personale, nel post COVID-19 bisogna riequilibrarsi.
Dott. Massimo Dagnino – Sociologo ASI
Bibliografia
Massimo Dagnino, “Semiotica nella comunicazione aziendale applicata al marketing” -ARACNE EDITRICE 2016.
Claudia Piccardo, “Empowerment strategie di
sviluppo organizzativo” RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2007
La pandemia ha cambiato in parte le nostre vite, ma anche il modo in cui gestire le nostre aziende dovrà essere modificato, anche perché, se non affronteranno il problema in modo realistico, difficilmente la maggior parte delle aziende potrà riprendersi da una crisi del genere.
<<== dott. Massimo Dagnino
I sistemi pubblicitari, avranno un ruolo fondamentale nella fase post COVID-19, le aziende dovranno affidarsi a loro, svincolarsi da sistemi rigidamente impostati su criteri burocratici, rendendole poco dinamiche a cogliere i cambiamenti. Bisognerebbe lasciare ampio spazio “all’umana crazia”, collegandola a tutti i servizi digitali che abbiamo a disposizione nel mondo pubblicitario. Di fronte alla minaccia rappresentata dal COVID-19, diventa fondamentale il capitale umano da impiegare nella quotidianità lavorativa, adeguandosi al nuovo mercato che andremo a trovarci.
Vediamo che cosa si intende per “umano crazia”. Per Hamel e Zanini autori del libro “Humanocracy edito da Harward Business 2020” significa rendere le aziende non solo flessibili e agili, come richiedono i manager, ma anche umane. Come abbiamo sperimentato, anche in seguito alla recente pandemia, le persone sono per loro natura adattabili e resilienti e sanno reinventarsi, quando è necessario, anche il mondo dell’advertising, dovrebbe prendere in considerazione questa nuova parola.
Le persone sono disponibili al cambiamento quando l’idea nasce da loro e ne sono parte attiva, oppure in caso di emergenza, quando gravi circostanze esterne lo richiedono, ad esempio per ragioni di sopravvivenza come nel caso del Covid-19. Secondo Gary Hamel, entrano in gioco diversi aspetti, la diligenza, l’intelligenza, l’iniziativa, la creatività e in alto la passione.
Il mondo della pubblicità deve avere collaboratori creativi, che vedono nei problemi delle opportunità, che fanno domande intelligenti, costruttive, che sanno mettere in tutto quello che fanno passione e che sono pronte ad assumersi i rischi, se necessario. In pratica devono avere il coraggio e la capacità di osare, di gettare il cuore oltre l’ostacolo. In questa grande tragedia della pandemia gli esempi li abbiamo visti ogni giorno: medici, infermieri, forze dell’ordine e più di altri settori, impegnati in prima linea con dedizione, con generosità, altruismo, dando un fulgido esempio di moralità.
Ma ci sono anche ragioni prettamente economiche che rendono necessario la modificazione in base al nuovo contesto sociale che andremo incontro. Cambiare mentalità è strategie, suggerendo alcuni spunti: 1)valutate il costo della burocrazia nel mondo dell’advertising; 2) coinvolgere i collaboratori sulla necessità di snellire quelle pratiche che rallentano il lavoro; 3) essere aperti a nuove idee, per farlo occorre avere il coraggio di ascoltare proposte e idee che arrivano anche dalla base e sperimentare.
Spetta quindi il difficile compito di semplificare le procedure e trasformarle, innovarle, con l’entusiasmo di facilitare il cambiamento coinvolgendo i collaboratori, lasciando una buona libertà di iniziativa. La pubblicità si trasforma sulla base dell’evoluzione delle tecnologie e della società subirà una rilevante trasformazione. La nuova comunicazione si rivolge ad un’acquirente con elevata forza di informazione, con un elevato contenuto esplicativo. In altre parole la pubblicità dovrà essere interattiva con il cliente e dovrà avere le seguenti caratteristiche: a) informazioni chiare e utilizzabili; b) dialogo azienda-cliente; c) selettività cioè creare un dialogo per quello che effettivamente può servire al cliente.
Dobbiamo calibrare la comunicazione sul target di riferimento, individuando i mezzi a cui il nostro target è esposto e dobbiamo adeguare il contenuto dei messaggi in base agli individui ai quali mandiamo tali messaggi.
Altri parametri riguardano il profilo socio demografico del consumatore in termini di età, sesso, livello di istruzione, dimensione del centro urbano dove vive, composizione della famiglia e fascia di reddito. Un altro dato fondamentale è quello che concerne le caratteristiche psicologiche del cliente, che si riferiscono all’insieme di valori, per esprimere la propria distintività in ambito sociale. Oggi le aziende danno molta importanza ai valori immateriali, come ad esempio l’immagine, la reperibilità e l’affidabilità. In ogni caso è necessario individuare i fattori negativi e guardare al futuro affiancandosi ai nuovi media come smartphone e internet. Oggi, è importante dare valore alla comunicazione pubblicitaria televisiva delle varie piattaforme, in questo momento del COVID 19, la TV è strumento molto usato dalle persone, grazie anche all’introduzione di nuove tecnologie applicate.
I prodotti hanno bisogno di creare un’atmosferacon valore emozionale legato all’emotività delle persone, in modo da coinvolgerle al meglio durante il messaggio pubblicitario, oggi grazie alle tecniche di Neuromarketing questo è possibile.Il prodotto è l’oggetto magico che coinvolge il pubblico, creando una situazione indirizzata a soddisfare le attese emozionali del cliente. Si rappresenta, in certi casi, la vita quotidiana, in modo che il messaggio pubblicitario sia il più possibile vicino alla realtà. Le parole espresse in un filmato commerciale vengono pronunciate con un determinato tono di voce che può cambiare il senso di ciò che vogliamo dire. L’effetto sorpresa durante uno spot, può stimolare l’attenzione di chi ascolta il messaggio ha l’obbiettivo di indurre il target group ad acquistare il prodotto o servizio da noi pubblicizzato.