Nella società contemporanea esistono molti miti che hanno la funzione principale di fornire motivazioni e dare un senso alla vita degli individui. In questo articolo prenderemo in considerazione uno di tali miti ovvero il fascino del mistero.
<<== Prof. Giovanni Pellegrino
Quando noi affermiamo che nella società contemporanea esiste una forte tendenza a mitizzare cose, fatti, persone e fenomeni sociali, intendiamo dire che molte cose, persone e fenomeni sociali diventano oggetto di una vera e propria idolatria da parte degli uomini contemporanei. In estrema sintesi possiamo dire che il processo di mitizzazione determina un aumento in maniera esagerata di tutto ciò che subisce tale processo: esso fa perdere agli individui la capacità di valutare in maniera critica ed oggettiva nonché razionale il reale valore di tutto ciò che viene mitizzato. La mitizzazione può essere considerata l’oppio degli uomini contemporanei. Per dirla in altro modo, nella società contemporanea esiste una vera e propria “fame di miti” che spesso è diretta conseguenza della crisi dei grandi valori che un tempo davano un senso alla vita di un individuo e fornivano altresì loro le motivazioni per compiere azioni degne di lode.
Spesso il processo di mitizzazione è un modo per compensare frustrazioni e fallimenti personali dal momento che gli individui non sono soddisfatti dei traguardi raggiunti e sentono il forte bisogno di mitizzare qualcosa o qualcuno. Dopo queste considerazioni sul processo di mitizzazione affronteremo il tema del nostro articolo ovvero il ruolo giocato dal fascino del mistero nel mondo contemporaneo. Dobbiamo dire che nonostante la scienza e la tecnologia siano arrivate oggi a livelli mai raggiunti nella storia del genere umano, il mistero esercita un grandissimo fascino sugli uomini contemporanei. Possiamo dire che razionalità e irrazionalità convivono senza generare conflitti in moltissimi individui moderni che non tengono in nessun conto il principio di non contraddizione. Alcuni sociologi ritengono che tale interesse per il mondo del mistero debba essere considerato un segno della crisi della razionalità. Noi non condividiamo in maniera assoluta l’idea che il ritorno del fascino del mistero sia un segno della crisi della scienza che è la più perfetta forma di conoscenza raggiungibile dall’uomo nel mondo terreno.
Tutti quelli che criticano la scienza dovrebbero tener presente che negli anni trenta la vita media degli individui era di quarantanove anni mentre oggi raggiunge gli ottantacinque anni. Naturalmente non bisogna pretendere dalla scienza cose impossibili, come ad esempio rispondere alle domande: esiste Dio? Esiste una vita dopo la morte? Infatti la risposta a tali domande presuppone conoscenze di tipo metafisico al di fuori delle capacità cognitive degli uomini. A nostro avviso la mitizzazione del fascino del mistero non è segno della crisi della scienza ma del desiderio di esplorare la dimensione soprannaturale utilizzando criteri e modalità diversi da quelli proposti dalla religione cattolica che si basano sulla fede. Tali criteri venivano dalla nuova religiosità di tipo gnostico e neopagano tipica del New Age, della Wicca e dei nuovi movimenti magico- religiosi. Come tutti sanno oggi assistiamo al ritorno in grande stile di un neopaganesimo multiforme che fa sentire la sua influenza in tutti i settori della vita sociale. In sintesi il fascino del mistero deriva almeno in parte dal fatto che moltissimi individui rifiutano le modalità proposte dalla religione cattolica per entrare in contatto con la dimensione soprannaturale (fede, preghiera, ascetismo) e mettono in atto modalità di rapportarsi al soprannaturale condannate dalla religione cattolica.
Ad esempio molti individui ricorrono alle pratiche magiche, allo spiritismo, al satanismo, all’evocazione dei componenti del “piccolo popolo” nonché alla adorazione di divinità pagane quali Gaia e la Grande Madre. Oramai nessuno mette in dubbio che nel mondo occidentale si è verificata la grande rivincita del paganesimo che ha determinato una profondissima crisi della religione cattolica. Esiste inoltre una mitizzazione del fascino del mistero che si basa sulla convinzione che la mente umana possieda dei poteri divini che le permetterebbero di ignorare le leggi della natura e di modificare gli eventi della vita degli individui ( basti pensare al cosiddetto “pensiero positivo” tipico della visione del mondo del New Age). Moltissimi individui sono fortemente attratti dallo studio dei misteri riguardanti motivi divini della mente umana a causa del fatto che l’uomo, fin dai tempi del paradiso terrestre ha sognato di diventare come Dio e di avere poteri divini (vedasi il Peccato Originale). Inoltre esercitano molto fascino sugli uomini tutti quei misteri collegati con le civiltà del passato anche se spesso alcune di tali civiltà diventano oggetto di processi di idealizzazione nel senso che si nota una vera e propria idolatria nei loro confronti che non tiene conto della realtà storica.
Per fare un esempio citeremo l’idolatria che gli acquariani e gli adepti della Wicca dimostrano nei confronti della civiltà e della religione celtica. Moltissimi sono dunque i misteri che attirano gli uomini contemporanei. A tale riguardo Berlitz scrive: “ecco dunque il fiorire di romanzi occulti, di saggi sulle civiltà del passato, sul continente di Atlantide, sulla ‘ archeologia spaziale, sulle religioni iniziatiche, sulle antiche scienze, sui personaggi circondati da un alone di mistero, sulle leggende e sui fenomeni paranormali e così via”. 1 (C. Berlitz, Atlantide, Edizioni Mediterranee, Roma, 1984, p.10). Come si vede esistono misteri di ogni tipo che rendono la mappa dei misteri presenti nella società contemporanea estremamente variegata e pluridimensionale.Tuttavia dobbiamo dire che contribuiscono alla mitizzazione di un certo numero di misteri le affermazioni e le teorie non sostenute da dati di fatto divulgati da individui che pubblicano libri su tali fatti misteriosi. Essi spacciano per dati di fatto e per clamorose scoperte quelle che altro non sono che delle semplici opinioni personali al massimo suffragate da semplici indizi. Un’altra causa della mitizzazione di un certo numero di misteri sta nel fatto che quasi tutte le persone che leggono i libri di tali autori non hanno conoscenze scientifiche e storiche per esprimere una valutazione oggettiva del valore reale di tali teorie.
In questa sede non possiamo effettuare considerazioni di carattere sociologico e psico-sociale su tutti i più importanti misteri che attraggono l’uomo contemporaneo, in quanto dovremmo scrivere un intero libro su tale argomento e non un semplice articolo. Pertanto ci limiteremo a formulare alcune considerazioni sociologiche e psico- sociali sul mistero di Atlantide, il presunto continente perduto che si sarebbe inabissato nelle acque dell’oceano Atlantico circa diecimila anni fa. In tale articolo vedremo il significato filosofico, sociologico e storico- religioso del mistero di Atlantide. L’esistenza di Atlantide viene sostenuta da Platone che ci parla del perduto continente in due dialoghi ma la maggior parte degli studiosi ritiene che la descrizione di Atlantide sia uno dei tanti miti presenti nelle opere di Platone e non un fatto storico. Non possiamo in questa sede fare delle considerazioni filosofiche sull’importanza dei miti nel pensiero platonico ma possiamo dire che è molto probabile che Patone abbia utilizzato il racconto di Atlantide non per sostenere l’esistenza storica del presunto continente ma per altri fini come accadeva per gli altri miti platonici. Detto ciò cercheremo di mettere in evidenza le conseguenze psico-sociali che deriverebbero dalla dimostrazione dell’esistenza di Atlanatide. In effetti tale dimostrazione avrebbe un fortissimo impatto psicologico e sociologico sia sulla comunità scientifica sia sulla gente comune in quanto farebbe saltare la concezione lineare della storia, uno dei capisaldi della percezione sociale della realtà nel mondo occidentale. Come tutti i sociologi sanno, modificare la percezione sociale della realtà significa cambiare radicalmente l’universo sociale.
La concezione lineare del tempo e della storia si basa sul presupposto che la società moderna è quella nella quale è stato raggiunto il massimo grado di progresso scientifico e tecnologico mai avuto in tutta la storia dell’umanità. Se si dovesse provare che Atlantide prima di essere distrutta aveva raggiunto un notevole livello di sviluppo scientifico bisognerebbe mettere in discussione i capisaldi della concezione del mondo e si avrebbe quello che i sociologi chiamano shock culturale. Dal punto di vista della storia delle religioni il grande interesse che si registra nel mondo contemporaneo per il mistero di Atlantide può essere considerato una forma moderna di quella che gli storici delle religioni chiamano “ nostalgia delle origini”. Tale nostalgia è presente a livello conscio ed inconscio negli animi degli uomini. Essa fa riferimento a un lontano passato nel quale esisteva quella che gli storici delle religioni chiamano” l’età dell’oro”, un’età di pace, prosperità ed abbondanza. In effetti Atlantide viene definita da Platone come “l’età degli dei”, nella quale gli abitanti di tale continente si trovavano in una specie di paradiso terrestre. Infine per molte persone Atlantide è la culla della civiltà e della razza umana, ragion per cui collegano ad essa quelli che gli storici delle religioni chiamano “miti delle origini” od anche “miti di fondazione ,che fanno riferimento ad avvenimenti accaduti all’alba della storia del genere umano. Tali fatti avrebbero condizionato in maniera irreversibile l’umanità.
Prof.
Giovanni Pellegrino
Prof.ssa
Mariangela Mangieri
Bibliografia
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2000 nell’anno del Signore, Milano, 1989
C. Berlitz,
Atlantide, Edizioni Mediterranee, Roma,1984
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Le profezie di Nostradamus, De Vecchi Editore, Milano, 1982
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Saggiatore, Milano, 19991
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Pellegrino, Il neopaganesimo nella società moderna,Edisud, Salerno, 2000
G.
Pellegrino, Il ritorno dell’astrologia, New Grafic Service, Salerno, 2004
G.
Pellegrino, Il new age, Edisud, Salerno,2003
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J. Vallee,
Messaggeri di illusione, Sperling-Kupfer, Milano, 1984
Una delle domande più frequenti che attanagliano gli studiosi è di certo la definizione del rapporto tra l’individuo e la società. Questa, insieme ad altri innumerevoli quesiti, detiene il titolo di oggetto di studio e di ricerche innumerevoli.
<< ==dott./sa Flavia Munafò
Sarebbe utopico, e, tendenzialmente anche troppo presuntuoso da parte mia, cercare di affrontare l’argomento in maniera esaustiva senza riempire le pagine di questo scritto con infinite dissertazioni melense e già dette; per questo, infatti, cercherò di riportare in maniera fedele e di analizzare il più possibile, vista la scarsità degli strumenti conoscitivi in mio possesso, quanto detto da famosi e stimati sociologi del secolo scorso a riguardo. Varie e disparate sono state le interpretazioni e le conseguenti critiche e dissertazioni verso ciò che si ritiene essere l’argomento principe della sociologia; cercare di capire in che modo l’individuo si relazioni con la società circostante e se e come essa sia in grado o meno di influenzarlo, di riversare su di esso le angosce di un comportamento da adottare, è un interrogativo che potrebbe aver interessato chiunque, al di là dei sociologi.
Ogni persona, infatti, può porsi la domanda segreta: come mai mi comporto in questa maniera, seguo determinati atteggiamenti? Lo si fa in relazione al tipo di attività svolta? Al posto occupato nella scala sociale? La relazione sussiste in base alla volontà dell’individuo, o è invece, la società il vero fulcro che muove le nostre vite come il burattinaio tiene il filo delle sue creature? Contestualmente, anche non avendo studiato nessun manuale di sociologia, mi sorge spontaneo chiedermi: quali sono gli strumenti che l’individuo ha per relazionarsi con questo “magma”, quale è la società? Dopo aver letto attentamente alcuni difficoltosi scritti, sono giunta a conoscenza di concetti fondamentali, quali il ruolo e lo status.
Il primo quesito che già si pone dinanzi la recente scoperta è capire se e come questi due meccanismi siano dipendenti e simbiotici e in che modo. L’universo che si cela dietro queste due parole è veramente complesso e multiforme. Nonostante le interpretazioni siano molteplici e si muovano nelle più svariate direzioni di indagine metodologica, alcune risultano essere, pur nella loro complessità, schematicamente più utili e malleabili al fine di questa trattazione.
Dagli studi di individui come Giddens possiamo trarre elementi chiarificatori di partenza; individuo e società come dualità di agire e struttura, analisi del vincolo per definizione di fenomeni sociali, analisi storico-sociologica della struttura sociale, contraddizione esistenziale e contraddizione strutturale, ripresa dell’assetto di indagine di Durkheim nella trattazione della struttura… ma proprio questi scritti possono aiutarci o distrarci dalle nostre fin troppo banali domande? Sicuramente un’analisi così minuziosa e dettagliata può indirizzare noi sociologi verso un’isola di risposte concettualmente valide e preziose, ma altresì, la comprensione di tali informazioni è senza dubbio difficoltosa. Una delle tesi più certe e affidabili è sicuramente quella condotta da Robert K. Merton, sociologo universalmente noto per la sua umanità oltre che per importanti formulazioni, quali la teoria di medio raggio.
La descrizione che ci offre
riguardo il concetto di ruolo e status e la loro compresenza all’interno
dell’enigmatico comportamento individuale, poiché difficilmente comprensibile
senza supporto analitico dell’intero lavoro dello studioso, verrà da me
utilizzata solo nozionisticamente come integrazione al concetto che tento di
sviluppare.
Mi preme, tuttavia, sottolineare che la tesi affrontata da Merton sia esplicitamente una conseguenza della critica che egli muove nei confronti di un illustre antropologo come Ralph Linton, colui il quale imprime al binomio ruolo – status una valenza completamente opposta se non anche limitante di questo concetto. Merton e Linton, pur essendo esponenti illustri di due differenti scienze sociali, hanno analizzato puntualmente il complesso di ruolo che arbitra e gestisce le nostre azioni quotidiane, in base alla tipologia di vita che conduciamo, legata propriamente ad esso.
Il complesso di status e di ruolo, oltre a regolare la vita individuale di ciascuno di noi, ha anche il compito di disegnare i modelli per il comportamento reciproco fra individui e tra gruppi di individui. Con il termine status si intende la posizione occupata dall’individuo all’interno di un modello specifico; proprio per questo, infatti, lo status individuale equivale alla somma degli status occupati e determina una certa posizione all’interno del complesso sistema sociale. Linton, ha analizzato a priori il problema della personalità per capire la conseguenza dettata dallo status. Per “personalità di base”, egli intende la configurazione psicologica propria dei membri di una data società e caratterizzata da un certo “stile” di vita in armonia con il quale gli individui si organizzano. La personalità di base, o fondamentale, costituisce la base della personalità per i membri del gruppo.
Il concetto proprio di
personalità di base porta alla formazione di diversi postulati:
le prime esperienze dell’individuo esercitano un influsso sulla personalità;
le esperienze analoghe producono configurazioni della personalità simili in individui che sono soggetti ad esse;
le tecniche per l’allevamento dei figli sono culturalmente modellate e tendono ad essere simili ma mai identiche;
le tecniche per l’allevamento dei figli differiscono da una società all’altra.
Le conseguenze possono essere le
seguenti:
i membri di una determinata società hanno in comune molti elementi della prima esperienza;
hanno in comune molti elementi della personalità;
c’è differenza tra i tipi di personalità a seconda della personalità.
Linton, così, ricollega l’analisi della personalità di base a quella di status, poiché la prima rappresenta la matrice da cui si sviluppano i tratti del carattere. La personalità di status, o statuale, indica l’insieme dei diritti e doveri che sono propri di una categoria sociale; indica l’insieme dei diritti e dei doveri propri dell’individuo, in quanto titolare di una posizione o più posizioni che occupa nel sistema sociale.
Il ruolo, invece, è la posizione, l’azione.
Se volessimo fare una comparazione, per quanto improbabile, possiamo identificare lo status come l’elemento qualitativo, mentre il ruolo come l’elemento attivo. Entrambi sono parti integranti dello stesso concetto, poiché, ogni posizione del soggetto è tale in quanto funzionante e ogni ruolo si attua in quanto ha il crisma ufficiale del correlativo status. La realizzazione di uno status può verificarsi indipendentemente dal ruolo e viceversa, ma si tratta di casi abnormi, che non incidono sulla configurazione regolare della società.
Status e ruolo vengono così a presentarsi, in astratto, come emanazioni di modelli e di temi culturali. Lo status, infatti, è l’espressione astratta di un modello, la posizione, il modo generico, uniforme e potenziale di essere, uguale per tutti coloro che hanno titolo di appartenervi. Poiché status e ruolo si esprimono come riduzione dei modelli ideali in modelli individuali in determinate categorie sociali, hanno come principale interesse l’organizzazione delle attitudini individuali, di ruoli e comportamenti attivi.
A proposito della struttura della
personalità cui si faceva riferimento sopra, addestrare l’individuo per un
determinato status significa essenzialmente sfruttare il suo potere di
assimilazione della prima età. Proprio per questo, status e ruolo si possono
distinguere in due categorie, dal punto di vista del loro riferimento:
– ascritti (ascribed): assegnati a priori, indipendentemente dalla volontà degli individui, senza riferimenti a differenze o capacità;
– acquisiti (achieved): conferiti per un atto volitivo dell’individuo che si inserisce in uno status da lui scelto, i quali richiedono particolari qualità.
L’assegnazione a priori degli status viene raggiunta in base al rilevamento di determinati fattori: età, sesso, generazione, posizione economica, posizione politica, religione, istruzione, ambiente fisico, solidarietà. Se pensiamo sia logico capire come nell’elemento età si regolino i meccanismi di status e ruolo, e non sempre lo è, questo è decisamente più problematico nella posizione economica e politica e nell’elemento sesso. Le posizioni relative a status e ruolo nel sesso variano a seconda delle società in maniera paradossale e riflettono le differenti concezioni che le società stesse hanno della virilità e della femminilità.
Linton prende come esempio
esplicativo il sesso, anche in relazione all’età, per descrivere le differenze
che intercorrono tra uomo e donna in molte situazioni come il matrimonio, i
rapporti familiari, oltre al rapporto di base che discrimina la donna e le
impedisce di svolgere alcune determinate attività, come appunto indicato,
l’impossibilità per una donna di svolgere un incarico di estrema importanza
come essere a capo di uno Stato.
Anche a livello più puramente
“simbolico” le differenze che emergono sono innumerevoli. “Per l’età come per il sesso, nel determinare il contenuto dello status
i fattori biologici implicati risultano secondari rispetto a quelli culturali.
Vi sono talune attività che non si possono attribuire ai bambini, perché essi
mancano della forza necessaria o non hanno avuto il tempo di acquisire le
necessarie capacità tecniche…”. Questo ci permette di prendere in esame sia
il fattore età che il sesso, elementi di base per capire cosa sia realmente lo
status, ovvero esistono attività, riti e azioni le quali non possono essere
intraprese e portate a termine da tutti. Non dalle donne, perché mancano della
forza necessaria e perché sono sempre state abituate ad occuparsi d’altro; non
dai bambini, perché mancano dell’esperienza necessaria che si ottiene e si
matura solo con gli anni.
Nell’esempio di Linton, tra l’altro, ritroviamo anche il concetto di fattori culturali come impronta di ogni cultura e, proprio nel saggio “The study of man”, l’antropologo si interroga su quanto l’individuo debba conoscere e prendere parte alla cultura del proprio gruppo, arrivando alla conclusione dell’uso necessario di tutto il patrimonio culturale, poiché la cultura racchiude aspetti peculiari di sostrato fondamentali per qualsivoglia tipo di interazione sociale e si fonda su aspetti di tipo comune, di distinte categorie, di scelta alternativa e di tipo aggiuntivo, ovvero individuale, facoltativa. Indubbiamente, l’esperienza, ma soprattutto la formazione culturale di Linton giustificano ampiamente il tipo di indagine metodologica condotta per giungere a determinate conclusioni, opinabili o meno.
Merton, nella sua analisi “revisionista” e critica, considera da principio il rapporto tra individuo e società come generante conflitto e ritrova il dramma dell’individuo nella possibilità di scelta tra gli elementi in contrasto, poiché, all’interno della struttura sociale, di natura processuale, si trovano differenti elementi di facilitazione e di opposizione alla scelta, che portano l’individuo in una direzione di scelta/non scelta. Merton ritiene che il compito del sociologo e della sociologia sia quello di scoprire gli elementi che si trovano “al buio” per renderli noti a tutti, insieme all’imprescindibile costruzione di teorie per l’analisi sociale, con un assetto professionale e non dilettantesco. All’interno della sociologia esiste, appunto, una questione aperta riguardo la struttura della società costituita da complessi di ruolo e complessi di status. I concetti di status e di ruolo descrivono, appunto, la struttura sociale.
Proprio partendo dalla teoria di
Linton, secondo cui lo status equivarrebbe alla posizione che gli individui
occupano all’interno del sistema sociale, e che l’individuo che occupa una
molteplicità di status ha diritto ad uno ed un solo ruolo distinto, Merton
critica, sostenendo che ogni status occupato non implica uno ed un solo ruolo
ma un insieme di ruoli. L’insieme di ruoli è definibile anche come complesso di
ruoli o role-set.
Per status si intende il nucleo
in cui le caratteristiche delle forme di orientamento tipico degli individui si
disegna. Nella critica a Linton, secondo cui ogni individuo occupa nella
società uno status a cui è associato un ruolo, come aspettativa che la
struttura sociale manifesta nei confronti degli individui, Merton oppone i
ruoli che ogni individuo ha corrispondono ad una molteplicità di status,
proponendo uno schema esplicativo:
STATUS SET ROLE SET
→ R
1 → R 1
STATUS
→ R 2 STATUS
→ R 2
→ R 3 → R 3
Lo status-set si configura
all’interno della società, pensandolo come una sequenza di status che implica
una sequenza di ruoli e il numero delle aspettative verso gli individui da
parte della struttura sociale sono molteplici. Fra ruoli diversi, infatti, può
esserci conflittualità, poiché gli elementi strutturali all’interno sono
ambivalenti.
Merton approfondisce la questione sollevata da Linton: se vogliamo descrivere la struttura sociale bisogna individuare gli elementi che la caratterizzano, ovvero ruolo e status. Il ruolo è da riferire ad un insieme di aspettative relativamente a comportamenti che la società afferma conformi alle proprie aspettative e che incoraggia continuamente. Non esistono perciò ruoli in astratto ma le aspettative intimamente connesse al ruolo.
La critica a Linton parte
dall’assunto che all’interno di una società sia impossibile connettere un solo
e unico ruolo ad un solo status nelle aspettative socialmente strutturate;
infatti, ad ogni particolare status non corrisponde un solo ruolo ma un insieme
di ruoli, ovvero il role-set. Secondo Merton, il role-set si può considerare la
caratteristica più importante della struttura sociale, poiché essa è costituita
da “un insieme di relazioni di ruolo che
le persone hanno come conseguenza dello status sociale da esse occupato”.
Il complesso di ruoli equivale alle caratteristiche più importanti della struttura sociale all’interno del complesso di status: ogni ruolo si regge su una struttura di attributi. Accanto alle norme principali si trovano le contronorme sussidiarie, le quali hanno il compito di aprire la struttura sociale alla contingenza, predisponendo gli strumenti concettuali che siano in grado di contenere al loro interno la contingenza, ma che non siano completamente contingenti, strumenti, i quali sono categorie sensibili alla cumulazione della conoscenza e contingenti al tempo stesso.
Merton ritiene che dalla ricerca
sistematica si possano intuire e analizzare questioni rilevanti; possiamo
ritenere utili infatti gli elementi di una ricerca solo se siamo in possesso di
un elenco di problemi da affrontare. Una relazione sociale è modellata dalla
posizione che l’individuo occupa con riferimento a quella posizione che la
società ha descritto nei comportamenti. L’individuo opportunamente inserito
nelle relazioni sociali, con segno diverso è perennemente soggetto ad
ambivalenza.
La struttura sociale è composta
da:
● complesso di ruoli
● complesso di status
● sequenze di ruoli
● sequenze di status
Nel complesso di ruoli che ognuno
di noi occupa vi sono aspettative da cui derivano modelli di comportamento che
si individuano subito e altri più difficoltosi da ricercare.
La struttura sociale è complessa
ma gli elementi basilari che la compongono sono distribuiti in modo da riuscire
ad avere una vita regolare. Poiché esistono circostanze che alterano i
complessi di ruolo, ci sono elementi che limitano il conflitto interno tra i
ruoli. La stabilità del complesso di ruolo è data dall’entrare in relazione con
individui che hanno una differente collocazione all’interno del sistema
sociale. Gli individui che entrano in relazione all’interno del complesso di
ruoli, sono definibili come individui periferici.
L’instabilità nel complesso di ruolo è data dalla relazione di ruolo con gli
individui periferici, compensata da un numero di meccanismi sociali.
All’interno del singolo ruolo che appartiene al singolo status si fa riferimento a norme o contronorme sussidiarie che potrebbero entrare in conflitto con le aspettative promosse e incoraggiate dalla struttura sociale. Per contronorme si intendono complessi di norme minori ugualmente strutturate. Una delle caratteristiche più importanti rilevate nel complesso di ruoli e nella performance di un singolo ruolo è collegata agli attributi principali e attributi minori in cui c’è ambivalenza nei ruoli.
L’ambivalenza riscontrata da
Merton può essere di due tipi: sociologica, ovvero caratteristica del sistema
sociale perché in riferimento alle aspettative normative incorporate nel
singolo ruolo del singolo status sociale; psicologica, dipendente da quella
sociologica. Merton individua tra l’altro i contesti di ricerca, cioè le forme
di ambivalenza collegate a diverse tipologie di individui e professioni e,
conseguentemente, enuclea cinque tipi di ambivalenza empiricamente accertati,
connessi alla presenza delle aspettative normative in contrasto all’interno di
uno status sociale. Quando il soggetto operante si trova di fronte ad una
scelta e non sa cosa sia meglio scegliere abbiamo l’esempio di aspettative
normative inconsistenti, vale a dire lacune strutturali, le quali bloccano e
impediscono la scelta dell’individuo.
Per definire la teoria di ruolo
(role theory) dobbiamo tenere presente due elementi informativi basilari: lo
status come posizione in un sistema o gruppo sociale (lo studente, la madre, il
bambino, il professore…) e l’età e il sesso che tende a definire lo status
(ragazza, signora…) e il ruolo come comportamento associato ad uno status; in
altri termini, il ruolo è ciò che le persone tendono a fare in un determinato
status.
Particolarmente rilevante, al
fine di questa trattazione, è risultata la lettura di “Homo sociologicus”, nel
quale Ralf Dahrendorf definisce il ruolo sociale la categoria atta all’analisi
dell’azione. Laddove la società è definibile come consistente di individui,
prodotta da individui ma non obbligatoriamente somma dei singoli individui e
forma alienata del singolo, è utile riportare alla mente il concetto, appunto
citato dallo stesso Dahrendorf, di “reference group” (rif. Merton), ove il
singolo individuo orienta il comportamento secondo consenso o dissenso con
l’operato di gruppi a cui non è appartiene e che danno vita ad un sistema di
relazione nel quale il singolo è costretto a valutare il proprio comportamento
in misura maggiore di quello altrui.
E’ dunque vero che l’individuo
subisce una profonda pressione da parte dei propri simili e della società
tutta? Le aspettative sociali rivestono un ruolo così predominante nella nostra
vita? Se così fosse, ogni individuo potrebbe a ragione sentirsi “inglobato” dal
magma sociale e dalle pressanti rivendicazioni, senza via d’uscita.
Potrei azzardare una risposta di assenso. Le informazioni che ho finora esaminato e dettagliatamente riportato, mi inducono a pensarla in questo modo. Con ogni probabilità, nel compiere una qualsiasi azione quotidiana e di routine, non ci è permesso soffermarci a riflettere sulla percentuale di volontà che imprimiamo in quella determinata azione. E’ pur vero che i ruoli che ricopriamo giornalmente sono più che parte integrante del nostro stile di vita, per cui ad ogni posizione corrispondono automaticamente una serie definita di ruoli, e che la possibile estromissione volontaria di questi capovolgerebbe l’assetto esistenziale con ripercussioni inimmaginabili, ma del resto, va tenuto conto quanto siano stati e siano tutt’ora di fondamentale importanza quei concetti di ruolo e status analizzati per la comprensione, quantomeno parziale, della relazione intrinseca tra noi individui e la struttura sociale che ci è intorno.
Flavia Munafò –Dipartimento Comunicazione e Ricerca Sociale, La Sapienza, Roma
Se partiamo dal presupposto di sapere, di conoscere e comprendere cosa sia una scelta razionale individuale, possiamo dilungarci e argomentare nel migliore dei modi, avendo a disposizione una incredibile letteratura sociologico – economica; possiamo elencare differenti e variegate dottrine e tesi, possiamo cercare di spiegare teoremi più o meno difficili, e quindi, possiamo ripetere ciò che è già stato studiato e detto.
<< == Dott.ssa Flavia Elisabetta Munafò
Da questo presupposto, ecco
l’enunciazione di tutto ciò che la mia tesi attraverserà, in alcuni passi in
maniera più dettagliata, in altri meno analitica.
Sarebbe difatti, un’operazione
abbastanza semplicistica, nonché priva di fine, se non la ripetizione di
concetti, ripercorrere solo e unicamente le tappe del pensiero economico che
hanno costruito il filo logico e procedurale della teoria della scelta sociale,
ovvero il meccanismo che prova a spiegare perché, se una scelta razionale
individuale è possibile, non lo è quella di una intera collettività, formata da
un numero di individui, consumatori razionali; sarebbe così semplicistico, che
il mio tentativo di indagine cadrebbe sotto il peso dell’inutilità.
Io ho provato, con estrema
fatica, a dare un senso “altro” a questa serie di complicate e straordinarie
teorie che hanno segnato il cammino del pensiero economico, e ho tentato,
sempre con grande sforzo, di trovare un punto di vista “più sociologico” da
poter apportare come valore aggiunto a questa mia piccola riflessione.
Mi piace ricordare l’importanza di quello che poi spiegherò, per argomentare il mio contributo: la teoria delle votazioni, la dottrina utilitaristica, la concezione di Pareto ecc; sebbene io abbia studiato e ristudiato queste “pietre miliari” con estrema attenzione ed interesse, ho provato a focalizzare l’attenzione (anche per via della vastità di argomentazioni) su un aspetto per me rilevante, ovvero: quanto, quando e in che maniera l’economia si viene a legare con i giudizi di natura etico morale. Volendo seguire questo filo rosso, dobbiamo tenere presente innanzitutto la povertà della teoria neoclassica, nella misura in cui essa provi a supportare una teoria della scelta sociale, una teoria che, nel caso particolare, prende la forma della costruzione di una funzione di benessere sociale. Partendo da questo, possiamo procedere oltre. Possiamo innanzitutto vedere cos’è e come si applica una funzione di benessere sociale, ma anche questo potrebbe sembrare nozionisticamente ripetitivo, in virtù del fatto che, attraverso la FBS si riesca a tenere “alla Pareto” fuori tutti i giudizi etico morali dalla scienza economica e mantenere ferma l’ipotesi che invece una decisione collettiva, almeno democratica, si possa fare.
Il punto di snodo dove io tendo è sottolineare, aggiungere una riflessione, arricchire l’argomentazione con una piccola considerazione: Arrow come spartiacque tra un “prima”, fatto di meccanismi come la teoria delle votazioni, che serve soltanto nella misura in cui, tramite la teoria delle votazioni fa vedere un altro modo in cui emerge il limite della decisione collettiva, – cioè tutte le invenzioni che si sono fatte delle varie modalità delle votazioni possono essere lette come il riflesso dell’estrema difficoltà che un sistema sociale, quindi fatto da un aggregato di soggetti tra loro liberi e autonomi, – della difficoltà di mettere insieme qualcosa che sia, che “suoni” decisione collettiva, decisione sociale, per liberarsi anche da una “presenza” di Pareto, a volte ingombrante, a volte limitante, e dalla separazione che c’è tra le questioni di natura etico morali, dalle questioni di natura oggettiva e calcolabili e verificabili in modo decontestualizzato.
Arrow si pone come un anti bergsoniano perché fa vedere che non è sufficiente affermare che io possa immaginare, concettualizzare, una funzione di benessere sociale composta da funzioni individuali, bisogna saperla costruire e dimostra infatti che questa stessa assolutamente non si può costruire. Ovvero lo si potrebbe fare attraverso degli algoritmi talmente complicati che sono davvero impraticabili per la mente umana; da qui egli cerca di costruire un modello che, tenuto conto delle esigenze minimali della democrazia, si possa costruire questa funzione e dimostra che nel rispetto di queste condizioni minimali, la costruzione di questa funzione è impossibile.
Da questa impossibilità, si pone avanti Sen, per
il quale esiste davvero un’esigenza di
introdurre le considerazioni di carattere etico morale
Da qui la mia tesi, questo tentativo di sottolineare, di
dichiarare, una sorta di fallimento, che si trova nella estrema povertà di un
sistema teorico e concettuale e che porta a pagare il prezzo della
trascuratezza; una teoria che si priva, come dice Sen, di giudizi etico morali
“alla Pareto” per salvaguardare una disciplina, per farla essere o per farla
rimanere, (se mai ci sia stata) scienza, il prezzo che si paga è elevatissimo,
e non arginabile, credo, ovvero il dazio da pagare, amaramente, è quello della
irrilevanza.
Nella prospettiva di leggere,
comprendere e disquisire riguardo il teorema dell’impossibilità di Arrow, in
particolar modo riguardo l’introduzione revisionata del 1963, l’unica possibile
lettura è certamente di tipo analitico e di confronto continuo e diretto con i
testi e gli autori di riferimento, con gli economisti che hanno studiato e
tentato invano di confutare un teorema
perfetto.
Proprio nell’essenza metodica
della costruzione di questo teorema e degli studi successivi a riguardo si può
intravedere un profilo non solo di tipo economico ma anche socio-culturale; la
difficile, e anche per questo impossibile, confutazione alla teoria di Kenneth
Arrow, muove dagli elementi essenziali della ricerca: come sia possibile che,
in una scienza esatta e di alto livello come l’economia, possano intersecarsi
giudizi di valore, evento tipico in altre discipline e in differenti ambiti,
atti a diversificare il focus argomentativo.
La possibile motivazione che
origina e sostiene l’intero sistema di riferimento arrowiano si può certamente
ritrovare nelle parole dell’autore e, forse in maniera ancor più precisa e
puntuale, se possibile, nel volume “Introduction
to social choice and welfare” a cura di Kotaro Suzumura, documento di
importanza oltremodo rilevante per ripercorrere le teorie economiche precedenti
ad Arrow, che hanno portato costui a costruire il suddetto teorema.
Infatti proprio questi studi
“pionieristici” sono temporalmente ripercorsi da Suzumura, con particolare
distinzione tra “old welfare” e “new welfare”, dagli anni ’30 agli anni
’60 del secolo passato, per poi tornare indietro con la memoria all’ultimo
ventennio del 1700, con obbligati riferimenti a Condorcet e il paradosso di voto e a Borda per il metodo decisionale di voto.
Come sia possibile districare e
comprendere dove e in quale modo i giudizi di valore entrino silenziosamente a
far parte della scienza economica, come si possa esplicare e replicare al
teorema dell’impossibilità, concentra il mio punto di lettura analitica e di
interesse: non esiste un sistema di stato sociale che possegga la funzione di
soddisfare una serie di condizioni necessarie per la vera democrazia e
l’efficienza dell’informazione? Da questo fulcro di riflessione, da questo
solletico intellettuale si apre una diramazione di continui balzi di
discussione e di analisi che attualmente ancora non trovano termine.
Il centro di riflessione di mio
interesse, ovvero ciò da cui Arrow solleva il tutto, risiede nella
retrospettiva storica della struttura di una democrazia capitalistica; in essa
le scelte di tipo sociale possono essere compiute secondo due differenti
modalità: il voto, in uso per le
decisioni politiche e il meccanismo di
mercato, in uso per le decisioni economiche; a questo si somma, nel modo in
cui si compiono scelte da parte di un consumatore razionale o meno, il
difficile scoglio delle scelte
individuali o delle scelte di
gruppo.
Nel tentativo di sciogliere
questo nodo concettuale, Arrow, con finalità di semplificazione, ipotizza una
comunità che consista di tre votanti e che essa debba scegliere tra tre
differenti metodi alternativi di azione sociale; analogamente all’analisi del
consumatore individuale e quindi della sua scelta, in condizioni di costanti
richieste e prezzi di entrata variabili, il comportamento razionale comunitario
dovrebbe riassumersi nella scelta dell’alternativa applicabile, ovvero la più
alta nella lista, secondo le preferenze collettive.
La modalità con cui si arriva
alla lista piramidale di preferenza collettiva consiste nell’asserzione che
un’alternativa sia preferibile ad un’altra se e soltanto se una maggioranza
della comunità abbia preferenza per la prima alternativa alla seconda, ovvero
se scegliesse la prima tra due alternative ma solo se esistessero unicamente
queste due. L’esemplificazione del teorema di Arrow, da cui si nota
immediatamente la sua impossibilità di risoluzione, è tale per cui si considera
A, B e C le tre alternative possibili e 1, 2 e 3 i tre attori sociali; si suppone
che l’attore 1 preferisca la A alla B e la B rispetto alla C, e per conseguenza
logica la B alla A, e che l’attore 3 preferisca C ad A e A a B, e quindi C a B;
da ciò una maggioranza preferisce A rispetto a B e una maggioranza equamente
preferisce B rispetto a C. Si può dire che la comunità preferisce A rispetto a
B e B rispetto a C. Se la comunità dev’essere considerata come se attuasse un
comportamento di tipo razionale, si deve ammettere che A è preferita a C ma
bisogna ricordare che una maggioranza preferisce C rispetto ad A; di fatto il
metodo per comprendere la scelta individuale rispetto a gusti collettivi viene
meno nel tentativo di soddisfare la condizione di razionalità. Esistono forse altre metodologie di
aggregazione di gusti individuali che implichino un comportamento razionale
della comunità e che possano essere soddisfacenti in altri modi?
Il banale escamotage usato dagli
economisti per uscire dall’empasse del non saper trovare una chiave di lettura
capace di soddisfare sia le preferenze individuali che quelle collettive nello
stesso modo diventa il fare rendiconto asserendo che uno stato sociale è meglio
di un altro, in maniera tale da non prendersi responsabilità tra l’altro di
riuscire a spiegare come sia possibile che, all’interno del mercato, vi sia una
trasformazione valoriale tale da far perdere di vista il focus della ricerca
per lasciare spazio a meccanismi che “sporcano” la disciplina economica tanto
da non poter comprendere dove sparisca la logica che lega le scelte dei tre individui
presi ad esempio precedentemente, e di conseguenza quelle delle tre
collettività del nostro secondo esempio.
Come si impone la preferenza di
un individuo sugli altri due se si trovano in un sistema di democrazia? Non è
forse il principio cardine della democrazia l’uguaglianza delle scelte
possibili e, nello stesso tempo, l’impossibilità di prevaricazione delle
preferenze individuali? Ogni individuo dovrebbe essere libero di formulare ed
esprimere ogni sua propria preferenza che rappresenti le sue valutazioni per il
benessere dello stato sociale in cui si trova.
Il sistema sociale e la funzione
propria di quest’ultimo idealizzata da Arrow dev’essere, appunto, così
sufficientemente ferrea da poter aggregare un profilo delle preferenze individuali
ordinate all’interno di un sistema di preferenze sociali.
Senza entrare nel dettaglio
specifico di come Arrow riesca a scandagliare il nodo concettuale che
intrappola i poli opposti di scelte individuali e di scelte collettive, con
l’uso di assiomi incontrovertibili, posso asserire di credere con fermezza
nell’importanza della questione sollevata da questo economista in merito alla
quantità di concatenazioni logico-concettuali sulle quali, con ogni
probabilità, non si sarebbe ragionato senza un input di tale entità.
La questione sollevata da Arrow
pone di fronte una miriade di interrogativi che legano le due maggiori sfere
del teorema, ovvero come si possono organizzare scelte individuali e scelte
collettive in un sistema sociale e dove riescano ad entrare in contatto con
l’economia i giudizi di valore, di natura squisitamente etica, e come essi
riescano a sconvolgere i “passi obbligati” dell’azione economica, che pone
l’accento sulla certezza consequenziale di tale azione.
La modalità di comprensione di
una così difficoltosa e approfondita questione si può ricercare nei riferimenti
teorici presi in esame da Arrow e dai susseguenti studi economici, analizzati e
ordinati da Suzumura. Dal background storico alla ripresa dei temi di “Social Choice and Individual Values”,
alla controversia del “social planning”, fino al significato teoretico e
pratico della teoria della scelta sociale, Suzumura ripercorre con perizia
tutte le implicazioni di studio concernenti il teorema di Arrow.
L’importanza che riveste Suzumura
all’interno della mia lettura di Arrow e di tutto ciò che ne consegue è di
elevatissimo livello, non solo per il suo contributo alla comprensione dei
termini economici su cui si muove il teorema, ma anche per far sì che la
cornice storica, che per certi versi ha influenza sulle dissertazioni
economiche, sia ben chiara, proprio in virtù del fatto che un argomento come la
scelta sociale, nucleo delle due diramazioni di decisioni politiche e decisioni
economiche, è la cartina di tornasole del contesto in cui viene presa in esame
e ci rende chiaro, oltre al risvolto economico, anche quello storico-sociale,
nonché sociologico-culturale.
Nella visione tout-court in cui
guardo al teorema di Arrow non posso fare a meno di soffermarmi proprio sul
contributo che questo incredibile economista ha offerto alla scienza sociale;
le decisioni politiche rimandano al meccanismo di voto quanto le decisioni
economiche al meccanismo di mercato, in un continuo interscambio che apre lo
sguardo del sociologo e fa focalizzare l’attenzione sul rapporto di dipendenza
reciproca che lega questi tre temi, divisibili tra il “nucleo-welfare” come fosse un organismo cellulare e le distensioni
di politica ed economia, rapporto di dipendenza, se non di interdipendenza, che
consente di avere chiaro il contesto e le motivazioni da cui scaturisce
l’intento di Arrow di dar luce alla chiarificazione di meccanismi di scelte
individuali e di scelte collettive.
Per dare migliore delucidazione
dell’intrinseco procedimento del teorema dell’impossibilità si usa dire che,
dati i requisiti di universalità, non
imposizione, non dittatorialità, monotonicità, indipendenza dalle alternative
rilevanti, non è possibile determinare un sistema di votazione che preservi le
scelte sociali; lo scopo dello studio arrowiano è trovare una qualsiasi
procedura di decisione collettiva che possa soddisfare alcuni requisiti
ragionevoli per una scelta non arbitraria.
Un esempio di procedura che non riesce a
soddisfare i requisiti considerati da Arrow è il sistema di voto maggioritario,
come mostrato dal paradosso di Condorcet, ovvero la dimostrazione di come la
votazione a maggioranza, ricorrente nella democrazia rappresentativa, può
condurre a delle scelte ambigue: partendo dalle preferenze individuali, si
vuole arrivare ad una preferenza collettiva coerente e razionale (se A è
preferito a B, B è preferito a C, allora A deve essere preferito a C). Il
paradosso di Condorcet mostra in che modo questo non sia sempre il caso per le
preferenze collettive. In altro modo, Jean-Charles Borda propone un’altra
procedura, chiamata conteggio di Borda, la quale consiste nell’attribuzione dei
punti e poi fare la somma, la quale non ha questo difetto, ma il teorema di
Arrow non lo consente poiché ci deve essere un requisito che non sia
soddisfatto: l’indipendenza dalle alternative rilevanti. Dimostrare il teorema
comporta l’impossibilità di soddisfare simultaneamente tutti i requisiti
considerati da Arrow.
Nel momento in cui prendo in
esame la difficilissima questione che tratta il teorema di Arrow e tutto ciò
che ne consegue, non posso non ricordare il mio focus che è sempre l’analisi del sistema sociale, correlata
alla sfera economica e alla sfera politica. Il teorema ipotizza che la società
necessiti di adottare un ordine di preferenze tra differenti opzioni; ciascun
individuo, ogni singolo attore sociale, possiede un proprio ordine di
preferenza, il quale può essere espresso tramite il voto. La problematica di
base si crea nel momento in cui non si riesce a trovare una procedura, una
metodologia, una funzione di scelta pubblica per adottare una terminologia più
appropriata, che trasformi l’insieme delle preferenze individuali in un
ordinamento globale coerente. Il teorema considera le proprietà che Arrow
ipotizza rappresentare requisiti ragionevoli per un sistema di voto equo:
universalità o dominio non ristretto: la funzione di scelta sociale dovrebbe avere compito di creare un ordinamento delle preferenze sociali di tipo deterministico e completo, a partire da qualsiasi insieme iniziale di preferenze individuali;
non imposizione o sovranità del cittadino: qualsiasi possibile preferenza sociale deve essere raggiungibile a partire da un appropriato insieme di preferenze individuali, ovvero ogni risultato deve poter essere raggiunto in qualche maniera, il che richiama alla memoria quasi una visione machiavelliana di azione;
non dittatorialità: la funzione di scelta sociale non deve semplicemente seguire l’ordinamento delle preferenze di un individuo o un sottoinsieme di individui, al contempo ignorando le preferenze individuali;
monotonicità o associazione positiva tra valori individuali e sociali: se un individuo modifica il proprio ordinamento di preferenze promuovendo una data opzione o restare invariata, ma può assegnare a tale opzione una preferenza minore, da ciò deduco che nessun individuo dovrebbe essere in grado di esprimersi contro un’opzione assegnandole una preferenza maggiore;
indipendenza dalle alternative irrilevanti: se si confina l’attenzione ad un sottoinsieme di opzioni, e la funzione di scelta sociale è applicata solo ad esse, di conseguenza il risultato deve essere del tutto compatibile con il caso in cui la funzione di scelta sociale è applicata all’intero set di possibili alternative.
Il teorema di Arrow afferma e
sostiene che, se il gruppo della collettività comprende almeno due individui e
l’insieme delle alternative possibili almeno tre opzioni, non è possibile
costruire una funzione di scelta sociale che possa soddisfare al contempo tutti
i requisiti analizzati.
Dalla lettura finora conseguita
emerge, in special modo nell’ultima trance discorsiva, un accenno non
indifferente a nozioni di tipo giuridico, le quali ordinano le sopra accennate
modalità di voto nella democrazia partecipativa; del resto non si può ignorare
come il sostrato delle leggi sia fondamentale per la costruzione di
qualsivoglia tipo di stato sociale razionale e non soggetto ad anomia,
condizione obbligatoria per il libero svolgimento delle scelte, prima individuali
e poi collettive, nostro interesse principale in questa dissertazione, la quale
tende a ricordare le basi da cui scaturisce il teorema dell’impossibilità e che si amplia in un consapevole
atteggiamento intellettuale di concordia tale da perseverare nel “giustificato
motivo” cui inneggia Arrow, senza possibilità alcuna di confutazione.
A questo proposito mi piace
ricordare i riferimenti fondamentali cui ricorre Arrow per esplicare il proprio
dogmatico teorema: Knight, “Human nature
and world democracy” (Freedom and reform, 1947); una parentesi riguardo il
“Paradox of voting”, la quale comprende E. J. Nanson (1882), Samuelson (1938),
Bergson (1948), Lange (1942), M. W. Reder (1947); F. Y. Edgeworth (1881),
Marshall (1949), L. Robbins (1935), N. Kaldor (1939), J. R. Hicks (1939);
particolare il soffermarsi puntuale di Arrow su “The determinatess of the utility function” di O. Lange (1934), la
ripresa di A. P. Lerner in “Economics of
control” del 1944 e H. Zassenhaus (1934).
L’economista usufruisce di H. R.
Bowen, F. H. Knight e D. Black, negli scritti pubblicati intorno al 1940 per
delineare le limitazioni dell’analisi, quanto di T. Veblen (1889), J. Von
Neumann, O. Morgenstern (1947) e See H. Steinhaus (1948) riguardo l’importanza
dell’azione razionale nelle scelte individuali e si sofferma sugli studi di
Veblen ( “The theory of the leisure class”
) e di F. K. Knight ( “Ethic and Econimic
reform” ).
Sufficiente l’introduzione per
avere una panoramica generale del modus operandi arrowiano, che consta di
momenti di analisi economica, politica, storica e sociale, i quali si
intersecano in una trama perfetta di cornice all’enunciato dell’impossibilità e
di cui un eccellente economista come Kotaro Suzumura fa proprio per scandagliare
ulteriormente l’invana confutazione.
Suzumura usa riferimenti
temporalmente sconnessi, che oscillano in epoche diversissime e filoni
economici contrastanti, come una sorta di macchina del tempo in movimento
continuo tra il primo decennio del 1800 fino agli anni ’50 del secolo
successivo.
UTILITARISMO ED ETICA
L’utilitarismo, che irrompe nella
riflessione etica, politica ed economica a partire dal XVIII secolo, ha alla
sua base principi quali: fare dell’etica una scienza esatta per e della
condotta umana; considerare l’agire secondo il “movente” e non più secondo il
“fine”; riconoscere il piacere come movente per eccellenza dell’agire umano;
ammettere al piacere una dimensione intersoggettiva e la conseguente
coincidenza dell’utilità privata con l’utilità pubblica (per cui il fine di
ogni attività umana diventa la massima felicità condivisa dal maggior numero
possibile di persone); considerare il comportamento umano come calcolo
razionale totalmente volto alla massimizzazione dell’utilità; sostenere la
necessità di un aumento della felicità e nell’ordinamento dello stato e nel
sistema di distribuzione delle ricchezze; una stretta connessione con la
scienza economica.
I principi fondamentali di questa teoria sono:
il welfarismo, o teoria del benessere: dovendo valutare situazioni alternative,
la chiave di valutazione è la soddisfazione/benessere che i soggetti ottengono nel fare ciò che preferiscono;
il conseguenzialismo: dovendo valutare delle azioni, la chiave di valutazione sono le conseguenze che queste azioni producono;
l’ordinamento-somma: dovendo valutare degli stati sociali alternativi, la chiave di valutazione è la somma delle utilità individuali.
A partire dagli anni ’70 questa teoria viene sottoposta aspramente a delle critiche per il suo “ignorare” le questioni che riguardano la giustizia e i diritti.
L’utilitarismo viene
essenzialmente accusato di ammettere e giustificare una distribuzione diseguale
di piacere e pena laddove non esistano altre alternative che aumentino la
felicità totale; giustificare la perdita di libertà di alcuni per il benessere sociale
collettivo, ovvero la scarsa considerazione dell’indipendenza e dell’autonomia
dei singoli esseri umani e del loro “diritto” di perseguire un proprio disegno
di vita.
Infatti, l’obiettivo della
massimizzazione del benessere collettivo genererebbe implicazioni negative
riguardo l’uguaglianza e la garanzia di un minimo benessere per ciascuno;
CRITICA
DI SEN ALL’UTILITARISMO
Sen fece critica interno
dell’utilitarismo che contrasta il dominio assoluto della filosofia
utilitarista nell’ambito dell’economia e delle scelte pubbliche proponendo
un’integrazione tra utilitarismo e una teoria dei diritti.
L’economia del benessere è
dominata fino agli anni 30 dal pensiero utilitarista, il quale teorizza che la
soddisfazione degli individui può essere calcolata e comparata usando un metro
di valutazione uguale per tutti.
La sistemazione neopositivista di
L. Robbins delegittima sia la cardinalità sia la confrontabilità interpersonale
delle utilità individuali e comporta il ricorso ad altri metodi per
l’aggregazione di preferenze e/o interessi individuali al fine di ottenere o un
criterio sociale di valutazione o una decisione collettiva; il metodo che viene
utilizzato è quello delle votazioni ricavato dai valori di Borda, de Condorcet
e altri: nasce la moderna teoria delle scelte sociali.
Nel 1951 Arrow dimostra che non
esiste nessun meccanismo in grado di soddisfare un insieme di requisiti
minimali di coerenza e di moralità (pur essendo ogni requisito, singolarmente
preso, ragionevole e desiderabile): volendo soddisfare contemporaneamente
questi requisiti si generano dei risultati paradossali e incoerenti.
Il teorema di Arrow si è
dimostrato così solido che le uniche alternative sono o la rinuncia ad almeno
uno dei requisiti o la sostituzione del quadro di analisi.
Sen affronta queste alternative
tralasciando la prima, poiché non supera l’impossibilità arrowiana.
Riguardo alla seconda egli
attacca la tesi di Arrow accusandone l’incompletezza in quanto ignora
informazioni che possono essere trascurate.
Secondo Sen, la “povertà
informativa” della teoria di Arrow è causata dall’adozione che questa teoria ha
fatto dell’ordinalismo, dall’assenza dei confronti interpersonali e del
principio di neutralità.
Sen imposta tutta la sua critica
all’utilitarismo, sia sul piano delle scelte sia sul piano dei diritti; per
l’economista alcuni fatti quali:
l’esistenza di “cose” che hanno valore anche se non sono preferite o desiderate da nessuno;
l’ esistenza di preferenze “soffocate” verso valori importanti;
il non esaurirsi della persona nella sola utilità,
la necessità di riconoscere alla persona anche la sua singola individualità, non possono essere assolutamente ignorati così come accade nell’utilitarismo.
Attraverso l’impossibilità del
liberale paretiano, Sen giunge a dimostrare come il principio di Pareto sia
moralmente controverso: basandosi solo sull’utilità i ignorando elementi
“morali”, su può autorizzare il passaggio da un Pareto – inferiore anche nel
caso in cui il Pareto – superiore sia moralmente di gran lunga inferiore al
Pareto – inferiore.
ECONOMIA
ETICA ED ETICA ECONOMICA (la proposta di Sen)
Sen constata come l’approccio
etico sia indebolito con l’evolversi dell’economia moderna di stampo
ingegneristico, comportando un forte ridimensionamento nella considerazione
delle ragioni di natura etica che di fatto influenzano il comportamento umano.
Si pone una ipotesi di recupero
della componente etica in economia, dato che, nella teoria economica attuale
vigono due principi fondamentali:
il comportamento effettivo è un comportamento razionale e prevedibile,
un comportamento razionale è caratterizzato da coerenza interna di scelta e massimizzazione dell’interesse personale;
tali principi non sono corretti: essi negherebbero evidente di fatto quali l’esistenza di errori e confusioni.
Entrando nell’analisi
dell’economia del benessere, Sen fa notare come questa abbia assunto un ruolo
marginale nell’ambito dell’economia dal momento in cui si sono eliminate le
considerazioni di natura etica, si è adottato il criterio dell’ottimo paretiano
e si è ritenuto per certo che il comportamento umano fosse mosso dall’interesse
personale.
Dell’utilitarismo Sen studia la
componente welfarista e osserva che l’utilità non può essere considerata come
unica fonte di valore per due ragioni:
l’utilità può generare anche benessere (non solo benessere),
il benessere personale può non coincidere con l’utilità.
E’ un dato di fatto che l’agire
di un individuo può essere orientato sia verso il proprio benessere che verso
altri obiettivi, quindi è necessario distinguere il benessere dalla facoltà di
agire.
L’utilità quindi dovrebbe essere
interpretata non in termini di piacere/dispiacere ma di scelta e dunque in
relazione con la facoltà di agire e senza un necessario collegamento con il
benessere.
Riguardo alla ragione (b), Sen
ritiene insufficiente il criterio secondo cui il benessere della persona debba
essere giudicato solo sulla base della felicità e dell’appagamento dei
desideri.
Il benessere di una persona è
questione di valutazione: ci si trova di fronte ad una identificazione tra
utilità e benessere, e da ciò il benessere è criticabile in quanto:
esso non è l’unica “cosa” che può avere valore,
l’utilità non è sufficiente a rappresentare il benessere.
Ci si chiede se sia corretto
considerare il vantaggio di una persona basandosi solo sui risultati che questa
persona consegue? Sen propone di rappresentare questo vantaggio non solo
attraverso ciò che un individuo consegue ma anche attraverso la libertà che
egli ha nello stesso conseguire.
Nonostante in economia il
concetto di diritto sia forte, l’utilitarismo ha sempre considerato i diritti
“totalmente strumentali al raggiungimento di altri beni, in particolare delle
utilità”.
Sen guarda alla teoria di Nozick
che riconosce alla persona il diritto-libertà di perseguire l’interesse
personale quando non vengano violate le libertà altrui. L’esistenza di questa
libertà-diritto vieta agli altri di interferire su chi sta perseguendo il
proprio interesse personale ma ciò non è sufficiente a legittimare il
perseguimento dell’interesse personale in quanto si deve tenere conto anche
dell’esistenza di comportamenti volti ad aiutare gli altri.
Sen può distinguere tre elementi
essenziali della concezione utilitaristica, cioè:
(con) fusione tra benessere di una persona e la sua facoltà di agire,
Sovrapposizione tra utilità e benessere,
Insufficiente considerazione del concetto di libertà in quanto fatta coincidere solo con i risultati ottenuti attraverso il suo esercizio.
Sen evita di considerare i
diritti come doveri, come vincoli cui gli altri devono semplicemente obbedire;
secondo lo studioso, il modo migliore di procedere nella valutazione dei
risultati/conseguenze è quello di considerare il valore del rispetto dei
diritti e il disvalore delle violazioni
dei diritti.
Lo stretto legame tra Etica ed
Economia è utile sia per l’etica che per l’economia; è necessario che alcune
problematiche etiche attuali vengano analizzate in chiave conseguenzialistica
(senza sfociare nell’utilitarismo) e comprendere che il comportamento umano non è solo mosso dall’interesse personale ma è
sensibile anche alle variabili non prevedibili.
CONCLUSIONI
Si è dimostrato, come pur
nell’ostinato tentativo di voler di-mostrare altro, che la sola stessa
definizione di “teorema” in alcune occasioni non attiene ad una precisione di
significato tale per cui la si possa considerare valida senza bisogno di
analisi approfondita.
Come è apparso in questa ricerca
condotta con soli strumenti testuali e qualche colloquio individuale con il
Prof. Guglielmo Chiodi, la costruzione storica della vicenda arrowiana, se
letta con un pizzico di superficialità, può trarre in inganno, mentre, ad una
riflessione in profondità, apre lo sguardo a moltissimi interrogativi
intellettuali di estrema eleganza.
Così, il non immaginare
l’archetipo presente nel meccanismo di voto che oggi per noi è cosa comune, ci
deve far riflettere su tutti i processi di ricerca e minuziosa analisi
susseguiti nel corso dei secoli, passati tra dottrine filosofiche e
speculazioni economiche, fino ad arrivare alla polemica di base che ha mosso il
sentimento e l’interesse di questa ricerca e che banalmente sintetizzo: la
democrazia non esiste!
Flavia
Munafò
Scienze
politiche, Sociologia, Comunicazione
DissE
– Dipartimento Scienze Sociali ed Economiche
Nell’inchiesta politica gli strumenti della ricerca sono piegati ad esigenze pratiche. Il che vuol dire che: a) la loro applicazione non è pura in quanto più che a finalità scientifiche la ricerca deve rispondere a finalità di lotta sociale; b) non si insegue il mito dell’esattezza ma si procede per approssimazioni successive; c) gli strumenti della ricerca sociologica subiscono una trasformazione dovuta proprio a come si utilizzano e per quali fini.
<<== Prof. Patrizio Paolinelli
Che
la trasformazione sia feconda o infeconda dipende dal livello del conflitto
sociale. Tendenzialmente, quanto più il conflitto sociale si innalza, tanto più
l’oggetto della ricerca perfeziona le sue capacità di autosservazione. In altre
parole: anche gli strumenti della sociologia hanno bisogno di essere liberati.
E in questo processo, di cui lavoratori sono protagonisti, i limiti
dell’inchiesta politica si rivelano grandi opportunità.
Per
chiudere: i concetti qui esposti non aspettano altro che di essere
rivoluzionati dalla prassi.
Conricerca
Definizione.
I soggetti dell’inchiesta: a) analizzano autonomamente la propria condizione;
b) autorganizzano la conoscenza della realtà in cui vivono e agiscono. Tramite
questo metodo il tema della ricerca è individuato
insieme all’oggetto della ricerca. La conricerca collega: fini della
ricerca, fini di azione politica, obiettivi di mutamento. La conricerca è parte integrante
dell’inchiesta politica.
Inchiesta
Definizione:metodo di rilevazione che utilizza varie
tecniche di raccolta-dati (qualitative e quantitative; dette anche:
standardizzate e non standardizzate) per la registrazione e l’analisi dei
comportamenti di soggetti individuali e collettivi precedentemente definiti.
In
termini generarli, nell’inchiesta politica i dati sono prevalentemente
utilizzati per ottenere informazioni su valori, aspettative, rapporti sociali
di un soggetto al fine di: analizzarne il comportamento; individuare -sulla
base di questa analisi- bisogni, aspettative, soluzione dei problemi.
Inchiesta: fasi
Formazione del gruppo di ricerca
Individuazione del problema/i da sottoporre a indagine
Definizione delle ipotesi di lavoro che si intendono verificare
Raccolta della documentazione (bibliografia, statistiche, precedenti ricerche ecc.)
Scelta delle tecniche di indagine (analisi qualitativa, quantitativa quali/quantitativa)
Elaborazione delle tecniche (es.: costruzione del qst, preparazione domande per intervista semistrutturata ecc.)
Applicazione delle tecniche prescelte
Elaborazione e analisi dei dati raccolti
Stesura Rapporto di ricerca
Diffusione dei risultati dell’inchiesta.
Inchiesta politica
In
linea di principio tutte le inchieste hanno una finalità politica. Spesso
questa finalità è occulta. Diciamo allora che quando l’inchiesta si dichiara
politica, da un lato, compie un’operazione di chiarezza e, dall’altro, libera
la ricerca da ogni pretesa di neutralità: l’inchiesta politica è di parte. Scopo principale dell’inchiesta politica è
quello di raccogliere dati e informazioni sulla realtà al fine di contribuire a
trasformarla.
L’inchiesta
politica si concentra su temi di attualità, che spesso la fanno coincidere con
l’inchiesta giornalistica (eccezion fatta quando usa il questionario). Per gli
strumenti che usa, altrettanto spesso l’inchiesta politica coincide con la
ricerca applicata utilizzata dalla sociologia tradizionale a fini di controllo
sociale (es.: ricerche sulla criminalità giovanile per meglio reprimerla;
ricerche sulle condizioni di lavoro per meglio
sfruttare la forza-lavoro; ricerche sui consumi per indurre falsi
bisogni ecc.).
L’inchiesta
politica si occupa prevalentemente di eventi conflittuali (disagio sociale,
scioperi, questioni ambientali ecc.). Principali macroaree:
problemi del lavoro (rapporti di produzione, rapporti sociali di produzione, relazioni sindacali)
meccanismi di riproduzione sociale (Welfare-State, famiglia, vita quotidiana ecc.)
istituzioni totali (carcere, manicomi, apparati repressivi ecc.)
ingiustizie sociali (subite da classi sociali, gruppi più o meno estesi, individui)
vita politica (partiti, istituzioni, movimenti ecc.).
Alcuni
dei suoi principali obiettivi sono:
intercettare bisogni
smascherare abusi
denunciare la negazione di diritti (individuali e collettivi)
individuare e comprendere strategie di lotta, difesa e sopravvivenza di classi, categorie, gruppi, soggetti collettivi ecc.
individuare e comprendere processi di produzione di falsa coscienza (es.: l’ideologia neoliberista, gli effetti sociali dei mass-media, il controllo dell’informazione ecc.).
L’inchiesta
politica è una strategia di ricerca per:
dare forma e forza a idee, valori, opinioni, strategie che provengono dal basso in modo da fornire alle classi subalterne e più in generale agli sfruttati elementi di autocomprensione della propria condizione
dare uno sbocco alle tensioni sociali individuando forme di autogoverno (della società) e di autogestione (della produzione economica e dei processi di consumo)
produrre una conflittualità politica e sociale cosciente del proprio progetto collettivo
fornire al PRC un quadro delle dinamiche sociali oggetto di inchiesta al fine su supportare la sua azione politica e di governo ai diversi livelli territoriali.
Indagine qualitativa
(non standardizzata)
Approccio:
entrare nell’individualità della persona e/o del gruppo al fine di vedere il
mondo dal suo punto di vista.
Vantaggi:
a) permette di esplorare in profondità sistema di valori, motivazioni,
aspettative, pregiudizi ecc.; b) indaga in profondità ciò che l’analisi quantitativa
segnala appena e/o non riesce a spiegare esaurientemente; c) approfondisci i
sistemi di senso e significato dell’azione sociale.
Svantaggi
principali: a) non garantisce all’analisi significatività statistica; b) non
garantisce sufficiente estensione rappresentativa.
Nell’inchiesta
politica tali svantaggi non sono determinanti perchè spesso l’oggetto della
ricerca è trascurato dagli istituti ufficiali di rilevazione e/o oscurato dal
sistema mediatico.
Sul
piano della comunicazione esterna, l’indagine qualitativa permette più di altri
strumenti di far emergere condizioni di sofferenza
individuale e sociale all’attenzione della comunità scientifica, dei
mass-media e dell’opinione pubblica.
Indagine quantitativa
(standardizzata)
Quando
l’oggetto della ricerca investe un certo numero di persone è necessario ricorre
a strumenti quantitativi (o standardizzati) quali il questionario (qst). Questo
strumento si rivela indispensabile perchè la comparazione tra le risposte si
ottiene soltanto quando ogni domanda viene ripetuta agli intervistati
esattamente nello stesso modo. In definitiva: si utilizzano le procedure
standardizzate quando prevale l’esigenza di misurare
i fenomeni. L’utilizzo del qst: a) consente il trattamento statistico delle
informazioni; b) permette di generalizzare i risultati; c) permette di
identificare più facilmente relazioni causali tra fenomeni.
Osservazione
Definizione.
Tecnica di rilevazione: a) effettuata sul campo; b) in prima persona; c) per la
raccolta di dati su determinati comportamenti.
Questa
tecnica comporta la presenza del ricercatore per un periodo di tempo più o meno
lungo nell’ambiente che intende analizzare. La presenza del ricercatore può
essere palese o occulta. Es.: palese, se indaga sulla qualità del lavoro in una
fabbrica o in un’azienda di servizi; occulta, se osserva il comportamento di
viaggiatori in una grande stazione ferroviaria.
L’osservazione
è una procedura tendenzialmente orientata a produrre ipotesi di ricerca e a
rilevare elementi qualitativi nel comportamento di un determinato gruppo. L’uso
di strumenti audiovisivi è un supporto che incrementa notevolmente
l’attendibilità dell’osservazione.
Osservazione partecipante
Caratteristiche
principali: a) è una strategia di ricerca tra le più importanti nella
realizzazione delle inchieste politiche e non richiede la mediazione di
rilevatori indiretti quali il qst; b) l’osservatore partecipa alla vita dei soggetti studiati sia che ne faccia parte o
meno; c) se esterno l’osservatore riesce a farsi accettare come componente del
gruppo su cui fa inchiesta.
Quando
il ricercatore è membro del gruppo oggetto di indagine si parla di
partecipazione osservante. Non è una questione di sfumature. I due ruoli
(osservatore partecipante, partecipante osservatore) comportano problemi di
inchiesta differenti. Ad es.: il secondo ha meno difficoltà a farsi accettare
dal gruppo, ha facile accesso a comportamenti informali, la sua presenza non
altera la vita del gruppo, sfrutta al massimo le potenzialità della conricerca
ecc.
I
principali scopi dell’osservazione partecipante sono: identificarsi con il
gruppo oggetto di indagine per comprenderlo il più possibile dall’interno;
individuare senso e significati di determinati comportamenti; ottenere
informazioni altrimenti difficilmente reperibili; assistere a
comportamenti/situazioni che non hanno scarsa o nulla visibilità pubblica;
mettere in relazione concetti e comportamenti con indicatori quali ad es.:
occupazione, disoccupazione ecc.; formulare ipotesi di ricerca e stimolare
ipotesi per ulteriori ricerche.
I
vantaggi principali dell’osservazione partecipante sono: a) scoperta di novità;
b) verificare ipotesi che la sola analisi quantitativa non può indagare; c)
cogliere gli aspetti non verbali della comunicazione; d) dare voce ai soggetti
dell’inchiesta; e) svelare condizioni di vita e di lavoro altrimenti
occultate/trascurate.
Lo
svantaggio principale consiste nel rischio da parte del ricercatore di perdere
di obiettività e di lucidità a causa di un eccessivo coinvolgimento emotivo nei
confronti del gruppo osservato.
Dal
punto di vista dell’inchiesta politica l’importanza dell’osservazione
partecipante consiste, tra l’altro, nel fatto che una piena conoscenza del
sociale si realizza attraverso la comprensione del punto di vista degli attori
sociali. Per questo motivo i principali campi di applicazione dell’osservazione
partecipante sono: fenomeni di cui si sa poco (ad es.: i modi di sfruttamento
in una fabbrica, in un cantiere, in un call-center ecc.); quando esistono
profonde divergenze tra il punto di vista dell’attore sociale e quello dei
mass-media (es.: immigrazione clandestina).
Problemi di metodo
La
metodologia tradizionale del fare inchiesta si preoccupa di evitare come la
peste che il ricercatore modifichi la situazione oggetto di ricerca. Nell’inchiesta
politica questo approccio è ribaltato. Ciò che interessa conoscere sono: a) le
basi materiali della vita del gruppo, organizzazione, categoria, classe ecc.
oggetto di indagine; b) le sue condizioni oggettive di esistenza; c) i suoi
bisogni reali; d) le paure che il neoliberismo, nelle sue molteplici
articolazioni pratico/ideologiche, ingenera nelle classi subalterne e più in
generale nella società tutta. L’inchiesta politica dunque desidera e vuole
modificare la situazione di ricerca. Tuttavia il metodo alternativo, proprio
perché si pone l’obiettivo di conoscere
per trasformare, procede con rigore. E due dei principali problemi da
risolvere nella discussione interna al gruppo di ricerca sono:
Autoreferenzialità. Consiste nel proiettare la propria esperienza della realtà sull’oggetto di inchiesta. Ovviamente questo non significa che il vissuto di chi fa ricerca non conti. Ma va sempre mediato con i comportamenti sociali che sono qualcosa di molto diverso dalla semplice proiezione sul mondo delle singole esperienze (per quanto importanti esse siano). Perciò è importante che progettazione e realizzazione dell’indagine siamo aperte all’imprevisto, meglio ancora alla scoperta.
Manipolazione.Consiste nel pensare l’inchiesta come uno strumento che permette di cercare esattamente ciò che si desidera trovare. Procedendo in questa maniera per es: si costruiscono qst che indirizzano le domande, suggeriscono risposte ecc. Per superare tale problema è necessario che il gruppo di ricerca abbia ben chiare le ipotesi di lavoro da cui partire nella realizzazione della ricerca. Ipotesi che possono trovare conferma o smentita alla fine dell’indagine. Per questo è necessario prestare attenzione alle fasi di costruzione del qst e se possibile sottoporlo ad un pre-test prima di somministrarlo.
Questionario (qst)
Definizione:
insieme organizzato di domande finalizzate a verificare le ipotesi del progetto
(o disegno) della ricerca.
I
tipi di dati che si ottengono con il qst sono prevalentemente quattro:
dati personali (sesso, età, stato, civile, residenza, titolo di studio, reddito, professione ecc.)
dati di comportamento (raccolta di informazioni su un comportamento specifico; es.: il pendolarismo)
dati di atteggiamento (domande finalizzate a comprendere quali spinte inducono ad un determinato comportamento; es.: uno sciopero)
dati di opinione (raccolta di opinioni su ciò che un soggetto pensa rispetto a un determinato problema, fenomeno, fatto ecc.).
I
qst variano a seconda dei tipi di dati che si intendono raccogliere e della
loro qualità e quantità.
Ai
fini dell’inchiesta politica i tipi di qst che maggiormente interessano sono:
quelli che indagano su atteggiamenti, valori, opinioni.
quelli che indagano su comportamenti, abitudini, avvenimenti personali.
Un’accortezza utile. In apertura il qst:
informa su chi sono i promotori dell’inchiesta
informa quali sono le finalità della ricerca
garantisce l’anonimato
fornisce eventuali spiegazioni sulle modalità di compilazione
assicura la diffusione dei risultati.
Questionario:
campionamento
Per
l’inchiesta politica il campionamento non deve necessariamente rispondere a
tutti i santi crismi della sociologia e della statistica perché l’obiettivo è,
appunto, politico. E la politica non è una scienza esatta, come d’altra parte
non lo sono né la sociologia né la statistica. L’inchiesta politica ha tra i
suoi fini la partecipazione al conflitto. Tuttavia è utile masticare alcuni
termini principali delle procedure di campionamento in modo da possedere gli
strumenti concettuali di base per sapere cosa è e come si struttura un campione
e per rispondere ad eventuali critiche.
Il
qst si utilizza nelle indagini che hanno circoscritto una o più unità di
analisi (gruppi familiari, contesti socioterritoriali, categorie di lavoratori
ecc.). Le unità di analisi sono a loro volta sottoposte a campionamento, ovvero
si estrae da esse un sottoinsieme significativo (unità campionaria). La
totalità delle unità di analisi compone l’universo
di riferimento della ricerca. In altre parole, con il campionamento viene
intervistata la rappresentanza di una determinata categoria di persone (detto
in termini tecnici consiste nell’approssimazione dell’universo). Il
campionamento è dunque una procedura che consente la selezione di unità
campionarie funzionali al disegno della ricerca.
Nella
fase preliminare dell’inchiesta (detta anche esplorativa) per ottenere le
informazioni necessarie alla selezione delle unità campionarie si ricorre a
repertori bibliografici e osservatori privilegiati (vedi capitolo: Raccolta dei documenti: le fonti).
Le
unità di analisi debbono essere ben definite per costruire le domande adatte al
fine di evitare mancate risposte.
Tipi
di campionature:
Casuale. Ogni individuo della popolazione oggetto di inchiesta ha la stessa possibilità di inclusione degli altri. È il tipo di campionatura maggiormente utilizzato.
Stratificata. Si divide la popolazione in starti e da ogni strato si estrae un numero di individui che comporranno il campione. Es.: se in un settore produttivo la composizione della popolazione è di 80 donne su 100, su un campione di 200 lavoratori dobbiamo estrarre 160 donne e 40 uomini.
A grappoli. Si individuano soggetti accomunati da una stessa caratteristica. Es.: le madri-lavoratrici di una provincia estratte dai comuni tra i 5.000 e i 10.00 abitanti.
Nell’inchiesta
quantitativa (standardizzata) il principio guida di chi utilizza l’analisi per
campioni è la rappresentatività. Per essere considerato valido un campione deve
essere rappresentativo dell’intera popolazione da cui è estratto. In altre
parole, deve riprodurre su scala ridotta la composizione della popolazione in
relazione ad alcune sue caratteristiche. Ovviamente non è necessario che il
campione riproduca tutte le caratteristiche della popolazione ma solo quelle
considerate discriminanti per l’interpretazione del fenomeno indagato.
Se
non è possibile selezionare compiutamente il campione può convenire
intervistare quante più persone possibile (ovviamente se non si tratta di grandi
numeri) o viceversa poche persone, ma che il gruppo di ricerca ritiene
particolarmente significative. In entrambi i casi il campione non è
rappresentativo. Il che, per l’inchiesta politica, non costituisce un problema.
E’ tuttavia eticamente corretto dichiararlo all’inizio del rapporto di ricerca
e della eventuale presentazione in pubblico.
Questionario: fasi
Formazione del gruppo di ricerca
Definizione dell’oggetto di indagine
Esplorazione: a) si approfondisce il tema di interesse organizzando incontri preliminari con i soggetti dell’inchiesta e con osservatori privilegiati; b) si recupera la bibliografia di riferimento; c) si decide se il qst soddisfa tutte le esigenze dell’inchiesta oppure se sono necessarie anche analisi qualitative.
Individuazione del tipo di qst
Individuazione delle caratteristiche del qst: numero e tipi di domanda, tipi di risposta ecc.
Individuazione del campione e in base alle scelte effettuate individuazione delle procedure per la raccolta dei dati. Es.: somministrazione individuale o di gruppo ecc.
Redazione del qst
Pre-test del qst (il qst viene sottoposto ad una piccola unità di possibili destinatari e in quella occasione si valutano tutti gli aspetti di funzionalità del qst stesso)
Somministrazione (nell’inchiesta politica spesso questa fase è problematica per divieti aziendali, paura dell’intervistato di farsi vedere dai superiori ecc. In questi casi è consigliabile strutturare il qst in modo che la sua compilazione non superi mezz’ora)
Ritiro qst e inserimento dati nel computer (spesso quest’ultima operazione è estremamente impegnativa soprattutto se il qst comprende molte domande e se i qst da codificare sono numerosi. L’inserimento dati (data entry) va dunque previsto in anticipo perché richiede un forte investimento di tempo e lavoro da parte di chi nel gruppo di ricerca si fa carico di questo impegno).
Analisi e interpretazione dei risultati
Stesura Rapporto di ricerca.
Questionario: domande
Con
il qst la problematica oggetto di inchiesta è tradotta in domande. Per tale
motivo è necessario: a) circoscrivere l’oggetto di indagine; b) definire gli
obiettivi della ricerca; c) conoscere nella maniera approfondita la realtà su
cui si indaga; d) impostare le domande del qst sulla base delle conoscenze
acquisite in modo da prevedere le risposte più probabili; e) rendere
significativa ogni domanda in relazione all’oggetto di indagine.
Tipi
di domanda:
Chiuse (le risposte sono fissate in anticipo e l’intervistato sceglie solo tra le alternative proposte. Queste risposte sono esaustive rispetto al progetto di inchiesta in quanto: a) non esistono altre risposte possibili; b) l’inchiesta non è interessata ad altre possibili risposte)
Aperte (lasciano all’intervistato completa libertà di risposta. Questo tipo di domanda è poco utilizzata perché pone grossi problemi di formulazione, interpretazione e codifica. In genere si riduce a <altro> alla fine di una sequenza di alternative, oppure è utilizzata nei qst particolarmente lunghi e impegnativi per alleggerire il peso della compilazione).
Strutturate (L’intervistato sceglie tra un ventaglio di risposte. Questo tipo di domanda è utilizzata nelle cosiddette <scale di frequenza>. Es: più di una volta al mese, meno di una volta al mese …..)
Domande-filtro (possono essere domande sia chiuse che strutturate. Hanno la funzione di selezionare i soggetti, ossia di indirizzarli verso domande specifiche destinate solo a chi abbia determinate caratteristiche. Es.: il tuo contratto di lavoro è: 1) a tempo indeterminato, 2) a tempo indeterminato, 3) nessun contratto. Se hai risposto 1 passa alla domanda…
Items (consiste in una affermazione indicativa di un determinato atteggiamento e si chiede all’intervistato di esprimere la propria adesione o meno. Es.: L’obbedienza al capoufficio è la più importante qualità di un impiegato. Con questa affermazione sono: completamente d’accordo; abbastanza d’accordo; abbastanza contrario; completamente contrario…).
I
dati di base (sesso, età, dove vivi, con chi vivi
ecc.) possono essere inseriti alla fine o all’inizio del qst. Dipende dal
numero delle domande e dalla strategia complessiva del qst stesso. In ogni caso
è necessario stare attenti alla collocazione delle domande. Ad es. è meglio
chiedere il titolo di studio
alla fine del qst se l’unità di analisi è poco secolarizzata perché questa
domanda potrebbe irritare l’intervistato. Stessa accortezza va seguita per
domande che possono essere ritenute troppo personali come ad es.: quale partito voti, quanto guadagni ecc.
Questionario: pratiche interpretative
A ogni domanda del qst deve
corrispondere una sola informazione. Partendo da questo principio è necessario:
Elaborare una matrice dei dati che consenta l’organizzazione delle informazioni ricavate dal qst e procedere a codificarli
Codificare i dati significa assegnare di numeri identificativi alle domande
Utilizzare un database
Prevedere le combinazioni tra variabili
Prevedere i livelli di analisi (monovariata, bivariata, multivariata).
L’analisi monovariata è quella meno
complicata da usare. Queste le sue caratteristiche.
Si applica a singole variabili (una sola risposta) e serve a rappresentare i caratteri della popolazione, la distribuzione delle risposte a ogni domanda
Permette di costruire indici statistici attraverso misure sintetiche (la conflittualità in fabbrica è un indice di malessere; le ore di sciopero sono un indicatore)
Permette la distribuzione di frequenza (tabella in percentuale e valori assoluti)
Permette di individuare misure di tendenza centrale, concentrazione di valori, omogeneità e differenze
Fornisce misure di variabilità come campi di variazione, scarti, scostamento, varianza ecc.
Questionario: vantaggi e
svantaggi
Il
qst si distingue dagli altri tipi di interviste per il fatto di avere domande e
risposte standardizzate, ossia immodificabili.
Vantaggi. Consente con poco tempo di raccogliere informazioni su un numero ampio di persone. Potendo essere autocompilato il qst consente di ridurre le risorse necessarie per realizzare l’inchiesta.
Svantaggi. E’ molto rigido dal punto di vista della qualità delle informazioni raccolte perché chi risponde si limita a indicare delle scelte tra quelle previste senza andare in profondità e senza spiegare le ragioni che determinano comportamenti e opinioni.
Una
soluzione per limitare gli svantaggi consiste nell’affiancare al qst strumenti
qualitativi (non standardizzati) quali ad es. l’intervista biografica.
L’integrazione tra i due strumenti dipende dalle risorse a disposizione, dalle
diverse esigenze dell’inchiesta e dai temi indagati. A volte non è possibile
per problemi di tempo (la necessità di indagare rapidamente su un fenomeno) e
risorse (personale esperto per la raccolta delle biografie, costi della
sbobinatura ecc.).
Bibliografia essenziale
AAVV,
Precariopoli. Parole e pratiche delle nuove lotte sul lavoro, manifestolibri,
Roma, 2005.
Andrea Bosco, Come si costruisce un questionario,
Carocci, Roma, 2003.
Carlo De Rose, Che cosa è la ricerca sociale,
Carocci, Milano, 2003.
Gian Antonio Gilli, Come si fa ricerca, Mondadori,
Milano, 1971.
David S. Hachen Jr., La Sociologia in azione.
Come leggere i fenomeni sociali, Carocci, Roma, 2003.
G. Pellicciari, G. Tinti, Tecniche di ricerca
sociale, Franco Angeli, Milano, 1987.
POSSE,
Fare inchiesta metropolitana,
Castelvecchi, Roma, n° 2-3 gennaio 2001.
Sonia
Stefanizzi, La conoscenza sociologica,
Carocci, Roma, 2003
Il presente saggio è
tratto da: Manuale per fare inchiesta. Per
un nuovo abbecedario della politica, (A cura di Patrizio
Paolinelli), Socialmente, Granarolo dell’Emilia (Bologna), 2007, pagg. 103-109.
Una volta passata questa pandemia, il mondo non sarà più lo stesso. Quante volte abbiamo ascoltato queste parole? Quante volte le abbiamo lette, come stiamo facendo anche ora? L’emergenza non è ancora finita, ma il mondo non è già più lo stesso.
<<== Dott.ssa Federica Ucci
Estinta la crisi sanitaria, resteremo intrappolati in una crisi economica chissà ancora per quanto tempo e, ammesso che scivoli via anche questa, potremo dirci veramente a posto? Siamo dentro una “crisi nella crisi”, ma quella che ancora troppo spesso sfugge ai nostri occhi, e, purtroppo anche all’attenzione mediatica, è un disfacimento di portata ancora più ampio. Una crisi che cerca di attirare l’attenzione con le manifestazioni più svariate già da tantissimo tempo. La pandemia da covid-19 ha avuto origine da una zoonosi.Si definisce zoonosi ogni infezione animale trasmissibile agli esseri umani. Ne esistono molte più di quante si potrebbe pensare. L’AIDS ne è un esempio, le varie versioni dell’influenza pure.
Guardandole da lontano queste malattie sembrano confermare l’antica verità darwiniana (la più sinistra tra quelle da lui enunciate, ben nota eppure sistematicamente dimenticata): siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia”[1]. Il rischio più significativo per la trasmissione di malattie zoonotiche si verifica all’interfaccia uomo-animale attraverso l’esposizione umana diretta o indiretta agli animali, ai loro prodotti (ad esempio carne, latte, uova.) e / o ai loro ambienti.[2]Il salto di specie, dall’animale all’essere umano avviene in un preciso momento chiamato “spillover zoonotico”, nel quale il patogeno, una volta superate diverse barriere, viene trasmesso da un soggetto all’altro.
La biodiversità è la grande varietà di animali, piante, funghi e microorganismi che costituiscono il nostro Pianeta. Una molteplicità di specie e organismi che, in relazione tra loro, creano un equilibrio fondamentale per la vita sulla Terra. La biodiversità infatti garantisce cibo, acqua pulita, ripari sicuri e risorse, fondamentali per la nostra sopravvivenza[3]. I microorganismi più piccoli, come i funghi, i batteri e, appunto i virus, vivono all’interno di organismi più grandi che prendono il nome di ospiti serbatoio, nei quali sopravvivono senza creare problemi ma a volte possono far sviluppare delle vere e proprie patologie. C’e unacorrelazione tra queste malattie che saltano fuori una dopo l’altra, e non si tratta di meri accidenti ma di conseguenze non volute di nostre azioni. Sono lo specchio di due crisi planetarie convergenti: una ecologica e una sanitaria… Come fanno questi patogeni a compiere il salto dagli animali agli uomini e perché sembra che ciò avvenga con maggiore frequenza negli ultimi tempi?
Per metterla nel modo più piano possibile:
perché da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della
nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e
dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a
diffonderli in modo ancor più rapido e generalizzato[4]”.
Ciò che spinge un patogeno che sta bene nel proprio ospite serbatoio ad
effettuare lo spillover è l’alterazione
dell’equilibrio biologico da parte dell’azione umana: deforestazione ed urbanizzazione
sono solo esempi di come l’uomo, eliminando l’habitat degli animali che
ospitano questi patogeni, li inducono a cercare altri serbatoi, tra i quali
l’uomo, causando negli scenari peggiori epidemie e pandemie come quella
attuale.
I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie. Il nuovo coronavirus è un virus respiratorio che si diffonde principalmente attraverso il contatto con le goccioline del respiro delle persone infette, ad esempio quando starnutiscono o tossiscono o si soffiano il naso.[5]Proprio per questo è importante il comportamento individuale in relazione agli altri, evitando gli assembramenti si evita la sua diffusione. Ecco il motivo principale per cui questo essere invisibile ha “infettato” anche la nostra socialità.
A differenza dei virus a DNA, il coronavirus è a RNA e riesce molto più facilmente a passare da una specie all’altra in quanto ha un genoma molto più piccolo a causa della replicazione soggetta ad errori. Per questo riesce a fare tutta una serie di mutazioni e quindi ad adattarsi con più facilità a specie diverse[6]. Il coronavirus è partito probabilmente dal pipistrello come ospite serbatoio, poi il pangolino è stato ospite intermedio e infine è passato all’uomo, a causa dei market cinesi e del commercio illegale di questi animali. Altri virus a RNA responsabili di zoonosi sono, ad esempio, l’ebola, partito dai primati e dal loro stretto contatto con l’uomo a causa della deforestazione e dal cibarsi della carne di scimmia e l’influenza, veicolata dagli uccelli. Ultimamente, anche se se ne parla sempre troppo poco, una diffusione del coronavirus già mutato si è verificato all’interno degli allevamenti di visoni, in Danimarca ma anche qui da noi. Si ricomincia a parlare di diffusione anche nella carne di maiale, che risulterebbe positiva ma è recente anche la notizia di una nuova ondata di aviaria negli allevamenti di galline nei paesi orientali.
La strage di questi animali, soppressi in massa, talvolta anche sepolti vivi come fossero semplici oggetti l’abbiamo già vista altre volte, nelle epidemie precedenti ed anche nella pandemia odierna e spesso, nelle varie epidemie che si ripresentano più o meno regolarmente. Quella degli allevamenti intensivi è una triste realtà dove si diffondono anche molte altre malattie a causa dei metodi intollerabili in cui sono detenuti gli animali, che si contagiano tra loro mettendo a rischio anche le persone che ci lavorano. Quando sorge una problematica come quella della diffusione di un virus, la prima reazione per risolverla è l’abbattimento sistematico e massivo di tutti gli animali ritenuti veicolo, come se facessero parte di un ambiente a sé stante che non è legato all’uomo.
Eppure, l’intero pianeta terra, con la sua natura ed i suoi animali è strettamente connesso con l’essere umano e, se proviamo a riflettere con un pochino di impegno, riusciremmo facilmente a vedere e a comprendere questa cosa, collocandola all’interno del quadro generale più ampio della situazione pandemica attuale. E forse proveremmo anche ad immaginarci la prossima pandemia che verrà. La crisi ambientale era in atto già da tempo ed è quella che dovrebbe preoccupare più di ogni altra cosa, perché ci colpisce in casa. Tuttavia, il fatto che sia persistente, che continui a progredire in maniera costante, fa sì che ci si abitui ad essa, che diventi impercettibile, addirittura giustificabile. Quando affrontiamo delle estati torride che ci tolgono il respiro o siamo colpiti da violente trombe d’aria o alluvioni diamo la colpa al meteo che sta cambiando, ma perdiamo di vista la causa principale: noi stessi, come umanità.
L’inquinamento atmosferico peggiora la qualità della nostra aria, e sicuramente non va a vantaggio della sconfitta di un virus invisibile che si muove liberamente proprio in quell’aria. Se ci prendessimo la briga di fermarci a riflettere un po’ più spesso su quanto ci sta accadendo intorno, riusciremmo a prendere coscienza di quanto tutto sia collegato. Quando ci troviamo di fronte ad un’esperienza, entrano in gioco diversi fattori. Riconosciamo ed interpretiamo gli stimoli che interessano i nostri sensi attraverso il processo di percezione, che ci permette di interpretare l’ambiente intorno a noi. Le risposte fisiche prodotte dalla stimolazione degli organi di senso in interazione con l’ambiente danno origine alle sensazioni, mentre le emozioni, che possono essere piacevoli o spiacevoli riguardano, oltre che gli stimoli fisici che giungono dall’esterno, anche le sollecitazioni interiori che riceve il nostro “mondo interiore” fatto di sentimenti, impressioni e turbamenti. Attraverso i meccanismi sensoriali, percettivi ed emozionali quindi, riceviamo i feedback necessari per interagire nel modo più appropriato con il mondo nel quale è immersa la nostra “sfera vitale”[7].
Oggi esiste un continuum socio-culturale tra la cosiddetta normalità, l’esistenza di rischi di origine ambientale e antropica e la loro percezione/valutazione da parte delle persone che si sentono da essi direttamente o indirettamente minacciate. Si parla di concezione strutturale del rischio perché esso può essere assunto come un fattore costitutivo del contesto sociale, la sua percezione individuale e collettiva influenza i processi decisionali alla base dei comportamenti umani che ne costituiscono la diretta conseguenza. Il rischio ormai si è talmente globalizzato da riuscire a creare una “comunità di destino”, nel senso che tutti sappiamo che esso è ovunque e penetra in tutti gli interstizi della vita quotidiana.
Quella di assumersi una responsabilità comune e la volontà di agire collettivamente in maniera responsabile di fronte a delle grandi problematiche dovrebbero caratterizzare la cosiddetta “cultura dell’incertezza” di cui parla Beck[8]. Oggi sono molti i movimenti spontanei che prendono vita anche virtualmente, sui principali social, per contribuire alla sensibilizzazione verso le tematiche legate all’emergenza globale che stiamo attraversando. Attraverso questi canali è possibile accedere anche ad informazioni non sempre politicamente corrette, si possono coinvolgere e mobilitare comunità più ampie di persone che vogliono realmente iniziare a fare qualcosa di concreto per preservare il pianeta, a partire dal cambiamento delle proprie abitudini. Tuttavia, sono ancora molti coloro che non hanno ancora preso pienamente coscienza della gravità della situazione o, se anche lo hanno fatto o ci stanno provando, riescono a concludere poco in merito in quanto certe abitudini, soprattutto se “confortevoli”, sono dure a morire.
Ne parla in maniera molto fluida e semplice Jonathan Safran Foer nel suo libro “Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi”[9], un libro che non sarebbe male leggere per cercare di stimolare in noi nuove riflessioni sul nostro stile di vita. Può verificarsi unadistanza tra comprensione e sensazione in base alla percezione che si ha di un pericolo. Se te lo trovi di fronte e lo puoi ben inquadrare, è più facile agire, ma quando lo senti lontano, puoi anche faticare a crederci, pur sapendo che è in atto, perché riflettere sulla complessità e sull’ampiezza di minacce che non abbiamo di fronte è stressante. E questo accade anche a livello immaginativo: sappiamo che i cambiamenti climatici hanno qualcosa a che vedere con l’inquinamento, l’anidride carbonica, le temperature degli oceani, le foreste pluviali, le calotte glaciali … ma quasi tutti noi ci troveremmo in difficoltà a spiegare in quale modo il nostro comportamento individuale e collettivo faccia aumentare di quasi 50 km orari i venti degli uragani o contribuisca a creare un vortice polare che rende Chicago più fredda dell’Antartide[10].
Nella nostra cultura, le storie che perdurano nel tempo – leggende popolari, testi religiosi, miti, eccetera –presentano scontri epocali tra soggetti distinti, buoni e cattivi e un finale edificante, da qui la tendenza a rappresentare i cambiamenti climatici in maniera distopica, ambientata nel futuro e con le cause principali rappresentate come rovina assoluta e non come fattori su cui soffermare l’attenzione per apportare cambiamento e miglioramento.[11]Ci sono state cinque estinzioni di massa, tranne quella che sterminò i dinosauri, tutte furono provocate da cambiamenti climatici. L’estinzione di massa più letale, nota come la Grande Morìa, risale a 250 milioni di anni fa, quando le eruzioni vulcaniche rilasciarono una quantità di CO2 sufficiente a far salire la temperatura degli oceani di circa dieci gradi centigradi, segnando la fine del 96% della vita marina e del 70% di quella terrestre. Molti scienziati chiamano l’era geologica che si estende dalla Rivoluzione Industriale ad oggi “Antropocene”, periodo in cui l’attività umana ha avuto un influsso dominante sulla terra.
Stiamo assistendo alla sesta estinzione di massa, spesso indicata come “l’estinzione dell’ Antropocene”, in un momento storico in cui l’attività umana è responsabile del 100% del riscaldamento globale avvenuto dalla Rivoluzione Industriale nel 1750. Questo cambiamento climatico in corso è il primo determinato da un animale e non da un evento naturale, la sesta estinzione di massa è la prima crisi climatica.[12]Riconoscere che siamo responsabili del problema è il primo passo per assumersi la responsabilità di trovare una soluzione. Il comportamento individuale ha un impatto maggiore di qualsiasi linee guida governative che nessuno segue, le rivoluzioni collettive sono la somma di più rivoluzioni individuali, le nostre scelte sono contagi sociali, vengono tracciate, i servizi e i prodotti sono plasmati in base alle domande… agiamo come individui, famiglie, comunità, nazioni.
Se davvero vuoi salvare il pianeta dovresti morire, ma noi vogliamo salvare la vita sul pianeta. Condurre una vita etica secondo scelte etiche vuol dire prendere meno di ciò che le nostre mani possono contenere, non ci si può proteggere dal futuro, ma si può imparare cosa conta davvero[13]. Questa emergenza sanitaria mondiale sta avendo ripercussioni a livello macro sull’economia e a livello micro sulle relazioni sociali, la crisi ambientale sta nel mezzo e cerca di evidenziare la necessità impellente di recuperare un contatto con la Natura, perché ogni nostra azione si ripercuote, nel bene e nel male su tutto il nostro ambiente e se non lo difendiamo, se non ne abbiamo cura, anche la vita stessa, prima o poi, non sarà più recuperabile.
Federica
Ucci, Sociologa specialista in Organizzazioni e Relazioni Sociali
NOTE
[1] David Quammen,
Spillover, Adelphi, Milano, 2014 pp.13-14
Come noto l’art. 32 della Costituzione sancisce la libertà di autodeterminazione quale possibilità di ogni individuo di decidere liberamente in merito a qualsivoglia trattamento sanitario ed ogni scelta che coinvolga il proprio corpo.
<<== Prof. Avv. Michele Miccoli
Negli
ultimi anni giurisprudenza e dottrina, proprio a fronte di tale principio
sancito nella nostra Costituzione, hanno radicato il consenso informato del
paziente quale conditio sine qua non di
legittimazione dell’intervento sanitario, arrivando finanche a sancire il
diritto al risarcimento del danno per omesso consenso nell’ipotesi in cui il
trattamento risultasse di fatto migliorativo delle condizioni di salute del
paziente.
In particolare la Suprema Corte, con sentenza n. 28985/2019, delineava con chiarezza gli aspetti giuridicamente rilevanti sotto il profilo risarcitorio. La Corte di Cassazione è tornata a dirimere i dubbi circa la risarcibilità del danno per omessa informazione medica con la recente pronuncia n. 25875/2020.
In ipotesi di omessa informazione in relazione
ad intervento che abbia cagionato un pregiudizio alla salute senza che sia
stata dimostrata la responsabilità del medico, la risarcibilità del diritto
violato all’autodeterminazione del pazienze è connessa alla prova che il
paziente stesso, una volta informato dei rischi, avrebbe rifiutato
l’intervento.
Nel caso in esame una donna domandava il risarcimento per esser stata sottoposta ad interruzione volontaria di gravidanza senza idonea informazione, in seguito al quale perdeva la capacità riproduttiva. Il Tribunale di merito rigettava la domanda poiché la paziente non aveva provato che avrebbe rifiutato l’intervento nel caso di adeguata informazione.
Anche la Corte
di appello confermava la decisione di primo grado evidenziando come
l’isterectomia e l’ovariectomia totale fossero state imposte dall’emorragia
conseguente all’induzione farmacologica del parto abortivo e come non fosse
stato provato che la gestante, se adeguatamente informata, non avrebbe
interrotto la gravidanza.
Avanti alla Suprema Corte la donna, che domandava il risarcimento
non solo del danno alla salute ma anche del danno alla libertà di autodeterminazione,
eccepiva che il giudice d’appello avesse sovrapposto, in ordine alla questione
del consenso informato, i presupposti del risarcimento del danno alla salute
con quelli del risarcimento da lesione del diritto all’autodeterminazione.
La Cassazione ha rigettato la domanda, confermando i precedenti
gradi di giudizio. Per gli
Ermellini la fattispecie in esame rientra nell’ipotesi dell’omessa informazione
in relazione ad un intervento che ha cagionato un pregiudizio alla salute,
senza che sia stata dimostrata la responsabilità del medico. In tal caso
afferma la Corte “è risarcibile il
diritto violato all’autodeterminazione a condizione che il paziente alleghi e
provi che, una volta in possesso dell’informazione, avrebbe prestato il rifiuto
all’intervento”.
Uno dei miti più importanti della società contemporanea è il desiderio di conoscere il proprio futuro e quello dell’intera umanità.
<<== Prof. Giovanni Pellegrino
Possiamo dire che esiste una vera e propria idolatria nei confronti degli astrologi e dei cartomanti anche se la più famosa arte divinatoria è senza dubbio l’astrologia che riscuote il consenso della maggior parte degli individui. Le cause alla base del successo dell’astrologia nel mondo contemporaneo sono numerose e si possono dividere in tre gruppi: cause storico-religiose, psicologiche e sociologiche. Tra le cause storico- religiose le più importanti sono la crisi della religione cattolica, il ritorno del paganesimo e il successo del movimento New Age. Tra le cause psicologiche figurano le particolari caratteristiche della personalità degli individui che si recano dagli astrologi quali ad esempio la volontà di attribuire tutto ciò che avviene al potere delle stelle e l’accettazione di una concezione fatalistica del mondo col conseguente rifiuto di farsi carico delle conseguenze delle proprie azioni. Numerose sono infine le cause sociologiche del boom dell’astrologia: il condizionamento dei mass media, la complessità e il carattere labirintico della società contemporanea, che spaventano molti individui spingendoli a chiedere consiglio agli astrologi.
Altre cause sociologiche sono i fenomeni di imitazione sociale, i fenomeni di contagio psichico, la ricerca di nuovi punti di riferimento dopo il crollo di molte certezze. Certamente nessun sociologo mette in dubbio che il ritorno dell’astrologia è uno dei fenomeni più importanti del mondo contemporaneo, fenomeno che è figlio della rinascita di un paganesimo multiforme che fa sentire i suoi aspetti in tutti i settori della vita sociale. Dobbiamo anche mettere in evidenza che moltissime persone sono interessate a conoscere il futuro che attende l’umanità nei prossimi anni dal momento che esistono molti gruppi convinti che siamo vicinia alla fine del mondo. Altri gruppi invece sono interessati a conoscere il futuro perché sono convinti che siamo entrati in una nuova era nella quale nascerà una nuova razza di uomini in grado di costruire un mondo migliore. Proprio questo desiderio di conoscere il futuro collettivo dell’umanità ha fatto in modo che ritornassero di attualità alcune profezie che in passato erano molto famose. A queste profezie del passato che tra poco prenderemo in considerazione dobbiamo aggiungere il terzo segreto di Fatima. Inoltre secondo molte persone la Madonna sta fornendo delle profezie a Medujugore, nella ex Jugoslavia. Molti nuovi profeti che hanno fondato nuove religioni hanno formulato profezie in cui considerano imminente la fine del mondo.
Le profezie di Nostradamus
Esistono profezie di tutti i tipi che riscuotono l’interesse di moltissimi individui appartenenti a tutte le classi sociali, cominciando dalle profezie formulate da Nostradamus nel 1500. Il grande problema di tali profezie è il fatto che esse sono scritte in un linguaggio ermetico che ne rende problematica la comprensione e l’interpretazione. Proprio il carattere oscuro di tali profezie rende difficilissimo stabilire quante profezie si sono avverate con certezza ma in ogni caso ogni volta che accade un avvenimento drammatico si riparla delle Centurie di Nostradamus. Tuttavia il grande problema delle profezie di Nostradamus è che anche quelle che sembrano essersi realmente avverate sono diventate comprensibili solo dopo che gli venti predetti si erano avverati mentre nessuna profezia di Nostradamus risulta comprensibile prima che il fatto da essa predetto si sia avverato. Noi siamo molto prudenti riguardo la valutazione dell’attendibilità delle profezie di Nostradamus anche se pensiamo che alcune di esse si siano realmente realizzate.
Tuttavia per il carattere oscuro di tali profezie quando Nostradamus parla della fine del mondo risulta difficilissimo capire qualcosa intorno a tale avvenimento. Nostradamus afferma che la fine del mondo sarà preceduta da un “grande male” e da “molte piaghe”. Quando il veggente parla della “universale piaga” molti studiosi hanno visto in tali parole il riferimento alla corruzione dilagante mentre altri credono che si tratti di una pestilenza a livello mondiale. Comunque la maggioranza degli interpreti di Nostradamus ritiene che la descrizione della fine del mondo nata dall’astrologo non sia molto diversa da quelle fornite da altre profezie ivi compresa l’Apocalisse scritta da Giovanni. Nostradamus afferma che l’Anticristo dominerà per un certo periodo sulla terra e solamente pochissime persone resteranno fedeli alla religione cattolica e per tale ragione saranno perseguitate come accadde all’inizio della storia del Cristianesimo. Alla fine comunque l’Anticristo sarà sconfitto. In ogni caso non è possibile capire quando accadranno tali avvenimenti.
Le ragioni dell’interesse per le profezie
Prima di passare ad interessarci delle profezie di San Malachia cercheremo di spiegare le ragioni psico sociali e sociologiche del forte interesse per le profezie riscontrabili nel mondo moderno. I sociologi mettono in evidenza che la società contemporanea è estremamente complessa e labirintica tanto da generare molti conflitti, ansie e frustrazioni negli individui. Di conseguenza non solo genera paure nel presente ma ancora di più il futuro dal momento che sono crollati gli ideali e i valori che davano un senso alla vita degli uomini del passato. Frankl parla di “ nevrosi da perdita di senso, volendo dire che gli uomini contemporanei hanno perso ogni punto di riferimento, ogni orizzonte di senso ragion per cui sono ormai preda di un’incontrollabile ansia esistenziale.
Non deve quindi stupire che questo clima socio- culturale spinga gli individui ad interessarsi delle profezie viste come un modo per comprendere quello che accadrà in futuro. Gli studiosi di storia sociale paragonano la nostra società a quella esistente nell’impero romano del III secolo D.C. Infatti in quel periodo storico l’impero romano fu scosso da una profondissima crisi economica, sociale e morale che gettò nello sconforto gli individui appartenenti a tutte le classi sociali. Oggi dicono gli studiosi che esiste una crisi altrettanto profonda che spinge gli individui come al tempo dell’impero romano a cercare rifugio nella magia, nell’astrologia e nelle profezie, al fine di trovare un rimedio all’instabilità del mondo contemporaneo. Molti sociologi definiscono la società moderna post cristiana e post moderna ( la parola post sta a indicare la crisi della religione cristiana e della modernità). Detto ciò ci interesseremo delle profezie di Malachia, il quale scrisse una famosa profezia che raccoglie 111 brevi frasi in latino che designano altrettanti papi.
L’ultimo papa della serie è indicato con il nome di Pietro Romano. Tale papa subirà molte persecuzioni trascorse le quali verrà la fine del mondo. Quindi anche Malachia prevede che gli ultimi cristiani subiranno due persecuzioni che precederanno la fine del mondo. In questi tempi nei quali la chiesa cattolica sta attraversando una grave crisi, sono tornate in auge le profezie di Gioacchino Da Fiore, il quale dopo severi studi sostenne di aver avuto delle illuminazioni. In seguito a tali illuminazioni gli fu rivelato il significato vero delle profezie contenute nell’Apocalisse di Giovanni. Anche Gioacchino profetizzò l’arrivo dell’Anti Cristo, che secondo il monaco calabrese arriverà alla fine dei tempi, giungendo fino alle alte gerarchi della chiesa di Roma. Gioacchino afferma, che molti scambieranno l’Anticristo per il Cristo vero. Esistono poi altre profezie quali il terzo segreto di Fatima e le profezie di Medujugore: non possiamo prendere in considerazione in tale articolo tali profezie per ragioni di spazio, pertanto ci limitiamo a dire che anche tali profezie riscuotono l’interesse di moltissime persone. Tra l’altro sono in continuo aumento gli individui che sostengono di aver ricevuto dalla Madonna messaggi di tipo apocalittico. Detto ciò riteniamo di aver dimostrato che nella società moderna esiste quella che gli storici delle religioni chiamano ”fame di profezie”
Prof.
Giovanni Pellegrino
Prof.ssa
Mariangela Mangieri
BIBLIOGRAFIA
G.Pellegrino, Il ritorno dell’astrologia, New Grafic Service, Salerno, 2004
G.Pellegrino,
Il New Age , Edisud, Salerno, 2003
G.Pellegrino,
Il Neopaganesimo nella società moderna, Edisud, Salerno,2004
G.Pellegrino,
Il ritorno del paganesimo, New Grafic Service, Salerno, 2004
Gli ambienti di informazione elettronica essendo estremamente eterei favoriscono l’illusione del mondo come sostanza spirituale. Si tratta di un ragionevole facsimile del corpo mistico, di una manifestazione evidente dell’Anti-Cristo. (M. McLuhan) 1
<< == prof. Patrizio Paolinelli
Prologo. Discorsi in sospeso tra due metanarrazioni
Il conflitto tra satanisti e antisatanisti è di lunga durata. Inizia
nel XVII secolo e prosegue tutt’oggi a fasi alterne. Attualmente la spia forse
più significativa per cogliere la rilevanza del fenomeno consiste
nell’atteggiamento dei mass-media. Che spesso e volentieri attribuiscono agli
adoratori dell’Angelo del Male una serie di reati ripugnanti come violenze
sessuali, omicidi apparentemente inspiegabili o particolarmente efferati.
Attribuzioni infondate nella quasi totalità dei casi ma che generano e
rafforzano lo stigma sociale.
Sul piano dei processi di costituzione dell’identità e di
etichettamento per mezzo del linguaggio un fattore fondante del conflitto che
oppone religioni maggioritarie e satanisti risiede nella dialettica tra ritmi
del tempo. Dialettica che si esprime: a) nella permanenza attraverso i secoli
di uno scontro culturale; b) nella modernizzazione degli strumenti messi in
campo dagli avversari. La permanenza non significa ripetizione della storia e
la modernizzazione non significa eternizzazione del presente. È evidente che
due negazioni non fanno un metodo. Al massimo tagliano la strada ad
interpretazioni fuorvianti. Continuità e discontinuità vanno cercate nelle
relazioni tra dramma e farsa che caratterizzano l’interazione tra mondo
esoterico e mondo della comunicazione.
Dramma perché nella lotta tra satanisti e antisatanisti delle vite umane
vengono tormentate anche, e talvolta a causa, della sovraesposizione mediatica.
Farsa perché le strategie di offesa e di difesa adottate dalle parti in lotta
costituiscono un investimento di risorse materiali e psichiche che deviano intenzionalmente
dalla razionalità comunicativa producendo discorsi che non dialogano tra loro.
In entrambe le varianti la teatralizzazione del conflitto costituisce il campo
di battaglia in cui si confrontano le rispettive forze. E la loro capacità di
fuoco è fatta principalmente di parole sotto forma di accuse e controaccuse,
obiettivi dichiarati e non dichiarati, manipolazione e controinformazione,
nemici visibili ed invisibili, detti e non detti, beffe e beffati, dibattimenti
processuali e libri, libertà di espressione e censura, credenze ultramondane e
pensiero secolarizzato. Nella vicenda che oppone satanisti e antisatanisti il verbo
è il soggetto della contesa, i vecchi e nuovi media sono il palcoscenico
e il possesso della storicità è la posta in gioco (2).
Atto primo. Satanisti, antisatanisti e roghi post-moderni
Nella ricca, laica,
dotta Bologna da circa dieci anni si combatte una piccola guerra di religione
dal sapore medioevale. È il potere secolare, tramite diverse Procure, ad
esporsi inizialmente in prima linea inquisendo l’Associazione Bambini di Satana
(BdS) guidata da Marco Dimitri. Così come nel medioevo era del tutto
sproporzionato il rapporto tra Tribunali (laici o religiosi che fossero) ed
eretici, anche nel XX secolo l’asimmetria ha caratterizzato la vicenda di Marco
Dimitri e del suo gruppo. Ma ai nostri tempi non si può mettere sotto processo
qualcuno per le proprie idee, almeno non in Europa. Così tra il 1989 e il 1999
la Magistratura scarica sulla testa dei BdS accuse pesantissime come quelle di
pedofilia, violazione di sepolcro, profanazione di cadavere, violenza carnale,
usura e addirittura l’apertura di un filone d’inchiesta sulla pratica di
sacrifici umani (3).
Tra il 1996 e il
1997, durante il processo più importante, il primo in Italia contro un gruppo
di satanisti, il PM Lucia Musti giunge persino a paragonare i BdS alla mafia e
alla < banda della Uno Bianca> che ha terrorizzato l’Emilia-Romagna dal
1987 al 1994, commesso 90 rapine, 24 omicidi e rivelatasi poi formata da Agenti
di Polizia (4). Le ripetute assoluzioni/archiviazioni dei BdS hanno dimostrato
abbondanti dosi di arbitrarietà nel comportamento degli organi istituzionali:
da quelli giudiziari a quelli repressivi. Rari come mosche bianche i credenti
che hanno mantenuto un atteggiamento distaccato. Tra questi Massimo Introvigne
che così si esprime su uno dei primi coinvolgimenti giudiziari di Dimitri:
<Tra il 1989 e il 1992 infiltrati dei Carabinieri –forse in parte
<<volontari>>, che hanno cercato di spingere l’Arma, più o meno
entusiasta, sulle tracce dei Bambini di Satana- hanno provocato noie per
Dimitri e perfino un’irruzione nel 1992 a Savignano sul Rubicone, nel
Riminese…> (5).
Probabilmente lo
scopo principale di questa prima ondata di accuse è quello di far uscire allo
scoperto il piccolo gruppo di satanisti per dissolverlo come capita ai vampiri
a contatto con la luce del sole nei film di cassetta. Dimitri ne è certo:
obiettivo degli antisatanisti <è quello di terrorizzare. Infiltrandosi,
facendo irruzione con i mitra spianati durante un rituale e aprendo
un’inchiesta, che subito cade, il fine è quello di mettere paura a dei ragazzi…
Io stesso mi sono spaventato…> (6).
La strategia delle istituzioni, anche se in determinati casi composte
da volontari tra virgolette, si rivela efficace sul piano censorio ma rozza sul
piano comunicativo e in alcuni casi profondamente sbagliata. Decisamente la
denuncia del 1992 non è al passo con i tempi per quanto utilizzi gli strumenti
del proprio tempo. Ed è dettata più dalla paura del ritorno del satanismo
durante tutti gli anni ’80 che da una lucida considerazione del fenomeno:
risibile in termini quantitativi e culturalmente ininfluente in termini
qualitativi. Non solo: la manovra repressiva non tiene conto che nell’era della
televisione e di Internet il passato non è morto e sepolto ma è parte del
nostro orizzonte immediato e può essere attualizzato con una certa facilità.
La compresenza di tempi storici che conduce alla tribalizzazione della società è uno dei principi che il cattolico McLuhan ha appassionatamente divulgato. Ma a Bologna evidentemente non è stato troppo ascoltato. Così, nel corso di dieci anni la logica con cui le istituzioni affrontano i BdS è quella di una pratica discorsiva che modernizza la caccia alle streghe e mediovalizza il moderno maccartismo. La finalità è l’esclusione sociale. Nel medioevo portare le streghe allo scoperto significa più o meno automaticamente metterle al rogo presumendo di risolvere alla radice il problema dei saperi pagani. Ma l’era del villaggio globale, per quanto difettosa possa essere questa misura del mondo, permette l’esposizione di punti di vista differenti in tempo reale. Dimitri e alcuni esponenti del suo gruppo difendono tenacemente e pubblicamente le proprie scelte con conferenze stampa e denunce. Di più: subito dopo l’irruzione a Savignano sul Rubicone i BdS chiedono un processo. Che non ottengono. Pagheranno assai care le loro rivendicazioni. In un certo senso per le istituzioni bolognesi i secoli sembrano passati invano.
Ma non del tutto. Investono nelle moderne forme di comunicazione, dalla stampa quotidiana alla consulenza di esperti in scienze sociali, sostituendole alla gogna medioevale. Nel corso degli anni la Magistratura formula altre accuse nei confronti dei BdS: sempre più pesanti, sempre più infamanti quale quella di pedofilia. Accuse che cadono una dopo l’altra. E nonostante abbiano l’effetto di scompaginare le file dei BdS non riescono ad annientarli. La giustizia e l’integralismo perdono battaglie importanti. L’irruzione del 1992 ad esempio accende i riflettori su Dimitri e il suo gruppo. La giostra mediatica si mette in moto con tutta la sua insana voglia di scoop. E Dimitri si trasforma in una novità da dare in pasto al pubblico dei telespettatori. Ma sul piano della comunicazione la sconfitta più clamorosa subita dalle istituzioni è quella del 1996. All’ondata di imputazioni più pesanti contro i BdS interi settori dell’opinione pubblica bolognese si sollevano a difesa del diritto di libertà di espressione. I BdS non sono più soli. Dimitri, che tra i tanti capi di imputazione si ritrova anche quello di aver fatto a pezzi delle persone a colpi d’ascia durante un rito satanico, vede avvicinarsi inaspettati alleati. Le inchieste e i processi si trasformano in un film splatter dove al montaggio della Pubblica Accusa corrisponde lo smontaggio della controinformazione.
Atto secondo. La sostenibile normalità di un leader
Marco
Dimitri nasce a Bologna il 13 febbraio1963. È il secondogenito di una famiglia
di immigrati provenienti da una colonia greca della provincia di Lecce. Ironia
della sorte il padre è Appuntato di Polizia, mestiere, a detta di Dimitri,
scelto non per vocazione ma per necessità. La madre è casalinga con la licenza
elementare. I rapporti con i genitori non sono dei migliori, <quasi
inesistenti>: così li definisce Marco. La mancanza di intesa e di
comunicazione è accentuata con il padre. Ma è la madre ad essere
particolarmente severa tanto da far pensare a Marco che soffra di <esaurimento
nervoso> e di essere <un figlio non voluto, un incidente>.
Le condizioni economiche della famiglia sono difficili. Tuttavia Dimitri
trascorre un’infanzia non differente da quella di tanti altri coetanei
appartenenti alla piccolissima borghesia urbana: frequenta le scuole e conduce un’esistenza
regolare.
A
14 anni uno choc che segna per sempre la sua esistenza: resta orfano della
madre. Circa un anno dopo il padre si risposa. Dimitri si ritrova a vivere da
solo nell’appartamento dei genitori situato nel centro storico di Bologna. La
strada lo attrae. Fa vita notturna. Frequenta compagnie equivoche. Abbandona al
primo anno l’Istituto Tecnico Industriale Statale (ITIS). Ma subito riprende
gli studi e frequenta per tre anni una scuola professionale (ECAP). Ottiene
l’attestato di Tecnico specializzato in telecomunicazioni. Le scelte
scolastiche di Marco sono motivate da una passione manifestata sin da piccolo
per la tecnologia. Nel 1979 muore il padre. I rapporti con il fratello, di 10
anni più grande, sono frammentari e distaccati e tali resteranno. Nonostante le
difficoltà la sua esistenza è simile a quella di molti adolescenti: è
volontario sulle ambulanze della Pubblica Assistenza Bologna, frequenta gruppi
di amici, va in palestra e impara il kung fu, smanetta con il computer, pratica
videogiochi, frequenta comunità di radioamatori. I suoi primi PC sono: Spectrum
Sincalir, Texas T99 A, Atari ST.
Così
come la passione per la tecnologia si manifesta sin dall’infanzia, altrettanto
precoce è l’attrazione di Marco per l’esoterismo. A soli 12 anni Dimitri
frequenta un gruppo chiamato Fratellanza Cosmica. Gruppo che esiste tutt’oggi
sotto altro nome. L’attività prevalente di Fratellanza Cosmica è di tipo
culturale e consiste in conferenze tenute ogni sabato su temi quali: misteri
egiziani, occultismo ecc. Contemporaneamente, con alcuni compagni di scuola,
Marco utilizza le 12 ore disponibili concesse in autogestione per fare sedute
spiritiche, discutere <sui vari perché dell’esistenza>. Dopo due
anni Dimitri lascia Fratellanza Cosmica ritenendola ormai un’esperienza
insoddisfacente. Si accentua l’attrazione per il satanismo che è <latente
da una vita>. Insoddisfatto dai messaggi offerti dalla società
dell’informazione perché <tutto è filtrato, tutto è finto…>,
compresa la politica, Dimitri approda ad una concezione vitalista dell’essere:
<L’unica verità è che la vita è espressione dell’Ego>. E così il
giovane Marco abbandona il gioco delle sedute spiritiche. Le quali: <sostanzialmente
divertenti, non ti danno nulla>. L’adolescente Dimitri s’incammina alla
<ricerca della forma geometrica della vita>. Da qui: <il
simbolismo, la magia. Da qui si arriva ad una presa di coscienza e
all’espressione di una visione magica della vita>.
A
prima vista può sorprendere l’accostamento tra la ricerca del passato remoto e
il presente dell’alta tecnologia. Non è
così se si osserva l’uso sociale del computer. La cui <vera funzione è
quella di programmare e di orchestrare ambienti ed energie terrestri e
galattici in modo armonioso. Da secoli la mancanza di simmetria e di proporzione
in tutti questi campi ha creato una specie di condizione spastica universale,
dovuta alla mancanza di inter-relazioni tra essi. … Il computer abolisce il
passato umano rendendolo interamente presente> (7).
A
differenza delle ottimistiche previsioni di McLuhan con le nuove tecnologie non
si supera il movimento a scatti, tipico dello spastico, dei ritmi storici:
l’armonia tra terrestre e galattico, tra finito e infinito è ben lungi
dall’essere raggiunta. Tantomeno quella tra immanente e trascendente. Tuttavia
l’attualizzazione del passato per mezzo della cultura scientifico/tecnologica,
l’uso collettivo dei nuovi ambienti di servizio, dalle strade d’asfalto ad
Internet, e la tribalizzazione dei comportamenti autorizzata da questi stessi ambienti
permettono in qualche misura l’emergere della lunga durata nella
contemporaneità, aprono territori per la ricerca di un nuovo senso
dell’esistenza. Nel caso dei BdS hanno ammesso la sperimentazione di una nuova
identità, il tentativo di migrare dall’attuale ordine del tempo. E ai primi approcci di Marco con la magia
segue il passo decisivo: <Sono arrivato ad abbracciare il satanismo
perché è l’unica forma che ti rende te stesso. Perché le filosofie sociali e le
religioni ti spingono a non essere quello che sei. Ti spingono a vedere il
leader e i suoi seguaci, Iddio e i sottomessi.
Per me quello che è vero è la presa di coscienza di sé stessi>.
Il
nome da iniziato di Marco è: Bestia 666 (colui che identifica se stesso dio). Nell’Apocalisse il numero 666
corrisponde alla Bestia, ossia a Satana. Ma il Satana a cui fa riferimento
Dimitri non è quello veicolato dalla Chiesa Cattolica. Non è il cosiddetto
diavolo. Bisogna intendersi sui termini. Marco si accosta al demoniaco, non al dio del male della
tradizione cristiana. L’approdo è alla parte pagana di Satana, al mito di Pan.
<Pan
è l’istinto, la dualità, il sapere. Rappresenta la verità, il lampo di genio,
la forza che t’assale. Nella mitologia greca Pan ha un aspetto animalesco. Ha
la barba, le corna, i piedi da capro. Questa figura è stata poi adottata dalla
Chiesa per rappresentare Satana come un’entità che spaventa, fa paura, è
malvagia. Il caprone che si vede all’interno della stella e che è il simbolo
dei BdS è Pan, il demone pagano… I demoni esistono in tutte le culture, anche
in Cina. Sono forze che muovono eventi, saperi, linguaggi…> (8)
Nel
1984 Dimitri inizia a lavorare come guardia giurata. Attività che manterrà per
5 anni. Nel 1989 viene licenziato a causa del clamore suscitato dall’apertura
della prima inchiesta provocata da un carabiniere infiltrato in uno dei gruppi
satanisti organizzati da Marco. Inchiesta che come quelle successive si
rivelerà una bolla di sapone. Non è che l’inizio di un’escalation d’accuse che
finiranno per ridurre la vita di Dimitri ad un vero e proprio inferno. Per un
breve periodo Marco si mantiene leggendo le carte. Attività che va contro i
suoi principi. Lascia la magia a pagamento e sbarca il lunario con lavoretti
saltuari. Ma dopo le inchieste del 1996 e del 1999 per il leader dei BdS
trovare lavoro è un problema serio. Dal 2001 è collaboratore esterno di una
cooperativa sociale per la quale insegna informatica, realizza pagine web,
svolge attività di Web-Master per il sito della cooperativa e di altre strutture.
Si
tratta di un’attività precaria e mal retribuita. Dimitri vive a Bologna nella
casa dei genitori, in un condominio di proprietà dell’Iacp. Attualmente ha mesi
e mesi di affitto arretrato da pagare per l’insolvenza causata da oltre un anno
di carcere e dall’odissea giudiziaria. L’ormai quasi quarantenne fondatore dei
BdS è una persona minuta, emaciata, piccola di statura. Veste sempre di nero,
ha le braccia coperte di tatuaggi, una discreta teoria di piercing alle
orecchie, fuma come un turco, è animalista e vegetariano. A guardare le foto
che lo ritraggono dieci anni prima si percepisce un individuo fortemente
provato nonostante il look sia sempre lo stesso: capelli corvini pettinati in
avanti che nascondono gli occhi, giubbotto di pelle nera e mise da metallaro.
Il più delle volte lo sguardo di Marco è spento, parla a voce bassa, le sue
risate sono brevi, nervose. Spesso un forte tremore gli percorre le mani.
Soffre di attacchi di panico ed è perennemente in bolletta.
Atto terzo. Molti attori per due società
Contrariamente alle conclusioni a cui probabilmente giungerebbe un
teorico post-moderno il conflitto satanisti/antisatanisti mostra che le
metanarrazioni (religioni e ideologie politiche) abitano ancora la mente e il
cuore degli esseri umani. La vicenda dei BdS non rappresenta solo un tentativo
da parte di una subcultura metropolitana di differenziarsi nella babele di
stili e significati, o il confronto tra una piccola certezza neo-pagana e la
grande certezza cattolica. Tutto cambia nel momento in cui i linguaggi e il
senso del tempo di cui sono portatori entrano in collisione. A questo livello
finisce la pacifica convivenza post-moderna tra innumerevoli soggettività e si
torna allo scontro politico. Caduta la fiducia reciproca comunicare è combattere.
Nel caso dei BdS il conflitto è giocato nelle aule dei tribunali ma
anche e forse soprattutto sul piano mediatico privilegiando la stampa e il suo
strumento preferito, la scrittura. Certo, TV e radio locali, e in misura minore
quelle nazionali daranno spazio alle vicende processuali del 1996 e del 1999.
Ma sarà soprattutto il quotidiano bolognese il Resto del Carlino a sferrare gli
attacchi più violenti, quelli maggiormente continui e che etichetteranno
Dimitri come deviante. Tramite il <Carlino> i BdS sono protagonisti di
una drammatizzazione della realtà che spesso entra nella farsa per riemergere
come fiaba o come favola. Protagonisti ma non primi attori. Tutt’altro.
Nella dimensione bolognese il fronte degli antisatanisti comprende: la
Pubblica Accusa, ossia il Sostituto Procuratore Lucia Musti che incriminerà due
volte i BdS; il Gris (Gruppo Ricerca e Informazione sulle Sette); il Resto del
Carlino. Con circa 40.000 copie giornaliere il <Carlino> egemonizza la
comunicazione della carta stampata in città e scatenerà una vera e propria
campagna di linciaggio mediatico contro i BdS facendo da grancassa alle accuse
della Musti. Il <Carlino> rappresenta l’emittente ufficiale/ufficiosa del
fronte antisatanista. La battaglia del quotidiano bolognese contro i BdS presenta
una caratteristica che ne segna per intero la performance: il linguaggio che
adopera non significa tanto l’uscita dal quel teatro della rappresentazione
chiamato Informazione quanto l’ingresso in una nuova finzione narrativa. Nei confronti
dei BdS il <Carlino> rinuncia alle funzioni di mediazione e di
negoziazione della comunicazione premendo principalmente sulla funzione emotiva
del linguaggio: il sensazionalismo e l’idea che vince chi convince sono i
pilastri su cui si basa il suo modo di fare informazione. Rispetto ai BdS la
scrittura del <Carlino> è prevalentemente connotativa: realizza un alone
semantico tramite il quale produce un significato secondo, nascosto tra le
pieghe delle parole. Risultato: gli articoli si trasformano in armi, in
manganelli, in gogna. E un “pestaggio mediatico” per lasciare il segno non ha
che una strada: inventare una favola e ripeterla il più possibile.
Lo scopo di impartire una morale attraverso la ridondanza è evidente
sin dal “colore emozionale” dei titoli dei 93 articoli che abbiamo preso in
considerazione nel periodo che va dal 24 gennaio 1996 al 26 giugno 1997. Una
breve rassegna: Messe nere a luci rosse; La messa è finita, andate in
galera; Diavoli sotto torchio; A dodici
anni si consegnavano a Satana; Bambini a luci rosse; ‘Dimitri è libero, io mi uccido’; Il diavolo in Cassazione;A
tre anni nelle mani della setta; Messe nere, caccia al quarto uomo; Satanisti e
seviziatori; La maledizione della statua dei satanisti; Il bimbo contro Satana;
Violentato a 3 anni nella bara col morto; Bambini di Satana, spa del crimine;
L’avvocato di Satana attacca il pm; Satana non fa miracoli; Il pm, quella setta
è come una cosca; Il licantropo in gonnella; E la difesa di Dimitri aspetta la
luna piena; Baby nomade offerto a Satana; L’orrendo disegno del diavolo;
‘Satanisti, siete perduti’. Talvolta, sembra di leggere titoli di
film-spazzatura.Non a caso diversi articoli sono corredati da foto
tratte da film horror e vignette dello stesso tenore (9).
A questo punto ci si aspetterebbe un fronte di satanisti. Attesa
delusa. Il fronte non c’è. Ed è una fortuna. Altrimenti la trama sarebbe
scontata. Certo ci sono i BdS che del satanismo fanno una bandiera. Ma con i
processi del 1996 e del 1999 il loro potenziale comunicativo è ridotto pressoché
a zero. Dimitri e i suoi sono comparse shockate e balbettanti che protestano la
propria innocenza. Solo dopo oltre nove mesi di carcerazione preventiva quando
ormai il teorema della Procura bolognese sta cigolando paurosamente, il
quotidiano la Repubblica intervista Dimitri. È l’11 febbraio1997. Per la
campagna del <Carlino> è arrivato l’inverno. Ormai gli altri organi di
informazione locale hanno più che subodorato l’inverosimiglianza delle accuse e
la scarsa attendibilità dei testimoni chiamati dalla Magistratura. Ma è dal
1996 che la parte più garantista della società civile bolognese reagisce con
forza ad una caccia alle streghe allestita sul finire del XX secolo con buona
pace per i “tramontatori” delle ideologie. Dopo alcuni iniziali tentennamenti e
le prove mai provate della Procura, le pagine locali dei quotidiani la
Repubblica e l’Unità assumono un atteggiamento meno emotivo soprattutto dinanzi
all’accusa di pedofilia, all’epoca molto sentita dall’opinione pubblica dopo la
scoperta della fitta rete di compravendita di bambini in Belgio organizzata da
Marc Dutroux diventato tristemente noto come il <mostro di Marcinelle>.
L’atteggiamento equilibrato di questi due quotidiani è preceduto dalla
netta presa di posizione della sinistra antagonista, della stampa alternativa
come il periodico Zic (Zero in Condotta) e principalmente da un <ironico
guerrigliero dell’informazione>: Luther Blissett (10). Né Blissett né gli
altri gruppi della sinistra bolognese aderiscono al satanismo. E in questo
senso non si può parlare di un fronte satanista. Ma interpretano la vicenda
processuale dei BdS come un pretesto per limitare le garanzie costituzionali in
materia di libertà di parola. A colpi di comunicati stampa, articoli,
trasmissioni radiofoniche dalla locale Radio Città del Capo e altre iniziative
pubbliche Blissett guida la controffensiva antigiustizialista che dietro la
vicenda dei BdS nasconde un tentativo assai più ambizioso: imbavagliare la
comunicazione sociale, imbrigliare l’orizzontalità dell’informazione permessa
dai new media come Internet (11). Si apre un nuovo orizzonte semantico: la
vicenda BdS non è più una faccenda privata data in pasto al pubblico ma un caso
politico. Tanto politico che come spesso accade in queste circostanze si
costituisce spontaneamente un collegio di quattro avvocati che difende
gratuitamente gli accusati.
E i satanisti dichiarati? Sin dalle sue prime battute nel periodo
1989-1992 e tanto più con le incriminazioni del 1996 e 1999 il fronte
dell’antisatanismo è riuscito a depistare l’opinione pubblica: il confronto non
è tra culture differenti, tra credenti e non credenti, tra pagani e cristiani.
Il <Carlino> cuce addosso a Marco Dimitri l’immagine del criminale e i
BdS dei colpevoli condannati in partenza: per questo quotidiano la presunzione
di innocenza fino alla sentenza definitiva non è mai valsa. Per mezzo di una
pratica discorsiva orientata a produrre rigetto sociale nei confronti del
piccolo gruppo dei BdS, o, in parole più povere, tramite la collaudatissima
tecnica dello <sbatti il mostro in prima pagina>, torna a funzionare
egregiamente il meccanismo del capro espiatorio. Ma soprattutto torna a
funzionare il modello comunicativo autoritario teso a creare il diverso su cui
indirizzare le pulsioni aggressive di masse frustrate e rafforzare l’identità
collettiva dominante attraverso l’esclusione di chi è considerato estraneo.
Nei confronti dei BdS il <Carlino> fa perennemente leva
sull’irrazionalità offuscando la corretta informazione e la dovuta obiettività.
Un esempio: l’articolo del 10.06.1996, La mia battaglia con Satana,
firmato da Biagio Marsiglia: Si tratta di un’intervista concessa dal Sostituto
Procuratore Lucia Musti. Ecco l’incipit: <Gli occhi del diavolo. Si
addormenta scacciandoli, si sveglia
sfidandoli. Se li sente addosso tutto il giorno, ma non li teme. Perché
lei li combatte … Agli occhi del Maligno oppone i suoi, quelli di una donna con
la toga addosso … Oggi andrà in carcere assieme al Gip Grazia Nart per
l’interrogatorio di rito. Due donne contro gli occhi del Diavolo>. L’articolo è corredato di due foto:
una ritrae la Musti in versione acqua e sapone, l’altra un inquietante primo
piano degli occhi di Dimitri. Esempio di pura fiaba giornalistica articoli come
questo sono moneta corrente sul quotidiano bolognese.
L’obiettivo è la gestione tecnica dell’opinione pubblica. E, coerentemente, la politica dell’informazione
del <Carlino> è quella di fabbricare pregiudizi: nei confronti degli
immigrati extracomunitari, della microcriminalità, dei tossicodipendenti, dei
contestatori, dei punkabbestia (12). D’altra parte il pubblico del maggior
quotidiano bolognese è tradizionalista. Non potrebbe non esserlo in una città
che su 380.000 abitanti conta 90.000 anziani (dati relativi alla seconda metà
degli anni ’90). Assai fiacco sul piano
culturale il <Carlino> riproduce
l’intolleranza verso i più deboli e le fasce marginali della popolazione più
come atteggiamento mentale che come atteggiamento politico pur essendo sempre
schierato dalla parte dei dominatori e pur avendo alle spalle una storia
nerissima come quella del pieno appoggio al regime fascista durante il
ventennio. Ieri come oggi la funzione del <Carlino> è quella di coltivare
la società di massa, farla crescere, educarla alla fiaba dell’orco cattivo,
alla paura, all’ossequio nei confronti dell’autorità. E’ così che sul piano
comunicativo si costituisce l’uomo medio, l’uomo della strada contrapposto al
deviante e al delinquente. Foucault avrebbe forse trovato il quotidiano
bolognese un interessante documento/monumento della governamentalità (13).
Alla massificazione sociale si oppongono alcuni segmenti della società
civile bolognese. Luther Blissett in testa. A quale società appartengono
costoro? Alla società dello spettacolo (14). A questa dimensione corrisponde la
concezione del tempo soggettivo e molteplice. Alla società di massa corrisponde
la concezione escatologica e finalistica del tempo. Due società si contendono
il dominio dell’avvenire. E la lotta per il possesso della storicità è una
chiave di volta per interpretare il conflitto tra satanisti e antisatanisti. In
palio c’è il tempo: dimensione costitutiva dell’identità individuale e
collettiva. Anche i BdS fanno parte della società dello spettacolo. La loro
specifica sub-cultura si richiama tra l’altro alle provocazioni Heavy Metal, al
rock satanico, alla musica death metal (rock della morte). Esplosive miscele
che coniugano visioni horror, trasgressioni sessuali, uso di droghe,
immaginario delle miscredenze medioevali. Tutte espressioni che il fondamentalismo
cristiano ritiene sataniche. Leggende, oltretomba, miti, esoterismo,
occultismo, antichi saperi, lingue morte, civiltà scomparse, culti misterici
sono punti di riferimento per una nutrita fascia di giovani dagli anni ’80 ad
oggi. Anni pericolosissimi per le confessioni maggioritarie che minacciate dal
proliferare di nuove religioni iniziano a derogare dall’habeas corpus.
Certo, il lillipuziano esercito dei BdS non dà spettacolo: è in rotta,
i capi incarcerati. I BdS non fanno fronte ma resistono per interposta persona.
Luther Blissett raccoglie la bandiera e passa al contrattacco politicizzando il
caso Dimitri. Una solidarietà inattesa dall’esercito compatto e armato fino ai
denti degli antisatanisti. Imprevisto che costerà loro la vittoria sperata: la
colonizzazione della memoria collettiva, il controllo totale dell’opinione
pubblica. A Bologna, la società di massa confina ancora con la società dello
spettacolo. Due realtà che si integrano e si combattono, che continuano a
lasciare in sospeso discorsi provenienti dal lontano passato. Oggi le grandi
narrazioni non hanno forse più grandi narratori in odore di santità o eresia ma
continuano ad attraversare la lingua: all’interno e all’esterno, nel suo
doppiofondo e nelle sue esibizioni.
Atto quarto. La valle della visibilità
L’Associazione Bambini di Satana nasce
nel 1982 e raduna una decina di giovanissimi aderenti. Prima di allora le
riunioni sono praticamente un gioco tra compagni di scuola capitanati da Marco
Dimitri che fonderà l’Associazione di cui tutt’oggi è il leader. In quegli anni
le liturgie del gruppo sono ovviamente clandestine anche se Marco è personaggio
assai noto negli ambienti underground bolognesi: un metallaro con il pallino
del diavolo non è un soggetto propriamente ordinario per quegli anni. Finché
nel 1989 un infiltrato dei carabinieri fa esplodere il caso giudiziario. Viene
aperta un’inchiesta. Marco è accusato pubblicamente dall’Arma di organizzare i
<Venerdì delle vergini> dove a detta del carabiniere infiltrato
<stupravo, sverginavo uomini e donne. Per fortuna avevo un alibi a
prova di bomba. Proprio il venerdì facevo servizio di scorta ad un industriale
di Bologna. Era la mia unica sera di servizio>. Così il caso viene
presto archiviato. Ma la stampa, bisognosa di novità e di sensazionalismo non
molla. Addirittura battezza il gruppo di ragazzi e li chiama Bambini di Satana
mutuandolo da quello di Bambini di Dio con il quale nulla ha a che spartire
(15). Ma l’appellativo piace a Dimitri che lo adotta <perché ha a che
fare con la purezza, la creazione propria interiore del bambino,
l’autofecondazione della volontà>.
Inizia
con un nome imposto dalla carta stampata la lunga discesa di Dimitri nella gola
profonda dei mass-media. Non è un caso. La nominazione è un marchio che
contrassegna e ordina, concede appartenenza e riconoscibilità, è un atto di
dominio e un’appropriazione che passano inosservati agli stessi battezzati. Una
genesi battesimale che nel vocabolario dell’interazionismo simbolico significa
dare forma al sé, modellare l’identità. Oppure, nel linguaggio di Foucault,
significa assegnare una genealogia, attribuire il potere di costruire un
oggetto d’osservazione. Una concessione non da poco insomma. Tuttavia l’uscita
allo scoperto dei BdS è nell’aria. Da tempo il gruppo di ragazzi riuniti
attorno al cerchio magico ha in mente di rendere pubblico il loro pensiero, il
loro modo d’essere, l’ostilità antistituzionale. La morbosa curiosità della
stampa dà la stura all’uscita dalla clandestinità: l’informazione dell’opinione
pubblica sulle attività dei BdS diventa un imperativo per gli stessi associati.
L’obiettivo
è quello di: <riarticolare il pensiero magico, il demoniaco. La funzione
è soprattutto quella di studio e informazione perché il demoniaco, alla fine, è
anche alla base della scienza, dell’arte. È come l’Ego-Istinto. È la voglia di
eiaculare nel mondo a livello mentale, di espandere il proprio istinto, di
assaggiare, toccare, essere, di armonizzare ma di andare anche oltre. Penso che
il demoniaco sia la base di ogni cultura. Almeno di ogni scienza e di ogni
arte. Se non c’è la carica istintiva della superbia, del volere e vedere oltre
nella scienza o nelle varie arti non saremmo arrivati qua>.
In
un paese cattolico come l’Italia la morale dominante è ordinata dalla parola
scritta, stampata nella Bibbia. È fondata sul valore dello spazio visivo
dell’alfabeto fonetico e permette l’autonoma creazione di immagini mentali. Non
così nel linguaggio televisivo. Le cui immagini, contrariamente a quello che
intuitivamente si potrebbe pensare, non esaltano il senso della vista ma quello
del tatto. Per McLuhan l’immagine televisiva conduce ad un declino della
cultura visiva a favore di quella audio-tattile. L’immagine televisiva non è
tanto visiva quanto tattile perché coinvolge totalmente lo spettatore.
Coinvolge tutti i suoi sensi facendoli convergere nel tatto che è il senso
integrale: quello che mette in relazione tutti gli altri sensi tra loro. In
ambienti come quello televisivo il coinvolgimento è viscerale anziché visuale
(16).
Fondati
su un linguaggio tattile di tipo televisivo, contenuti tribali come quelli
proposti da Dimitri (assaggiare e toccare, essere e armonizzare)
destano la famelica attenzione dei media, a loro volta grandi catalizzatori/produttori
di tribù post-moderne. Inizia per Marco un lungo tour di apparizioni
radiofoniche e televisive. E’ corteggiato da giornalisti e presentatori che
soffiano sulle fiamme dell’inferno per fare audience. Anche se oggi riconosce
una certa ingenuità Dimitri sta al gioco. Capisce che si tratta di uno scambio.
Si concede a servizi fatti di immagini neo-gotiche, di oscuri rituali allestiti
ad hoc con tanto di teschi, draghi alati e candele accese. Tutto per soddisfare
le esigenze del piccolo schermo. Naturalmente si tratta di rappresentazioni.
Oggi Dimitri lamenta che queste messe in scena hanno concesso poco ai contenuti
culturali: <mentre non veniva tagliata l’immagine veniva tagliato il
dialogo>. Ma non c’è altra strada che quella per farsi conoscere. E la
strategia sembra avere successo.
La
TV spalanca le braccia al Diavolo. Nel 1993 Dimitri partecipa a programmi che
Gramsci avrebbe definito nazional-popolari come <Maurizio Costanzo Show>
ideato dall’omonimo giornalista; <Fatti vostri> condotto da Alberto
Castagna il presentatore più amato dalle casalinghe, <Il gioco della
verità> condotto dalla star del piccolo schermo Marco Balestri. Partecipa a
trasmissioni del conduttore Tv Funari ed è intervistato dalla Rai (Italia in
diretta). Guru del giornalismo italiano come Enzo Biagi lo invitano nella
trasmissione <Linea diretta> e Bruno Vespa nella celebre <Porta a
Porta>. Partecipa a talk show, dibattiti (uno addirittura con Monsignor
Milingo). È intervistato da emittenti televisive straniere. È ospite di una
miriade di trasmissioni secondarie su TV nazionali e locali. Insomma, Marco
Dimitri diventa un personaggio pubblico. <Perché mi correvano dietro? Per
un fatto commerciale. Un gruppo di satanisti in Italia non si era mai visto>.
I
BdS insomma costituiscono la prima associazione satanista dotata di una così
forte esposizione mediatica dell’Italia repubblicana. Ecco definitivamente
consacrata alla platea del piccolo schermo la tribù dei BdS. Ma ecco la
precipitazione del discorso pubblico nella dimensione del combattimento. I
media, in particolare la Tv, sono l’arena per allestire lo spettacolo della
guerra delle parole: <ogni medium è tra l’altro un’arma poderosa per
aggredire altri media e altri gruppi> (17). I motivi dello scontro
sono vari e classici. Lo spazio, il verbo e la verità per esempio. Secondo
Dimitri la Chiesa gode di una visibilità maggiore rispetto ad altre confessioni
e ad altre filosofie perché <è un altro tipo di Satanismo. La Chiesa usa riti e strumenti magici come
l’altare, la coppa, la campanella, l’incenso. Ma hanno talmente devastato la
magia che adesso i maghi sono solo i ciarlatani>. In una trasmissione
televisiva il servizio d’ordine dello studio interviene per contenere un
sacerdote che in diretta tenta di aggredire il leader dei BdS per le sue
affermazioni contro la Chiesa di Roma bollata come <criminale storica>.
Atto quinto. Il prezzo del successo
Contrariamente alle aspettative degli antisatanisti
l’esposizione mediatica moltiplica le iscrizioni all’associazione BdS. Che
partiti da una decina di iniziati arriva <intorno alla prima metà degli
anni ’90 a 700-800 iscritti>. Secondo Introvigne non hanno superato i
200, mentre dagli elenchi sequestrati dalla Magistratura nel 1996 risultano
circa 600. Comunque sia sono troppi. Soprattutto sono sparsi in tutta Italia.
Le forze dell’antisatanismo reagiscono con violenza alla possibilità che quella
che si presenta ai loro occhi come una setta si allarghi e magari possa
addirittura trasformarsi in un piccolo movimento di opinione. Siamo
lontanissimi dalla strategia dei dotti cattolici del XIX secolo che con
erudizione sconfinata tentavano di superare in sapienza i chierici
dell’esoterismo. Nel XX secolo niente più guerra dei libri. Niente più scontro
tra intelletti puri. E così dalle parole si passa ai fatti. Il 24 gennaio 1996
nei confronti dei BdS scattano nuove imputazioni: ratto a fini di libidine e
violenza carnale nei confronti di una sedicenne.
<I carabinieri arrivano a casa con un mandato d’
arresto e un’accusa: stupro di gruppo nei confronti della ragazza di un mio
amico. Veniamo ingabbiati in tre (18). Tento il suicidio ma me la cavo
(19). Il 12 febbraio, siamo scarcerati dal Tribunale del Riesame per mancanza
di prove. Torno a casa, ovviamente devastata dalle perquisizioni. Intanto
attorno a me s’è creato il vuoto. Ritento il suicidio. Il perché è evidente. Mi
salvo una seconda volta. Ma pochi mesi dopo a me e i miei amici piove addosso
una nuova accusa. Violenza su un bambino di tre anni dentro una bara con un
cadavere il cui nome è Margherita. Reato avvenuto in luogo e data sconosciuti.
Però secondo la magistratura il bambino è attendibile e così sono stato in
prigione per un anno. Un anno di isolamento nel carcere bolognese della
Dozza>.
Un cadavere di nome Margherita. Potrebbe essere il
titolo di un romanzo poliziesco o di un film di Dario Argento. Invece è la
sequenza di una fiaba partorita dalla mente di un bambino di tre anni allevato
in una famiglia timorata di Dio e in contatto con due esorcisti: Padre Clemente
della Chiesa di S. Francesco a Bologna e padre Francois Dermine, sacerdote
canadese della Diocesi di Ancona. Due esorcisti all’opera in una città
apparentemente laica. Un anacronismo nella Bologna soffocata dal moderno smog
automobilistico e dal post-moderno Dams (Discipline Arti, Musica e Spettacolo)
della locale Università? Nient’affatto se si osserva la produzione di verità
sul piano teatrale. E’ a questo crocevia che dramma e farsa si combinano
trasformando una commedia in un coinvolgimento del pubblico. Non ci troviamo
dinanzi all’iperrealtà di Baudrillard e dei post-moderni ma ad una sottorealtà
in cui la finzione acquista spessore simbolico, evocazione esistenziale. Ci
troviamo dinanzi a forme costanti: simboli e credenze provenienti dalla
storia. La storia delle religioni e del loro smarrimento nella notte dei tempi.
È l’emergere dei processi di lunga durata nel presente moderno e post-moderno.
Due esorcisti
in azione contro il demonio. Anzi tre. A Padre Clemente e Padre Dermine
successivamente si unisce un demonologo della parrocchia di S. Lucia di
Firenze, Padre Francesco. Ma è Padre Clemente ad impartire <robuste
benedizioni> ad un bambino che a detta della famiglia è indemoniato e si
agita alla sola vista delle foto di Dimitri. La squadra di esorcisti tenta di
liberare dal Maligno anche la ragazza che accusa di stupro i BdS e che è
considerata da magistratura e <Carlino> la superteste nel processo sulla
presunta violenza al bambino. Senza riuscirci. Dopo la vicenda processuale la
superteste finisce a fare foto osé per riviste dozzinali in una scenografia da
messa nera (il copione ha le sue esigenze). Ma la realtà dello spettacolo non
supera lo spettacolo della realtà. Alla fine del XX secolo il medioevo
rigurgita la modernità o forse il contrario. Per affrontare il dubbio andrebbe
analizzato a fondo il ruolo del Gris, il centro studi che ha fatto da tramite
tra testimoni della Pubblica Accusa ed esorcisti.
A noi basta
osservare che nel caso dei BdS l’oscillazione tra dramma e farsa si rivela
nell’istruttoria e nell’andamento processuale. L’inattendibilità dei testi, il
cambiamento delle deposizioni, il mutamento dei capi di imputazione durante il dibattimento
fanno della farsa un dramma e del dramma una farsa. C’è qualcos’altro in questa
commedia oltre ad un tentativo di normalizzazione, un incedere della
repressione, una reazione del potere per il potere. C’è l’interdizione a
qualsiasi altra risposta che non sia quella della morale dominante al dolore
collettivo prodotto dalla modernità e dalla sua specifica esperienza del tempo.
Il tribalismo che caratterizza l’era tecnologica semina il panico nelle
confessioni maggioritarie perché i mondi tribali si presentano come stabili,
forniscono certezze e danno risposte esistenziali. Sicurezze che il cristianesimo
ormai corrotto dal suo essere mondano è sempre meno in grado di fornire.
Atto sesto: la guerra dei mondi inventati
Il
fitto scambio tra reale e irreale che caratterizza la vicenda dei BdS
rappresenta una fuga dall’idea di razionalità comunicativa fondata sulla
reciproca comprensione e teorizzata da Habermas (20). Se si può considerare
l’intervento degli esorcisti un eccesso, significativo ma socialmente
residuale, non altrettanto si può dire della linea del <Carlino>. Nel
caso dei BdS, ma vale anche per immigrati e microcriminalità, la strategia del
quotidiano bolognese si articola su un quadrilatero di posizioni: creare
scientificamente allarme sociale, <panico morale> per dirla in termini
più tecnici; definire comportamenti e gruppi marginali come socialmente
pericolosi, come puro male da estirpare; colpevolizzare il presunto deviante in
nome di un’astratta normalità; invocare la repressione poliziesca. Strategia
comunicativa che ha un risultato: spaventare l’opinione pubblica costringendola
ad uno stadio infantile, irrazionale di lettura della realtà. Gliadulti,
i razionali nel medioevo post-Gutemberg prodotto dal <Carlino> sono: il
giornalista, il magistrato, il carabiniere: colui che crea l’evento, colui che
lo giudica, colui che lo sancisce. Sotto questa prospettiva il quotidiano
bolognese racconta ai suoi lettori delle fiabe di cui sarebbe interessante
ricostruire l’esatta morfologia. Ma oltre la fiaba ci sono gli interessi
materiali, ci sono i giochi di potere. E dagli elementi che abbiamo messo
insieme risulta assai probabile che la comunicazione amplificata prodotta dal
Carlino rispetto al processo contro i BdS abbia avuto la funzione di creare uno
scandalo immaginario anche per allontanare i riflettori dallo scandalo reale:
il contemporaneo processo contro la banda di criminali della Uno Bianca
composta da Agenti di Polizia. Distogliere l’attenzionedell’opinione
pubblicada gravissime responsabilità istituzionali scatenando
l’indignazione collettiva su un piccolo gruppo sovraccaricato di valenze
antisociali ha contribuito potentemente ad impedire la messa in crisi delle
locali forze dell’ordine e della magistratura ed anzi ha creato loro un
sostegno in nome della legge e della giusta morale.
Con
il caso dei BdS siamo dinanzi ad una produzione/circolazione di segni che
formulano altri segni. Siamo dinanzi ad una specifica semiosi che si traduce in
una guerra di parole. Come in ogni guerra saltano le regole della reciproca
comprensione e della vita civile. Ma anche la guerra ha le sue regole e la
sorpresa rappresenta spesso una mossa vincente. Ecco entrare in scena Luther
Blissett. Personaggio dotato di una strategia comunicativa da far girar la
testa: <Luther Blissett non crede alla classica, inefficace
“controinformazione” (il cercare di “ristabilire la verità”). Al contrario, vuole
spingere le cose al limite, dove del tutto naturalmente esse si capovolgeranno
e sfasceranno. Bisogna andare più lontano nel sistema della simulazione.
Spiazzare ed esagerare la paranoia, portare il loro gioco (la “disinformazione”)
fino all’estremo paradosso, passare ai bounty-killer mediatici informazioni
stupide e sbagliate (notizie di assurde cospirazioni, depistaggi, indizi
intollerabilmente ambigui…). Fare della logica propria del sistema l’arma
assoluta. Omeopatia mediatica: superare l’intossicazione (panico morale)
aumentando la dose di veleno (psicosi del complotto) può renderci immuni e
rivelare l’intima assurdità dei loro teoremi>. (21)
Alla
fiaba del <Carlino>, Blissett oppone una fitta serie di beffe mediatiche
(22). E’ il muro contro muro di un conflitto narrativo. E’ l’incomunicabilità.
Luther organizza una burla in cui il quotidiano felsineo cade in pieno.
Abbandona al deposito bagagli della stazione ferroviaria di Bologna uno
zainetto contenente un vecchissimo teschio proveniente forse da un istituto
universitario. Dopo circa tre mesi invia una lettera anonima al giornale
bolognese con relativo scontrino spacciandosi per cacciatori di satanisti e
sostenendo che nello zainetto depositato alla stazione si trovano i resti dei
rituali dei BdS. I giornalisti del <Carlino> abboccano. Pagano 295.000 £
di cauzione e il giorno dopo (3 agosto 1996) sul quotidiano bolognese compare
la notizia con richiamo in prima pagina e un succoso articolo all’interno con
tanto di macabra foto. Subito scatta la rivendicazione di Luther Blissett che
conclude un comunicato-stampa con la frase: <Per una balla che ho
inventato io, quante se ne è inventate il <Carlino>?>.
Sia
sul piano professionale che culturale la figura del quotidiano bolognese è a
dir poco pessima. E scredita ulteriormente la campagna di criminalizzazione
messa in atto contro i BdS da parte di un giornale che neppure per un momento
ha tentato di comprendere il fenomeno non fosse altro che per rispetto dei
propri lettori. A difesa del quotidiano bolognese si può dire che la
concorrenza televisiva costringe la carta stampata alla notizia gridata e che i
giornalisti sono anche loro vittime del ritmo accelerato con cui si producono
le informazioni. Ma a Blissett non basta. E le beffe non finiscono qui. Luther
si scatena. Cambia scenario. Meglio: altri Blissett allestiscono un nuovo
palcoscenico. E per un anno intero tengono impegnati i media del
viterbese spacciando notizie false e inscenando finte messe sataniche nei
boschi di Valle Spina e dintorni.
Il
Corriere di Viterbo, ma anche il Tempo e il Messaggero cadono nella trappola
pubblicando articoli su articoli tra l’allarmato e l’agghiacciante producendo
un effetto-valanga. Così, giornalisti che non si preoccupano minimamente di
controllare la veridicità delle informazioni che ricevono/producono ricamano
sopra l’accozzaglia di resti sparpagliati a casaccio che Blissett fa trovare di
volta in volta per provare le avvenute liturgie sataniche. Si soffia sul
macabro. Compaiono vittime che regolarmente non si trovano, ma la cui scomparsa
genera ansia collettiva. Vengono intervistati maghi ed esorcisti che
“approfondiscono” il significato di candele nere, peli pubici, foto
bruciacchiate ed altre cianfrusaglie che Luther abbandona in disordine nelle
pinete viterbesi. I quotidiani parlano dell’opera di professionisti
dell’occulto. L’opinione pubblica è scossa. Il dramma sociale lievita. Il
Questore di Viterbo è seriamente preoccupato: <Vi sono indagini accurate per
inquadrare il fenomeno… nelle indagini di Squadra Mobile e Digos ho inserito
anche l’accertamento di eventuali riti, per vedere di portare serenità nelle
famiglie che, inaspettatamente potrebbero trovarsi di fronte ad un fenomeno
sconosciuto: quello di figli che, a loro insaputa, frequentano sette, come succede
a Bologna> (23).
In tutta questa antifiaba i blissettiani devono essersi divertiti come matti. Sicuramente non si sono divertiti i tre ragazzi dei BdS in isolamento nel carcere di Bologna. Neppure devono essersi divertiti i numerosi giornalisti che hanno scambiato una rappresentazione per la realtà. Blissett ha recitato. I media hanno raccontato una realtà che risiede nella loro testa ma non per questo meno vera. Così come va preso sul serio chi parla con gli angeli, e la New Age ha prodotto un’infinità di personaggi simili, altrettanto sul serio vanno presi giornalisti e mass-media che riproducono i propri fantasmi narrandoli e contagiando psichicamente il pubblico. Siamo al di là dell’inganno, al di qua dell’impostura. Siamo in un territorio dove il falso è vero e il vero è falso. Esiste una parola per spiegare questi movimenti: ideologia. E l’ideologia, per dirla con Althusser, non ha storia: è uno strumento astorico per dominare la storicità. Neppure ha a che fare con la coscienza: è profondamente inconscia. Ma esiste anche una ragionevolezza dell’irrazionale che trova nello spettacolo universi di lecite finzioni legate al desiderio di desiderare quello che non c’è. Per i moderni e i post moderni la vita è sempre di più un film. Lo sa bene Luther Blissett che fa della realtà una commedia e della commedia una realtà. Nasce così il Co.Sa.Mo.- Comitato per la Salvaguardia della Morale.
Il Corriere di Viterbo, un quotidiano culturalmente e politicamente del tutto simile al <Carlino> ma con meno mezzi economici, produce una lunghissima serie di articoli sulla base delle lettere anonime di un gruppo di cacciatori di satanisti, inventato di sana pianta da Luther e battezzato appunto Co.Sa.Mo. Il Comitato stabilisce un clandestino filo diretto con il quotidiano rifornendolo di false notizie regolarmente pubblicate. Breve rassegna di titoli: Riti satanici in riva al lago; Ragazza “sacrificata”. Aperta un’inchiesta; La mappa dei satanisti. L’esorcista si confessa; Riti satanici: la Digos sapeva; C’è gente influente che protegge i satanisti; Il vescovo Tagliaferri tuona contro i satanisti… Il Corriere di Viterbo non verifica nessuna delle informazioni che gli vengono inviate, ricorre al sensazionalismo, in alcuni casi (pochissimi a dire il vero) deforma nei titoli inviti alla prudenza dei suoi stessi intervistati: per un anno intero produce un’allarmistica campagna stampa basata sulla fantasia di Blisset. Il quale clandestinamente gira persino un video di una messa nera nella notte tra il 14 e il 15 luglio ’96 in un casale abbandonato con tanto di vergine sverginata e piangente che partorirà due articoli gemelli: La “messa nera” filmata dalle vittime d’una violenza; Le urla strazianti di una ragazza violentata durante un rito satanico. Ovviamente è tutta una recita con tanto di attori e buontemponi. Ma il Corriere di Viterbo casca in pieno nella truffa mediatica coinvolgendo il <TG3 Lazio>. E fa di peggio: vende il presunto video-shock che va in onda nella nota trasmissione televisiva <Studio Aperto> di Italia1. La farsa di Blissett continua con lettere anonime inviate ai quotidiani da parte di studentesse stuprate durante riti satanici (“Sono io la ragazza violentata”. Una lettera agghiacciante) ed altre beffe tutte pubblicate con commenti che richiamano all’ordine, la disciplina e la famiglia. Finché, il 2 marzo 1997, Blissett rivendica la truffa mediatica. Patetici i tentativi di difesa degli organi di informazione gabbati. Nessuna testa salta. Nessuna assunzione di responsabilità. L’info-guerriglia di Luther ha dimostrato che sul tema del satanismo gli organi di informazione sono fabbriche di ignoranza e pregiudizio, inventori del deviante. Pressappochismo e disinformazione generano paure collettive laiche e religiose. E la paura impoverisce la comunicazione, alimenta conflitti culturali, manipola i comportamenti dell’opinione pubblica, riduce la proliferazione di immaginari.
Atto settimo. Dialettica del dramma e della farsa: per un’estetica della simulazione
Noi <come Luther Blissett abbiano iniziato a riflettere sulle emergenze sociali analizzandole sul piano della filosofia politica e delle tecnologie di controllo e repressione. Abbiamo individuato una tendenza negli ultimi trent’anni che accompagna quello che Foucault e Deleuze chiamano il passaggio dalla vecchia società disciplinare alla società del controllo diffuso: le emergenze sociali servono a sollevare panico morale e a trovare un nemico pubblico in modo da far passare attraverso un’opportuna campagna mediatica leggi liberticide. Dagli anni ‘70 fino a ieri queste emergenze si sono spostate sempre di più dal campo dell’ordine pubblico, quindi della politica, dello scontro tra una massa e un’altra, ossia dello scontro molare a emergenze molecolari, nel senso che vanno ad incidere direttamene sui legami tra una persona e l’altra, sulle scelte sessuali, le differenze culturali. Insomma le emergenze si sono spostate sempre di più dall’ordine pubblico alla privacy, in un certo qual modo si sono smaterializzate: l’orco, il cattivo, il male può essere dappertutto è invisibile e investe non le piazze ma i microlegami sociali.
A un certo punto ci siamo trovati davanti l’emergenza
pedofilia: sia con il caso BdS sia con l’emergenza più generale della pedofilia
su Internet. Così abbiamo iniziato a indagare e abbiamo notato che
all’emergenza pedofilia si accompagna l’emergenza gemella: quella sulle sette.
Perché molto spesso alle accuse di abusi su minori salta fuori che è anche un
abuso rituale. Spesso il cammino è inverso. Si comincia ad attaccare una nuova
religione e poi da lì si dice che abusano di bambini. Negli USA in questi mesi
sotto tiro sono gli Hare Krishna. Con i BdS è stata immediatamente chiara la
dinamica inquisitoria. Prima di allora noi non conoscevamo né Dimitri né i
BdS. Per capire cosa stava succedendo
abbiamo utilizzato il metodo suggerito da Edgar Allan Poe in un suo racconto,
Il mistero di Marie Roget, in cui dice: cominciate dai giornali evidenziando le
distorsioni della cronaca e da lì risalite all’indietro. In questo racconto lui
parte da un omicidio effettivamente avvenuto a New York, lo sposta per esigenze
narrative a Parigi, la ribattezza, e semplicemente commenta, articolo dopo
articolo, come la stampa di New York ha descritto le indagini della polizia, il
ritrovamento del cadavere ecc., e segnala tutte le incongruenze, le prende, le
estrapola, le lega una all’altra.
Da lì si fa una teoria completamente diversa che è il
negativo, l’esatto opposto, diciamo il buco nero della teoria investigativa ufficiale
della polizia. Noi abbiamo seguito la stessa procedura. Abbiamo preso tutta
l’annata de il Resto del Carlino, da quando si è iniziato ad indagare su Marco,
abbiamo seguito come siano stati trasformati pian piano i capi di imputazione,
come cambiavano gli aggettivi nei confronti di Dimitri e dei BdS, il
ricomparire improvviso di personaggi di anni prima tipo Efrem del Gatto il capo
dei satanisti romani, la comparsa improvvisa di supertesti che non si sapeva bene chi erano, non venivano
nominati, si scriveva: fonti dicono che …, abbiamo riunito tutte le
incongruenze. Soprattutto quelle del giornalista Roberto Canditi. Poi abbiamo
pubblicato un articolo di due pagine su Zero in Condotta che si intitolava: I
Carlini di Satana. Un anno di Canditi allo zolfo. Da lì siamo partiti dicendo:
le cose non sono come sembrano. Poi siamo andati all’indietro.
Abbiamo contattato gli avvocati della difesa, li abbiamo
intervistati. Abbiamo condotto un’indagine sul Gris par capire cosa fosse. Il
Gris si definisce come gruppo non confessionale invece abbiamo scoperto che ha
l’indirizzo dentro il palazzo della Curia, in via del Monte. Quindi hanno poco
da dire che non sono confessionali. Abbiamo scoperto che il Gris fa riferimento
alla Congregazione per la difesa della fede che è l’ex Sant’Uffizio, cioè
l’Inquisizione rimodernata con il Concilio Vaticano II al cui capo c’è
Ratzinger. Andando sempre più indietro abbiamo visto che il caso BdS era stato
preparato da una serie di articoli che erano usciti sull’Osservatore Romano,
sulla stampa cattolica sul pericolo delle nuove religioni. L’abbiamo collegato
ad altre prese di posizione specificatamente papali come l’Enciclica Ut unum
sint che, pur non andando direttamente contro i nuovi culti, diceva, bisogna
riunire i monoteismi, vedasi le giornate di preghiera comune ad Assisi. Riunire
i monoteismi vuol dire lasciar fuori i politeismi.
E chi sono i politeisti? Sono i neo-pagani. I BdS non sono
satanisti nel senso cattolico. Non sono dei cattolici al rovescio. Si
riferiscono a Satana come ad un principio panteistico. Loro, era nostra
opinione non avessero danneggiato nessuno. Ci sembrava che i capi di
imputazione fossero grotteschi. Abbiamo trovato questa nebulosa di riferimenti
che ci faceva dubitare un po’ di tutto. Poi abbiamo ordinato via Internet
Satan’s Silence di Nathan e Snedeker (24) e ci si sono aperti gli occhi. Perché
le imputazioni che loro smontano pezzo per pezzo sono assolutamente identiche a
quelle che vengono fatte qui a Bologna dal PM Lucia Musti. Da lì in poi abbiamo
iniziato a tirare tutti i fili e a fare controinformazione sull’argomento.
All’inizio del caso BdS tutta la stampa locale era
colpevolista, comprese la Repubblica e L’Unità. Quando abbiamo iniziato ad
indagare e a scrivere su Zic hanno cambiato posizione e sono diventate
garantiste. Questo ha allentato la pressione sugli imputati e ha permesso agli
avvocati della difesa di lavorare meglio. Inoltre ha fatto innervosire
moltissimo l’accusa, la Musti ha iniziato a sbagliare delle mosse. Abbiamo fatto
una guerra psicologica e credo che abbiamo contribuito in maniera significativa
all’assoluzione dei BdS, anche se il merito è ovviamente degli avvocati che
sono stati bravissimi. Però gli avvocati hanno potuto lavorare in un ambiente
più favorevole perché noi fuori dal Tribunale abbiamo spostato una parte
dell’opinione pubblica cittadina. Una minoranza. Ma una minoranza forte,
sensibile. Nel frattempo l’inchiesta si è anche sgretolata un po’ da sola
perché alcuni testi si sono dimostrarti non solo inattendibili ma anche veri e
propri psicopatici.
L’accusa ha preso delle cantonate sia nella fase
istruttoria, sia nella fase del dibattimento facendo pure delle figure
abbastanza barbine. Poi è venuto fuori che alcuni esperti utilizzati all’inizio
delle indagini erano preti esorcisti. Da lì anche l’opinione pubblica ha
cominciato ad avere dubbi. Consulenti forniti dal Gris e utilizzati dai
Carabinieri facenti funzioni di Polizia Giudiziaria erano due preti esorcisti!
E gli esorcisti credono davvero che Satana sia quello con gli zoccoli e le
corna, neppure un principio metafisico. L’ho sentito con le mie orecchie da uno
di loro in una conferenza pubblica. È il paradigma dell’emergenza molecolare.
Persino il Papa di recente ha confermato che Satana è una persona che si trova
in mezzo a noi nella vita quotidiana> (25)
Atto ottavo. Partita di andata e ritorno: individuo vs massa, massa vs individuo
Anche
la società di massa ha il suo palcoscenico: dai retaggi del theatrum mundi
medioevale alle parate militari di ieri e di oggi, alle apparizioni televisive
di questo o quel prelato. Ciò che separa la società di massa dalla società
dello spettacolo non è solo il senso dell’avvenimento (l’esibizione di un corpo
di ballo non è l’esibizione di un corpo di ballo e basta) quanto il sentimento
del tempo: finalistico e sacrale per la dimensione di massa, immanente e
secolare per la dimensione dello spettacolo. Per i BdS non c’è rivelazione
extramondana, non c’è liberazione che nel presente. Non c’è un solo Dio ma un
intero pantheon. Una volta che le élite determinano la comunicazione tramite la
concentrazione in poche mani dei media, le masse hanno tecnicamente necessità
di qualcuno che le controlli e ne gestisca il destino. I BdS no: loro sono una
tribù e non un gregge da guidare. Dal neo-paganesimo dei BdS il grande assente
è l’uomo della provvidenza, il pastore di anime.
Nella
filosofia dei satanisti non c’è giudizio universale, non c’è redenzione, non
c’è volontà divina. Per i cristiani il tempo è irreversibile, corre in una
direzione ed è orientato al futuro: la vita è preparazione per l’avvento del
Regno di Dio. Per i neo-pagani il tempo è reversibile, vola in più direzioni ed
è astorico: la vita è sperimentazione. Eppure satanisti e antisatanisti sono
alla ricerca dello stesso oggetto: l’eterno. La fine del tempo giunge con la
seconda venuta di Cristo per gli uni, con il ritorno alle forze istintive e
perenni della natura per gli altri. L’attesa del giudizio universale e la
ricerca di sé costituiscono due viaggi nel tempo che muovono forze
inevitabilmente in collisione: l’anima da salvare contro l’emancipazione da
conquistare, l’utopia del passato contro l’utopia del remoto. Sia per il
satanismo che per l’antisatanismo il senso del tempo è attraversato da
significati che conducono al conflitto. Alle virtù cristiane ecco opporsi tre
parole-chiave dei BdS: Io, volontà, azione.
<Dall’ebraico Satana vuol dire avversario, accusatore.
Un avversario del monoteismo. Un avversario che è il pensiero magico. Credere
in se stessi è già un’opera satanica perché va contro il pensiero cattolico.
Che dice: tu sei una creatura che si deve genuflettere al Dio che noi ti diamo
e a cui devi credere per fede. Se credi in te stesso e non credi nel nostro Dio
automaticamente sei Satana. Lo scienziato che curiosa nell’atomo è Satana. D’altra
parte alla base di ogni ricerca di ogni scienza c’è la carica sessuale, c’è la
carica istintiva. Infatti la Chiesa ha demonizzato e demonizza ancora scienza e
sessualità. E ha associato il Demone ad eventi sempre negativi. Mentre
anticamente ogni forma di sapere aveva il suo demone: la musica, l’arte,
l’erboristeria, la poesia, la matematica, la logica… E poi nei confronti dei
gruppi esoterici l’inquisizione c’è ancora oggi. Ci perseguitano per i nostri
riti. Perché nel rito satanista viene fuori il dramma psichico. Che è l’istinto
creativo, folle, il senso che sfugge a te stesso nell’espressione e
nell’esprimerlo. È il proprio orgasmo mentale, il proprio dramma, perché di
dramma si tratta, nel creare attorno a te, in quell’universo che stai
realizzando in quel preciso spazio in quel preciso momento, il tuo grande
quadro, il tuo grande risultato. E alla base di tutto questo c’è l’Io voglio.
Nel rito richiamo in me la forza antica, ed esprimo me stesso come un folle
danzatore, come arlecchino. Esprimo con la composizione di tutto l’universo
perché sono così>.
Tanto timido, emaciato e dark è Dimitri quanto aperto, solare e casual
è il giovane Vicepresidente dei BdS: Alessandro Chalambalakis. Di padre greco e
madre italiana, nasce a Bologna il 30.07.1979. È figlio unico. Diplomato
all’Istituto d’Arte è iscritto al primo anno della facoltà di filosofia. I
genitori sono separati da 12 anni e Alessandro vive con la madre in una casa
ordinata e che sa di fresco, di appena pulito. La sua camera è quella tipica di
uno studente: letto ad una piazza, scrivania, stereo e CD musicali, scaffali
occupati da libri ben riposti, poster di Hans Reudi Giger. La distingue qualche
foto dei riti satanici e una spada appesa alla parete. Alessandro viene a
sapere dei BdS dalla stampa in occasione del processo del 1996. Alle udienze
non lo fanno entrare perché ancora minorenne. Ma quando Marco esce di galera
eccolo presentarsi ed entrare a far parte dell’Associazione. Ironia della sorte
tanta pubblicità negativa ha avuto l’effetto di avvicinare ai BdS altri
ragazzi. Alessandro conduce una vita del tutto simile a quella di molti giovani
universitari bolognesi divisa tra studi, preoccupazione per gli esami, cene in
pizzeria con amici tolleranti verso la sua attrazione per il Demonio, lavori
saltuari, buone letture, diversi hobby quali suonare la chitarra in un
complesso rock, scrivere poesie, scattare foto. Il suo nome da iniziato è Los.
Ed è mutuato dal poema di W. Blake, Il canto di Los. Nel 1999
Chalambalakis è coinvolto nell’inchiesta di usura. Subisce interrogatori e la
perquisizione della propria abitazione. Dopodiché l’inchiesta sarà archiviata.
<Direi che se c’è qualcosa che sin da bambino mi ha
influenzato nell’avvicinarmi all’esoterismo è il rapporto con me stesso.
Esoterismo infatti significa interiore, che viene da dentro. Io tendo ad avere
una personalità individualista e questo c’entra con l’esoterismo perché il mago
è al centro dell’universo ed è colui che si mette al posto di Dio e plasma la
materia. È l’opposto del cosiddetto bagaglio culturale. Brutta parola. Sembra
una cosa che pesa. Mentre la cultura è l’opposto del bagaglio culturale. La
cultura è azione, sentire. In questa prospettiva il satanismo è un atto di
coscienza, di consapevolezza nei confronti della realtà e della natura umana.
Nel senso che è un’interpretazione magica, culturale di ciò che è alla base dei
nostri desideri, delle nostre azioni. Per esempio di come viviamo la
sessualità, l’arte, il concetto di bello. Credo che fondamentalmente l’uomo sia
il demone. Demone inteso come energia, forza, avversario. Satana è il
contestatore. E’ colui che pone il dubbio. Fa parte di quella dialettica volta
allo scontro, alla conoscenza. Perché è dalla contrapposizione che si definisce
una verità. Il demoniaco esercita una funzione critica. Siamo tutti uomini e
possessori del demone. Da un punto di vista magico personaggi storici che nulla
hanno avuto a che fare con il satanismo erano abitati da un demone, Giordano
Bruno, Lenin… Il mio personale concetto del demoniaco si riferisce più
all’arte, alla magia nel senso della volontà espressiva che va a fecondare la
realtà. Quindi l’uomo che costruisce, agisce, crea la sua realtà. Un uomo
attivo che costruisce il mondo> (26).
Il primato dell’immaginazione sulla
Verità, l’affermazione dell’Io e l’abbandono a forze primordiali echeggia in
una qualche misura il romantico teatro della mente che dal sogno transita
facilmente alla visione: <… non il mondo delle larve e dei fantasmi che
esprimono le lacerazioni dell’io senza che l’io possa esercitarvi il suo
controllo dev’essere riportato alla coscienza, bensì la coscienza bisogna sia
tratta fuori di sé e messa di fronte ad una realtà che l’oltrepassa, la investe
estaticamente, infine la rende capace di un’esperienza spaesante ma rivelativa>
(27).
Dinanzi alle potenzialità offerte dalla
forza del pensiero, la massa sembra lo spettro dei BdS. L’autodirezione è la
loro stella polare. L’eterodirezione il vero male (28). Emerge un’idea particolare
del satanismo che tuttavia non rappresenta una novità. Nel romanticismo
ottocentesco e nel decadentismo fin de siécle il satanismo diventa un
atteggiamento artistico e una scelta filosofica (29). Nella versione dei BdS il
Demonio è sia una chance per liberarsi dal giogo della morale cattolica, sia
una forza che si oppone a Dio in nome di un altro livello esistenziale. La
folla spaventa i BdS. Il culto dell’Io li esalta. Tant’è che alla precisa
domanda se sognino una società di satanisti la risposta è perfettamente
coerente: <No perché la società di massa contiene in sé una
contraddizione: cancella l’individualità. Noi BdS vogliamo liberare il
satanismo dalla condanna, vogliamo farlo conoscere, non massificarlo né
renderlo dominante perché credo che la potenza stia nella minorità. È una
potenza interiore, il magico sta nella minoranza. Lì c’è più valore. C’è meno
dispersione. Non si creano quelle che vengono chiamate le opinioni comuni. Si
cerca invece di valorizzare le sacre differenze. Quelle che a volte nella
società si tendono a smantellare in nome di un’uguaglianza che è profana.
Ovviamente non mi riferisco all’uguaglianza giuridica che non è in discussione>
(30).
In fondo è una borghese uguaglianza
civile quella che chiedono i BdS, una moderna libertà di pensiero, una pubblica
rivendicazione di soggettività (31). Afferma Dimitri: <Personalmente
sarei già felice se ci lasciassero liberi di parlare. Se a livello epidermico
riuscissi a far sentire l’Antico che non si è spento. Per Antico intendo il valore
del grande Io, del grande esprimere, del grande calpestare, del toccare,
sentire… Chiedo di far arrivare questa esperienza ad alcuni. Non mi interessa
che tutti siano satanisti… Noi BdS non abbiamo un progetto politico. Non siamo
una setta. Siamo un’associazione culturale. Stiamo parlando di persone, di
altri, di perle preziose, di cose che non possono appartenere a tutti.
L’evoluzione umana non genera lo stesso standard di individui capace di
recepire. Inoltre siamo tutti sotto controllo. Fai un’associazione come la
nostra e ti ritrovi in galera. Ti chiudono. E così tu non sei quello che sei in
realtà. Sei il tuo lavoro, quello che preghi, quello che consumi, come ti
comporti in società. Questo è il problema, Non viene visto l’uomo nella sua
natura, in quello che è. Nella società la persona non è valorizzata. Infatti le
lotte sono nate per esprimere parti dell’uomo che sono represse>.
Atto nono. Teatro di un desiderio: il rito satanista
I riti dei BdS costituiscono un ritorno alla dimensione orale. Con
parecchie differenze rispetto al passato originario delle società
preindustriali. Il ritorno è perfettamente consapevole, è un divorzio
razionalmente motivato dal proprio tempo: è la biografia che si ribella alla
storia, è la rivolta dell’individuo contro la società, è un racconto che chiede
la parola. Nel rifiuto della morale dominante e nel privilegiare il tempo
privato su quello pubblico si situa il discrimine che permettere di distinguere
una tribù premoderna da una tribù post-moderna qual è quella dei BdS. La
pratica di riti esoterici nella versione BdS costituisce la ricerca di un tempo
ciclico, tipico delle dimensioni arcaiche, all’interno di una contemporaneità
sempre più frantumata in una miriade di appartenenze. La loro performance non è
un intervallo, non è l’interruzione del continuum, non è la liturgia di un
culto. È un modo per: a) prendere alla gola il dramma e la farsa insiti nei
rapporti comunicativi; b) impossessarsi della storicità annullandola; c)
valorizzare la persona al di sopra del ruolo. Su questa lunghezza d’onda suonano
profetiche le parole di McLuhan: <L’alfabetismo crea tipi di individui assai
più semplici di quelli che si sviluppano normalmente nella complessa rete delle
società tribali e orali. L’uomo frammentato crea infatti l’omogeneo mondo
occidentale, mentre le società orali si compongono di persone differenziate …
dalle loro singole e inconfondibili miscele di sentimenti. Il mondo interiore
dell’uomo orale è un groviglio di emozioni e sentimenti complessi che il
pratico uomo d’occidente ha da tempo corroso o eliminato a vantaggio
dell’efficienza e della praticità> (32).
<Il rituale satanista non è codificato. Non ci sono
regole fisse da seguire. Non ci sono frasi da leggere di volta in volta. È
istintivo espressivo, è il tuo impeto, un tuo orgasmo interiore. La carica è
nella testa. Certo parliamo della carica sessuale perché questa è l’ego
creativo che ricerca, è la base di ogni scienza di ogni cultura. Da qui a dire
che nei riti ci accoppiamo come matti, rispondo: magari! In realtà gli incontri
sessuali sono stati rari, belli, forti, ma la parte principale è a livello
mentale è lì che si polarizza l’orgasmo. Noi utilizziamo percorsi possessivi,
l’immedesimarsi nell’energia che chiami in te, l’energia antica che incameri e
immedesimi per esprimere. Puoi farlo attraverso la danza che ad esempio
accompagna le possessioni voodoo. Ma nel rito satanista la possessione è
conscia. Come un attore che recita. Per questo devi sentirti in armonia con le
persone che hai attorno. Il rito satanista è un fatto collettivo, non
individuale. Nel rituale la persona si esprime, cambia voce, fa gesti strani.
E’ una pratica simile a quella del teatro. Se ti senti un lupo fai il lupo. E
questo non c’entra nulla con la licantropia che si vede nei film. Ma significa
far emergere l’istinto animale che è in te. Quindi la persona si comporta un
po’ come animale: ringhia e libera energia. La volta successiva o anche
mezz’ora dopo se ti senti qualcos’altro esprimi quel qualcos’altro. Se ti va ti
siedi e ti metti a scrivere, se vuoi urli, oppure reciti poesie. Liberi quello
che hai dentro. Noi siamo contro ogni dogma. Il rituale sei tu, non c’è nessuno
che dirige. Chiediamo all’energia del mondo e dell’uomo di sorgere all’interno
di noi e tra noi. Ma non ci sono formule. Quando suona la campanella inizia il
rituale ed esprimi te stesso, prendi coscienza di te, di quello che hai attorno
a te e della forma che evochi. Quando l’unione magico-energetica si placa il
rito finisce>.
La ripetizione del cambiamento tramite performance di volta in volta
differenti conferisce al rito satanista sia una continuità senza tradizione,
sia la cattura del passato, presente e futuro in una proiezione ciclica: nel
rito satanista il tempo appartiene al singolo performer e a nessun’altro, punto
di partenza e punto di arrivo coincidono. Così desacralizzato il rito dei BdS
assume i contorni del dramma.
<La possessione del rituale non è da intendere come
quella dell’esorcista cristiano che deve riportarti alla normalità Ma come possessione
degli stati di trance che sono parte di antiche culture. Culture che rivivono
nella nostra società. La musica e l’arte fanno spessissimo riferimento a questi
stati come fonte di ispirazione. Nel rito domina l’energia inconscia. Possiamo
dire che ti confronti con i demoni della mente. E’ una liberazione
dell’inconscio che porta ad una conoscenza di te stesso, delle persone che ti
circondano e degli archetipi collettivi. Pan per esempio è un archetipo di
fusione con il bosco, con la natura nel senso silvestre del termine, nel senso
della fecondità, dell’istinto, della liberazione della sessualità e della
musica. Poi c’è Dioniso, archetipo dell’ebbrezza, dell’ispirazione attraverso
la danza, la tragedia, la teatralità del gesto, della scena, della parola. Così
l’inconscio arriva a una consapevolezza che poi diviene arte. Nel rito vivi la
contraddizione tra il tuo essere energia e il tuo essere persona inserita nella
società. Il rito è volto al caos. Tende all’eccesso. In questo senso il rituale
è tragico perché ci mette davanti al nostro conflitto. Ne prendiamo atto e
attraverso il caos arriviamo alla conoscenza> (33).
Atto decimo. Incanto e disincanto
I BdS costituiscono una società di discorso (34) sottoposta a due tensioni contrapposte: sono una presenza sinistra per la morale cattolica che non la tollera e la combatte; sono una fonte di identità, un’espressione di valori per una soggettività ribelle che non si rassegna e resiste. Sembra riproporsi un conflitto di tipo antropologico: quello tra cultura dominante da un lato, culture subalterne e subculture dall’altro. E’ una delle possibili chiavi di lettura. Spingendola fino in fondo e girandola nella serratura si apre la porta del modernismo (35). Nei BdS la riabilitazione del paganesimo si combina con l’amore per la tecnologia e un approccio vagamente materialista alla vita. Innanzitutto le letture dei BdS intervistati: un mix di occultismo, esoterismo, filosofia. Dimitri, seguendo il proprio istinto di leader, non si sbottona troppo sull’argomento: <Ho fatto riferimento solo a me stesso. Poi ho trovato analogie con il pensiero di Crowley ma anche di MichaelEnde, lo scrittore tedesco figlio di un pittore surrealista. Anche qualcosa di Eliphas Levi mi ha ispirato… Ho fatto un’infinità di letture sulla cultura esoterica… Molti testi mi sono stati sequestrati dalla polizia e non li ho più…>.
Rispetto a Dimitri, Chalambalakis è più cerebrale e maggiormente
disponibile a dichiarare le proprie ascendenze culturali. Padroneggia
discretamente una buona massa di opere e denota forte tensione intellettuale.
Fermo restando Crowley, aggiunge i racconti di un classico del satanismo,
Joris-Karl Huysmans, poi le poesie di William Blake. Ma non gli sono affatto
estranei i templi del sapere ufficiale. Tutt’altro. Dichiara la sua smisurata
passione per Rimbaud e Baudelaire. Seguono i racconti di Kafka, incursioni
nella teoria degli archetipi e nel simbolismo di Jung, numerosi testi di
filosofia. In questo campo le letture vanno dai classici greci alle sfide di
Nietzsche a Dio e alla Ragione passando per Giorgio Colli e Roberto Calasso. I
sentieri della ricerca filosofica sono: la messa in crisi della razionalità,
l’attenzione per l’irrazionale, il ruolo giocato dalle emozioni. Altro cult è
Aldous Huxley per i suoi tentativi di aprire le porte della percezione
all’assoluto, ad esempio attraverso lo sciamanesimo. Da qui l’approdo al
non-sapere come via alla creazione in Bataille e il conseguente ancoraggio alla
“follia” di Artaud. L’approccio a questi autori è ancora acerbo in quanto
prevalentemente orientato a trovare conferme del proprio sentire. Ma a parte
l’inevitabile fase di crescita la ricerca di nuovi stati di coscienza
rappresenta una tappa del percorso intellettuale del giovane Chalambalakis. A
partire da qui l’apertura di un altro fronte: l’arte con le sue vertigini,
scandali, aperture estatiche e le sue affinità con il pensiero magico in quanto
<territorio della non-ragione>: un percorso da compiere per raggiungere
superiori livelli di consapevolezza (36).
La critica alla ragione dei BdS non si risolve nel nichilismo, né in
una sorta di avanguardismo, né in un pensiero della crisi. Non si risolve in
uno dei tre principali sbocchi del modernismo quanto forse un’alleanza più o
meno riuscita tra moderno e premoderno. C’è una logica conoscitiva in questa
dinamica. E segue tre passaggi: disincanto del mondo attraverso il conflitto
con l’antisatanismo, reincanto attraverso il rito, disincanto attraverso una
consapevolezza antispiritualista. A questa logica corrispondono le tre
canoniche fasi del tempo così organizzate: critica del presente dominato dalla
morale cristiana, recupero del passato tramite lo spaesamento e il libero
flusso di coscienza, azzeramento del futuro in quanto non c’è premio finale, ma
convergenza del particolare con l’universale.
<Il principio motore di ogni cosa è l’Io che da una
parte riceve ed elabora i dati e l’universo dall’altra parte con i suoi
principi oggettivi di funzionamento: la costituzione della materia, il moto dei
pianeti, il passaggio dal giorno alla notte, la formazione di uragani,
terremoti. C’è una dialettica fra l’uomo e l’universo che noi BdS
scarnifichiamo dalla formalità religiosa. Noi siamo più essenziali, andiamo più
dritti al punto. Abbiamo un visone analogica, simbolica. Per esempio, il demone
secondo noi, è sì bello da vedere rappresentato con le sue ali, le sue corna
ecc. Ma le sue ali e le sue corna non sono tali in quanto io credo che esista
un essere che svolazza, ma in quanto sono significative dei principi che rappresentano.
In questo senso noi cogliamo le analogie che ci sono nella realtà per dargli un
significato tramite l’elaborazione dell’Io. Le strade che portano alla
conoscenza sono passione e ragione esercitate in due momenti differenti. La
passione nel vivere l’esperienza attraverso il rituale per esempio. E la
ragione che successivamente analizza cosa è accaduto per riportarci nella
realtà. Senza questa dialettica vivremmo nell’illusione. E noi satanisti non
siamo dei sognatori> (37).
Atto undicesimo: una logica del tempo
Il ripiegamento dell’Io nel mondo e del mondo nell’Io passa attraverso
una modernità esplosa a cui è negata la nostalgia e la speranza di una comunità
originaria: il tempo dei satanisti si sottrae al calcolo della razionalità strumentale.
<Nell’era elettrica abbiamo sempre meno ragione di imporre un unico sistema
di rapporti a ogni oggetto o gruppo di oggetti. … Nel Rinascimento l’orologio
si associò alla rispettabilità uniforme della tipografia per estendere il
potere dell’organizzazione sociale su scala quasi nazionale. Nell’Ottocento
esso poteva ormai offrire una tecnologia coesiva inseparabile dall’industria e
dai trasporti in grado di far agire un’intera metropoli quasi come un automa.
Ora nell’era elettrica del potere e dell’informazione decentrati incominciamo a
dolerci dell’uniformità scandita dall’orologio. Cerchiamo una molteplicità di
ritmi anziché una ripetibilità.> (38).
Ma è nel tempo che si costituisce la soggettività, una dimensione
ineludibile per chiunque. È nel senso del tempo che troviamo una chiave per la
comprensione delle relazioni sociali.
Sono le pratiche temporali a indicare il contenuto dell’agire. Tanto che
lo scontro satanisti/antisatanisti può essere letto come un conflitto tra un
ordine socio-temporale fondato sulle convenzioni, l’horarium benedettino, e un
ordine socio-temporale fondato sulla natura, il rito magico. Poiché l’ordine
del tempo è attraversato dall’ordine del discorso ecco il recupero neo-pagano
di due parole-chiave: energia e divenire.
<Nel
rito satanico tu sei uno con l’energia che evochi e fai sorgere dentro di te.
Energia che porta conoscenza, che fai esprimere per uscire dalla normalità.
Alla fine il rituale serve per assaporare ciò che è natura e uomo, ciò che è
natura e vita. Serve per essere te stesso, la terra e quello che la calpesta.
Alla base c’è la carica erettiva che ti spinge ad ergere, a intraprendere vari
ruoli, a indossare le maschere. La carica erettiva è quella che ti erge: che ti
pone al centro dell’universo, come l’uomo di Leonardo. Per energia intendo la materia.
Come la corrente elettrica, il magnetismo. Tutte forze intangibili ma che si
sentono. Realtà oggettive però a stato energetico. Non intendo uno stato
spirituale perché non credo agli spiriti. È una dimensione affascinante ma non
ci credo. Trovo le correnti New-Age ridicole. Sono distorsioni di pensieri
antichi. Gli angeli non esistono. Così come non credo a fatture, scongiuri,
gatti neri e superstizioni varie. La vita sei tu in quanto animale che proclami
te stesso, prendi il tuo territorio, lo senti tuo, esprimi dentro di te con la
tua passione, forza, coraggio, sentimento. Ma sei solamente tu. Quando ti
dicono che sei uno spirito ti vogliono portare via il tuo territorio. E lo
fanno inventando che sei la reincarnazione di chissà cosa. Lo scopo dell’umanità
è quello di conquistare il mondo e distruggerlo. Perché di naturale non c’è lo
stato di pace. C’è una continua mutazione che porta alla distruzione e a nuova
creazione. Questo è il pulsare della materia. Che non è una cosa grezza. La
materia è il demoniaco. Perché con il corpo esprimi, con le mani dipingi.
L’espressione è tua energia è tua materia. Ma qualsiasi cosa che tu insemini
avrai sempre un anticorpo che la distrugge. La materia ha una sua regola dettata
da nessuno. È un po’ delirante ma è così>.
Con un linguaggio chiaramente tribale l’idea di energia è utilizzata da
Dimitri come spinta per la conquista del potere individuale: una sorta di
naturalismo universale basato sulla forza. Unicità, Io imperiale, narcisismo:
termini differenti che si adattano al gruppo dei satanisti senza tuttavia
comprenderlo per intero. Torna il modernismo con tutta la sua ambiguità di
repulsione/attrazione per la modernità. Fa capolino la cultura post-moderna con
la sua insistente ricerca di valori post-materialisti centrati
sull’autorealizzazione, l’autonomia individuale, la diversità,
l’autoaffermazione (39). Ma nel caso dei BdS la carica antigerarchica è
dichiaratamente antispiritualista. È in netta controtendenza rispetto alla New
Age e alla Next Age. L’oggetto BdS non è coerente. Oscilla costantemente tra diacronia
e sincronia. Insegue l’autenticità del passato remoto poi si ferma al
“localismo” della propria filosofia. Certo gli spazi per esprimersi sono
ristretti. Tuttavia l’ambivalenza è innegabile. Ed è visibile nel significato
assegnato all’idea di energia grazie all’inclinazione per le tecnologie
informatiche: <Il carattere tattile, estremamente pervasivo del nuovo
ambiente elettrico deriva da una rete di energia pervasiva che penetra
incessantemente nel nostro sistema nervoso. … Questo ambiente già di per sé
costituisce un trip interiore, collettivo, senza utilizzare droghe. …
<<andare fuori>> è soltanto molto incidentalmente un fatto chimico
e su scala infinitamente più vasta è invece una questione di ingegneria
elettrica> (40).
Nei BdS la ricerca del principio attivo si coniuga con un’idea
precristiana tramite la quale il divenire è al servizio dell’essere: <Fondamentalmente
il demoniaco contesta il concetto di sacro storicamente costruito dal cristianesimo.
La nostra filosofia dice che il sacro non è il luogo della passività della
famiglia e del pane quotidiano ma dell’attività, quindi dell’arte, del fare,
dell’agire. La sacralità per me è sfida, rottura dei limiti. Satana è
avversario del limite. Con il satanismo si passa dall’organizzazione alla
distruzione feconda, figlia del creare. Ecco che tornano in ballo i processi
magici, la cultura esoterica. La bipolarità, bene e male, i contrasti che si
bilanciano, che si escludono e che volgono poi in un sapere diverso. Satana è
l’estremo del possibile e realizza la sua sacralità in senso individuale.
Questa sfida ai limiti sociali io la ritrovo nella cultura dionisiaca. Però noi
non facciamo riferimento a delle divinità, non offriamo doni a nessuno. Noi non
adoriamo nessuno all’infuori delle potenzialità umane. Quindi in questo senso
siamo anche dei materialisti e siamo sicuramente moderni perché per quanto tu
possa concepire una cosa astratta sei tu che la concepisci, sei un Ego che si
espande attraverso l’interpretazione della realtà. I principi che seguiamo sono
quelli che governano l’universo, il cosmo: la creazione, la distruzione, il
piccolo, il grande, il bello, il brutto. Opposti che stanno alla base della
costituzione estetica e formale di una divinità. Possiamo fare riferimento è
Dioniso, oppure altri culti come quello della Terra-Madre. Noi liberiamo la
divinità dalla dimensione idolatra, formale per far rimanere solo il principio
che sta alla base poi del mondo della materia: il movimento dell’universo>. (41)
Atto dodicesimo. Dioniso: un corpo estraneo nel tempo sacro
Se
parlare è combattere allora due match dell’incontro satanisti/antisatanisti
vanno, seppur di misura, a favore dagli antisatanisti. Il primo: l’esperienza
carceraria ha liquidato il vertice dei BdS. Luongo e Bonora lasciano i BdS.
Resta solo Dimitri che però in poco tempo rimpiazza i vecchi dirigenti. Il
secondo: nella coscienza collettiva l’immagine dei BdS oscilla tra quella di un
gruppo che pratica messe nere, adora il Diavolo della Bibbia, profana cimiteri
alla luce della luna e quella di ragazzi disturbati, sicuramente poco
raccomandabili. Non convince l’opinione pubblica l’idea di Dimitri e del suo
gruppo di un satanismo come forma di espressione culturale neo-pagana. Tuttavia,
il processo di criminalizzazione non è pienamente riuscito: i BdS non sono
stati trasformati in devianti: <Dopo l’accusa di pedofilia e un anno di
prigione sono assolto perché il fatto non sussiste. Chiedo l’Appello e sono
assolto una seconda volta. Io sono incensurato>.
Un piccolo esercito di giornalisti attende i BdS all’uscita
da carcere. Le domande sono quasi tutte di colore. Le grandi TV nazionali
riprendono a corteggiare Dimitri. Ma lui preferisce fare controinformazione.
Organizza conferenze. Al suo fianco la realtà alternativa bolognese. Il Teatro
Polivalente Occupato (TPO) allestisce uno spettacolo dal provocatorio titolo: Il
caso Musti. La Procura di Bologna chiede lo sgombero del TPO. Ma il
tentativo di censura fallisce. Lo spettacolo si tiene la sera del 30 gennaio
1999 con successo di pubblico. Tuttavia la luna di miele di Marco con i mass
media è in declino. Per giunta i guai giudiziari di Dimitri non finiscono. Nel
febbraio 1999 ecco spuntare una nuova accusa: usura nei confronti di una ex
iscritta ai BdS.
<Ridevano persino gli agenti della Squadra Mobile di
Bologna quando sono venuti a notificarmi la cosa. Mi hanno trovato 15.000 £ e
mi hanno detto: qui ti vogliono incastrare. Poi è venuta la Squadra Mobile di
Roma. Mi hanno schiaffeggiato, portato in caserma, costretto a denudarmi.. Mi
chiedevano se avevo paura… certo che ho paura, rispondevo… Hanno sequestrato
quaderni di poesie, CD, libri, il computer, l’elenco degli iscritti, disegni e
materiale del genere… È ancora tutto al deposito… non ho i soldi per il
dissequestro>.
Anche queste accuse verranno presto archiviate. Nel gennaio
del 2002 Dimitri e gli altri due componenti del gruppo BdS coinvolti
nell’inchiesta del 1996 tornano in Tribunale ma per chiedere tre miliardi di £
di risarcimento a causa dell’ingiusta carcerazione (42). In attesa del lieto
fine, ancora oggi Marco viene intervistato da questo o quel canale televisivo.
Nel marzo del 2002 una Tv Los Angeles produce un intero servizio su di lui. Ma
per lo più è contattato come “esperto” quando dinanzi a reati difficilmente
spiegabili o controversi dalla penna di qualche giornalista spunta la coda del
Diavolo. È il caso della sparizione della bara del finanziere Cuccia.
Rivelatasi poi l’avventura di due balordi. Oppure quello dell’omicidio della
suora a Chiavenna, in provincia di Sondrio, da parte di tre ragazze decisamente
disturbate. È il recentissimo caso di infanticidio a Cogne, in provincia di
Aosta. Un delitto ancora senza colpevole e che in un paio di occasioni ha
chiamato in causa l’opera del Maligno. Dimitri viene intervistato come una
sorta di consulente per cercare di comprendere se il satanismo è in relazione
con queste vicende. Togliersi di dosso l’odore di zolfo si rivela un’impresa
impossibile. Ma sembra che prima ancora dei BdS a non poter fare a meno
dell’odore di zolfo sia la società dello spettacolo. Da molti anni la fantasia
notturna del satanismo occupa la scena con eccellenti risultati in termini di
audience. Complessi musicali come i brasiliani Sepultura riscuotono un
successo di nicchia ma comunque notevole.
Esistono poi artisti noti al grande pubblico come il
dissacrante Marylin Manson che incide album intitolati AntiChrist
Superstar e in un suo videoclip fa saltare da un braccio all’altro di una croce
di legno un divertito scimpanzé mentre la star canta indossando un costume
simile alla tonaca di un alto prelato. Perchéperseguitare i BdS
dal momento che calcano la scena personaggi simili o gruppi hard rock quali le Rockbitch
famose per praticare sesso libero e che si esibiscono seminude su palcoscenici
infiammati da teschi, caproni e diavoli? Come mai non è possibile interrompere
i riti notturni delle discoteche romagnole dove nudità, droga e trasgressioni
di ogni tipo abbondano e negli anni i morti del sabato sera per incidenti
automobilistici si contano a centinaia? I BdS in fin dei conti non hanno
ammazzato nessuno. La risposta non può essere univoca. Intanto, gli incubi di
Bosch e Jung trasmessi dalla società dello spettacolo godono di franchigia
perché mettono in moto il lucroso giro d’affari. In secondo luogo, il
post-moderno fa delle subculture giovanili
un vettore determinante dei modelli di consumo culturale. Ma l’interesse
economico non basta a spiegare tutto perché non tutto può essere tenuto sotto
il controllo del denaro. Né è necessario. Certo, larghe frange del
cattolicesimo non vanno per il sottile e bollano in blocco il rock come
demoniaco. Ma talvolta per la cultura dominante il nemico interno è politicamente
indispensabile. E se non c’è bisogna produrlo. Basta cercare nelle altre
società che compongono il sistema sociale. La società di massa condanna rock
satanico e affini in contumacia, conosce Simmel e attende pazientemente il
riflusso di una moda. Ecco una parola magica: <La moda è contemporaneamente
essere e non essere, essa sta sempre sullo spartiacque di passato e futuro e ci
dà, finché è in voga, una così forte sensazione del presente come pochi altri
fenomeni riescono a darci> (43).
La moda è inevitabile, effimera e transitoria. La moda è
astratta in quanto estranea al reale, e gode di un movimento autonomo che poco
ha a che fare con l’individuo, il quale più che giocatore è giocato. La moda
tende all’autodistruzione e alla perdita della propria memoria. Tutto questo i
gestori della società di massa lo sanno bene. La moda di Satana passerà.
Certo, il fenomeno va tenuto sotto controllo perché l’eterno cova nel
transitorio, cova nel ritorno delle dimensioni tribali per quanto sfruttate
dall’industria culturale. Perciò è inutile sprecare troppe energie per
combattere l’inevitabile della società dello spettacolo. Nella sua variante
metal il rapporto tra consumi e identità che si richiamano alla simbologia
demoniaca è una cosa. Il satanismo è un’altra. Senz’altro ci sono delle
affinità tra due sponde bagnate dalle acque dello stesso immaginario. Ma
Dimitri e il suo gruppo non hanno mai inteso proporsi come il gusto di un
momento. Se avessero utilizzato i media per vendere qualcosa non avrebbero
avuto problemi come non ne hanno cantanti indiavolati ma neppure indovini,
astrologi e cartomanti che si esibiscono quotidianamente in Tv consegnando ad
ognuno il futuro di una superstizione (44).
I BdS hanno rivendicato una memoria, un essere, un passato.
Hanno tentato una forma di socializzazione a cui tendono tutti i costruttori di
memoria collettiva: la coalescenza tra socializzazione primaria e
socializzazione secondaria, l’equilibrio tra routine e spontaneità, l’alleanza
tra razionale e irrazionale. Praticando il ritorno di una tribù pagana i BdS
hanno riproposto come attuale un ordine sociale del passato remoto. Per la
cultura dominante non è un fenomeno da sottovalutare perché l’integrazione
sociale dell’individuo si realizza quando dal rapporto tra socializzazione
primaria e socializzazione secondaria sintetizza un’immagine dell’esistenza.
Un’immagine che fornisce alle continuità imposte dall’ordine sociale del tempo
(l’orario ecc.) l’elasticità necessaria per sopportare le discontinuità cercate
dai singoli attori attraverso il movimento, la spontaneità, la protesta. I
sistemi condivisi di credenze, dalla morale alla pubblicità, assolvono questo
scopo: ricondurre la ricerca di cambiamenti dentro la cornice delle continuità
in modo da sostenere l’autocontrollo individuale sul controllo sociale e
viceversa. Ma il neo-paganesimo dei BdS ha questo di particolare: non possiede
un calendario né aderisce alle “feste comandate” come ad esempio il Capodanno
di Satana il 31 ottobre o la prima notte di Tregenda il 21 dicembre. I BdS si
sottraggono al canone a favore dell’istinto: non diventeranno mai un modello di
consumo perché non sono riproducibili. Possono diventarlo ad una condizione:
rinunciare alla lotta per il possesso della storicità.
Pan, Dioniso e Narciso sono le principali figure mitiche a
cui i BdS rinviano il loro essere neo-pagani. Un’altra continuità, altre
discontinuità, un altro incanto. In una parola: un’altra immagine
dell’esistenza. Pan, la spinta sessuale, e Narciso, l’amore di sé, sono le
polarità del dio dei boschi, della vite e dell’ebbrezza. Dioniso: il dio dal
doppio volto, allo stesso tempo padre e sposo; il bambino abbandonato dalla
madre e perseguitato dalle sue stesse nutrici per averle gettate nel furore
dell’amore e dell’ira; il nuovo culto che porta scompiglio a Tebe (45). Dioniso
è un altro ritmo della vita individuale, di gruppo e sociale. Un pericolo
pubblico per chi crede nell’immortalità dell’anima. Un virus che infetta le
partizioni dell’ordine del tempo: sacro/profano, pubblico/privato,
libero/lavoro. E attacca alla base il potere dei costruttori della coscienza
collettiva: religione e politica, informazione e apparati di repressione.
Dioniso redivivo è la rottura del codice temporale.
E nessuna resurrezione è permessa a un’esistenza così
estranea al mondo cristianizzato. Dioniso può sopravvive nell’emarginazione dei
ricordi libreschi ma non ha diritto alla storia. Non ha diritto a riproporre al
mondo il suo essere naturale e divino. Il fronte antisatanista sembra non
aderire affatto alle intime convinzioni del cattolico McLuhan: <Ciò che è
necessario è esser disposti a sottovalutare completamente il mondo. Ciò è
possibile solo ad un cristiano. … Oggi non c’è passato. Tutte le tecnologie, e
tutte le culture, antiche e moderne sono parte del nostro orizzonte
immediato> (46). Né sembra che il Gris o il <Carlino> abbiano
minimamente appreso la lezione dello studioso canadese. Grazie alla quale la
tribù dei BdS è da considerare il ritorno di un fenomeno arcaico come la
minigonna, il piercing, il tatuaggio: del tutto comprensibile nel modo
post-industriale avviato alla compresenza di più tempi negli ambienti
tecnologici: <Poiché l’Era elettronica inevitabilmente ci spinge di nuovo
verso un mondo di visioni mitiche in cui … è bene liberarci del <<senso
mitico>> di irrealtà o falsità. E’ stato il frammentato e letterato
intellettualismo dei Greci a distruggere la visione mitica integrale alla quale
ora facciamo ritorno> (47).
Atto tredicesimo. Il Diavolo nella Rete
<Internet è follia. Come la vita. Perché la dinamica della vita è caos. Caos che si esprime>.
Il
sito Web dei BdS nasce nel 1998, dopo la contraddittoria esperienza mediatica
di Dimitri: un luccicante palcoscenico che può trasformarsi facilmente in
gogna. Sia quando era avviato a diventare una piccola star televisiva sia
quando è precipitato nella polvere della cronaca nera, Dimitri ha vissuto sulla
sua pelle il comportamento dei mezzi di comunicazione di massa: il loro
interesse per il satanismo alimenta quasi esclusivamente fantasmi. Nell’intera
vicenda dei BdS il sistema dominante della comunicazione ha oscillato tra il
superficiale e l’ostile: è l’altra faccia della società dello spettacolo. Così,
per i BdS Internet diventa una “terra promessa” in cui migrare e in cui
esprimersi liberamente. Attualmente il loro sito è reperibile all’indirizzo: www.bambinidisatana.com e l’approccio al nuovo mezzo di comunicazione
è sintonizzato sulla terza fase della vita di Internet: quella comunitaria
(48):
<L’idea
è quella di fare informazione. Di dire chi siamo, proporre la nostra filosofia
e radunare un po’ di gente in grado di scrivere. Tutto questo senza
necessariamente incontrarci di persona perché l’incontro fisico comporta troppi
rischi, tipo accuse false, perquisizioni in casa, parenti spaventati,
carcere… Io mi trovo anche nella condizione di dover proteggere le persone
che si iscrivono all’Associazione. Perciò debbo rispondere all’esigenza di
incontrarsi senza creare delle condizioni per essere attaccati. E Internet è lo
strumento adatto sia per informare, sia per ricevere informazioni, sia per
scambiare opinioni. Appena abbiamo aperto il sito sono arrivate migliaia di
contatti. Nei primi due anni abbiamo avuto 46.000 accessi. Ma la cifra è
imprecisa. A un certo punto i contatori si sono rotti, poi li abbiamo azzerati
perché abbiamo cambiato server. Adesso ci stiamo attrezzando>.
Per limitare al massimo gli incontri face-to-face gli attuali associati
ai BdS sono nella grande maggioranza alfabetizzati all’uso dei nuovi media e si
sono conosciuti prevalentemente tramite Internet (49). Il sito è realizzato prevalentemente in Flash
e Html ed è quotidianamente aggiornato dallo stesso Dimitri. Il quale, dopo
l’odissea giudiziaria che lo ha escluso dallo show televisivo, ha fatto di
necessità virtù e si è ingegnato con le opportunità offerte dal Web per <liberare
le persone dal pregiudizio nei confronti della nostra cultura> e per
trasmettere all’esterno i contenuti del satanismo.
<Sono diventato Web-master perché a furia di fare il sito dei BdS
ho scoperto che sono bravo e i siti che creo piacciono. Così mi sono detto:
perché non lo faccio per mestiere? Sostanzialmente sono un artista. Almeno così
io mi sento. Bene o male ogni giorno devo dare spazio alla creatività, all’istinto:
scrivo, disegno, porto avanti il sito dell’associazione… Devo realizzare
qualcosa di mio altrimenti non mi sento bene. In questo senso penso di aver
dato di tutto, di più alla società. Penso di aver piantato un seme per andare
un po’ oltre il modo convenzionale di vedere. Di aver dato anche il mostro. La
figura del mostro non è quella che mi hanno appiccicato addosso i media. Il
mostro è colui che sa che non c’è alternativa dal non essere che se stessi.
Ecco, quando uno è conscio di questo socialmente è un mostro. Perché il mostro
è sempre il saggio. È sempre quello che alla fine sa distinguere. Il dottor
Jekyll della situazione> (50).
Il luogo dove vengono realizzate le pagine web del sito è anche la sede
dei BdS e si trova nell’appartamento di Dimitri. Uno spazio a metà tra
l’anticamera dell’Inferno e la casa intelligente. Marco vive immerso in un
ambiente colonizzato dall’Hi-Tech. La sua casa è una narrazione di macchine con
le quali entrare in contatto: un circuito interno di videosorveglianza;
illuminazione automatica delle stanze tramite fotocellula; due postazioni di
lavoro complete di PC e relativi accessori, dallo scanner alla stampante al
collegamento Adsl (le forze dell’ordine hanno sequestrato ai BdS altri 2 PC);
Tv da 36 pollici; console playstation con annessi numerosi videogiochi; vari
joystick; videoregistratore; stereo con relative opzioni, amplificatore, torre
CD ecc.; radiotrasmittente; cellulare ultraminiaturizzato che squilla
perennemente.
Certo non è la casa intelligente di Bill Gates. Ma è senz’altro un
ambiente tecnologicamente più avanzato della media. Ambiente costantemente
immerso in una cupa penombra, ammorbato dal fumo di sigaretta, attraversato da
cavi elettrici sommariamente intrecciati e integrato con un arredo dark: nere
le pareti e le porte, nere le scrivanie e le varie suppellettili, nere le tende
alle finestre, nero il vessillo dei BdS che campeggia alle spalle della
scrivania di Dimitri. Ovunque simboli che richiamano il Principe delle Tenebre:
draghi alati, teschi (di materiale sintetico), candelabri, candele consumate,
quadri che ritraggono il Demonio sotto forma di caprone, decine di fotografie
(rigorosamente in bianco e nero) appese ai muri e sulle porte e che propongono
teatralmente la messa in scena di riti satanici. Dimitri vive solo. Unica sua
compagnia Astaroth. Un magro e silenzioso gatto certosino con una ciste
rosa-pallido in mezzo alla fronte che gli conferisce un’aria decisamente
inquietante. Salvo circostanze particolari, Marco lavora mediamente circa tre
ore al giorno alla tenuta del sito dei BdS. Mentre per l’aggiornamento
professionale dedica circa due ore la sera leggendo riviste specializzate,
sperimentando programmi ecc. Se a questi impegni si aggiunge l’attività di
Web-master e la creazione di siti per conto terzi, la realtà virtuale è parte
integrante dell’esperienza quotidiana di Marco, il suo stile di vita è un modo
di essere pienamente integrato con la <cultura del computer> (51).
L’architettura
del sito dei BdS non segue le regole di economicità di tempo a cui in molti
oggi si attengono (52) e fa sfoggio dei programmi di computer grafica di
maggiore tendenza sulla Rete. Il sito è diviso in due parti: un’HP sonora che
contiene le sezioni: chi siamo, negozio, arte foto, cultura pagana, libri,
forum, chat, iscrizioni, filosofia dei BdS, vampirismo, stregoneria, demoni,
antisatanismo, comunicati. Nella stessa HP si trova il link al <portale
nero> che contiene una serie di servizi tipici dei portali: dai giochi all’edicola,
dai link con siti affini a orari utili ecc. Il <negozio> è un piccolo
spazio dedicato all’e-commerce. Ma nessuno pensi di trovarci talismani e
feticci simili ritenuti dai BdS sciocchezze per gonzi, <una bestemmia nei
confronti del pensiero magico che è la propria ritualità esistenziale>. Il
merchandising dei BdS si riduce a poca cosa: la vendita di T-Shirt, medaglioni
e della loro rivista, Kaffeina, organizzata per numeri monografici e che
tratta le varie tematiche del paganesimo ma anche voodoo, vampirismo, cultura e
magia dell’antico Egitto ecc. Chat e forum non registrano numeri da capogiro:
attualmente gli iscritti al forum sono una sessantina e i messaggi scambiati
nell’ordine di alcune decine al giorno.
Fatta
eccezione delle band metallare, nel panorama Web italiano i siti
dichiaratamente satanisti sono pochi: una decina. Di questi solo tre, forse
quattro non hanno intenti commerciali mascherati con paraventi esoterici. Da
notare che sui motori di ricerca italiani la gran maggioranza dei siti
richiamati con la voce <satanismo> sono in realtà antisatanisti. Uno
sbilanciamento che tradisce più la paura che la realtà del fenomeno.
Numerosissimi sono invece i siti che si richiamano al neo-paganesimo. Ma qui
distinguere tra ciò che è satanismo e ciò che è vago occultismo o addirittura
ideologia New-Age richiederebbe un’indagine ad hoc tanto è il mixaggio di
stili, richiami e citazioni esoteriche.
Al di là dei
possibili limiti tecnici, il sito dei BdS non è nelle sue intenzioni di tipo
immersivo. Non è uno spazio in cui abitare, o in cui accadono eventi immaginari
vissuti come reali. Non è la riproduzione immateriale di uno spazio reale. E’
fondamentalmente un teatro dell’immaginario satanista. Un uso pacifico di
Internet come lavagna, vetrina, esposizione, spazio culturale. Nel sito dei BdS
non ci sono maschere ma poesie. Non ci sono personaggi virtuali ma fotografie.
Non ci sono giochi di simulazione ma scrittura. Non c’è l’elogio spinto del
macabro. Non c’è sesso. Un racconto disarmato se confrontato con quello che si
può vedere in Rete. Ma dove l’identità del BdS si presenta per quella che è:
una tribù della società dello spettacolo. Conclusione generale: i BdS sono un
gruppo che rappresenta principalmente lo stile del satanismo, ossia un
gioco di apparenze tipico di una sottocultura in guerra contro la morale
dominante. Lo dimostra la formula comunicativa del sito Web curato da Dimitri:
uno spazio informativo che esprime una tendenza. Certamente la scarsa
aggressività è dovuta al timore di prestare il fianco a pretesti buoni per
censure o peggio. Ma c’è dell’altro. Il navigatore alla ricerca di emozioni
forti deve andare a cercarle altrove. Nel sito dei BdS non le troverà. Neppure
troverà una guerra al cristianesimo. La scelta dei BdS è orientata da una
strategia comunicativa leggera. Ancor più leggera di numerosi siti Web di
gruppi shock rock. Un sito che non fa magie è il gesto magico dei BdS.
<Non
posso parlare di una missione vera e propria del sito dei BdS. Internet è come
l’universo, come la materia. Prende vita dalle nostre azioni. Da quello che noi
immettiamo. Questa è una forma magica. Quindi Internet dipende dalla nostra
disponibilità e capacità di dialogo, dal nostro insegnare, imparare. Impariamo
e creiamo allo stesso tempo. Assembliamo degli oggetti virtuali. Diamo loro una
forma. La tecnologia cerca di emulare l’Antico Valore. Ad esempio cerca di far
comunicare. Tenta di far viaggiare oltre il muro dei cinque sensi. Questo
Valore, che è poi un’acquisizione di coscienza, è sia antico che moderno. È
un’emulazione tecnologica di quello che erano virtù umane primordiali. Poter
sentire quello che normalmente non si sente… Stiamo parlando della trasmissione
via radio, dei radar, delle onde elettromagnetiche. Stiamo parlando di essere
onnipresenti. Prendiamo un cellulare per esempio. Ci fa comunicare ovunque noi
siamo. È il cervello che fa un atto magico, che crea uno strumento per andare
oltre lo spazio. È una forma di telepatia elettronica. La telepatia ha preso
come veicolo la tecnologia. E questo fa pensare. Non basta dire tecnologia per
intendere l’evoluzione, la modernità. L’Ego si evolve quando la propria
coscienza è unica e una con l’universo. Qui c’è la crescita, la presa di
consapevolezza che ha poi bisogno della sua espressione rituale. Mentre la
tecnologia è un albore, una derivazione>.
La tribù dei BdS si trova a proprio agio nell’Era tecnologica perché
tenta di valicare il senso comune. Al gruppo di satanisti si può forse
applicare la nota deduzione di McLuhan sul ruolo dell’artista: che raccoglie le
sfide lanciate dalle innovazioni tecnologiche e <Gioisce delle novità
percettive offerte dall’innovazione. Il dolore provato dalla persona media nel
percepire la confusione si carica di eccitazione per l’artista nella scoperta
di nuove frontiere e nuovi territori per lo spirito umano. Si gloria di nuove
identità, collettive e private, le quali però, negli establishment politico ed
educativo come nella vita domestica, portano invece anarchia e disperazione>
(53).
Atto quattordicesimo. L’incanto del mondo digitale
L’equazione energia = magia è talmente intuitiva da apparire quasi un
automatismo culturale. D’altra parte la tentazione è assai forte dal momento
che i nuovi media sono considerati estensioni del corpo umano: <La
continuità tra i due campi, il tecnologico e il biologico, è stabilita dal
fatto che c’è elettricità sia all’interno che all’esterno del corpo. … le reti
tecnologiche hanno dimostrato una tendenza a crescere in modo esplosivo, come
quelle biologiche del nostro sistema nervoso subito dopo la nascita> (54).
Non è la prima volta nella storia che tecnologia e magia si trovano a
fare i conti l’una con l’altra in una commistione di ruoli che per la coscienza
scientifica è oggi del tutto improponibile. Tuttavia l’intangibilità della Rete
unita alla sua tendenza alla tribalizzazione ripropone alla ragione un
confronto che sembrava ormai sepolto: <E’ sorprendente come la rete possa
privarti delle tue convinzioni adulte sulle leggi della fisica. Sei costretto
ad adottare un approccio quasi infantile al mondo digitale: chiedi sempre
perché, perché, come un bambino di cinque anni e accetti le risposte per quanto
ti possano apparire strampalate, perché l’alternativa è credere che accada
tutto per magia> (55).
E se certo di magia non si tratta la Rete è un mondo parallelo a quello
off-line dove tecnologia, parole e immagini si fondono in una dimensione
immateriale che genera vite artificiali. Fiabe popolate da una non-vita che
vive in maggiordomi, ragni e robot
digitali; racconti di apparenze reali
come gli avatar, i nickname e le false
identità; fughe dalla realtà che educano alla realtà come i giochi di ruolo, i
party elettronici e il cybersex; trame di apparizioni/sparizioni come
l’allentamento dell’autocensura, il cambiamento dell’identità sessuale e l’anonimità
nelle chat; immaginari fatti di formule rituali come l’uso di acronimi, forme
linguistiche contratte, emoticone; messe in guardia dai pericoli come quelli
causati dalla perdita di orientamento durante la navigazione, dall’eccesso di
informazioni, dalla tecnologia opaca (56).
<Con
Internet si presenta la stessa dinamica che si ritrova nel rito satanico. La
ritualità è un riconoscimento della propria natura, e del connubio che ha con
tutto quello che c’è attorno, in una forma precisa che è energetica. Come la
scheda del PC si carica di energia così il tuo corpo si carica di un’energia
che tu evochi principalmente a te stesso. In quell’Uno che sei tu e l’Universo.
La scheda del PC incamera in sé una forma energetica e la esprime all’interno
dell’elaboratore per arrivare ad un risultato di un mondo creato, sia pure
virtuale ma creato. Se invece della bacchetta usiamo il mouse la cosa non
cambia. Non usiamo più la bacchetta
magica, il famoso simbolo attivo, fallico, ma il mouse per creare attorno un nostro
universo, una nostra forma, un nostro colore, che diventa sempre e in ogni modo
un metodo di comunicazione>.
L’informazione come energia è stata ed è ancora in parte un motivo
guida di molti guru dei new-media. D’altra parte, la sua concettualizzazione in
termini sociali ha alle spalle una storia. La si ritrova sotto varie forme in
più punti della cultura occidentale: dalla volontà di potenza nella filosofia
di Nietzsche e nella psicologia di Adler alle idee di macchine organizzative e
gruppi di pressione nella sociologia. La si ritrova anche nell’uso sempre più
allargato di Internet. La vita virtuale ha messo all’ordine del giorno il
problema dell’abolizione del tempo e dello spazio restituendo al linguaggio
esoterico il potere perduto, restituendo alla parola la sua carica magica:
<L’elemento importante consiste nel riconoscere che i sistemi informativi
elettrici sono ambienti vivi nel senso più organico del termine. … Mentre la
ruota è un’estensione del piede, il computer ci offre un mondo dove mano umana
non ha mai posto piede. … Non meno di quanto la ruota è un’estensione del
piede, il computer è un’estensione del nostro sistema nervoso, che esiste
grazie a feedback e a circuiti>. (57)
Il
cyberspazio gode ormai di una relativa autonomia (58). È un luogo di pura
informazione definito da William Gibson, inventore del termine:
<un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno>. Chi percepisce
Internet come un mondo incantato <dove mano umana non ha mai posto piede>
non necessariamente deve navigare tra i siti delle nuove religioni. Può
tranquillamente iscriversi ad un gioco di ruolo. I più amati sono universi
fantasy popolati da creature irreali: elfi, umanoidi, mostri, gnomi, esseri
immortali e mistici la cui parola ha carattere evocativo, si carica di magia e
permette di costruire mondi. Nei MUD giocatori esperti hanno la possibilità di
diventare <maghi> e di ottenere poteri sovrannaturali come rendersi
invisibili. I più abili acquisiscono addirittura il titolo di <dio>.
Nonostante
il reincanto che offre Internet non è irreale. E’ una nuova realtà. Per i BdS
rappresenta la parziale soluzione per combattere la struttura comunicativa
egemone; per affermare la propria specificità culturale. E la virtuale
abolizione del tempo e dello spazio non fa che spostare il conflitto tra
cultura dominante e gruppi subalterni su un altro piano. Anche sulla Rete
comunicare non significa affatto mettere in comune. La virtualità di Internet
non abolisce la società. Che di incantevole ha assai poco e si ripresenta con
tutte le sue contraddizioni. Come ogni media Internet riproduce i rapporti
sociali di potere: le sue pratiche di inclusione e di esclusione.
In generale nella Rete: si formano comunità virtuali e ci si ammala di
net-addiction (Internet-dipendenza), si acquista volenti o nolenti una
data-image (identità personale costruita attraverso archivi e data-base); si
lavora e si consuma; si formano nuove opportunità e nuove disuguaglianze; si
lotta per la libertà di parola come fanno i siti di informazione indipendente e
si tiene sotto controllo la libertà di parola come il vagheggiato grande
fratello sotto le vesti del marketing, della pubblicità, della repressione
poliziesca; si commercia e si stringono amicizie; si sperimentano nuove
espressioni artistiche e si torna ad usare massicciamente la parola scritta; si
aiuta il prossimo e si cerca
di
frodarlo; prendono corpo nuove speranze
comunitarie
e nuove paure collettive. Nel caso particolare dei BdS Internet è un mezzo per creare legami sociali partendo
dalla singola soggettività. E in questo senso il loro sito non è meramente
autoreferenziale:
<Siamo in Internet ma ci sentiamo ancora soli nonostante le chat,
l’e-mail, i news group. Siamo su Internet ma siamo ancora da soli. Per cui nel
nostro sito ognuno dà un’informazione che informa ad informare. Informa se
stesso innanzitutto. Scrivendo, e in un certo senso l’attività di scrittura è
anche terapeutica, una persona inserisce delle informazioni, poi si rende conto
che sono utili per se stesse, si rende conto è bello e scrive ancora. Dopo, con
il tempo, quello che ha scritto diviene informazione di utilità per un dialogo
comune, per abbattere barriere. All’inizio la persona dà un mirror di se
stessa. Parla di sé, io sono questo, la penso così. La sua scrittura diventa
una realtà oggettiva e il sito viene visitato. Internet permette alle persone
di andare oltre il loro messaggio tirando fuori quello che non hanno mai detto,
forse neanche a se stesse. Internet è fatta per cospirare se per cospirare si
intende parlare di quello di cui si è sempre taciuto. Dire la propria. Che poi
quando una cosa è scritta diventa una piccola verità, c’è. E’ la magia della
scrittura. Non è più il giornalista, la Tv che fanno informazione, ma è il
singolo con il proprio quoziente di intelligenza. L’informazione a parere mio
deve rimanere sempre incensurata. E certo, cospirazione è una parola grossa
perché ha tante sfaccettature. Ma se Internet è uno strumento sovversivo verso
lo Stato lo è se lo Stato è uno strumento repressivo verso la libera
informazione>.
Atto quindicesimo. Preistoria contro storia: la guerra continua
Senz’altro
il computer è un modo rivoluzionario di comunicare ma le fonti
dell’informazione restano le persone in carne ed ossa con i loro pensieri,
capacità creative, vocazioni, portati culturali, redditi differenti,
appartenenze di classe. Internet e il multimediale costituiscono la
prosecuzione in un’altra dimensione degli scontri tra individui, gruppi e
società sui significati dell’esistenza. Scontri che, come nella partita
satanisti/antisatanisti, sono combattuti tra discorsi trincerati su fronti
opposti e dove l’incomunicabilità prevale sulle possibilità di reciprocità.
Peggio ancora: dove i discorsi non finiscono mai di misurarsi e ricadono in
qualche maniera all’interno della guerra perpetua nella quale siamo
definitivamente entrati (59).
Nel momento in cui le tecnologie della comunicazione sprigionano nuove
possibilità di interazione, la lunga durata, verrebbe da dire la preistoria per
usare il vocabolario di Marx, ritorna a galla: riemerge lo spazio/tempo in cui
la vita sociale dell’uomo è determinata in larga misura da forze esterne. A suo
modo McLuhan è perfettamente consapevole di questo processo e ha insistito
sull’idea di tribalizzazione. Ma il suo pensiero, pur senza scadere nel
determinismo tecnologico (60), è altrettanto perfettamente orientato dal
prevalere del dato tecnico sul contenuto, del percetto sul precetto: il mezzo è
il messaggio. Non può essere altrimenti. Chi non riconosce il primato del conflitto
nella comunicazione orientata dai vecchi e nuovi media cerca altrove. Così
l’inventore del villaggio globale resta prigioniero della strega elettronica.
Anche per lui il Diavolo esiste. Scrive in una lettera indirizzata a R.J.
Leuver, direttore di un giornale clericale di Chicago: <Non è male che di
tanto in tanto ricordiamo a noi stessi che il <<Principe di questo
Mondo>> è un grande addetto alle pubbliche relazioni, un grande venditore
di nuovi hardware e software, un grande ingegnere elettronico, e un gran
maestro nell’uso dei media. > (61).
Forse McLuhan avrebbe interpretato come tribale anche il massiccio
ritorno della religiosità visionaria sostenuta dalle tecnologie della
comunicazione. Internet è oggi uno dei tramiti e dei territori delle apparizioni
di Maria. La Rete: <è anche un luogo di organizzazione della cultura
visionaria cattolica, poiché le offre una straordinaria infrastruttura,
consentendo di stringere relazioni e moltiplicare contatti in una maniera inimmaginabile
in passato. … è inoltre un luogo di devozioni mariane, perché attraverso
esso si prega, si visitano devotamente siti, vi si dirigono pratiche rituali. …
è un luogo di comunità, perché vi si organizzano gruppi di devozione, di
preghiera, di corrispondenza visionaria e ci si scambiano oggetti, oltre che
preghiere e consigli. … per i devoti Internet è anche un luogo di prodigi,
in cui si vede direttamente il Cielo, in cui il Cielo parla> (62). Nei
territori virtuali diavolo e acqua santa vivono in spazi separati di espressione.
Esattamente come nella vita off-line ognuno racconta la propria fiaba.
Patrizio
Paolinelli, La critica sociologica, 161. Primavera 2007, pagg. 38-85.
Note
(1)
M. McLuhan, Corrispondenza 1931-1979, Sugarco Edizioni, Varese, 1990,
Lettera a J. Maritain, pag. 239. Per McLuhan l’idea di <ambienti di
informazione elettronica> non significa solo la rete dei computer ma più
complessivamente l’estensione del sistema nervoso umano determinata dai mezzi
di comunicazione. McLuhan è un fervente cattolico che ritiene Tv, radio e
telefono strumenti del Maligno. Posizione che può sorprendere in quanto il
celebre studioso ha mantenuto sempre segrete al vasto pubblico queste sue
profonde convinzioni. L’idea che il Male si alligni nelle pieghe della
tecnologia affiora sporadicamente solo dalla corrispondenza privata, di gran
lunga meno nota delle altre sue opere. Il profilo che emerge dalle lettere di
McLuhan è quello di un battagliero credente che sopporta per devozione e studia
con passione la società in cui vive e i suoi motori quali l’industrialismo, il
consumismo, i mass media. Per meglio combattere il Male annidato negli ambienti
elettronici McLuhan adotta la strategia di affrontare la cultura secolare da un
punto di vista laico guardandosi bene dal fare pubblica professione dei propri
intimi convincimenti. Una delle ragioni che motiva la lotta clandestina
condotta dal mistico McLuhan contro l’indipendenza raggiunta dai mezzi di
comunicazione nei confronti degli individui è la sottrazione di identità cui
sono sottoposti gli abitanti della Città Elettronica. La sistematica erosione
del confine tra vero e falso indotta dai mezzi di comunicazione è per McLuhan
opera di Satana e costituisce il pericolo maggiore per la coscienza umana.
Nell’epistolario sono poche le affermazioni nette sulla “missione per conto di
Dio” di cui McLuhan si sente investito. Vanno davvero trovate con il
lanternino. Non solo. In alcune lettere lo studioso canadese protesta la
propria neutralità di scienziato dichiarando di non esprimere giudizi di valore
sui processi tecnologici che analizza. Sicuramente è sincero. Ma parallelamente
aggiunge che gli effetti della tecnologia sulla psiche sono cose più grandi di
noi e del tutto indipendenti da opinioni personali così come la verità rivelata
e la realtà della Chiesa. Vedi ad es. le lettere a F. Sheed e E. Havelock, pag.
259-262 cit.
(2) Sul concetto di
lunga durata cfr. F. Braudel, Storia e scienze sociali. La “lunga durata”,
in, Scritti sulla storia, Bompiani, Milano, 2001, pag. 37 e segg. Sul
concetto di razionalità comunicativa intesa come <azione orientata alla
reciproca comprensione> cfr. J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo,
il Mulino, Bologna, 1986. Sulla crisi delle metanarrazioni (religioni e
ideologie politiche) cfr. F. Lyotard, La condizione postmoderna,
Feltrinelli, Milano, 1981. Come si vedrà, mettiamo in discussione alcune
posizioni di Habermas e Lyotard. Nel suo piccolo la vicenda
satanisti/antisatanisti contribuisce a dimostrare che, al di là di ogni
formalizzazione teorica più o meno riuscita, oggi comunicare è essenzialmente
guerreggiare. All’interno di questa lotta il senso del tempo e il linguaggio
che lo motiva generano il discorso satanista e quello antisatanista. Più che
giochi linguistici e possibilità di concordia i prodotti finali sono ferite
materiali e psichiche, vinti e vincitori, intolleranze e resistenze. In estrema
sintesi: il linguaggio è un’istituzione regolatrice della realtà sociale e in
quanto tale strumento di potere tendenzialmente orientato a fissare ritmi e
durate. A partire da queste basi utilizziamo uno strumento elaborato da
Touraine, il possesso della storicità, in quanto muove da una prospettiva aderente
alla dimensione del conflitto: <La storicità della società è la capacità di
produrre i propri orientamenti sociali e culturali a partire dalla propria
attività, dando così un <<senso>> alle sue pratiche. … La storicità
determina le condizioni del gioco politico, che produce a sua volta le regole
entro cui agiscono le organizzazioni. … La classe dirigente gestisce la
storicità, ma la identifica anche con i suoi interessi particolari. La classe
popolare si protegge da questa dominazione, ma si richiama anche alla
storicità, contestandone l’appropriazione da parte della classe dirigente. … la
storicità guida le istituzioni politiche e l’organizzazione sociale e
culturale, mediante il sistema d’azione storica. Quest’ultimo è l’insieme dei
modelli che orientano le pratiche del lavoro: produzione, organizzazione,
distribuzione e consumo; è l’impatto della storicità sulle risorse che essa
utilizza e mobilita>. A. Touraine, Per la sociologia, Einaudi,
Torino, 1974, pagg. 47-49. <Ho chiamato storicità l’insieme dei modelli
culturali mediante i quali una società produce le proprie norme negli ambiti
della conoscenza, della produzione, della morale. Tali modelli culturali
costituiscono le poste in gioco dei conflitti tra movimenti sociali che lottano
per dare loro una forma sociale conforme agli interessi di varie categorie
sociali>. A Touraine, Critica della modernità, il Saggiatore, Milano,
1993, pag. 427. Dello stesso cfr. La produzione della società, il
Mulino, Bologna, 1973, in part. il cap. La storicità, pag. 31 e segg.
L’applicazione del concetto di storicità al caso che abbiamo indagato autorizza
la seguente sequenza interpretativa: l’immagine del tempo difesa da satanisti e
antisatanisti è il reticolo che li collega/divide e permette di comprenderne le
rispettive identità; tale reticolo è costituito da segni tramite i quali sono
stati osservati: il conflitto, il linguaggio e la teatralizzazione di entrambi;
la combinazione di questi elementi ha dato vita alla rappresentazione pubblica
satanismo/antisatanismo osservata attraverso l’idea di Marx sull’irripetibilità
della storia se non come dramma o farsa.
Due parole sui
criteri dell’indagine. Dinanzi ai materiali raccolti per condurre l’inchiesta:
a) ci siamo basati sull’idea di comunicazione come forma d’azione; b) abbiamo
adottato un approccio che collega sfera macrosociale e sfera microsociale; c)
abbiamo analizzato il rapporto tra morale dominante e vissuti soggettivi dalla
parte degli oppressi: i BdS.
(3)
Il discorso giudiziario che coinvolge i BdS muove da valanghe di accuse.
Un’incompleta rassegna. 1989: violenza carnale su uomini e donne nel corso di
riti nominati <I venerdì delle vergini>. 1992: sfruttamento della
prostituzione per la presenza di una ragazza seminuda che funge da altare simbolico
durante un rito satanico. Gennaio 1996: violenza sessuale durante una messa
nera su una ragazza di 16 anni ex fidanzata di un adepto dei BdS. Febbraio
1996: violenza sessuale su un bambino di tre anni. All’accusa seguono 13 mesi
di carcerazione preventiva in isolamento da parte di Dimitri e Piergiorgio
Bonora (Presidente e Vice dei BdS, 33 e 21 anni) e sei mesi per Gennaro Luongo
(iscritto all’Associazione, 28 anni). Durante l’inchiesta seguono nuove
imputazioni: licantropia, occultamento di cadavere, associazione mafiosa. 1999:
estorsione e minacce nei confronti di un’ex iscritta ai BdS. A queste accuse si
aggiungono altre imputazioni aderenti e non all’immaginario popolare sul
satanismo che coinvolgeranno persone del tutto estranee al mondo dell’occulto
come il marchese Ippolito Bevilacqua Ariosti (cattolico praticante e
agricoltore) inquisito per il presunto omicidio di un extracomunitario ucciso
con 21 coltellate durante un sacrificio umano. Episodio rivelatosi pura
fantasia. Poiché i BdS saranno completamente assolti da queste ed altre
incriminazioni risulta assai improbabile parlare di errori giudiziari.
(4) La vicenda della Uno bianca è una delle più
oscure del dopoguerra italiano e di quello dell’Emilia-Romagna in particolare.
La banda è formata da cinque poliziotti
(quattro della Questura di Bologna e uno del Commissariato di Rimini) e da
altre due persone. Oltre all’impressionante numero di rapine (90), che in poco
più di sette anni fruttano circa 2 miliardi e mezzo di vecchie lire, una cifra
straordinariamente modesta se si tiene conto dei rischi, la banda tenta
estorsioni, compie raids
xenofobi contro comunità nomadi e extracomunitari, attentati contro
rappresentanti delle forze dell’ordine lasciando dietro di sé una lunga scia di
sangue (24 morti e 104 feriti). Sorprendente il comportamento della
magistratura locale che per anni insegue false piste e condanna 55 innocenti.
L’arresto dei componenti della banda avviene in circostanze mai chiarite. Per
quanto non apertamente professata la pseudo-cultura politica dei componenti
della Uno Bianca è di matrice fascista. Diversi crimini della banda, in
particolare quelli più violenti e quelli contro le istituzioni come ad esempio
l’agguato che conduce alla morte di tre carabinieri nel quartiere bolognese del
Pilastro, vengono strumentalmente rivendicati dalla Falange armata (gruppo di
estrema destra) che adotta una raffinata strategia mediatica indubbiamente
orchestrata da abili professionisti. Sull’intera vicenda le versioni ufficiali
sono tese a mitigare il più possibile le responsabilità delle istituzioni e ad
accreditare pubblicamente l’idea di una banda di pazzi sanguinari. Operazione
che riuscirà perfettamente. Sul piano dell’informazione pochi e destinati
all’insuccesso i tentativi di fare luce sulle anomalie della Questura bolognese
e sullo strabismo della magistratura locale. Per un’attenta ricostruzione del
caso e la relativa bibliografia si veda il sito web www.misteriditalia.com/unobianca/
(5) Massimo Introvigne, Indagine sul
satanismo. Satanisti e antisatanisti dal Seicento ai nostri giorni,
Mondatori, Milano, 1994, pag. 403-404. Dello stesso cfr. Il satanismo,
Elledici, Leumann, Torino. Introvigne definisce
<il satanismo come la venerazione organizzata in forme liturgiche
dell’angelo del Male chiamato Satana nella Bibbia>, Indagine… cit.
pag 21. E distingue 4 tipi di satanismo: 1) razionalista: Satana è il simbolo
del Male e di una visione del mondo anticristiana; 2) occultista: Angeli
ribelli divenuti demoni che si sono posti al servizio del diavolo; 3) acido: i
riti si basano sull’uso di sostanze stupefacenti, orge e abusi
psicologici/sessuali; 4) luciferino: Lucifero e Satana sono venerati
all’interno di cosmogonie che ne fanno un aspetto del sacro. I BdS non si
riconoscono in nessuna di queste categorie. Ma è la posizione dello studioso e
del devoto che al momento è importante registrare. Per Introvigne il satanismo
è un fenomeno sovradimensionato dalla pubblicità dei media <che di per sé ha
scarso spessore culturale e sociale>. La sua reale importanza risiede nel
costituire <la metafora di una modernità brutale a cui sono stati tolti
tutti i paraventi retorici> e la sua forza risiede <nel contesto
singolarmente favorevole che il mondo moderno gli offre – gli antisatanisti
attribuiscono alle sette sataniche poteri magici e misteriosi che sono ben
lontane dal possedere, e finiscono per rimanere intrappolati nel groviglio
delle loro stesse esagerazioni. Se la storia del satanismo è interessante, è
per il suo valore emblematico di icona di una certa modernità. Se la storia
dell’anti-satanismo è interessante, è perché mostra l’incapacità di forze
socialmente significative, laiche e religiose, di identificare la causa
profonda del disagio che pure avvertono di fronte a certi aspetti della
modernità, e la loro ricerca di diversivi e capri espiatori>. Indagine… cit. pag. 408. I numeri che
emergono dalla ricerca di Introvigne sono i seguenti: <le formazioni
sataniste di una qualche consistenza in Italia sono soltanto quattro: le due
Chiese di Satana a Torino, la Confraternita di Efrem del Gatto a Roma, e i
Bambini di Satana a Bologna. Se si crede alle stime piuttosto generose fornite
dai loro dirigenti, questo satanismo <<ufficiale>> italiano
conterebbe nel suo complesso un migliaio di adepti; è più probabile che i
membri effettivamente impegnati in questi movimenti siano, globalmente, non più
di cinquecento>. Indagine… cit. pag. 404-405. Per il suo carattere
spesso clandestino la quantificazione del fenomeno satanismo è controversa. Ai
gruppi individuati da Introvigne potremmo aggiungere: in Calabria, l’Ordine del Triangolo Nero che adora Satana come vero
Dio; in Piemonte, i Figli di Satana
principalmente dediti a riti notturni; dalle parti di Pescara, Ierudole di
Ishtar composto da sole donne; a Napoli, il Tempio di Seth, filiale Italiana
del gruppo californiano fondato nel 1975 da Michael Aquino ex luogotenente di
Anton LaVey ispiratore del satanismo contemporaneo. Esistono poi problemi
metodologici: spesso il satanismo viene fatto rientrare all’interno degli oltre
600 culti presenti in Italia o tra fenomeni criminali impedendo così una stima
ufficiale universalmente accettata. Tuttavia, anche l’ipotesi più ottimistica
di un migliaio di adepti in tutt’Italia fa del satanismo un fenomeno poco
consistente. E la sua importanza va cercata in due direzioni: per ciò che
rappresenta all’interno della modernità e per gli antichi tabù che solleva.
(6) Salvo diversa
indicazione i periodi in corsivo racchiusi tra parentesi uncinate corrispondo a
brani di interviste rilasciate allo scrivente da Marco Dimitri. L’insieme delle
interviste qui contenute sono: di tipo semistrutturato, registrate su nastro
magnetico, raccolte tra novembre 2001 e marzo 2002.
(7) M. McLuhan, Q.
Fiore, Guerra e pace nel villaggio globale, Urra, Apogeo, Milano, 1995,
pag. pag. 89-90. Sugli ordini socio-temporali cfr. E. Zerubavel, Ritmi
nascosti. Orari e calendari nella vita sociale, il Mulino, Bologna, 1985.
(8) I demoni della
mitologia greca sono esseri divini, positivi e negativi, buoni e malvagi.
Individui, famiglie e città avevano i propri demoni tutelari. Pan è un dio
fallico legato al mondo pastorale e ai suoi riti orgiastici. Figlio di Ermes e
della ninfa Driope fu abbandonato dalla madre tanto era brutto con i suoi piedi
caprini, le corna, la folta peluria e la coda. Così il padre <lo avvolse in
una pelle di lepre e lo portò in fretta sull’Olimpo. Lo pose a sedere accanto a
Zeus e agli altri dei e presentò loro suo figlio. Gli dei si rallegrarono, più
di tutti Dioniso. Lo chiamarono Pan perché <<tutti>> ne provarono
piacere. <<Tutto>>, nella nostra lingua si diceva pan, e
benché il nome del dio – a parte l’assonanza – nulla avesse a che vedere con
questa parola, il dio stesso più tardi venne identificato con l’universo. … In
numerosi racconti minori gli venivano attribuiti: il carattere oscuro,
spaventoso, fallico, ma non sempre malvagio. Certamente poteva diventare anche
cattivo, specialmente quando veniva svegliato dal suo sonno meridiano. Guidava
la danza corale delle ninfe nella notte, conduceva anche il mattino e guardava
in giro dalle cime dei monti. Si raccontavano sul suo conto diverse storie
d’amore …>. K. Kerényi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia, Garzanti,
1976, Vol. 1, pag. 163-164. Nonostante l’attrazione verso il pantheon della
mitologia greca l’opzione per Satana dell’Associazione di Dimitri è una scelta
determinata dalla volontà di: a) contrapporsi ad una storia che non si può
eludere, quella del cristianesimo; b) distinguersi dalle correnti New-Age che
eludono la storia; c) riproporre il paganesimo nella versione satanista come
sfida alla mistica cattolica e a quella dei nuovi culti. Nel IV
Concilio Lateranense del 1215 il cattolicesimo stabilisce che
esiste un unico principio dell’universo, creatore di tutte le cose visibili e
invisibili. Anche il diavolo è una creatura di Dio, naturalmente buona ma
diventata cattiva di sua iniziativa e che corrompe gli esseri umani. Per le sue
caratteristiche, zoomorfiche e caratteriali, Pan rappresenta la figura tipica
del diavolo cristiano. Cfr. M. Centini, Le bestie del diavolo. Gli animali e
la stregoneria tra fonti storiche e folklore, Rusconi, Milano, 1998, in
partic. pagg. 68-72. Viceversa nella tradizione magica si assiste a tutt’altra
narrazione. I demoni principali sono settantadue,
divisi in re, duchi, marchesi, conti, presidenti. Sono forze della natura,
creatori di scienze. In quanto energie contengono in se stessi la conoscenza,
il bene, il male e possono essere associati ad eventi positivi e negativi. Nei
rituali satanisti le energie demoniache sono rievocate e gestite dalla volontà
del partecipante. Per <una storia naturale del diavolo> e per la sua
archetipa presenza nei miti e nelle religioni cfr. A. M. Di Nola, Il diavolo,
Newton Compton, Roma, 1997.
Sommariamente, il neo-paganesimo a cui i Bds si richiamano e a cui
effettivamente appartengono è: un sentimento che si richiama alla materia;
un’idea della natura come forza vitale; una sorta di divinizzazione della
natura con cui dialogare nelle pratiche rituali.
(9) Il fronte degli antisatanisti è compatto e
agisce in maniera coordinata. Gli obiettivi non sono dichiarati. Ma è possibile
individuare due polarità: la tutela della morale cattolica e la repressione dei
nuovi culti. All’interno dei due poli si situa il discorso dell’antisatanismo.
Ovviamente la presente inchiesta, per limiti di spazio e finalità, non
costituisce un’analisi esaustiva dell’intero campo di azione né dei singoli
attori/narratori. Per quanto concerne il ruolo della Pubblica Accusa parlano le
sentenze pienamente assolutorie. Più problematico il ruolo del Gris. Si tratta
di un centro studi collegato alla Curia bolognese il cui Arcivescovo, Cardinale
Giacomo Biffi, si è così espresso rispetto alla credenza collettiva del
diavolo: <Nella nostra epoca il demonio ha sferrato i suoi attacchi più
virulenti contro la famiglia, con il divorzio, con una legislazione contraria
all’istituto familiare, con l’ossessivo terrorismo antidemografico e con l’idea
che in questo mondo nessun impegno sia più definitivo>. Cfr. G. Pagani, Biffi:
<Contro la famiglia gli attacchi del demonio>, il Domani di Bologna,
16.03.2002. Forte della propria autorità scientifica il Gris recita un ruolo
importante nella vicenda dei BdS che qui ci limitiamo solo a segnalare: è
consulente della Magistratura; è interlocutore del <Carlino>; è in
relazione diretta con diversi soggetti che accusano i BdS; considera il
satanismo un fenomeno criminale. Il <Carlino> è il terzo componente principale
del fronte antisatanista. Il suo ruolo non è certo quello del favoleggiato
giornalismo indipendente. In generale, e non solo nei confronti dei BdS, la sua
linea di comportamento è di tipo militante e apertamente schierata a destra.
Per un’introduzione al ruolo dei media nella produzione della verità cfr. D.
McQuail, Sociologia dei media, il Mulino, Bologna, 2001,in particolare, Parte sesta, Effetti, pag. 325 e segg.
(10) Luther Blisset è un
autore collettivo no-copyright in attività dal
1994 al 1999. Nel biennio 1996-1997 sotto questo nome multiplo si sono
ritrovate circa 400 persone unite dalle nuove potenzialità espressive offerte
da Internet. L’abolizione dell’autore e dell’identità personale significa sia
la demolizione di ruoli sociali, sia un riorientamento della comunicazione. Chi
è Blissett? <Io sono uno di voi. Anzi io sono voi. Eppure non esisto.
Come è possibile tutto questo? E’ la nuova norma della vita virtuale… Cosa
vogliamo noi? La risposta è una sola: libertà. … Essere e non esistere
è un’ambizione comune in questa Babele liberatoria che è la Rete. … Tutto per
noi è periferia. Ciò che sta ai margini, che letteralmente è emarginato,
noi lo proponiamo, rovesciando il senso, come un modello centrale. … Noi
abbiamo un solo Nemico: è il Potere>. L. Blissett, Net.gener@tion manifesto delle nuove libertà,
A. Mondatori, Milano, 1996. pag. 18, 42, 48. Dopo la cessazione delle proprie
attività di <spiazzamento cognitivo> la componente bolognese dei
blissettiani ha dato vita a un nuovo autore collettivo: Wu Ming.
(11)
Nel 1996 la campagna stampa di demonizzazione del demonio conosce un’impennata: si allarga in tutta
Italia fiutando una serie di piste regionali. Da parte delle forze dell’ordine
scatta l’<Operazione Diablo>. Che si conclude in un nulla di fatto. Ma
floppy disk, cd-rom ed altro materiale informatico assumono decisamente un aspetto sinistro. L’associazione tra Internet e pedofilia è un virus penetrato
nell’opinione pubblica. Un figlio della Rete quale Blissett si trova
indirettamente coinvolto. Scrive polemicamente Luther: <Per ragioni connesse
alla sua natura transnazionale, orizzontale e virtualmente “incontrollabile”,
Internet è guardata con sospetto dai politici, dai preti, dai giornalisti dei vecchi
media e dagli stracchi intellettuali accademici; in pratica dai reazionari di
ogni istituzione e latitudine. Ogni scusa è buona per calunniare questo mezzo,
invocarne la censura, sparare impressionanti cazzate confidando nella beata
ignoranza del “pubblico”. Nella migliore delle ipotesi, le correnti descrizioni
di Internet sono caricature malriuscite di ciò che la rete è ed offre>. L.
Blissett, Lasciate che i bimbi. Pedofilia: un pretesto per la caccia alle
streghe, Castelvecchi, Roma, 1997, pag. 79. Il libro nasce per denunciare
pubblicamente la vicenda giudiziaria che coinvolge i BdS. Blisset la smonta e
passa in rassegna numerosi casi in cui l’orrore derivato dallo sfruttamento di
minori a fini sessuali è utilizzato per chiedere leggi restrittive sull’uso
della Rete: <La maggior parte delle dicerie sulla “pedofilia” via Internet
(dicerie che, amplificate da stampa e TV, danno origine a vere e proprie
psicosi) nasce da spams e dal mix di crassa ignoranza, preoccupazione e invidia
con cui gli operatori dei media tradizionali guardano all’estendersi di
Internet>. L. Blissett, Lasciate che i bimbi, cit. pag. 86. Sull’onda
dell’emergenza creata dalla carta stampata nei confronti della pedofilia, in
Italia passa una Legge restrittiva (n. 269 del 3/8/1998) che concede alla
Polizia ulteriori poteri per chiudere
server, censurare siti, criminalizzare il possesso di materiale interpretabile
come pedofilo. Nel dicembre 2001 il PM Lucia Musti ottiene una piccola
rivincita e riesce a far sequestrare il libro dal Tribunale Civile in quanto
due paragrafi sono stati ritenuti lesivi della sua immagine. Una strategia
censoria che ha il difetto di rendere più appetibile l’oggetto. Il Libro di
Blissett è venduto sottobanco nei circuiti underground ed è scaricabile integralmente
da parecchi siti web. Dopo il sequestro, Blissett, ormai Wu Ming, pubblica sul
proprio sito Internet, Back Pages, Storia di un libro maledetto: “Lasciate
che i bimbi” di Luther Blissett, no (c) dicembre 2001. E’ una seconda
ricostruzione del caso BdS accompagnata dall’iter processuale della causa
civile vinta dalla Musti e da cui
emerge, forse ancor meglio che
nel primo libro, la guerra delle parole combattuta senza quartiere con vari
tipi di strumenti comunicativi: dagli articoli sui quotidiani ai comunicati-stampa,
dai volantini agli atti processuali (citazioni, esposti, difesa), dalle e-mail
agli appelli nei confronti dell’opinione pubblica per finire con le solite
beffe come un volantino firmato, tra gli altri, dal Coordinamento Maghi
Marxisti e da Stregoneria Operaia.
(12) Sui meccanismi
di produzione della discriminazione sociale cfr. T.W. Adorno ed altri, La
personalità autoritaria, Comunità, Milano, 1973; W. Reich, Psicologia di
massa del fascismo, Mondadori, Milano, 1974. Per Reich e la Scuola di
Francoforte il fascismo non nasce e non muore con Hitler e Mussolini ma è
espressione irrazionale dell’individuo massificato, psicologicamente represso.
E la massa, secondo Horkheimer e Adorno, <è un prodotto sociale –non
un’invariante naturale; un amalgama ottenuto sfruttando razionalmente fattori
psicologici irrazionali– non una comunità posta in originaria prossimità
all’individuo. Essa dà agli individui un illusorio senso di prossimità e
unione: ma proprio questa illusione presuppone l’atomizzazione, alienazione e
impotenza dei singoli>, cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno Lezioni di
sociologia, Einaudi, Torino, 1979 (9), pag 96.
(13) Il neologismo
indica una modalità di esercizio del potere statale il cui bersaglio è la
popolazione nel suo insieme e l’obiettivo politico la sicurezza sul territorio.
Cfr. M. Foucault, La “governamentalità”, in aut-aut, n. 167-168,
sett.-dic. 1978. Dello stesso, L’ordine del discorso, Einaudi, Torino,
1979 (5); Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli,
Milano, 1978 (2). Sui mutevoli rapporti tra mezzi di comunicazione (schedari,
stampa, fotografia) e gestione delle soggettività sociali, tra saperi (la
psicologia delle folle, l’antropologia criminale) e controllo dei comportamenti
collettivi cfr. A. Mattelart, L’invenzione della comunicazione, il
Saggiatore, Milano, 1998, in part. il cap. Il profilo delle masse, pag.
235 e segg. Dello stesso cfr. Storia della società dell’informazione,
Einaudi, Torino, 2002. Sull’elasticità del concetto di devianza cfr. la seconda
edizione di, A. Dal Lago, La produzione della devianza. Teoria sociale e
meccanismi di controllo, ombre corte, Verona, 2000. Sul rapporto tra
controllo sociale e istituzionalizzazione di quotidiane crudeltà cfr. G.
Salierno, La violenza in Italia, Mondatori, Milano, 1980.
(14) Cfr. G. Debord, La
società dello spettacolo, Vallecchi, Firenze, 1979. L’elaborazione di
Debord è molto complessa e non può essere affrontata nello spazio di una nota.
Possiamo sommariamente dire che utilizziamo il concetto di società dello
spettacolo riferito a Blissett e ai BdS in questo senso: <Il soggetto
della storia non può essere che il vivente producente se stesso, che si fa
signore e padrone del suo mondo che è la storia, e che esiste come coscienza
del suo gioco>. G. Debord, op. cit. pag 65. Affermare la compresenza della società dello spettacolo e
della società di massa significa che oggi il sistema sociale comprende varie
e distinte società. E’ un’ipotesi che in questa sede è possibile a malapena
enunciare. Nell’ambito della nostra indagine ci limitiamo a dire che nasce da
tre osservazioni: i processi di comunicazione sono prevalentemente rapporti di
forza tra discorsi che si combattono; la mancanza di dialogo prevale
sull’intesa; la comunicazione come partecipazione è dipendente dai
poteri/saperi messi in campo dalle diverse identità collettive.
(15) I Children of God sono
un movimento fondato nel 1969 dal pastore metodista David Berg nella frontiera
delle nuove religioni che è la California. Attualmente la sede principale del
movimento si trova a Montreal (Canada) e ha cambiato nome in Famiglia
dell’amore (Family of Love).
(16) <…l’immagine televisiva, suscitando un
appassionato desiderio di coinvolgimento profondo di ogni aspetto
dell’esperienza, crea l’ossessione del benessere fisico> M. McLuhan Gli
strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano, 1974 (4), pag. 350. La
tribalizzazione è conseguente al declino dell’alfabetismo e all’apparizione
delle tecnologie elettriche/elettroniche che riconvertono i cinque sensi umani
a favore del mondo televisivo fatto di immagini tattili o iconiche. Secondo
McLuhan, a partire da questa riconversione della percezione non viviamo più in
un mondo visivo ma tribale. Un mondo teso al recupero di esperienze ancestrali,
orientali e occulte.
(17) M. McLuhan, Gli strumenti del
comunicare, cit. pag 29-30.
(18) Gli altri
imputati sono P. Bonora e G. Luongo entrambi appartenenti ai BdS (vedi nota n.
3). Luongo è l’ex fidanzato di una giovane iscritta ai BdS, in sede processuale
convenzionalmente chiamata “Simonetta”. E’ lei che accusa il gruppo di violenza
carnale e successivamente di aver violentato un bambino di tre anni. Il PM
Lucia Musti considera la ragazza una superteste e dalle sue accuse scatta
l’inchiesta che manderà in prigione il vertice dei BdS. Nella sentenza
depositata dai giudici e che porta alla completa assoluzione dei BdS
“Simonetta” viene definita <inattendibile> e le sue testimonianze
<inverosimili>.
(19) A proposito del detto,
ne ammazza più la penna che la spada, scrive Roberto Canditi sul
<Carlino> del 4.03.1996: <Dimitri sembra Calimero, tanto piccolo e
tanto nero. Si taglia i polsi in galera e ingoia flaconi di tranquillanti per
attirare su di sé l’attenzione. L’unica cosa che non fa (almeno non risulta), è
ricorrere al suo Satana per essere difeso da magistrati “persecutori” e
giornalisti cinici e senza cuore>.
(20) J. Habermas, Teoria
dell’agire comunicativo, cit.
(21) Cfr. L. Blissett, Lasciate
che i bimbi, cit. pag. 31-32.
(22) Per beffa mediatica si
intende: la diffusione di informazioni false finalizzata a generare eventi
veri. Nel caso di Blisset la strategia è quella di smontare le falsità ufficiali costruite
intorno al satanismo. Questo tipo di simulazione attuata dalla sinistra
antagonista permette di rovesciare la verticalità dell’informazione imposta dal
sistema mediatico. Il produttore di notizie false: dà per scontato che
l’informazione è più o meno pesantemente manipolata/distorta; è un soggetto attivo che non subisce
l’informazione; crea ad arte lo scoop agendo all’interno del sistema
comunicativo ufficiale; ha lo scopo politico di dirottare l’informazione e
tenta di pilotarla allargando il discorso pubblico ad altre voci per lo più in
controtendenza. Sulle varie pratiche di comunicazione antisistema cfr. AAVV, Comunicazione-guerriglia.
Tecniche di agitazione gioiosa e resistenza ludica all’oppressione,
DeriveApprodi, Roma, 2001.
(23) Cfr. L. Blissett, Lasciate che i
bimbi, cit. pag.169.
(24) D. Nathan, M. Snedeker, Satan’s Silence.
Ritual Abuse and the making of a moderne witch hunt, Basic Books, New York,
1995. Si tratta di un’inchiesta
nata dall’emergenza nel corso degli anni ’90 dei Satanic Ritual Abuse (SRA) sui
bambini. I risultati sono impressionanti e hanno messo in luce come i SRA siano
stati per lo più un lucroso business. Questi i dati statunitensi: l’88% delle
accuse di violenze sui bambini sono infondate e nel 1993 su 2.300.000 accuse
avanzate 2.020.000 si rivelano false. Non solo: 1) gli psicologi che applicano
la Recovered Memory Teherapy (far rivivere ai pazienti gli abusi subiti
nell’infanzia) sono costretti a confrontarsi con una nuova patologia scatenata
dalla loro stessa pratica: la sindrome da falso ricordo; 2) in risposta agli
usi illeciti della psichiatria e della psicologia si forma Vocal (Victim of
child abuse law); un gruppo, si badi bene, politicamente conservatore e
ispirato a valori tradizionali a difesa delle vittime della legge sugli abusi
sui bambini. Ancora prima che esplodesse il caso giudiziario BdS, Introvigne
problematizza le fin troppo facili accuse sulle molestie sessuali
<rituali> e <sataniche>: <Per quanto riguarda queste ultime la
montagna costituita da diverse migliaia di casi portati all’attenzione
delle autorità americane nel decennio 1983-1993 ha partorito soltanto un
topolino in termini di condanne nei tribunali: secondo il conto più generoso,
quello degli stessi antisatanisti, i casi conclusi con una condanna sarebbero
stati tredici. Alcuni di questi casi hanno suscitato del resto perplessità
notevoli>. Indagine… cit. pag 342, in partic. il cap. La grande
caccia ai satanisti (1980-1990), pag. 321 e segg.
Appena ultimata la stesura
della presente ricerca giunge anche in Italia notizia del clamoroso scandalo
che travolge la Chiesa Cattolica USA: i preti pedofili. Risultano essere
centinaia i bambini
molestati in 30 anni in varie parrocchie. Interviene direttamente il Papa con
parole di condanna; quattro vescovi e 250 sacerdoti si dimettono; la Chiesa
costretta a risarcimenti miliardari. In una tormentata conferenza episcopale
convocata d’urgenza a Dallas nel giugno del 2002 i vescovi americani recitano il mea culpa e
offrono alla nazione le loro “profonde scuse”.
(25)
Dall’intervista a Wu Ming 1. Per motivi di spazio nella presente inchiesta il
ruolo del Gris non è analizzato. Tuttavia all’interno della vicenda giudiziaria
dei BdS risulta centrale così come emerge anche dalle parole di Wu Ming 1.
Desta pertanto stupore leggere sul <Carlino> del 26 marzo 2003, in
un’intervista a firma di Rita Bartolomei, la seguente dichiarazione
dell’animatore del Gris, Giuseppe Ferrari, in merito a fenomeni quali
occultismo, esoterismo e satanismo: <Alla fine è tutta una moda. Voglio dire che spesso c’è un’adesione
superficiale al fenomeno. Questo mi pare l’aspetto prevalente>. Nella stessa
intervista Ferrari dichiara che nell’ambiente esoterico esistono anche gruppi
chiusi socialmente pericolosi di cui non intende fare i nomi. Le parole di
Ferrari lasciano aperto quantomeno un problema: al di là del rapporto BdS-Gris
attraverso quali criteri è possibile distinguere la qualità del condizionamento
di una moda rispetto a quello di una setta? Se la variabile è il tempo, nel
senso che gli effetti della moda su un individuo sono tendenzialmente più brevi
ed epidermici rispetto a quelli di una setta e se dunque chi segue una moda può
ritornare più facilmente all’ovile, l’argomentazione pare interessata. Ma la
discussione è ovviamente da destinare ad altra sede.
(26) Dall’intervista ad
Alessandro Chalambalakis. Presidente e Vice dei BdS hanno ascendenze greche.
Sicuramente è un caso. Ma fa da pendant alla matrice neo-pagana di questa
Associazione. Considerati i precedenti giudiziari la discrezione sul numero
attuale di iscritti ai BdS rasenta la segretezza. A detta di Dimitri gli
associati hanno raggiunto quota 750. Cifra che ci è stata confermata anche nel
marzo 2003 e che non abbiamo l’opportunità di verificare. Dopo la chiusura
della nostra inchiesta il gruppo dirigente dei BdS si è allargato e oggi
comprende un secondo Vice Presidente, Mirko Moretti e un Direttore, Federico
Gallina.
(27) Cfr. S. Givone, L’intellettuale, in, F. Furet, (a cura di), L’uomo romantico, Laterza, Roma-Bari,
1995, pag. 270-271. In quanto appartenenti alla società dello spettacolo i BdS
non possiedono una rigida ascendenza culturale. Forzando un po’ su di loro
calza l’idea weberiana di politeismo di valori. Infatti, nelle parole di
Dimitri e Chalambalakis sono rintracciabili varie vocazioni: razionalista,
libertina, materialista e persino romantica. Ma dalla vicenda
satanisti/antisatanisti pluralismo morale e pluralismo sociale fanno molta
fatica ad andare d’accordo. In definitiva: ancora oggi la tolleranza resta più
un problema aperto che una certezza, più un campo di battaglia che una conquista
definitiva.
(28) Oltre le note categorie
di D. Riesman (cfr. La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 1973) lo
scontro satanisti/antisatanisti ripropone le differenze tra la forma-potere
greca e quella ebraico/cristiana fondata sulla metafora del pastore che: a)
guida il popolo; b) presta un’attenzione individuale ad ogni singolo membro del
gregge. <Al dio greco si domandavano una terra feconda e dei raccolti
abbondanti. Non gli si chiedeva di allevare un gregge giorno per giorno>. M. Foucault, Omnes et singultim. Verso una critica della ragion politica, in, M. Foucault, Biopolitica e liberalismo,
medusa, Milano, 2001, pag. 114.
(29) Il satanismo confessato
e militante della seconda metà del XIX secolo è preceduto dall’esplosione di
interesse per lo spiritismo nella Francia post-rivoluzionaria e nell’attrazione
per l’occultismo che caratterizza la fine dell’Ottocento. Cfr Introvigne, Indagine…
cit, in particolare il cap. Intorno a Huysmans (1870-1891), pag. 104 e
segg.
(30) Dall’intervista ad A.
Chalambalakis.
(31) <L’individuo diviene
soggetto strappandosi dal Sé, solo in quanto si oppone alla logica di dominio
sociale in nome di una logica della libertà, della libera produzione di sé>.
A. Touraine, Critica della…. cit. pag. 275.
(32)M. McLuhan, Gli strumenti del
comunicare, cit. pag 60. Come noto, gli echi provenienti da mondi
ancestrali hanno interessato la sensibilità moderna e post-moderna. Veblen, ad
esempio, vede nel consumo vistoso la persistenza del medioevo. Ma per non
stendere una inutile lista di nomi ecco un passo di Horkheimer che rende bene
l’idea della persistenza delle metanarrazioni: <Il fatto che, in qualunque
cultura moderna, l’<<alto>> goda di più prestigio del
<<basso>>, che la pulizia appaia attraente e la sporcizia ripugnante,
che certi odori sembrino buoni e altri disgustosi, è la conseguenza di antichi
tabù, miti, culti e del destino ch’essi hanno subito nella storia più che per
motivi igienici o della altre ragioni pragmatiche avanzate da individui
illuminati o da religioni liberali. A
queste vecchie forme di vita che resistono sotto la superficie della civiltà
moderna si deve, in molti casi, il calore insito in ogni piacere, nell’amore di
una cosa amata per se stessa e non in quanto mezzo per ottenerne un’altra. Il piacere
di possedere e coltivare un giardino risale ai tempi remoti in cui i giardini
appartenevano agli dei ed erano coltivati per loro. Il senso della bellezza,
così della bellezza di natura come di quella artistica, è legato da mille
delicatissimi fili a queste antiche superstizioni. Se l’uomo moderno taglia
quei fili –esagerandone o negandone la forza- il piacere può continuare, ma è
ormai privo di vera vita>. M. Horkheimer, Eclisse della ragione,
Einaudi, Torino, 1969. pagg. 36-37.
(33) Dall’intervista ad A.
Chalambalakis. In questa sede non possiamo approfondire i portati culturali che
emergono dal rito praticato dai BdS. Portati che per numerosi aspetti si
rifanno ai contenuti dell’opera di A. Crowley, Magick,
Astrolabio-Ubaldini, Roma, 1976, a cui rinviamo. Sulla continuità storica della
possessione cfr. G. Lapassade, Dallo sciamano al raver. Saggio sulla transe,
Urra, Milano, 1997, in partic. il cap. Dioniso, il dio che danza, pag.
23 e segg. Per dare un’idea di massima di come si svolge il rito dei BdS
bastino queste poche indicazioni tratte dalle loro interviste. Il rito satanico
può svolgersi al chiuso o all’aperto, preferibilmente di notte. All’interno di
un cerchio tracciato sul suolo è collocato un altare quadrato o rettangolare
che può essere costituito da un semplice banchetto di legno. Il cerchio
rappresenta l’infinito. L’altare rappresenta la staticità, la base sulla quale
il partecipante <costruisce il proprio Ego, la propria opera>.
Sopra l’altare sono posti alcuni <oggetti-metafora>. 1) la
bacchetta: <rappresenta il tramite attivo con cui si crea. E’ il numero
1, la parte maschile. E’ il tramite creativo tra la tua volontà e l’universo.
La “bacchetta magica” possiamo vederla in mano al pittore, è la penna dello
scrittore>. 2) la coppa: <rappresenta la terra. E’ il numero 2, la
parte femminile, lo sdoppiamento, la dualità>. 3) la campanella:
<rappresenta l’unione dell’attivo e del passivo. Suonando si uniscono le due
parti e si genera il numero 3, che magicamente diventa un’unica cosa. E’ la mia
volontà che si feconda nell’universo>. 4) la spada: <rappresenta
il concetto di giustizia personale nella propria opera>. 5) il
pentacolo: <rappresenta il tutto, le opposte direzioni. E’ a forma di
stella a cinque punte al cui interno è raffigurato Satana, la nostra
interiorità animale. Le due punte verso l’alto rappresentano le dualità della
vita, bene e male, buono e cattivo, bello e brutto, tutto ciò che contrastando
ti porta al sapere, alla ragione. La punta verso il basso rappresenta la terra,
quelle laterali le direzioni est – ovest>. Ai quattro angoli della
stanza dove si celebra il rito, o del perimetro se ci si trova all’aperto, sono
collocati quattro recipienti che contengono i quattro elementi primordiali:
terra, aria, acqua fuoco. Solo gli iniziati indossano una tunica nera
con cappuccio. <La veste permette di entrare nel ruolo di essere una
parte centrale dell’universo. In quel momento rappresenti un Ego assoluto. Il
nero della veste permette di essere concentrati su quello che si sta facendo e
di non essere distratti da altri colori. Il cappuccio copre il volto perché
quello che sei tutti i giorni non lo sei in quel momento. La verità è sempre un
cappuccio nero. La pratica magica è estranea al concetto di persona. Non
partecipi al rito in quanto Marco Dimitri. Sei lì come energia. In quel momento
sei tu la divinità>.
(34) Le società di discorso
<hanno la funzione di conservare o di proteggere dei discorsi, ma per farli
circolare in uno spazio chiuso, per distribuirli solo secondo regole strette e
senza che i detentori vengano spossessati da questa stessa distribuzione>.
M. Foucault, L’ordine del discorso, Einaudi, cit. pag 31.
(35) Il modernismo è un
movimento culturale del XIX secolo che contemporaneamente afferma e nega la
modernità. All’ordine imposto dalla tecnologia e dall’industrializzazione
oppone la libertà soggettiva, l’impulso all’autorealizzazione; al freddo
razionalismo oppone il paesaggio dell’irrazionalità; alla vita come calcolo
oppone la vita come opera d’arte; alle regole del perbenismo oppone la
sregolatezza dei sensi; al borghese e al cristiano oppone il flaneur
(perdigiorno) e il dandy (estetico cultore del proprio sé); alla folla oppone
l’artista. Tuttavia il modernismo è un movimento che appartiene alla metropoli,
si riconosce in essa, apprezza il progresso e in alcuni casi addirittura
simpatizza con le idee socialiste. Sulle continuità/discontinuità tra
modernità, modernismo e post-moderno cfr. K. Kumar, Le nuove teorie del
mondo contemporaneo. Dalla società post-industriale alla società post-moderna,
Einaudi, Torino, 2000; A. Touraine, Critica della modernità, cit.; D.
Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993.
(36) Nonostante un paio di
comunanze i riferimenti culturali dei BdS sono lontanissimi dall’elenco
proposto da G. Weher e in cui compaiono pensatori cristiani, Novecento
occulto. I grandi maestri dell’esoterismo contemporaneo, Neri Pozza
Editore, 2002. Tuttavia sono almeno tre i punti di contatto tra satanismo e
antisatanismo. Sommariamente: 1) l’aspirazione all’eterno; 2) i rapporti
storici tra cristianesimo e religiosità precristiane; 3) il distacco rituale
dalla realtà ordinaria.
(37) Dall’intervista ad A.
Chalambalakis.
(38) M. McLuhan, Gli
strumenti del comunicare, cit. pag. 158-159.
(39) Per la definizione di
valori post-materialistici cfr. R. Inglehart, La società post-moderna.
Mutamento, valori e ideologie in 43 paesi, Editori Riuniti, Roma, 1998. La
riconcettualizzazione dell’idea di energia è un leit-motiv anche della New-Age.
In proposito cfr. B. A. Brennan, Mani di luce. Come curarsi e curare tramite
il campo energetico umano, Longanesi & C., Milano, 1998 (10).
(40) M. McLuhan, Q. Fiore, Guerra
e pace, cit. pag. 77 e 79.
(41) Dall’intervista ad A.
Chalambalakis.
(42) Con una sentenza che
troverà spazio nelle cronache dei quotidiani nazionali il 25 gennaio 2003 la
Corte di Appello di Bologna riconosce un risarcimento economico per ingiusta
detenzione a Marco Dimitri, Gennaro Luongo (400 giorni di prigione ciascuno) e
Piergiorgio Bonora (135 giorni di prigione). Per i primi due il risarcimento è
di 35.000 euro per il terzo di 13.500
euro. I tre ritengono insufficiente l’indennizzo e presentano ricorso chiedendo
per ognuno il massimo consentito dalla legge: 500.000 euro.
(43) G. Simmel, La moda e altri saggi di cultura
filosofica, Longanesi & C. Milano, 1985, pag. 37.
(44) Sulla credenza nei
poteri delle stelle e il loro ruolo nel sottomettere gli individui al sistema
sociale cfr. la ricerca qualitativa di T.W. Adorno, Stelle su misura.
L’astrologia nella società contemporanea, Einaudi, Torino, 1985. Senza
addentrarci nella critica della Scuola di Francoforte alla pseudorazionalità
delle società tecnologicamente evolute cfr. M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica
dell’illuminismo, Einaudi, Torino, 1976, (2).
(45) Sui molti volti di
Dioniso cfr. K. Kerényi, Dioniso, Adelphi, Milano, 1993 (3). Le
intuizioni di M. Maffesoli contenute in, L’ombra di Dioniso, Garzanti,
Milano, 1990, collocano il ritorno del tribalismo dionisiaco sul piano di una
socializzazione orgiastica che coincide poco con la nostra prospettiva
d’indagine né con il caso BdS. Va detto tuttavia che in uno scritto a quattro
mani dei primi anni ’90 e mai pubblicato, Vangelo infernale, la
sessualità riveste un ruolo centrale per i BdS. Ruolo che sarà successivamente
ridimensionato a favore di un satanismo decisamente razionalista.
(46) M. McLuhan, Corrispondenza
1931-1979, cit. pag 247 e 248.
(47) M. McLuhan, Q. Fiore, Guerra e pace nel
villaggio globale, cit. pag.185.
(48) Internet è maggiorenne
da parecchio tempo: ha ormai 30 anni. Le quattro stagioni della sua vita sono
collegate alla sua principale forma d’uso sociale: fase militare, fase della
ricerca scientifica, comunità virtuali, business. Cfr. F. Carlini, Chips
& salsa. Storie e culture del mondo digitale, manifestolibri, Roma,
1995, pag. 163 e segg. Come noto, la quarta fase è strettamente legata alla New
Economy e alla fine degli anni ’90 ha conosciuto una pesantissima battuta di
arresto: Internet si è dimostrata poco incline al broadcasting e ad un uso di
massa. Ridimensionate le ambizioni economiche attualmente la Rete vive in una
sorta di coesistenza pacifica tra le differenti modalità d’uso sociale.
L’utilizzazione che ne fanno i BdS è aderente a quella anarchico/partecipativa
tipica delle comunità virtuali con una minima attenzione alla dimensione di
servizio per l’utenza. Sulla fase comunitaria di Internet cfr. J.C. Hertz, I
surfisti di internet, Feltrinelli, Milano, 1995. Il lavoro della allora appena
ventiduenne Hertz è il risultato di lunghi mesi di navigazione nel Web condotti
in prima persona dall’autrice. Dall’esperienza della Hertz il mondo delle
comunità virtuali si caratterizza, tra l’altro, per la repulsione nei confronti
delle masse vissute come una calata di barbari distruttori dello spirito comunitario. Atteggiamento
ancora oggi assai diffuso per il pericolo reale o presunto che comporta
l’allargamento della Rete al grande pubblico. Ossia: la riduzione di Internet
ad una sorta di Tv interattiva totalmente sottomessa alla logica del mercato,
all’invasione della pubblicità e al conseguente impoverimento contenutistico.
Se in questo timore c’è sicuramente del vero, e lo dimostra l’assoluta
omogeneità paratelevisiva dei portali commerciali, va detto tuttavia che
Internet è anche uno strumento di comunicazione indipendente che permette una
libera e immediata circolazione delle informazioni. Ed è in questa chiave che
viene utilizzato dai BdS. La versione tecno-ottimista delle comunità virtuali
gode di un vasta letteratura e di molti narratori. Ci limitiamo a citare uno
dei suoi principali guru H. Rheingold, Comunità virtuali, Sperling &
Kupfer, Milano, 1997.
(49) Obtorto collo i BdS non
rientrano nella casistica degli utenti <tecnologicamente orientati> né in
quella degli utenti <socialmente orientati>. Intendendo con i primi
navigatori esperti interessati alle potenzialità espressive della Rete come ad
esempio quelle rese possibili nei party virtuali; e con i secondi: <utenti –
probabilmente la maggioranza- meno interessati ai giochi di simulazione che gli
incontri in rete rendono possibili>. Cfr. A. Roversi, Chat Line. Luoghi ed esperienze della vita in Rete, il Mulino, Bologna, 2001 pag. 56-57. Dopo due anni di
osservazione partecipante, dalla ricerca di Roversi emerge che i chatter
italiani (35/40.000 unità) rientrano nella tipologia degli utenti socialmente
orientati in quanto finalizzano le loro frequentazioni digitali per ampliare
relazioni amicali ed affettive nella vita off-line, vedi pag. 112-113.
(50) La contrapposizione
frontale alla società è uno scarto che separa nettamente l’estetica della vita
di Dimitri dal dandysmo.
(51)
La cultura del computer: a) scaturisce dalla recente espansione del mercato
delle comunicazione; b) sta producendo una
profonda mutazione antropologica; c) il linguaggio del PC è parte del
senso comune. Secondo S. Turkle, il
concetto di “uomo nuovo” corrisponde alla capacità individuale di sviluppare un
Io multiplo in grado di muoversi tra le diverse finestre che si aprono sullo
schermo del monitor di un PC. Finestre che si trasformano simbolicamente in
stanze dove si consumano esperienze del tutto simili a quelle della vita reale.
S. Turkle, Il secondo io,
Frassinelli, Milano, 1985 e, della stesa, La
vita sullo schermo, Apogeo, Milano, 1998.
(52) Per la realizzazione di
un sito web il noto decalogo di J. Nielsen stabilisce i seguenti punti:
<assicurare un collegamento veloce, non più di 15 secondi; evitare
sofisticazioni tecniche, non necessarie; evitare troppe elaborazioni grafiche;
evitare l’utilizzo di frame, cioè
di spezzare troppo la pagina; il tempo di risposta non deve superare i 10-15
secondi; scegliere un indirizzo semplice, facile da ricordare; aggiornare
frequentemente il sito; evitare gli scroll troppo lunghi, inserire
sempre una mappa del sito; utilizzare colori standard non troppo vistosi per i link;
marcare tutte le pagine per semplificare la navigazione>. Cfr. A. Forbice, Tutti
gli uomini della rete, RAI Eri, luca sossella editore, Roma, 2000, pag
71-72. Lo spirito anarchico che aleggia tra i creativi del Web è insofferente
alle regole fisse. E il miglior modo per
non lasciarsi irretire dalla logica di Nielsen è quello di inventarne un’altra
attraverso al continua sperimentazione.
(53) M. McLuhan, Q. Fiore, Guerra
e pace nel villaggio globale, cit. pag. 12.
(54) D. de Kerckhove, L’intelligenza
connettiva, Multimedia, Roma, 1999, pag. 179.
(55) Hertz, I surfisti di
Internet, Feltrinelli, cit. pag. 96.
(56)
La tecnologia opaca, è una delle varie
contraddizioni delle macchine a base informatica e consiste nell’impossibilità
per l’utente di comprendere anche solo intuitivamente come funziona l’oggetto
che si ha tra le mani. La perdita di orientamento costituisce uno dei più
frequenti elementi di disturbo del navigatore on-line il quale non solo non
riesce a fare il punto della rotta ma perde di vista anche la meta mettendo
così in discussione il senso del suo stare seduto per ore davanti al monitor.
L’eccesso di informazione conduce al paradosso della comunicazione: la
possibilità di comunicare che è possibile
comunicare. Un atto di presenza privo di spessore, di qualità, di
personalità.
(57) M. McLuhan, Q. Fiore, Guerra e pace nel
villaggio globale, cit. pag 36 e 53.
(58) Sul concetto di
cyberspazio cfr. M. Benedikt, Cyberspace, Muzzio, Padova, 1993.
(59) Sulla caduta della
distinzione tra militare e non-militare cfr. Q. Liang, W. Xiangsui, Guerra
senza limiti. L’arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globalizzazione,
LEG, Gorizia, 2001, a cura del Gen. F. Mini. <In larghissima parte, la
guerra non è nemmeno più guerra, quanto piuttosto uno scontrarsi su Internet,
fronteggiare i mass media, attaccare e difendersi in transazioni di cambio a
termine, insieme a tutta una serie di realtà che non abbiamo mai considerato
come “guerra”, e che potrebbero coglierci di sorpresa> pag. 123.
(60) Il determinismo
tecnologico è un atteggiamento mentale e culturale pseudorazionale assai
diffuso che suppone lo sviluppo delle macchine come un progresso in sé senza
alcuna considerazione delle scelte politico-economiche che hanno determinato
tale sviluppo e senza considerarne l’impatto sociale reale, anzi vagheggiando
il più delle volte scenari tecnoutopici in virtù dei quali le macchine
risolvono i problemi umani modificando in meglio la vita di tutti. E’ una concezione ingenua che assegna alla
tecnologia virtù mistiche e universalizzanti. E’ una ideologia diffusa
soprattutto da un marketing disonesto che ha dalla sua il sostegno acritico dei
mezzi di comunicazione di massa. Con l’avvento del digitale e di Internet sono
state allestite ultraventennali campagne propagandistiche sulla rivoluzione del
silicio come se la tecnologia avesse potuto cambiare l’intera società.
Storicamente non è mai stato così e non lo è oggi. Gli effetti sociali del
computer non sono affatto ovvi e scontati ma dipendono da scelte politiche e
commerciali che in primis favoriscono le élite ed escludono la società civile:
la tecnologia non è partecipata ma è subita dal grande pubblico. Persino le
scelte tecniche sono il risultato di un condizionamento sociale (da come
escludere un determinato gruppo di lavoratori specializzati indirizzando la
ricerca o la scelta di questo o quel software, ai tempi di aggiornamento di un
determinato programma di videoscrittura ecc.). Una vera e propria demolizione
della retorica del determinismo tecnologico (ad es. nella versione del Media
Lab di Negroponte) è riscontrabile in W. H. Dutton, La società on-line.
Politica dell’informazione nell’era digitale, Baldini & Castoldi,
Milano, 2001. Nonostante limiti e contraddizioni dovuti ad un approccio
politico estremamente moderato, a sua volta riflesso del dichiarato
orientamento cristiano-sociale, sono comunque di una certa utilità i lavori di
D. Lyon, sull’impatto sociale delle ICT, La società dell’informazione,
il Mulino, Bologna, 1991; L’occhio elettronico. Privacy e filosofia della
sorveglianza, Feltrinelli, Milano, 1997, La società sorvegliata,
Tecnologie di controllo della vita quotidiana, Feltrinelli, Milano, 2002.
(61) M. McLuhan, Corrispondenza
1931-1979, cit. p. 248.
(62) P. Apolito, Internet e la Madonna. Sul visionarismo religioso in Rete, Feltrinelli, Milano, 2002, pag. 21.
La presente inchiesta è iniziata nel novembre 2001 e conclusa nell’aprile 2002. Per la sua pubblicazione sono occorsi circa due anni. Sul piano della ricerca dobbiamo dire che siamo stati fortunati: a distanza di tempo il quadro descritto è rimasto sostanzialmente invariato. Sono intervenuti pochi e scarsamente rilevanti fatti nuovi che comunque convergono nel confermare la direzione assunta dall’indagine. Per questi motivi gli aggiornamenti si limitano a brevi segnalazioni inserite nelle note n° 24, 25, 26, 42.
In questo articolo prenderemo in considerazione i principali elementi del pensiero di Comte. Vogliamo mettere in evidenza che l’unica filosofia della storia che per vastità di orizzonte anche se non per profondità di pensiero può essere paragonata alla filosofia della storia di Hegel è l’opera di Comte.
<<== Prof. Giovanni Pellegrino
Entrambe non sono soltanto filosofie della storia ma sono esse stesse anzitutto filosofie storiche permeate del loro metodo dal senso storico. Come Hegel anche Comte è convinto che nessun fenomeno può venir compreso filosoficamente senza esser compreso storicamente mediante l’individuazione della sua origine e destinazione temporale e della sua relativa giustificazione nell’intero processo storico. Sia la filosofia della storia di Hegel sia quella di Comte sono filosofie post rivoluzionarie, cioè ispirate dallo stimolo liberatore della rivoluzione francese. Nello stesso tempo Hegel e Comte tentano di introdurre nella dinamica rivoluzionaria del progresso moderno un elemento di stabilità: Hegel attraverso il carattere assoluto dello “Spirito”, Comte attraverso la potenza relativa dell’”ordine “, in cui si secolarizza la gerarchia cattolica.
La filosofia positiva di Comte si distingue fondamentalmente da quella teologico- metafisica in quanto relativizza tutti i concetti che prima erano assoluti. Mentre la teologia e la metafisica della storia sono assolute nella loro concezione, la filosofia positiva della storia è relativa nella sua concezione e determinata nella sua applicazione. Lo scopo generale della filosofia della storia di Comte è di chiarire il progresso dello spirito umano nella sua totalità, il quale perviene alla sua piena maturità nello stadio scientifico della nostra civiltà occidentale. Per Comte lo sviluppo dell’umanità non è vagamente universale ma ha il suo punto di partenza unitario e determinato nella razza bianca del mondo occidentale. Egli utilizza i concetti di” sviluppo e di progresso” che in quanto categorie scientifico – positive debbono escludere ogni valutazione morale, senza negare che il continuo sviluppo abbia come necessaria conseguenza anche un miglioramento e un perfezionamento dell’umanità. Comte tuttavia si guarda dall’impegnarsi nella sterile controversia sull’aumento della felicità assoluta nel succedersi delle varie epoche storiche.
Dallo studio sullo sviluppo universale Comte dedusse la “grande legge fondamentale” secondo la quale ogni ramo della nostra civiltà e della nostra conoscenza percorre successivamente tre diversi stadi: quello teologico (infanzia), quello metafisico (gioventù) e quello scientifico (maturità). Come l’era cristiana fu considerata lo stadio finale, così anche l’era scientifica rappresenta l’ultimo stadio che conclude la tradizione del progresso storico dell’umanità. Tale era ha avuto inizio con Bacone, Galilei e Cartesio la cui opera deve essere ampliata e completata mediante l’elaborazione del metodo storico- sociologico che fa della filosofia della storia una scienza.
Auguste Comte ==>>
La gerarchia delle scienze, dalla matematica alla sociologia viene determinata con metodo omogeneo e culmina nella “fisica sociale”, cioè nella sociologia, che completa il sistema delle scienze naturali. In questo sviluppo progressivo lo stadio teologico costituisce il punto di partenza, quello metafisico uno stadio intermedio e quello scientifico la fase finale. Nel primo stadio lo spirito umano cerca la vera natura delle cose, le loro cause prime nonché la loro origine e il loro fine e cioè la conoscenza assoluta. Tale stadio rappresenta tutti i fenomeni come se fossero prodotti dall’intervento diretto e continuo di molteplici potenze soprannaturali (politeismo) o di un’unica potenza divina. (monoteismo). Nello stadio metafisico queste potenze soprannaturali vengono sostituite da entità astratte. Le questioni poste dalla metafisica sono ancora quelle teologiche ma il modo di risolverle è già metafisico. Nello stadio positivo lo spirito ha finalmente capito l’impossibilità di costruire concetti assoluti. Esso rinuncia alla ricerca dei concetti assoluti e limita la sua ricerca unendo l’osservazione empirica e la deduzione logica alle relazioni immutabili delle successioni fenomeniche.
Lo spirito ricerca le leggi naturali che sono alla base del progresso scientifico dell’umanità nello stadio positivo. La nuova filosofia di Comte è un relativismo in senso radicale e letterario in quanto si rivolge esclusivamente allo studio di relazioni. Mentre ogni ricerca sulla natura delle cose deve essere assoluta, lo studio delle leggi dei processi, deve essere relativo. Esso presuppone un ininterrotto progresso della ricerca, commisurato al graduale miglioramento della nostra osservazione, senza che tuttavia la realtà venga mai rivelata completamente.Il carattere relativo dei concetti scientifici è inseparabile dall’idea delle leggi naturali. Comte afferma che non vi è alcuna conoscenza, tranne quella rivelata, che non sia condizionata dall’oggetto agente su di noi e dall’organismo che reagisce ad esso.
Questo relativismo è soprattutto evidente nella biologia e nella sociologia, ma è fondamentale anche per tutte le altre scienze positive. Per Comte spiegare un fenomeno significa null’altro che stabilire relazioni tra singoli fenomeni e alcune leggi generali, il cui numero diminuisce sempre più con il progresso della scienza. L’ideale irraggiungibile sarebbe la spiegazione di tutti i fenomeni mediante un’unica legge. Per Comte la filosofia positiva si deve occupare soltanto di questioni che trovano la loro risposta nell’ambito del nostro orizzonte, mentre all’uomo primitivo, interessavano solamente quelle questioni alle quali non era possibile rispondere. Tali questioni riguardavano l’origine, lo scopo e l’essenza di tutte le cose presenti nell’universo. Tuttavia Comte tenta di giustificare la necessità storica del pensiero teologico. Lo spirito maturo deve osservare i fatti per elaborare una teoria scientifica. Muoversi liberamente dentro questo cerchio tra teoria e fatti, o tra interpretazione e osservazione, sarebbe troppo difficile per una mente scientificamente impreparata. Essa deve pertanto iniziare la sua ricerca con un metodo più semplice, e presuppore un ente soprannaturale come causa ultima e diretta degli eventi osservati. Se l’uomo non fosse partito da una sopravvalutazione delle sue capacità conoscitiva e della sua importanza nell’universo, non avrebbe mai appreso né compiuto tutto quello che effettivamente è in grado di fare.
La filosofia teologica offrì lo stimolo necessario per incitare la mente umana al faticoso lavoro, senza il quale essa non avrebbe fatto alcun progresso. D’altro lato per passare dalla speculazione soprannaturale alla filosofia positiva occorreva il sistema intermedio. Secondo Comte a tale scopo le concezioni metafisiche furono utili e necessarie, sostituendo alla direzione soprannaturale della natura e della storia entità corrispondenti. L’osservazione si rivolse più liberamente ai fatti stessi finché le cause metafisiche finirono per diventare mere astrazioni. Dobbiamo mettere in evidenza che il fine generale a cui tende la storia universale di Comte è dunque il futuro aperto di un progresso lineare da stadi primitivi a stadi più evoluti. Questo progresso appare più evidente sul piano intellettuale che non su quello morale. Inoltre Comte sostiene che esso si è realizzato più nelle scienze naturali che in quelle sociali. Pertanto il compito ultimo è l’applicazione dei risultati delle scienze naturali alla sociologia, allo scopo di una riorganizzazione sociale. Secondo Comte la grande crisi politica e morale in cui si trovavano le nazioni più civili in quel periodo storico aveva il suo fondamento in un’anarchia spirituale.
A detta di Comte la mancanza di stabilità presente nell’ordine sociale è da ricondurre alla confusa coesistenza delle tre diverse filosofie: quella teologica, quella metafisica e quella positiva. Ciascuna di esse potrebbe da sola assicurare un certo tipo di ordine sociale ma il loro coesistere fa sì che esse si neutralizzino a vicenda rendendo impossibile ogni ordine sociale. Comte sostiene che per controbilanciare la tendenza anarchica al mero potenziamento dei diritti individuali alla libertà astratta e all’eguaglianza e per porre fine ai periodi rivoluzionari degli ultimi secoli, occorre riorganizzare la forza stabilizzatrice dell’ordine sociale.Soltanto il sistema sociale capace di unire l’ordine conservatore e il progresso rivoluzionario può condurre al suo ultimo e positivo fine. Tale fine è lo stato di cose caratteristico della storia europea dopo la distruzione dell’ordine sociale medievale. Ordine e progresso che secondo gli antichi si escludono l’un l’altro, costituiscono invece per la civiltà moderna due condizioni che debbono venire realizzate contemporaneamente. Secondo Comte la loro integrazione rappresenta la difficoltà fondamentale ma anche il fondamento di ogni autentico sistema politico. L’ordine sociale non può essere stabilito e mantenuto se incompatibile con il progresso. Infatti nessun progresso può compiersi se non è diretto anche al consolidamento dell’ordine sociale. Di conseguenza nella filosofia positiva ordine e progresso sono i due aspetti inseparabili di un medesimo principio. Comte afferma che storicamente la chiesa cattolica fu la grande conservatrice della tradizione, della gerarchia e dell’ordine mentre al contrario il protestantesimo ha promosso lo spirito critico del progresso.
Nella società moderna il nuovo ordine sociale non sarà né cattolico né protestante ma semplicemente positivo e naturale come le leggi della storia sociale. Comte spiega il progresso sociale relativamente limitato prima dell’avvento del positivismo con lo scarso sviluppo delle scienze positive. Inoltre la scarsa conoscenza delle leggi naturali impedì il progresso scientifico dell’umanità Comte mette in evidenza che “la politica di Aristotele che si avvicina più delle altre sue opere ad una concezione positiva non rivela né una tendenza progressiva né il minimo barlume delle leggi naturali della civiltà ovvero della legge dell’evoluzione. All’antichità classica il corso della storia in generale apparve non come un processo, bensì come una successione ciclica di fasi ricorrenti. Ali antichi mancò l’esperienza di una trasformazione diretta versa un fine futuro. Comte sostiene che il primo presentimento del progresso umano fu ispirato dal cristianesimo che proclamando la superiorità della legge evangelica su quella mosaica, diede origine all’idea di uno sviluppo progressivo della storia verso il suo compimento. Esso non poté tuttavia elaborare una teoria scientifica del progresso sociale che avrebbe contradetto la sua pretesa di rappresentare lo stadio finale dello spirito umano.
La
prima teoria soddisfacente di un progresso generale fu proposta da un cristiano
credente, che era contemporaneamente un grande scienziato ovvero Pascal Egli
considerò la successione storica delle generazioni nel corso dei secoli come un
unico uomo che continua ad imparare. Secondo Comte il passo più importante
verso una giusta comprensione della storia sociale fu compiuto da Montesquieu e
da Contorcer. Quest’ultimo autore anticipò l’idea del continuo progresso della
razza umana, idea tanto cara a Comte. Detto ciò consideriamo concluso il nostro
discorso intorno agli elementi fondamentali del pensiero di Comte.
Il voto parlamentare sullo scostamento di bilancio. La situazione del paese attraverso i rapporti annuali di Istat, Censis e Svimez. L’analisi politica di Giorgio Benvenuto.
<<===prof. Patrizio Paolinelli
Maggioranza e opposizione hanno votato a favore dello
scostamento di bilancio. Diversi commentatori sostengono che si tratta di una
tregua armata, altri di un preludio alla concordia nazionale e altri ancora
delle solite manovre di Berlusconi per tutelare le proprie aziende. Ci possono
essere altre interpretazioni?
Direi proprio di sì. Personalmente penso si sia trattato di
una scelta ragionevole. Finalmente maggioranza e opposizione si sono trovate
d’accordo su una decisone importante per il paese. Poi c’è una novità: hanno
discusso su come utilizzare le risorse del prossimo ristoro allargando la
platea dei beneficiari a autonomi, professionisti e partite Iva. Quindi non
darei troppa enfasi a quanto è avvenuto perché nessun partito di opposizione fa
davvero le barricate sullo scostamento di bilancio in questa situazione. Né
starei a fantasticare sul rimpasto di governo. Rimpasto che per alcuni
costituirebbe lo sbocco politico naturale dell’intesa raggiunta in Parlamento.
È vero, di rimpasto si parla tanto sulla stampa. Purtroppo in termini di spazi
da acquisire per quello o quel partito e non si discute né della competenza né
dell’assenza di progettualità da parte del governo. Tanto è così che l’intesa
bipartisan sullo scostamento di bilancio è avvenuta su un provvedimento dettato
dall’emergenza.
Si sarebbe potuto enfatizzare l’unanimità del voto
parlamentare se ci fosse una maggiore discussione, se si parlasse di un
progetto dell’Italia post-Covid, se i corpi intermedi fossero coinvolti nel
dibattito. Invece, da un lato abbiamo questa concordia basata su un singolo
evento e, dall’altro, un paese frammentato con una terribile confusione tra i
poteri dello Stato e quelli delle Regioni. E poi, come le ho detto la settimana
scorsa, sono molto preoccupato del modo pasticciato con cui il governo va
avanti. E cioè senza veri dibattiti parlamentari. Contrariamente agli annunci
roboanti i provvedimenti presi non hanno applicazione immediata perché devono
essere approvati i regolamenti e i decreti di carattere attuativo. Pensi che ad
oggi per la legge di stabilità sono previsti 85 decreti attuativi. I quali a
fine percorso molto probabilmente diventeranno 120-130. Lei si immagini quanto
si appesantisce l’applicazione della legge. Quindi abbiamo un bombardamento di
provvedimenti a cui non corrisponde l’efficacia attuativa.
In questi giorni sono usciti in successione tre rapporti
annuali: dell’Istat, del Censis e dello Svimez. Tutti e tre registrano le
pesanti conseguenze della pandemia in termini di incremento della povertà,
della disoccupazione e delle disuguaglianze sociali. Visto che un vaccino
sembra alle porte, come sarà l’Italia dopo la pandemia?
Guardi, più si rinvia la definizione delle priorità delle
cose da fare una volta che avremo sconfitto il virus, più non si fa chiarezza
sulle riforme necessarie per rilanciare il paese, più rischiamo di perdere
risorse e di utilizzare in sussidi e assistenzialismo quelle che abbiamo di
nostro e quelle che provengono dall’Europa. Se così sarà – e mi auguro
vivamente di no – l’Italia resterà ferma o addirittura tornerà indietro. E in
che termini tornerà indietro? Lo stiamo già vedendo con l’aumento delle
disuguaglianze sociali e territoriali. Il vero problema politico oggi non è il
voto unanime sullo scostamento di bilancio. Ma il ritardo che il nostro governo
sta accumulando nel prendere le decisioni strategiche necessarie per rimettere
in piedi l’economia del nostro paese.
Prenda il problema della salute. Io vedo una grande
disattenzione da parte della maggioranza. Eppure non è una questione residuale
come drammaticamente questi mesi hanno dimostrato. In tutta la sua evidenza è
venuta fuori la disuguaglianza degli anziani. I quali costituiscono la classe
generazionale più colpita dalla pandemia. Non si tratta di una disuguaglianza
economica. Ma dato che la vita si allunga, per il futuro come proteggeremo
meglio gli anziani? Prenda il problema degli studenti. A giugno scorso li si è
promossi in massa. Con tutta probabilità faremo così anche l’anno prossimo.
Come recupereranno la preparazione che hanno perduto? Non è chiaro. E qual è il
piano per la didattica a distanza di domani? Anche su questo sento solo parole
e poco altro.
Dunque a suo parere se non si cambia il modo di
affrontare l’emergenza sociale ed economica il futuro dell’Italia è denso di
nubi.
Direi di sì e per qualcuno le nubi saranno più fosche. Per
essere chiari: con la pandemia non siamo diventati tutti più poveri. Gli
effetti economici scaturiti dalla crisi sanitaria non sono stati uguali per
tutti. E tralascio di soffermarmi su chi ha fatto i soldi dalla pandemia, a
iniziare dalle web-corporation che non pagano le tasse. Il Covid-19 ha
esasperato le sperequazioni maturate in decenni di politiche neoliberiste. Ben
prima della pandemia l’Italia stava diventando una jungla. Ambiente in cui
vince il più forte e dove i deboli non sono tutelati. Se non si interviene le
cose sono inevitabilmente destinate a peggiorare. Eppure in questo momento così
drammatico c’è chi sostiene che i pensionati siano un peso. Faccio notare che
in termini quantitativi gli anziani costituiscono una fetta consistente della
popolazione e che le loro pensioni sono un fiume di denaro in circolazione nel
tessuto economico. Aggiunga poi che in tanti casi permettono ai giovani di
andare avanti negli studi e di pagare il mutuo o l’affitto di casa.
Sembra che non esistano più partiti attenti alla questione
sociale. Questione che è sempre di più all’ordine del giorno e che finirà per
esplodere. Nonostante ciò c’è chi contrappone i lavoratori del pubblico impiego
a quelli del privato perché i primi sono più garantiti dei secondi. Senza il
pubblico impiego il paese non avrebbe retto in questi mesi. Basti pensare al
personale sanitario e a quello scolastico. E poi se gli statali proclamano lo
sciopero sui giornali c’è la levata di scudi. È un modo di convogliare il
malessere nella direzione sbagliata. Ma non ci si rende conto della funzione
che hanno avuto i sindacati per la tenuta sociale durante la pandemia? Il
governo dovrebbe invece dare una vera e partecipata prospettiva di
trasformazione del paese finalizzata a colmare le distanze sociali per
realizzare con la solidarietà una vera coesione.