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Le aporie della modernità e il mito della scienza secondo Pareto

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri                                                                                                                                     

In questo articolo prenderemo in considerazione due importanti elementi della sociologia di Pareto, le aporie, ossia le contraddizioni della società moderna e il mito della scienza.

Per quanto riguarda le aporie della modernità dobbiamo dire che Pareto era consapevole che a partire dalla fine dell’800 due antitetiche correnti intellettuali si fronteggiavano. Da una parte si situava quella corrente che credeva nel continuo progresso materiale e sociale ed aveva una fiducia cieca nel potere della ragione, nella scienza e nella tecnologia. Dall’altra parte esisteva una seconda corrente di pensiero che riteneva che i successi scientifici e tecnologici non trovassero equivalente riscontro nel progresso umano, morale e sociale.    

<<== Vilfredo Pareto                       

Cominciava così la crisi della modernità e dell’accezione ”forte” della razionalità sulla quale si era fondata la cultura dell’illuminismo e del positivismo.  Secondo tale corrente la ragione aveva già dato storicamente prova di non essere in grado di controllare la forza dei sentimenti e delle emozioni.  Pareto in un certo senso partecipava ad entrambe le correnti di pensiero riservando un cauto ottimismo al solo cammino della conoscenza scientifica a cui affidava il compito di analizzare empiricamente il “logico” e il “non logico” presenti nella realtà. D’altra parte una continua alternananza tra accettazione e rifiuto di comprendere costituisce uno dei tratti salienti dell’orizzonte culturale del tempo di Pareto.                    

 Per fare un esempio Bergson riteneva la ragione e la scienza inadeguate per spiegare la dimensione della realtà che include la vita e l’uomo.   Weber a sua volta ha spostato l’accento dalla razionalità intesa come principio universale, al concetto di razionalizzazione in quanto dimensione storica caratteristica di un’epoca. Come gli altri membri della sua generazione intellettuale Pareto è sensibile al conflitto classico tra passione e ragione.      Pareto risolve tale antinomia assegnando ad ognuna delle due dimensioni un diverso livello di realtà. A suo dire la ragione trova completa e soddisfacente applicazione nel campo delle teorie logico-sperimentali mentre le passioni sovraintendono ai rimanenti piani dell’esistenza. Nella vita quotidua il rapporto tra i due poli non presuppone assolutamente il dominio o la prevalenza della ragione ma prevede piuttosto il suo confluire nella dimensione del non logico.                                                          

 Pareto studiando le dottrine a lui contemporanee era convinto che anche le teorie ritenute scientificamente fondate come quelle di Spencer, Comte e Marx fossero in realtà ispirate da determinati sentimenti. Per Pareto questi autori sia pure per le loro differenze si trovavano accomunati dalla credenza che gli uomini ormai liberati dalle antiche superstizioni avrebbero basato le loro relazioni su dettato della Ragione. Contro la presunzione di tale ottimismo si muoveva l’analisi di Pareto.  La sua critica alla modernità è anche l’esame di quelle ideologie che cercano di contrabbandare come frutto di elaborazioni scientifiche un insieme di filosofia della storia, di escatologie e di utopie. L’enfasi di Pareto sul metodo scientifico meglio si chiarisce se valutata sullo sfondo della posizione critica che Pareto assume rispetto ai vari tentativi di presentare come dati dell’esperienza quelle che sono solo idee dettate dai desideri.

Il tentativo di utilizzare nelle scienze sociali, i metodi utilizzati con successo nelle scienze naturali è correlato al desiderio di contrastare gli attegggiamenti  dogmatici e privi di fondamento. Pareto mette in evidenza che la teologia e la metafisica si basano sull’assoluto mentre la scienza conosce solo il relativo e l’approssimato. Il cuore di molte teorie che si autoproclamavano scientifiche era rappresentato a dire di Pareto dal valore scientifico attribuito ad un sentimento, ad un impulso irrazionale. Per fare un esempio Pareto citava il darwinismo sociale nonché il materialismo storico. Pareto presenta un’accezione “forte” del metodo “ logico-sperimentale” dal momento che lo utilizza in una sorta di “rasoio di Occam” per squarciare la ragnatela delle derivazioni.                          

Tuttavia Pareto offre la concezione della conoscenza scientifica che lo allontana da quel positivismo del quale egli sembrerebbe collocarsi con il costante richiamo alla realtà dei fatti acriticamente considerati che egli effettua.  Lo distaccano dal positivismo classico il suo tentativo di mantenere una certa equidistanza tra metafisica ed empirismo puro nonché la sostituzione del concetto di legge con quello di uniformità. Probabilismo, relativismo, concezione della scienza come divenire e netta sottolineatura della diversità tra i piani della conoscenza scientifica e dell’azione sociale caratterizzano la posizione di Pareto sulla scienza. Vogliamo mettere in evidenza che Pareto ha criticato duramente l’assolutizzazione della scienza non solo come unica forma di conoscenza ma anche come strumento di evoluzione individuale e sociale. Inoltre Pareto ha criticato l’idea che la scienza potesse essere considerata principio di organizzazione della vita collettiva. Dobbiamo dire che contro l’illusione di un cambiamento profondo in senso razionalistico della natura umana si muove la riflessione di Pareto.                                        

 Egli sottolinea che se mutamento c’è stato  esso è avvento solo a livello di manifestazioni apparenti dal momento che lo stesso processo di razionalizzazione scientifica si è mutato in un moto dell’anima. Tale moto ha sostituito ai pregiudizi, ai miti, alle teologie del passato nuovi  miti e nuove teologie.  Pareto non si stanca di mettere in evidenza che la scienza al posto di aumentare scetticismo e criticismo si è trasformata in scientismo cioè in ideologia abbandonando un atteggiamento cauto e riflessivo. Pareto distingue nettamente tra lo studio logico sperimentale della realtà e la “sacrosanta scienza” la quale nulla ha a che fare  con la scienza. Quest’ultima sviluppa ipotesi e analizza relazioni mantenendosi sul piano probabilistico e dell’incertezza. Mentre la sacrosanta  scienza è costituita da  un’entità metafisica che di scienza ha solamente il nome.                         

Essa rappresenta una sorta di nuova divinità che come tale impone un canone vincolante per l’interpretazione della realtà e dell’esperienza. Secondo Pareto la scienza è costituita da un insieme di nozioni che al posto di moltiplicare i dubbi e le curiosità generano potere, impongono certezze e offrono rassicurazioni. Ciò è dovuto al fatto che il bisogno primario di sicurezza e di controllo della realtà piega alle sue esigenze l’atteggiamento scientifico. Secondo Pareto tale fatto spiega l’elevato prestigio sociale di alcuni settori della conoscenza scientifica che come la medicina sembrano garantire maggiore protezione dagli eterni timori della malattia e della morte. Pareto sostiene che l’enfasi moderna sulla medicina è da considerare frutto di una cultura che non può tollerare l’idea della malattia e della morte che pone in dubbio la volontà umana di potenza. Pareto coglie con la consueta puntualità questo profondo significato esistenziale dell’adorazione moderna per la medicina.

Egli, inoltre, mette in evidenza che l’imperialismo della ragione non si ferma alla cura del corpo ma si indirizza alla tutela della morale e si pone alla guida singola e collettiva. Secondo Pareto la scienza tende ad assumere e ad assorbire le funzioni della religione e della politica. Mentre alcuni al tempo di Pareto affermavano che tutto ciò che non è scienza non può essere utile, Pareto intendeva dimostrare che tale affermazione non ha alcun fondamento scientifico. Non solo egli sosteneva che molte azioni molto importanti non erano azioni logiche ma riteneva che le scoperte scientifiche non erano sempre socialmente utili dal momento che in alcuni casi potevano essere dannose per la collettività. Inoltre Pareto mette in evidenza che la logica profonda dell’essenza della vta non può mai essere surrogata dalla riflessione scientifica cosicchè la tendenza al panscientismo deve essere considerata dannosa.                                                  

 Infatti per Pareto la Ragione paga la sua pretesa di svolgere un magistero universale subendo una totale contaminazione con quell’universo che voleva sottomettere al suo potere. Pareto evidenzia che la conoscenza scientifica può sostituirsi all’etica, alla religione e all’azione solo alienandosi da se stessa. Detto ciò possiamo ritenere concluso il nostro discorso sulle aporie della modernità e sul mito della scienza nel pensiero di Pareto.

Prof. Giovanni Pellegrino // Professoressa Mariangela Mangieri

                                                                                                                                                                                                                                        


Sviluppo endogeno e strategia bottom up della realtà locale

di Domenico Stragapede

La comunità attraverso la propria identità riconosce la giusta dimensione operativa e gli obbiettivi rilevanti e le strategie per realizzarli. Una visione concreta sul come realizzare e integrare le risorse in base alla capacità del territorio in essere.

<<== Dott. Domenico Stragapede

Il termine endogeno è sinonimo di conoscenza e consapevolezza della realtà spaziale del luogo sociale, in cui si sviluppano le azioni di sistema locale, ovvero interpretazione e comprensione dei fattori trasformanti a livello economico-politico, possibilità di reazione ai cambiamenti temporali dell’ambiente, introduzione di azioni volte alla normalizzazione dei processi comunitari. Lo sviluppo endogeno è la conoscenza delle scelte adatte a creare la capacità innovativa del profilo locale della comunità, attraverso il concetto di “intelligenza socio-comunitaria”.

Il paradigma da mettere in evidenza è la valorizzazione delle potenzialità delle risorse locali (costituzione di un organo strategico permanente e realizzazione di progetti suddivisi per obbiettivi temporali). La prassi in definitiva ricalca il principio differenziale delle policy con cui innescare lo sviluppo territoriale, in particolare possiamo individuare i seguenti obbiettivi di programmazione operativa: differenziazione dell’area territoriale, ruolo degli stakeholder e strategie di promozione e sviluppo locale. In tale definizione è la comunità a delineare le forme di intervento in relazione ai bisogni, difatti le istituzioni, le imprese e le famiglie aggregate in azioni deliberative creano un ambiente di “Comunità Solidale”. Il principio endogeno pone in essere il bilanciamento fra il carattere locale/globale, cooperativo/competitivo e identità solida/apertura fluida.

In relazione a tale premessa è possibile affermare una serie di fattori che ci permettono di mettere in risalto la strategia più adatta per avviare il processo di sviluppo localizzato del territorio, dove la pro-attività è l’elemento dinamico delle condizioni per territorializzare lo sviluppo locale: presenza di risorse esclusive, messa in atto di progetti realizzabili nel breve/medio periodo e affermazione di una strutturazione logica decisionale. Per essere concreti la definizione dei processi deve comprendere interconnessioni tra l’area economico e l’istituzione comunitaria, dove il mercato esterno attraverso la propria richiesta definisce il legame equilibrato con la produzione, i prodotti e le professionalità locali.

Il modello di realtà locale emergente è di profilo bottom up, dove i diversi soggetti appartenenti alla sfera socio-comunitaria, in un’azione di complementarietà possano intensificare una relazioni che formalizzi la costruzione di reti funzionali tra istituzioni, società metropolitana provinciale e regionale, imprese, associazioni e famiglie.

La vera forza di un territorio che “apprende ad apprendere” è la capacità di creare una cooperazione che possa mettere in atto una solida condivisione di risorse ed esperienze, utili a creare competenza qualitativa progettuale e conoscenze quantitative di esecuzione. In conclusione il paradigma di tale affermazione è riassumibile in “governance multilivello”, dove il coordinamento e la direzione è di rilevanza regionale/provinciale, in cui il profilo direttivo centrale viene mitigato dall’esecutiva libertà dell’interconnessione identitaria degli enti locali, facendo emergere l’effetto moltiplicatore delle “best practices”.


Il potere dal punto di vista sociologico

In questo articolo prenderemo in considerazione il potere dal punto di vista della sociologia

di Giovanni Pellegrino

Il potere è un argomento che ha da sempre suscitato l’interesse dei sociologi. Per fare un esempio il grande sociologo Weber ha definito in questo modo il potere:” Il potere consiste nella probabilità che un soggetto agente in una data relazione sociale sia in grado di assicurare l’esecuzione della propria volontà “.

<<== Prof. Giovanni Pellegrino

Possiamo dire che esiste un lato positivo e un lato oscuro del potere ,tanto che alcuni sociologi hanno messo in evidenza la prima faccia del potere mentre altri la seconda. Potremmo paragonare il potere a Giano bifronte una delle divinità della religione romana. Per coloro che prendono in considerazione la faccia oscura del potere essa è sempre coercizione, dominio, sottomissione e manipolazione. In pratica chi detiene il potere non  fa altro che salvaguardare i propri interessi e quelli del gruppo sociale al quale appartiene, danneggiando gli interessi della maggior parte degli individui.

Dietro questa visione oscura del potere troviamo il pensiero di Hobbes che sosteneva che l’ordine sociale era frutto della forza e della costrizione del domino di alcuni individui sugli altri. I sostenitori di tale concezione del potere adottano e fanno propria la frase latina :” homo omini lupus “. Alla base di questa visione della società vi è un’antropologia fortemente pessimista che parte dal presupposto che la natura umana sia corrotta e portata a compiere il male .

Mills

Il sociologo americano Mills ha un concetto molto negativo  del potere:” per coloro che detengono il potere il mondo è solamente un oggetto da manipolare “. Altri invece mettono in evidenza il lato positivo del potere considerandolo una specie di servizio che i leaders rendono alla collettività. Tale servizio sarebbe finalizzato alla realizzazione degli interessi della collettività. I sociologi che accettano tale concezione del potere fanno riferimento al pensiero di Rousseau che riteneva che l’uomo fosse naturalmente buono .

Rousseau

Rousseau pensava che l’ordine sociale fosse il risultato di un accordo generale sui valori, di un “ consensus omnium “ in grado di superare tutte le differenze di opinioni e gli interessi contrastanti. Alla base del pensiero di Rousseau vi è una antropologia fortemente ottimista che ritiene che la natura umana non sia corrotta e sia portata a compiere il bene.

A nostro avviso esiste sia il lato oscuro del potere che quello positivo. Tuttavia, dal momento che pensiamo che la natura umana sia incline a dominare e a sottomettere gli altri riteniamo che il lato oscuro del potere prevalga su quello positivo. In altri termini siamo convinti che nella grande maggioranza dei casi gli esseri umani cercano il potere non per realizzare gli interessi della collettività ma per altri motivi. Per fare un esempio molti ricercano il potere sia per ottenere vantaggi personali sia per provare l’ esaltante sensazione derivante dal possesso del potere. La microsociologia si interessa molto del modo in cui i singoli individui riescono a ottenere il potere nella sfera privata e nelle relazioni interpersonali.

In generale possiamo dire che nella sfera privata alcuni individui esercitano un potere nei confronti di altri perché esistono relazioni interpersonali asimmetriche. Col termine di relazione interpersonale asimmetrica intendiamo un rapporto interpersonale nel quale uno degli attori diventa dipendente dall’altro attore. Tale dipendenza nasce dal fatto che l’attore più forte possiede delle risorse che sono assolutamente necessarie all’altro attore che pur di ricevere tali risorse accetta di permettere all’altro di assumere un ruolo dominante nella relazione interpersonale in questione.

In sociologia con la parola “ risorse “ intendiamo ricchezza, status sociale, personalità carismatica bellezza e qualsiasi altra cosa che possa permettere a un individuo di esercitare il potere in una relazione interpersonale asimmetrica. Dobbiamo dire che nel caso del potere vale quello che i sociologi definiscono “gioco a somma zero “ovvero se in una determinata situazione sociale un attore acquista una certa quantità di potere necessariamente un altro attore perderà la stessa quantità di potere nella stessa situazione sociale.

Dahrendorf

Molto interessante è la teoria di Dahrendorf che divide la società in due classi coloro che detengono il potere e coloro che non hanno il potere. Secondo il sociologo tedesco in tutte le associazioni esistono due classi :coloro che danno ordini e coloro che li ricevono. Dal momento che è più piacevole avere potere che non averne quelli che detengono il potere nelle varie associazioni cercano di mantenere lo “ status quo”. Al contrario quelli che non hanno il potere cercano di determinare mutamenti sociali alfine di conquistare il potere. Di conseguenza per Dahrendorf tutti i conflitti sociali sono causati dal desiderio di potere.

Naturalmente esistono vari tipi di potere e pertanto è possibile che un individuo o un gruppo detengano un certo tipo di potere mentre si trovino in una posizione subordinata rispetto a un altro tipo di potere. Definiamo élite quel gruppo di individui che detengono un dato tipo di potere ( élite economica, politica, culturale, sociale) . Molto spesso i componenti delle varie elites cercano di collaborare tra loro per conservare il potere ma è anche possibile che entrino in conflitto tra loro. Vogliamo precisare che esistono due modi di esercitare il potere ovvero in maniera manifesta o in maniera nascosta.

Secondo i teorici della “ teoria della cospirazione “ dietro gli individui che esercitano in maniera manifesta un determinato tipo di potere esistono spesso altri individui che detengono i vari poteri in maniera tale da dirigere gli eventi dietro le quinte. Secondo i teorici della cospirazione esistono dei burattinai che esercitano il potere in maniera nascosta manipolando altri individui che rivestono il ruolo di burattini.

Anche a livello microsociologico esistono individui che esercitano il potere in maniera nascosta lasciando credere a coloro che manipolano di non condizionare il comportamento di nessuno. Tali individui possono essere paragonati alle volpi in quanto si servono dell’astuzia come risorsa per mantenere il potere. Anch’essi a livello microsociologico sono dei burattinai che controllano un certo numero di burattini. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sul potere considerato dal punto di vista sociologico.

                                                                                 


L’Autenticità locale e la sublimazione della riscoperta dell’identità del territorio, strategia e paradigma operativo della “Liquidità lentà”

di Domenico Stragapede

La globalizzazione nella sua accezione simbolica ha reso la dimensione spaziale e comunitaria del territorio una modernità liquida (Zygmunt Bauman), un paradigma in cui ogni fenomeno culturale accorcia la distanza e priva l’individualità della possibilità di poter acquisire la ricchezza rappresentata dalla realizzazione identitaria dell’ecosistema locale, attraverso le risorse materiali e i simboli delle tradizioni culturali.

<<== dott. Domenico Stragapede

Il paradigma che si oppone all’evanescenza della liquidità della spazialità sociale, dove in alcuni casi si annulla nel carattere omogeneo del vivere quotidiano, senza prestare attenzione al glocale manifestarsi dell’identità urbana è il processo moderato di “liquidità lenta”.

Il territorio nella visione più intima dello spazio geografico antropico, storico, culturale, archeologico e enogastronomico si riscopre per l’offerta tematica, in cui la società adegua la propria visione, nutrendo la curiosità dell’individuo, imprimendo un carattere essenziale del processo turistico e affermando il fenomeno della riscoperta della “natura locale”.

Le policy urbano-turistiche, in composizione alle infrastrutture e alla mobilità sostenibilità del territorio, favorendo  il rinnovo delle ricchezze locali, in una visione condivisa di realtà decodificata e sinergica,  promossa dalla interoperatività meso-dimensionale delle reti complementari dell’azione ecosistemica delle realtà metropolitane o intercomunali, sia in grado di pianificare il lento e scorrevole schema, da cui poter attirare gli “steakeholders”, e attuare la patrimonializzazione e marketing dei tesori storico-culturali dell’identità locale.

La tradizione è la fonte principale attraverso cui si esprime una collettività identitaria, il passato che suggerisce la capacità di poter assicurare autenticità alla novità quale immagine di tale prodotto, costituito dalla salvaguardia del mistero storico della cultura e “tradizioni”.

La tematizzazione espressa per mezzo dell’”invenzione” esistente della cultura locale, contrasta lo sgretolamento della figura globale, incentivando la capillare liquidità scorrevole, quale prassi in cui la tradizione si mescolala con la misura del meso-contesto culturale del luogo emotivo, che afferma la garanzia della promozione materiale delle risorse(food, shopping e archeologia), processando la dinamica del turismo strategico asimmetrico, multidirezionale ed essenzialmente lento che possa esprimere la valorizzazione collettiva locale e arricchire la coscienza personale.

La “liquidità lenta” rappresenta la forma di annullamento dell’omogeneità territoriale priva di valore e l’alienazione personale dell’identità cosciente. L’esposizione e l’offerta competitiva sincronica delle realtà locali sono la chiave di definizione della strategia economica politica, quale risposta al globalismo culturale e storico.

La conclusione strategica dei territori si sublima in un’opera di orientamento bi-frontale fra individuo e luogo, dove i frutti raccolti sono espressi da azioni ibride, caratterizzate dal modello “esperienziale”, ovvero il lento consolidamento del tema reale dello spazio, favorito dalla mercificazione controllata della dimensione dinamica e sostenibile del patrimonio  della “tradizione”. Un brand in cui si riconosce il merito di assicurare emozioni uniche e indimenticabili, potenziato al movimento estroverso dell’innovazione sostenibile delle infrastrutture e mobilità sostenibili, capaci di collegare il passato della “tradizione”, il presente dell’ “esperienza” e il futuro della glocale “liquidità lenta”.


La critica della modernità di Vilfredo Pareto

In questo articolo prenderemo in considerazione la Critica della modernità di Vilfredo Pareto.

di Giovanni Pellegrino

Nel rileggere la critica di Pareto alle idee cardine della modernità bisogna tenere presente che ha dedicato uno studio specifico sull’argomento. Anzi a voler essere più precisi una posizione critica rispetto alle ideologie della modernità è riscontrabile nelle opere di Pareto solo effettuando un’analisi trasversale. Possiamo articolare la critica di Pareto alla modernità su diversi livelli: un primo è costituito dal rifiuto di una razionalità “ forte” sopra determinante l’agire di tipo illuministico e positivistico .Il secondo livello è rappresentato da uno studio puntuale dei vari aspetti del panorama ideologico a lui contemporaneo. Infine, il terzo livello è riscontrabile nell’ analisi dell’organizzazione economica e politica delle società a lui contemporanee.

Nella descrizione che Pareto offre dei protagonisti del profondo cambiamento che si stava mettendo in atto vengono ben rappresentate le contraddizioni e le crisi generate in Italia dal processo di modernizzazione di cui era investito il Paese .

Prof. Giovanni Pellegrino >>>

Le conseguenze più evidenti di tale processo di modernizzazione era l’urto tra norme e valori vecchi e nuovi unitariamente a una relativa accentuata frammentazione sociale. Situazioni più o meno simili di conflitto sociale e di segmentazione avevano indotto Comte a considerare imminente e inevitabile il progresso verso una società più pacifica e più giusta. Spencer a sua volta aveva teorizzato l’emergere della società industriale operosa e poco aggressiva. A loro volta Marx ed Hengels erano convinti che la rivoluzione avrebbe poi condotto ad una vita collettiva in cui uguaglianza e giustizia sociale si sarebbero pienamente realizzate.

Pareto Invece rintraccia nei disordini e nelle crisi la prova che l’evoluzione storica delle democrazie occidentali non era né rettilinea ne continua e vi vede il segno della permanenza del conflitto come processo sociale. La situazione che egli si trovava ad osservare costituiva a suo avviso un ulteriore dimostrazione dell ‘ infrangersi dell ‘utopia moderna di una vita sociale interamente determinata dalla ragione. La sua sociologia non si pone così come un tentativo di razionalizzare la immagine della società emancipandola dalla religione che la legittima nel mondo tradizionale. Pareto vuole dimostrare che ogni “credo” progressista ogni moderna teologia non intrattiene alcun rapporto privilegiato con la ragione in quanto la sua logica è la stessa che fonda le ideologie tradizionali e cioè quella dei bisogni che si muovono a livello residuale. Questa consapevolezza induceva Pareto ad opporsi nettamente alle idee che avevano accompagnato lo sviluppo della modernità nelle società occidentali, sottolineando come esse avessero comportato una involuzione della borghesia.

Inoltre, Pareto mette in evidenza che i grandi ideali che avevano caratterizzato l’ ottocento erano risultati disattesi o capovolti. Infatti, la democrazia aveva dato luogo al parlamentarismo e alla demagogia mentre il principio nazionale si era corrotto in fanatismo nazionalistico. A sua volta la libera concorrenza era stata sostituita dai monopoli e dall’intervento dello stato. Tutto questo portava Pareto a guardare con ironico sospetto le illusioni e gli entusiasmi dei positivisti e a svolgere una analisi demitizzante l’ ideologia del progresso continuo e lineare.

L’opera di Pareto contiene inoltre tutta una serie di osservazioni critiche puntuali su quei grandi temi ottocenteschi che si erano trasformati in mode ideologiche come per esempio il Progresso la Ragione , la Scienza il Nazionalismo etc. Tali temi esprimono gli ideali della emancipazione e ne rappresentano i modelli culturali più caratteristici che costituiscono i diversi aspetti del panorama ideologico della modernità. Secondo Pareto lo spirito della modernità ha presentato nei suoi tratti più salienti una tendenza globalizzante rivolta a includere le più svariate manifestazioni dell’agire singolo e collettivo finalizzata a sottolineare in ogni aspetto della realtà la fine dell’ordine tradizionale.

Inoltre, Pareto mette in evidenza che i grandi ideali che avevano caratterizzato l’ ottocento erano risultati disattesi o capovolti. Infatti, la democrazia aveva dato luogo al parlamentarismo e alla demagogia mentre il principio nazionale si era corrotto in fanatismo nazionalistico. A sua volta la libera concorrenza era stata sostituita dai monopoli e dallo intervento dello stato. Pareto coglie pienamente la forza totalizzante insita nel progetto della modernità e la esprime attraverso l’immagine di un “Pantheon “ ad esemplificare un insieme di convinzioni e di ideologie che si muovono intorno ad alcuni assi portanti. Pareto afferma che la religione del progresso è “ politeista “ e si fonda sulla scienza.

La scienza a sua volta si circonda di divinità minori come sarebbero la Democrazia, la Verità, la Giustizia . Pareto è consapevole che a livello di azione sociale l’ideologia della modernità fondamentalmente ottimista è incentrata sull’idea di progresso offrì l’incentivo necessario per uscire senza rimpianti dalla tradizione e per supportare i grandi mutamenti in atto .Teologie e cosmologie e ideologie, miti antichi e moderni vengono passati da Pareto al vaglio di un esame puntuale e distruttivo. Lo scopo principale di Pareto è quello di demitizzare la razionalità e la moralità attraverso il disvelamento dei loro fondamenti non razionali e non morali.

Egli analizza criticamente i miti della modernità operanti in una realtà una profonda trasformazione quale era quella italiana a lui contemporanea. Pareto riserva un’attenzione privilegiata nei confronti di quegli agenti di cambiamento i cui interessi, opinioni e ideologie condizionavano il divenire della nazione. Come tutti i grandi “maestri del sospetto “ Pareto non si accontenta di ciò che appare e non si ferma alla superficie. Egli affida alla sua sociologia il compito di scoprire il velo di togliere la maschera alla realtà. Egli non dà infatti fiducia al senso comune e valuta con sospetto le spiegazioni offerte dagli attori sociali.

Nell’ambito di questa continua e corrosiva opera di smascheramento la ragione perde ogni primato a livello individuale e ancor di più sociale. Pareto non solo ha incentrato la sua sociologia su una accezione “debole” della ragione sottolineando l’esistenza di una pluralità di fondamenti della vita collettiva ma ha messo anche in evidenza i processi di distorsione del pensiero. Inoltre, Pareto ha messo in luce la funzione dell’inganno e dell’autoinganno anche nel l’ambito dei contesti apparentemente più razionalizzati. Pareto mette in evidenza l’esistenza di profonde contraddizioni all’ interno del progetto moderno. Egli coglie e sottolinea l’aspetto non ufficiale della modernità e cioè il perdurare della superstizione dell’ incertezze del disordine e delle azioni non logiche.

Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che di fronte a un pessimismo antropologico, Pareto presenta un deciso ottimismo epistemologico basato su fiducia circa la possibilità di un’analisi soddisfacente dei fatti e delle loro relazioni. L’ottimismo epistemologico di Pareto e il suo pessimismo antropologico per essere colti nella loro specificità vanno analizzati alla luce degli eventi storici che caratterizzarono l’ Italia al tempo di Pareto.


L’Organizzazione che apprende. Il circuito del capitale umano nella P.A. locale

di Domenico Stragapede

Dott. Domenico Stragapede

Per poter concretamente supportare un contesto organizzativo, il contenuto attinente la qualità dell’apprendimento e dell’organizzazione che si adatta allo scenario strategico, bisogna parlare brevemente della leadership, riferendoci alla teoria della grande persona, caratterizzata dai tratti salienti dell’accentramento decisionale, attraverso l’isolamento dei metodi manageriali in cui si ipotizza il livello dell’organizzazione funzionale, o di contingenza, legato alla misura dei risultati nel breve, medio e lungo termine, in particolare al controllo, che può passare dall’essere alto fino all’arrivare alla completa assenza in situazioni di stabilità degli obbiettivi.

Tali accezioni, viste in precedenza si affermano nella proposta di differenti stili esecutivi, autoritario, democratico e permissivo. La fisionomia di tale orientamento esprime il concetto verticale dell’azione organizzata, denominata top-down, espressione dei processi decisionali elaborati dalla struttura di vertice, e assimilati passivamente nel processo complesso delle dinamiche strutturali. Tale visione in un contesto moderno si prefigura nella sua limitatezza, non dando spazio a quello che viene definito circuito del capitale umano, ossia la capacità degli individui di essere risorsa strategica, valorizzando il carattere delle conoscenze taciteesplicite, funzione essenziale dell’esperienza delle vecchie generazioni e motore adattivo delle nuove, che attraverso il contesto della formazione permanente, manifestano l’interesse organizzativo, finalizzando il principio formativo di apprendimento di tipo formale, non formale e informale.

L’organizzazione nel delineare le strategie adeguate a tale definizione deve comunque considerare il profilo ambientale, in affermazione alla dinamica migliore per richiamate i diversi elementi contestuali al progresso organico (intenzione, autonomia, frattura centrifuga dell’organizzazione, caos creativo, ridondanza  e varietà dinamica).

La finalità di tale Know how accresce il processo creativo del bottom-up advocacy, ovvero il saper mettere in pratica le caratteristiche della funzione individuale nella sua complessità, attraverso i tipi di sapere, sviluppando la struttura dei livelli di apprendimento in corrispondenza alle scelte, strategie e aree di riferimento.

La possibilità e la capacità di adattare l’organizzazione al contesto temporale e spaziale dell’ambiente esterno è essenziale per affermare il risultato strumentale della dimensione cognitiva del processo circolare organizzativo, in cui si attuano una serie di fasi in cui si inizializzano le azioni da porre in essere, in particolare, dalla situazione pre-riflessiva, creativa, risolutiva e post-riflessiva.

In tale misura, possiamo concludere che attraverso il suddetto schema, la formula che adegua le caratteristiche degli individui che privilegiano l’elemento primario dell’evoluzione organizzativa nella sua efficienza, usano la regola dell’ apprendere ad apprendere. Dove le disposizioni, consuetudini e capacità, unite alla struttura unica del fattore esperienziale e dinamico dell’innovazione tecnologica, realizza il modello organico, che adatta il proprio comportamento per ottenere il massimo risultato attraverso lo sforzo pensato e ripartito in forma equilibrata, per creare un principio organizzato e organizzativo, che si adegua in base alla formazione riflessiva e apprendimento dinamico, in considerazione del processo generazionale che bilancia il profilo del circuito circolare della qualità delle risorse umane.


LE NORME DI GRUPPO

di Giovanni Pellegrino

In questo articolo prenderemo in considerazione le norme esistenti nei gruppi

In ogni tipo di gruppo esistono comportamenti consentiti e non consentiti: la funzione delle norme di gruppo è quella di stabilire quali comportamenti sono ammissibili e quali non lo siano in un determinato gruppo sociale.

<<== Prof. Giovanni Pellegrino

Le norme sociali sono un prodotto collettivo e non includono solo regole comportamentali ma possono riguardare anche modalità espressive come il gergo linguistico, l’abbigliamento e il culto di un certo genere di musica. La presenza di un sistema di norme è una caratteristica costante sia dei gruppi formali che di quelli informali. Tuttavia nei gruppi formali la nascita del sistema di norme richiede spesso un lungo iter formativo in quanto richiede un lungo tempo di negoziazione tra i componenti dei gruppi formali. Tale negoziazione deve servire a raggiungere un non sempre facile compromesso tra gli interessi dei vari sottogruppi dal momento che tali interessi sono spesso in conflitto tra loro.

Al contrario nei gruppi informali le norme hanno un carattere di tipo motivazionale ed emotivo.

Infatti tali gruppi nascono dall’incontro di individui che hanno motivazioni simili che potrebbero essere ad esempio le frustrazioni e i sentimenti di deprivazione di adolescenti e di giovani che abitano in zone periferiche e povere. Inoltre, le norme sociali sono esplicite nei gruppi formali nei quali molto spesso esiste un regolamento scritto che chiarisce ciò che è permesso e ciò che è proibito. Al contrario nei gruppi informali le norme sociali sono quasi sempre implicite nel senso che esse non sono né scritte ne espresse direttamente anche se hanno ugualmente la forza di impatto e il raggio di influenza sufficienti per determinare l’esclusione dei membri che le hanno violate.

Anche in gruppi informali più ampi come ad esempio quello costituito dagli abitanti di un piccolo villaggio sono presenti un sistema di norme informali implicite che condiziona fortemente la vita degli abitanti del villaggio. Dobbiamo mettere in evidenza che tali norme possono anche essere molto diverse dalle norme vigenti nelle città o in altri villaggi. Dobbiamo dire anche che in ogni gruppo esistono delle norme centrali e delle norme periferiche.

Le norme centrali sono quelle che rivestono una particolare importanza per il gruppo in questione e di conseguenza non devono essere assolutamente infrante dal momento che dal loro rispetto può dipendere la sopravvivenza del gruppo. Per tale ragione chi viola una norma centrale è soggetto a sanzioni sociali durissime. Il valore prescrittivo delle norme centrali è ben esemplificato dai rigori della legge marziale nei casi di gravi infrazioni alle norme del codice militare. In generale possiamo dire che quando più un gruppo è coeso tanto più violentemente reagiscono i membri di esso nel momento in cui uno dei comportamenti infrange una norma centrale.

In tali casi nessuna forma di devianza può essere accettata per nessuna ragione. Per quanto riguarda le norme centrali dobbiamo dire che esse non devono essere violate neppure dai leader dei gruppi anche se si trattasse di leader molto carismatici. Palmonari afferma che i leaders e i componenti del gruppo ,che possiedono uno status di gruppo elevato, non solo non sono esentati dal rispetto delle norme centrali ma sono ancora più obbligati dagli altri membri a rispettarle in quanto deviare da esse può determinare addirittura la fine del loro potere.

Per quanto riguarda le norme periferiche dobbiamo dire che esse riguardano questioni e valori considerati dai componenti del gruppo di importanza limitata. Pertanto, il non rispetto di tali norme provoca sanzioni molto leggere e temporanee se non addirittura nessuna sanzione. Inoltre, nella morale di gruppo esistono comportamenti che fanno parte della cosiddetta “zona grigia” la quale è costituita da   quei comportamenti che non sono né accettati né rifiutati dal gruppo.

Tornando alle norme periferiche dobbiamo dire che l’iter ha maggior libertà degli altri membri di infrangerle o addirittura di cambiarle.

Di solito anche ai membri che possiedono uno status di gruppo elevato è concesso di violare le norme periferiche mentre tale privilegio non viene concesso ai componenti del gruppo che hanno uno status basso. Essi se violano tali norme sono soggetti a sanzioni in ogni caso più leggere di quelle che subirebbero se violassero le norme centrali. In genere possiamo dire che in quasi tutti i gruppi vale la regola informale che più basso è lo status del soggetto che infrange una norma periferica, più severa è la sanzione che lo colpisce.

Comunque sia per il fatto di doversi conformare sia alle norme centrali che a quelle periferiche, i membri del gruppo dotati di uno status basso sono rimproverati e sanzionati più frequentemente di quei soggetti che occupano posizioni elevate. Appare evidente che per quanto riguarda le norme periferiche in moltissimi gruppi non si può dire che la legge è uguale per tutti. Oltre che a centrali e periferiche le norme di gruppo possono anche essere classificate in istituzionali e volontarie: le prime vengono imposte dal leader o da autorità esterne al gruppo.

Al contrario le seconde nascono dalle negoziazioni tra i membri del gruppo allo scopo di risolvere o ridurre le situazioni conflittuali. Dobbiamo anche dire che diverse sono le funzioni svolte dalle norme nella vita di gruppo. In primo luogo esse sono necessarie affinché il gruppo raggiunga i suoi obiettivi in quanto determinano una pressione verso l’uniformità e combattono i comportamenti devianti. Vogliamo anche mettere in evidenza che nelle situazioni di emergenza come un conflitto con un altro gruppo le norme tendono a diventare più rigide allo scopo di serrare le file ed aumentare il grado di coesione interna.

I sociologi sanno che in genere la sola presenza di nemici esterni determina un aumento della solidarietà di gruppo soprattutto quando i componenti pensano di essere vittime di un complotto organizzato da potenti nemici esterni.

In secolo luogo le norme danno la possibilità al gruppo di preservarsi in quanto tale evitando che esso si possa sciogliere. In terzo luogo, le norme determinano il tipo di percezione sociale della realtà proprio del gruppo. Esse fanno in modo che tutti gli individui accettino la stessa interpretazione della realtà sociale. Dobbiamo mettere in evidenza che l’interpretazione della realtà è un fenomeno importantissimo nelle scienze sociali dal momento che il comportamento degli individui è condizionato dal modo in cui interpretano la realtà più che dalla realtà sociale in sé stessa. In quarto luogo le norme sociali permettono la definizione delle relazioni del gruppo con l’ambiente esterno. L’interpretazione della realtà sociale vigente nel gruppo permette ai membri di giungere ad un consenso riguardo al tipo di relazioni da instaurare con gli altri gruppi che fanno parte dello stesso habitat sociale. Il tipo di interpretazione della realtà sociale adottato dal gruppo permetterà anche di stabilire quali gruppi possono essere considerati amici, quali nemici e quali sostanzialmente neutrali.

Un altro interessante dato di fatto riguardante le norme di gruppo è rappresentato dal fatto che esse una volta che sono state create dimostrano una notevole resistenza al cambiamento come è possibile osservare in numerosi ambiti della vita sociale. Nonostante questa loro tendenza alla stabilità le norme di gruppo possono cambiare sotto la spinta di eventi particolarmente significativi ed importanti. Come la creazione delle norme è un fenomeno collettivo allo stesso modo la modifica di esse è un fenomeno collettivo. In genere un gruppo sociale modifica le sue norme centrali se si verificano nel contesto sociale di appartenenza cambiamenti molto radicali che costringono i membri del gruppo a modificare tali norme alfine di non subire un processo di emarginazione sociale da parte degli altri gruppi.

Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che altre volte sono le autorità esterne al gruppo ad imporre la modifica delle norme centrali.

Per fare degli esempi possono imporre la modifica di tali norme persone particolarmente influenti quali genitori, politici, poliziotti più in generale perone esterne al gruppo dotate di grande carisma. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sulle norme di gruppo.

                                                 Prof. Giovanni Pellegrino


IL DIFETTO DEL NAZIONALISMO E L’OPERA DELL’INCLUSIONE SOCIALE

di Domenico Stragapede

<<La vita nazionale è, per sé, il complesso operante di tutti quei valori di civiltà, che sono propri e caratteristici di un determinato gruppo, della cui spirituale unità costituiscono come il vincolo>>(Pio XII, Dal Messaggio natalizio del 1954).

Dott, Domenico Stragapede ==>>

Nell’individuare l’errore nel fenomeno analizzato, l’<<ingroup bias>>, bisogna capire che il gruppo nel creare tale dimensione, tende a categorizzare ogni elemento fuori dal proprio spazio di valutazione, in difesa delle credenze e valori contrastanti con il Sé collettivo, affermando automaticamente un processo percettivo di conflitto sociale, per il quale aggredisce il prossimo.

La base del paradigma è rinvenibile nel sistema di conservazione delle informazioni a  cui il fattore della cultura sociale marca la condizione e la frequenza del marcatore stabilità, contrapposto al fattore adeguamento.

In virtù dell’ampio livello di coesione nel principio negativo della stagnazione nazionale, chiusa nella conservazione del valore tradizionale, si promuoverà l’esclusione della diversità, affermando l’identità aggressiva, portando la costituzione del sistema  stigmatico, ossia tutti coloro i quali non sono parte del processo ambientale e dispositivo del sistema di cognizione sociale, e di conseguenza minimizzati, ad essere minoranza etnica.

La difficoltà nell’elaborare la novità di una realtà globale e multiculturale, risulta una condizione reale, proprio perché gli individui o una interra popolazione attraverso un processo euristico di ancoraggio e accomodamento delle informazioni fanno fatica a cambiare, o meglio adeguare il principio sociale del percepire diversi fattori della comunità in cui si radica la propria cultura. Di conseguenza si ribella in forma aggressiva affermando il suo essere “unità”, discriminando la devianza sociale attraverso l’esclusione e la denigrazione, creando a sua volta un effetto ad onda, in cui il fattore auto percettivo si afferma nell’“outgroup”, quale consapevolezza dell’essere un pericolo e un ostacolo al mantenimento dello status quo.

L’inclusione nella sua accezione nominale, crea il piano dispositivo in cui i diversi schemi afferenti al gruppo, rompe la condizione percettiva della diversità ingroup vs outgroup. Attraverso una ridefinizione dei criteri di  interdipendenza e la condivisione di uno scopo comune, la società accresce il valore e la credenza della cooperazione e condivisione inclusiva che esaurisce lo stereotipo del muro pregiudiziale del nazionalismo esclusivo.


I meccanismi che determinano l’uscita da un gruppo

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

La vita sociale è caratterizzata da quel continuo processo che porta gli individui ad entrare e ad uscire dai gruppi. Nella società contemporanea questi processi  di entrata e di uscita dai gruppi sono diventati più frequenti rispetto alle società del passato dal momento che i rapporti interpersonali sono diventati molto più instabili rispetto al passato. Inoltre la mobilità sociale e geografica determinano spesso la rottura dei vecchi legami interpersonali e la creazione di nuovi rapporti.   

<< ==Prof. Giovanni Pellegrino                                 

In questo articolo prenderemo in considerazione le condizioni, le situazioni e i meccanismi che determinano l’uscita degli individui dai gruppi.                                         

Accade molto spesso che un individuo decida o venga costretto ad abbandonare il gruppo di appartenenza o per decisione degli altri membri o perché il gruppo si è sciolto. Per quanto riguarda la posizione dell’individuo che esce dal gruppo, ci sono notevoli differenze tra chi esce per decisione autonoma e chi viene allontanato dal gruppo. Come pure ci sono differenze tra chi esce insieme a tutti gli altri membri e chi deve uscire da solo perché non esistono più le condizioni che lo rendevano membro di quel gruppo. Esamineremo una  per una queste modalità di uscita dal gruppo cominciando dall’uscita determinata da una decisione libera ed autonoma dell’idividuo.

Alla base di tale modalità di uscita vi sono fondamentalmente quattro cause possibili: la demotivazione, le frustrazioni subite, i conflitti con il leader o con altri membri e la possibilità di entrare in un nuovo gruppo considerato più adatto all’individuo. Per quanto riguarda la caduta dei livelli motivazionali di un membro del gruppo, essa può essere dovuta sia al fatto che l’individuo non ritiene più interessanti per i suoi fini personali gli obiettivi che il gruppo si pone, sia a fatti che non riguardano direttamente il gruppo. Tuttavia tali fatti determinano una crisi dei  livelli motivazionali che si riflette anche nei rapporti tra l’individuo e il gruppo. Cercheremo di chiarire con un esempio quanto abbiamo ora detto.                              

 Ipotizziamo che un individuo membro di un gruppo sportivo venga abbandonato dalla fidanzata cosicchè in seguito a tale abbandono subisce pesanti danni psicologici che determinano il crollo dei livelli motivazionali. Tale crollo riguarderà anche le motivazioni che lo spingono a praticare attività sportive all’interno del gruppo. Pertanto l’individuo uscirà dal gruppo non per fatti avvenuti all’interno del gruppo ma per il fatto che la perdita della fidanzata ha determinato un crollo delle energie nervose e motivazionali.  In sintesi l’individuo vorrebbe continuare a praticare le attività sportive ma gli mancano le energie nervose per farlo in quanto la depressione conseguente alla perdita della fidanzata determina una diminuzione dei livelli motivazionali e delle energie nervose.   

Anche una serie di frustrazioni può indurre un individuo ad uscire da un gruppo dal momento che quando in un dato gruppo un soggetto deve subire frequenti frustrazioni, la permanenza in tale gruppo  diventa destabilizzante per l’equlibrio psicologico dell’individuo. Infatti continue frustrazioni danneggiano l’equilibrio mentale dell’ individuo. Inoltre le tensioni psicologiche possono determinare la comparsa di comportamenti aggressivi nei riguardi degli altri componenti del gruppo o anche nei riguardi di altre persone che non fanno parte del gruppo. Esiste infatti un rapporto di causa effetto tra frustrazioni subite e comportamenti aggressivi manifestati. Un altro motivo che può spingere un soggetto ad abbandonare volontariamente un gruppo è la presenza di conflitti con il leader o con altri componenti. Soprattutto se tali conflitti non riguardano situazioni contingenti ma elementi di fondamentale importanza della cultura di gruppo o del modo di interpretare la realtà.

Altre volte il conflitto che induce l’individuo ad abbandonare il gruppo può essere dovuto alla distribuzione del potere all’interno del gruppo. Per fare un esempio può accadere che un individuo voglia assumere un ruolo che aumenti il suo potere nel gruppo ma il leader decida di affidare tale incarico ad un’altra persona.Tale decisione determina un conflitto che causa l’uscita dell’individuo dal gruppo  nei confronti del leader, sia perché si ritiene ferito nell’orgoglio e sminuito agli occhi degli altri membri che lo considerano un perdente. Infine un individuo può abbandonare un gruppo in quanto ha la possibilità di entrare a far parte di un nuovo gruppo giudicato dal soggetto migliore del precedente per diverse ragioni reali o immaginarie. In primo luogo l’individuo può pensare che il nuovo gruppo sia più adatto del precedente a soddisfare i suoi bisogni.                                     

 In secondo luogo il soggetto può ritenere che il nuovo gruppo sia più adatto a valorizzare le sue  qualità affidandogli i compiti più importanti di quelli che rivestiva nell’altro gruppo. In terzo luogo l’individuo può trasferirsi in un altro gruppo perché ritiene che tale gruppo sia costituito da individui dotati di uno status sociale superiore a quello dei componenti del precedente gruppo.  Di conseguenza il soggetto ritiene che entrando nel nuovo gruppo potrà aumentare il proprio prestigio sociale ed avere la possibillità di costruirsi una rete sociale in grado di favorire la sua scalata sociale. In alcuni casi quando un individuo decide di lasciare un gruppo può accadere che vengono messe in atto delle sanzioni nei suoi riguardi. Tali sanzioni possono andare dal semplice disprezzo al tentativo di compiere vendette di diverso tipo nei suoi riguardi.                                                                            

Per fare un esempio in un contesto di conflitto intergruppi l’uscita da un gruppo per entrare in  quello rivale assume un significato particolare che comporta in alcuni casi sanzioni gravi per il fuoriuscito che viene considerato un vero e proprio traditore. Tali sanzioni possono arrivare fino all’uccisione dell’individuo come accade nei conflitti tra gruppi criminali che si  contendono il controllo di un dato territorio. In ogni caso quando un individuo esce da un gruppo per entrare in un altro che professa una visione del mondo e un’ideologia molto diversa se non opposta a quella del precedente gruppo il suo comportamento verrà giudicato in maniera opposta dai due gruppi. Per il gruppo dal quale l’individuo è uscito egli è un traditore, un venduto mentre per il gruppo nel quale il soggetto si inserisce egli è un individuo che si è ravveduto, che si è pentito, che si è reso conto che stava seguendo una visione del mondo sbagliata. In sintesi da un lato l’uscita dal gruppo può apparire come un ravvedimento mentre dall’altro lato un infame tradimento.                                                             

Per quanto riguarda quelli che vengono allontanati dal gruppo per decisione del leader o per decisione del leader e della maggioranza dei componenti del gruppo il discorso è molto diverso. Dobbiamo infatti dire che nella grandissima maggioranza dei casi l’allontanamento è determinato dal fatto che gli esclusi hanno violato più volte importanti norme della morale di gruppo. Altre volte accade che tutti i componenti devono uscire dal gruppo perché esso aveva fin dall’inizio una durata temporale limitata. Per fare un esempio si considera il caso di un gruppo costituito da individui che hanno scelto di trascorrere il periodo estivo nello stesso residence. Appare evidente che con la fine dell’estate tutti i componenti dovranno uscire da tale gruppo in quanto dovranno tornare ai rispettivi luoghi di provenienza. Infine può accadere che un singolo individuo debba uscire da un dato gruppo in quanto il suo ruolo sociale è cambiato.

Come esempio citeremo il caso di uno studente universitario fuori sede che dopo essersi laureato deve abbandonare il gruppo di studenti in cui si era inserito perché deve ritornare al suo paese. Potremmo citare altri esempi di uscita da un gruppo in seguito al cambiamento del ruolo sociale dell’individuo ma preferiamo chiudere ora il nostro discorso sui meccanismi che determinano l’uscita da un gruppo.

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof.ssa Mariangela Mangieri                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 


LA SFIDUCIA NELLA POLITICA VISTA ATTRAVERSO IL CONFORMISMO SOCIALE

Prima di poter iniziare un’analisi di quello che realmente è il processo di sfiducia nella prassi politica, comprese le istituzioni e le figure le quali esercitano le funzioni di esecuzione di tali strutture, bisogna far riferimento al concetto di conformismo sociale, ossia quel “tentativo di capire e spiegare come i pensieri, sentimenti e i comportamenti degli individui siano influenzati dalla presenza reale, immaginata, o implicita di altri” (G. Allport).

<<== Dott. Domenico Stragapede

La sfiducia politica è uno dei  processi della vita reale in cui, si concretizza la dimensione dispositiva e normativa  della complessità relazionale degli individui parte attiva della società. Le persone nella percezione “naturale” trovano impossibile eludere la trappola della maggioranza di coloro i quali detengono uno status esclusivo e un differente peso sociale.

La politica nella fattispecie, rappresenta la dimensione strutturale del malessere collettivo, non perché incapace di assolvere la finalità ad essa attribuita, ma perché asservita agli scopi dei gruppi, i quali determinano tensione, o una rottura asimmetrica funzionale collettiva.

La minoranza per combattere tale fenomeno decide di abbattere la propria dimensione del Sé, adeguando la pretesa positiva delle aspettative del proprio io, decidendo di conformarsi al piano normativo e funzionale, accontentandosi dello status sociale di riferimento.

Tale decisione rappresenta la forma negativizzata della comunità, la quale affonda nell’apatia collettiva, non affrontando quello che è il gioco delle parti, disperdendo la possibilità di migliorare il carattere personale, dis-alimentando la credenza della giusta formula POLITICA, quella della competizione, capacità e qualità esecutiva.

Il credere di non avere possibilità di cambiamento alimenta il pregiudizio, ovvero la propensione a credere che diverse azioni o idee, compresi i comportamenti rappresentano null’altro che l’abbandono della visione partecipativa, compresa la prospettiva di cambiamento sociale. Ebbene sì, in una fase iniziale solo attraverso la consapevolezza del proprio Sé, rafforzato dal  processo privato di percezione  individuale, sarà possibile frenare lo schema mentale e il  falso mito del processo di stereotipizzazione, ossia la raffigurazione della realtà dovuta e accettata, perché imposta dalla nostra stessa tensione cognitiva  e massimizzata dalla formalizzazione degli interessi di un’élite strutturata.

La fiducia nella politica può nascere solo attraverso la compressione del conflitto ambientale e situazionale, e della consapevolezza positiva nell’autostima personale. La Fiducia nella POLITICA null’altro è che “L’aspettativa che nasce all’interno di una comunità, di un comportamento prevedibile, corretto e cooperativo, basato su norme comunemente condivise (Francis Fukuyama).


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