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IL VALORE ENDOGENO-RETICOLARE DELLA COMUNITÁ NELLA PRASSI DELLA PROGETTAZIONE E SVILUPPO DEL TERRITORIO

di Domenico Stragapede

La comunità attraverso la propria identità riconosce la giusta dimensione operativa e gli obbiettivi rilevanti e le strategie per realizzarli.

<<== dott. Domenico Stragapede

Una visione concreta sul come ri-pensare e integrare le risorse in base alla capacità del territorio in essere, più del semplice carattere della dimensione spaziale, nel contesto della complessità delle differenze ravvisabili, il cui pensiero strategico considera la struttura allargata alla olistica forma delle relazioni reticolari, in pre-visione di una organizzazione e con-divisione delle risorse soggettive del capitale umano, e oggettive dei piani visibili della funzione culturale e co-struttiva dei luoghi in cui si radica il concetto di valore endogeno della comunità .

Il termine endogeno è sinonimo di conoscenza e consapevolezza della realtà spaziale del luogo sociale, in cui si sviluppano le azioni di sistema locale, ovvero interpretazione e comprensione dei fattori trasformanti a livello economico-politico, possibilità di reazione ai cambiamenti temporali dell’ambiente, introduzione di azioni volte alla normalizzazione dei processi comunitari.

La sostanza porta ad individuare il luogo da cui la comunità nasce e tras-forma il termine di immagine organizzata, non come semplice habitat o proiezione del vincolo artificiale. Tale autenticità afferma lo strumento di azione comune, principalmente, quando determina la “vivibilità”, passaggio dalla concezione del mero spazio al concreto luogo complesso in cui, la cultura, costumi, consuetudini, creano valore nelle risorse per qualificare lo sviluppo sostenibile del “meta-territorio”.

Lo sviluppo endogeno è la conoscenza delle scelte adatte a creare la capacità innovativa del profilo locale della comunità, attraverso il concetto di “intelligenza socio-comunitaria”, ovvero la possibile necessità di aderire a forme ibride di strutturazione e gestione delle prospettive di crescita e innovazione, promuovendo il settore del web 2.0, strategia di marketing e digital tourism hub, Internet of Things.

Il paradigma da mettere in evidenza è la valorizzazione delle potenzialità delle risorse locali (costituzione di un organo strategico permanente e realizzazione di progetti suddivisi per obbiettivi temporali).

La prassi in definitiva ricalca il principio differenziale delle policy con cui innescare lo sviluppo territoriale, in particolare possiamo individuare i seguenti obbiettivi di programmazione operativa: differenziazione dell’area territoriale, ruolo degli stakeholder e strategie di promozione e sviluppo locale.

La policy urbano-territorializzante, in composizione alle infrastrutture e alla mobilità sostenibile del luogo, il rinnovo delle ricchezze locali, in una visione condivisa di realtà decodificata e sinergica,  promossa dalla interoperatività meso-dimensionale delle reti complementari dell’azione ecosistemica delle realtà metropolitane o intercomunali, sia in grado di pianificare il lento e scorrevole schema, da cui poter attirare gli “steakeholders”, e attuare la patrimonializzazione e marketing dei tesori dell’identità locale.

La tradizione è la fonte principale attraverso cui si esprime una collettività identitaria, il passato che suggerisce la capacità di poter assicurare autenticità alla novità quale immagine di tale prodotto, costituito dalla salvaguardia del mistero storico della cultura e “tradizioni”.

La tematizzazione espressa per mezzo dell’”invenzione” esistente della cultura locale, contrasta lo sgretolamento della figura globale, incentivando la capillare liquidità scorrevole, quale prassi in cui la tradizione si mescolala con la misura del meso-contesto culturale del luogo emotivo, che afferma la garanzia della promozione materiale delle risorse(food, shopping e archeologia), processando la dinamica del turismo strategico asimmetrico, multidirezionale ed essenzialmente lento che possa esprimere la valorizzazione collettiva locale e arricchire la coscienza personale.

La governance messa in atto rafforza il primato della competitività del brand dell’industria locale, riconoscendo il principio “reticolare” della gestione avanza delle dinamiche complementari, privilegiando un approccio solidale e cooperativo, in cui la logica dell’inclusione valoriale affina la multi-spazialità identitaria nel rinnovo del carattere comune e unico dello spazio urbano/metropolitano.

In tale definizione è la comunità a delineare, o meglio pre-vedere, vedere le forme di intervento più adeguate, in relazione ai bisogni, difatti le istituzioni, le imprese e le famiglie aggregate in azioni deliberative creano un ambiente di “Comunità Solidale”. Il principio endogeno pone in essere il bilanciamento fra il carattere locale/globale, cooperativo/competitivo e identità solida/apertura fluida.

In relazione a tale premessa è possibile affermare una serie di fattori che ci permettono di mettere in risalto la strategia più adatta per avviare il processo di sviluppo localizzato del territorio, dove la pro-attività è l’elemento dinamico delle condizioni per territorializzare lo sviluppo locale: presenza di risorse esclusive, messa in atto di progetti realizzabili nel breve/medio periodo e affermazione di una strutturazione logica decisionale. Per essere concreti la definizione dei processi deve comprendere interconnessioni tra l’area economico e l’istituzione comunitaria, dove il mercato esterno attraverso la propria richiesta definisce il legame equilibrato con la produzione, i prodotti e le professionalità locali, affini al paradigma della mobilità creativa e della sublimazione riflessiva.

Il modello di realtà locale preminente dalla rivoluzione della cultura emergente e tradizione con-vivente, insieme alla maglia relazionale intelligente della rete comunicativa e strutturata, legano i diversi soggetti appartenenti alla sfera socio-comunitaria, in un’azione di complementarietà intensificano le relazioni che formalizzano la costruzione di reti funzionali tra istituzioni, società metropolitana provinciale e regionale, imprese, associazioni e famiglie, dove storia, tradizione, realtà materiale/immateriale, capitale sociale, qualità dei prodotti, beni culturali, tempestività, trasparenza e solidità delle reti dinamiche delle piattaforme tecnologiche, diventano i temi da cui affermare il principio di “meta-territorio”.

Turismo, tempo libero, imprinting ambientale rappresentano gli ambiti da cui partire per creare partecipazione e condivisione del quadro comune del paradigma della comunità-sociale, dove gli attori istituzionali, imprese e famiglie partecipano, in piena responsabilità, attivando il processo di sviluppo del territorio locale in un contesto di partnership sociale, integrando la volontà di bilanciare l’identità territoriale con l’idea di qualità e resilienza glocale.

Il territorio nella visione più intima dello spazio geografico antropico, storico, culturale, archeologico e enogastronomico si riscopre per l’offerta tematica, in cui la società adegua la propria visione, affermando la più efficacie strategia valoriale, nel carattere essenziale del processo localizzativo, affermando il fenomeno della riscoperta della “natura glocalizzata”.

La misura strategica dei territori si sublima in un’opera di orientamento bi-frontale fra individuo e luogo, dove i frutti raccolti sono espressi da azioni ibride, caratterizzate dal modello “esperienziale”, ovvero il lento consolidamento del tema reale dello spazio, favorito dalla mercificazione controllata della dimensione dinamica e sostenibile del patrimonio della “tradizione”. Un brand in cui si riconosce il merito di assicurare emozioni uniche e indimenticabili, potenziato dal movimento estroverso dell’innovazione sostenibile delle infrastrutture e mobilità sostenibili, capaci di collegare il passato della “tradizione”, il presente dell’“esperienza” e “ricordo” e il futuro della glocale “liquidità lenta”.

La “liquidità lenta” rappresenta la forma di annullamento dell’omogeneità territoriale priva di valore e l’alienazione personale dell’identità cosciente. L’esposizione e l’offerta competitiva sincronica delle realtà locali sono la chiave di definizione della strategia economica politica, quale risposta al globalismo culturale e storico.

La comunità nel delineare le strategie adeguate a tale definizione deve comunque considerare il profilo ambientale, in affermazione alla dinamica migliore per richiamare i diversi elementi contestuali al progresso organico (intenzione, autonomia, frattura centrifuga dell’organizzazione, caos creativo, ridondanza e varietà dinamica).

La finalità di tale Know how accresce il processo creativo del bottom-up and reticular advocacy, ovvero il saper mettere in pratica le caratteristiche della funzione individuale nella sua complessità, attraverso i tipi di sapere, sviluppando la struttura dei livelli di apprendimento in corrispondenza alle scelte, strategie e aree di riferimento.

La possibilità e la capacità di adattare l’organizzazione locale al contesto temporale e spaziale dell’ambiente esterno è essenziale per affermare il risultato strumentale della dimensione cognitiva del processo circolare organizzativo, in cui si attuano una serie di fasi in cui si inizializzano le azioni da porre in essere, in particolare, dalla situazione pre-riflessiva, creativa, risolutiva e post-riflessiva.

La vera forza di un territorio che “apprende ad apprendere” è la capacità di creare una cooperazione che possa mettere in atto una solida condivisione di risorse ed esperienze, utili a creare competenza qualitativa progettuale e conoscenze quantitative di esecuzione. In conclusione il paradigma di tale affermazione è riassumibile in “governance multilivello”, dove il coordinamento e la direzione è di rilevanza regionale/provinciale, in cui il profilo direttivo centrale viene mitigato dall’esecutiva libertà dell’interconnessione identitaria degli enti locali, facendo emergere l’effetto moltiplicatore delle “best practices”.

FONTI E BIBLIOGRAFIA

ARGANO LUCIO, Guida alla progettazione della città culturale. Rinnovare le geografie, il design, l’azione sociale, la pianificazione nello spazio urbano, FrancoAngeli, Milano, 2021

BARTOLETTO NICO, CATERINA FEDERICI, Lo sviluppo endogeno ei saperi tradizionali come risposte alla crisi, FrancoAngeli, Milano, 2013

BATTAGLINI ELENA, Sviluppo territoriale. Dal disegno della ricerca alla valutazione dei risultati, FrancoAngeli, Milano, 2014

CAROLI MATTEO, Gestione del patrimonio culturale e competitività del territorio. Una prospettiva reticolare per lo sviluppo di sistemi culturali generatori di valore, FrancoAngeli, Milano, 2016

DI FEDERICO ROSSELLA, Sviluppo locale: il ruolo della partecipazione e della comunità, Homeless Book, At Work, Faenza, 2011

S. PRIVITERA DONATELLA, NICOLASI AGATA, Comunità, luoghi e condivisione. Esplororazione dei modelli alternativi di consumo, FrancoAngeli, Milano, 2017

TOTAFORTI SIMONA, BOVALINO GUERINO NUCCIO, Innovazione, industria culturale e branding territoriale, FrancoAngeli, Milano, 2021


Anni ’80, l’era della grande normalizzazione

di Patrizio Paolinelli

Di tanto in tanto assistiamo a campagne più o meno convinte sul ritorno degli anni ’80. Recentemente la convinzione si deve essere rafforzata perché da alcuni mesi è partita un’offensiva mediatica finalizzata a sostenere il ritorno di un decennio che non intende diventare una pagina di storia. E allora, se gli anni ’80 vengono costantemente riproposti, una qualche sorta di continuità tra passato e presente deve pur esserci. E in effetti c’è. Però, prima di entrare nel merito, corre l’obbligo di dire subito che l’attuale campagna stampa, così come le precedenti, nulla hanno a che fare con l’informazione. Si tratta invece di complesse operazioni di comunicazione commerciale che vedono, se mi si passa l’espressione, l’associazione d’impresa tra diverse industrie: mass-media, moda, cinema, Tv, musica e, come soci di minoranza, altre industrie ancora (dagli accessori ai giocattoli). Ognuna recita la propria parte in commedia avendo per stella polare l’interesse economico.

Come capita sempre più spesso i media spacciano per autentica una tendenza del costume costruita con le tecniche del marketing. Gli smaglianti inserti giornalistici su moda, turismo, bellezza, musica e così via rappresentano per le testate incassi formidabili perché in genere gli articoli arrivano in redazione già confezionati e al massimo vengono accompagnati da un entusiastico pezzo della piccola/grande firma di turno. Si aggiungano poi le inserzioni pubblicitarie e per la testata l’affare è fatto. La moda è meno monotona della stampa e tenta di reinventarsi tornando quest’anno a sfruttare i colori accesi, gli accessori vistosi, le spalline importanti degli anni ’80, mentre il make-up riscopre i toni vivaci e le acconciature si avvicinano ai modelli di quel decennio: tagli asimmetrici, capelli cotonati, tinte sgargianti. Nel complesso proporre oggi gli esplosivi colori degli anni ’80 costituisce un invito subliminale all’ottimismo dopo quasi dieci anni di crisi economica.

Dal canto loro cinema e Tv sono impegnati in un’intensa attività di riciclo del passato. Sul piccolo schermo tornano così Perry Mason, Arma letale, L’esorcista tanto per citare qualche titolo; per non parlare del cinema con la lunga serie di remake, sequel, prequel e reboot, i cui risultati sono spesso deludenti. Basti per tutti lo sconfortante Alien: Covenant di Ridley Scott uscito da poco nelle sale cinematografiche. Insieme al cinema e alla Tv chi guarda con insistenza al passato è l’industria discografica. La quale da tempo non fa che riproporre ristampe, remake, ricostruzioni ed è dominata da reunion tour, festival-anniversari, cover band, riscoperta del vinile e fascino vintage. Insomma è tutto un revival, mentre la musica pop sembra incapace di innovarsi. L’oggi musicale finisce così per sembrare la brutta copia di ieri. E per questo motivo il passato ritorna sia direttamente, tramite i suoi protagonisti, sia indirettamente, tramite la loro influenza sulle attuali produzioni. Con tutta probabilità le cause della retromania in cui si sta trovando ingabbiata l’industria musicale sono dovute tra l’altro all’eccessivo sfruttamento della creatività artistica, alla standardizzazione dei prodotti, alla corsa al successo immediato. Assistiamo così al ritorno sulla scena di vecchie glorie del pop e del rock la cui qualità artistica è ancor oggi insuperata.

Fatto il punto sull’attualità resta da capire cosa siano stati gli anni ’80 da un punto di vista critico in modo da comprendere come mai il loro ritorno rappresenti una costante dell’industria culturale. Naturalmente non abbiamo la pretesa di esaurire l’argomento in un articolo ma alcuni paletti possiamo fissarli. Partiamo dall’economia. Tra il 1983 e il 1987 il Pil cresce al ritmo del 2,5% l’anno, le esportazioni crescono, l’inflazione scende al 4,6%, la borsa di Milano aumenta la propria capitalizzazione di oltre quattro volte e circa il 60% degli occupati è assorbito dal terziario. Dinanzi a questa netta ripresa dell’economia un bel libro fotografico sul decennio 1981-1990 è correttamente intitolato dall’autrice, Manuela Fugenzi, Il mito del benessere (Editori Riuniti, Roma, 1999). Scrive Fugenzi: “nella nostra memoria, è il decennio del dilagare dei consumi e dei successi dell’esportazione, dell’orgoglio del made in Italy che, come sintomo di un processo di sprovincializzazione, andrà progressivamente modificando l’immagine tradizionale del nostro paese. In un contesto di laicizzazione della società e della politica in cui scompaiono chiese e ideologie, si assiste all’enfatizzazione di nuovi valori”.

La figura sociale emergente che incarnerà i nuovi valori è quella dello Yuppie (Young Urban Professional). Si tratta del giovane e rampante manager statunitense ansioso di guadagnare molti soldi più in fretta possibile e il cui stile di vita e di lavoro diventerà un modello anche per noi italiani. Nasce così il mito della “Milano da bere”, la città che non dorme mai e in cui sfuma sempre più la distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero: per lo Yuppie ogni relazione è un’occasione per fare profitto o quantomeno per guadagnare qualcosa in termini di contatti e visibilità. Da qui l’ossessione per il look e la forma fisica. Smisurato edonista, grande consumatore di cocaina e di fotomodelle lo Yuppie avrà tuttavia vita breve. In generale lascerà la ribalta all’apparire della crisi economica dei primi anni ’90 e per quanto riguarda casa nostra soffocherà ingloriosamente nei miasmi di Tangentopoli.

Va da sé che lo Yuppie è il modello ideale della politica reaganiana. Politica che getterà le basi per una rivincita mondiale del capitalismo messo seriamente in discussione dai movimenti del ’68 e degli anni ’70. Non a caso tali anni non sono oggetto di campagne di recupero da parte dell’industria culturale. La quale, in continuità con lo yuppismo, offrirà all’immaginario collettivo un’altra figura a cui ispirarsi: il professionista delle nuove tecnologie. Gli anni ’80 sono infatti il decennio in cui il personal computer inizia a entrare sempre più nei luoghi di lavoro e nelle famiglie. E così, neanche tanto gradualmente, la rivoluzione tecnologica occupa gli spazi dell’immaginario che dal ’68 al ’77 erano stati prerogativa della rivoluzione politica. Il risultato è che oggi sono rimasti in pochi a non distogliere lo sguardo dinanzi alle crescenti ingiustizie sociali. L’unico leader globale di questo tipo è Papa Francesco.

Gli anni ’80 sono anche gli anni in cui si assiste al riflusso nel privato. Ossia a un forte disimpegno dei cittadini nella politica. Tendenza che giungerà a completo compimento con le attuali giovani generazioni ormai del tutto spoliticizzate e dunque in difficoltà nel comprendere ciò che gli accade intorno: dalla disoccupazione alle guerre in Medio Oriente e così via. Durante gli anni ’80 il movimento femminista e quello operaio inizieranno la loro parabola discendente e oggi possono dirsi praticamente estinti.

Dopo la fine dei partiti di massa ai nostri giorni l’attacco della quasi totalità del mondo dell’informazione si concentra sul sindacato, ultimo corpo intermedio da ridurre ai minimi termini per lasciare campo libero alle “riforme”. Ancor oggi parola magica e terribile, la stagione delle “riforme” venne promossa negli anni ’80 da Bettino Craxi e aveva come obiettivo principale il contenimento del costo del lavoro. Correva l’anno 1984 e nel medagliere dell’allora segretario del PSI annoveriamo l’abolizione della scala mobile (il sistema di adeguamento dei salari al costo della vita attraverso gli scatti di contingenza) che taglierà sensibilmente le buste-paga. Anche questa è una tendenza che da oltre trent’anni vediamo galoppare senza sosta fino a giungere all’oggi: basse retribuzioni, precarietà, cancellazione dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Appare chiaro a questo punto che gli anni’80 riemergono ciclicamente perché costituiscono il decennio in cui prende avvio un’era: l’era della grande normalizzazione che condurrà all’attuale società dominata dalla forma-merce. Giovani e lavoratori dipendenti sono due dei principali bersagli di tale processo. Ai primi la Tv commerciale, che in Italia si afferma proprio negli anni ’80, offrirà, e offre tutt’ora, un modello di vita fondato sul consumismo, sul mito borghese del self-made man, e su un anticonformismo di facciata. Per quanto concerne i lavoratori dipendenti a partire dagli anni ’80 ad oggi si è compiuto il dominio pressoché assoluto del capitale sul lavoro. In Italia gli ultimi capitoli di questa storia sono stati il Jobs Act e l’attuale polemica sui voucher. D’altra parte, proprio nel 1989 inizia la dissoluzione dell’Unione Sovietica, che per quanto sia stata più che criticabile per molti e fondati motivi, rappresentava comunque un modo di produzione alternativo al capitalismo e dunque ne conteneva gli attacchi al lavoro dipendente.

Fatta fuori qualsiasi alternativa alla visione economica liberista ecco germogliare altre continuità tra gli anni ’80 e il presente. Due mi colpiscono particolarmente. Una è il ritorno del fascismo. L’altra è la spettacolarizzazione dell’informazione. Rispetto alla prima, dopo un lungo periodo di silenzio è proprio negli anni ’80 che i fascisti iniziano a pieno titolo nel dibattito politico fino ad arrivare alla piena visibilità dei nostri giorni. Da tempo ormai i nostalgici del ventennio svolgono manifestazioni pubbliche, sono presenti in massa sui social network, infangano la memoria della Resistenza, vengono intervistati in Tv e le loro pur confuse parole d’ordine costituiscono fonte di attrazione per molti giovani.

La legittimazione de facto del fascismo è un fenomeno sottovalutato così come è sottovalutata la seconda continuità tra gli anni ’80 e l’oggi: la spettacolarizzazione dell’informazione. La quale si gioca soprattutto in Tv. Infatti ,dinanzi al costante e drammatico calo di vendite della carta stampata il piccolo schermo offre un’ottima alternativa; dove però realtà e finzione si mischiano alla ricerca spasmodica dello scoop, del sensazionale, di tutto ciò che fa clamore: la litigata in diretta, l’affermazione choc, l’esibizione oltre le righe, le malefatte dei politici, quelle dei dipendenti pubblici e, si badi bene, mai campagne stampa contro le malefatte degli imprenditori. Gli anni ’80? Il lungo parto che ha dato alla luce il pensiero unico.

Patrizio Paolinelli, via Po cultura, inserto del quotidiano Conquiste del Lavoro.

prof. Patrizio Paolinelli

HOMELESS LA VITA CHE NON C’E’

di Elisabetta Festa

Nell’Unione europea centinaia di migliaia di uomini e donne dormono in strada o in rifugi d’emergenza ogni notte. Si stima che il numero dei senzatetto sia aumentato del 70% rispetto a dieci anni fa. Lo rivela la Quarta panoramica sull’esclusione abitativa in Europa di Feantsa e Fondazione Abbé Pierre. Questi datimettono in evidenza la diminuzione dell’efficacia della lotta dell’Ue contro la povertà.

<<== dott.ssa Elisabetta Festa

Nel report si legge:” E’ attraverso la mobilitazione di una solida base giuridica, di una volontà politica e di una pianificazione strategica che l’obiettivo di porre fine alla condizione di senzatetto, smetterà di essere una fantasia diventando finalmente un imperativo per la dignità umana nonchè una prova della credibilità del progetto sociale europeo”.

senzatetto che dorme per strada

In questo studio viene altresì messo in discussione anche il tema degli alloggi d’emergenza che hanno purtroppo un carattere di temporalità, sono quindi inadatti a risolvere il problema in maniera definitiva, perché il diritto all’alloggio è di fatto un diritto fondamentale che dovrebbe essere garantito a tutti. Dai dormitori sovraffollati alle sistemazioni “umanizzate”, i servizi esistenti non tendono ad evolversi per soddisfare le esigenze degli utenti, causando effetti dannosi e prolungando l’esperienza individuale dei senzatetto a dismisura ».In sostanza quello che viene messo in discussione nel documento non è la sistemazione di emergenza in sé, quanto l’utilizzo diffuso e istituzionalizzato degli alloggi di emergenza come principale e unica risposta ai senzatetto. Questa dovrebbe essere invece soltanto una situazione di passaggio per poi procedere a reindirizzare le persone verso soluzione più appropriate e definitive.

Bagno comune in un rifugio di emergenza a Breslavia, Polonia (Foto: Dariusz Dobrowolski, report “Fourh overview of housing exclusion in Europe”).

Freek Spinnewijn, direttore di Feantsa, e Christophe Robert, amministratore delegato della Foundation Abbé Pierre condannano a gran voce questa situazione domandandosi cosa possa mai significare il termine “coesione sociale”, quando più di un senzatetto muore ogni giorno per le strade dei paesi europei. (Fonte: osservatoriodirittiumani.it).

Dando uno sguardo più specificatamente al nostro paese, si stima che in Italia vi siano tra le 49.000 e le 52.000 persone senza dimora che vivono in strada o in sistemazioni di fortuna o in strutture di accoglienza notturna. Tra queste, gli uomini rappresentano l’85,7%, coloro che vivono da soli il 76,5%, gli stranieri il 58,5%. L’età media di questa popolazione è di 44  anni, mentre la maggior parte ( esattamente il 75,8%) ha meno di 54 anni. Le persone senza dimora sono particolarmente concentrate in grandi città come Milano (10.000), Roma (8000), Palermo (3000) e Firenze (2000). (Fonte: recentiprogressi.it).

senza tetto che si affida alla carità dei passanti

Al di là dei dati che ci mostrano l’entità del problema, non dobbiamo trascurare il fenomeno sociale che visi cela. Il vissuto di queste persone, la complessità delle loro storie, l’emarginazione che vivono quotidianamente a causa dell’indifferenza e/o del rifiuto generale (non ci piace infatti vederle in centro lì dove la città deve essere bella e neanche in periferia) sono aspetti altrettanto centrali da affrontare. La povertà, ci infastidisce, ci limitiamo il più delle volte, se siamo benevoli, a fare dell’elemosina, ma tutto si ferma a questo gesto. Certo esistono come abbiamo visto i servizi per i senza dimora erogati in modo encomiabile dal “non profit” che assicurano non solo gli alloggi ma anche l’assistenza primaria e sanitaria. Il problema è che anche questo approccio sembra essere strutturato per rispondere alla situazione emergenziale, per il qui ed ora, mentre bisognerebbe mettere in campo politiche strutturali di reinclusione sociale che garantiscano supporto psicosociale, sostegno al reddito, inserimento lavorativo.  Innovazione e nuova progettualità devono farsi strada perché non si tratta solo di salvare la vita a queste persone ma di costruire loro un percorso verso una vita vera. È un obbligo in una fase in cui la crisi sociale continua a essere acuta, specie con l’avvento del covid. Attualmente invece gli homeless continuano ad essere un mondo parallelo, una marginalità scomoda, una questione che si può rimandare, sono persone invisibili nella vita e invisibili nella morte.

Dott.ssa Elisabetta Festa – Sociologa
Direttore Laboratorio Sociologico ASI Avellino: “Asirpiniasociolab”
Vice Presidente ASI Campania
Presidente Collegio Probiviri ASI


La Disattenzione Civile

di Elisabetta Festa

A quanti di noi è capitato di ritrovarsi fra estranei in luoghi pubblici: come ascensori o bus senza degnarsi di uno sguardo, senza parlarsi.  Alcuni percepiscono questo atteggiamento come scortese o freddo; come un insensibile disprezzo o disinteresse per gli altri. Altri lamentano il modo in cui siamo sempre più persi nei nostri dispositivi mobili, apparentemente ignari di ciò che accade intorno a noi.

<<== Elisabetta Festa

Ma i sociologi riconoscono che ignorarsi l’un l’altro nel mondo urbano ha invece un’importante funzione sociale, e chiamano questa pratica: “la disattenzione civile”.

Questo termine è coniato dal noto sociologo Erving Goffman, che ha trascorso la vita a studiare le forme più sottili di interazione sociale. Egli sviluppò questo concetto nel suo libro Behaviour in Public Places (Comportamento in luoghi pubblici) pubblicato 1963. Goffman si è impegnato ad elaborare una “sociologia della vita quotidiana”, dell’interazione diretta faccia a faccia, del comune comportamento e delle sue regole. Lungi dall’ignorare coloro che ci circondano, Goffman spiega come in realtà le persone in pubblico fingano di non essere consapevoli di ciò che gli altri fanno, per offrire loro un senso di privacy. La disattenzione civile in genere comporta inizialmente una forma minore di interazione sociale, come un contatto visivo molto breve, lo scambio di cenni di testa o sorrisi deboli. In seguito, entrambi gli attori in genere distolgono lo sguardo l’uno dall’altro.

Per Goffman dunque nulla è abbandonato al caso: esistono regole di etichetta e rituali coi quali si sperimenta l’accesso agli altri e si misurano le possibilità e i limiti di un reciproco coinvolgimento. La più anonima e fugace delle relazioni: un incontro in strada con un estraneo, è già un’interazione assai complessa, densa di messaggi.

<< == ERVING GOFFMAN

Le due persone si avvicinano, si guardano, stabiliscono a cenni che lato della strada ciascuno dei due seguirà e, quando si incontrano, abbassano lo sguardo – “una specie di abbassamento delle luci” –, e con questa azione affermano implicitamente di non aver nulla da temere dall’altro.  Mentre allontaniamo lo sguardo da loro, non stiamo ignorando maleducatamente, ma in realtà mostrando deferenza e rispetto. Stiamo riconoscendo il diritto degli altri di essere lasciati soli e, nel farlo, rivendichiamo il nostro diritto allo stesso.

Nel suo scritto sull’argomento Goffman ha sottolineato che questa pratica riguarda la valutazione e l’evitamento del rischio e la dimostrazione che noi stessi non comportiamo alcun rischio per gli altri. Quando forniamo disattenzione civile agli altri, sanzioniamo efficacemente il loro comportamento. Affermiamo che non c’è nulla di sbagliato, e che non c’è motivo di intervenire in ciò che l’altra persona sta facendo. Inoltre, dimostriamo lo stesso di noi stessi.

La disattenzione civile dunque non è un problema, ma piuttosto rappresenta uno strumento importante per il mantenimento dell’ordine sociale in pubblico. Per questa ragione, possono insorgere problemi quando viene violata questa “norma”. Questo è il motivo per cui tentativi ripetuti e inesorabili di conversazioni indesiderate ci disturbano: non è solo che sono fastidiosi, ma che deviando dalla norma che garantisce sicurezza e protezione, implicano una minaccia. Ancora questo è il motivo per cui ad esempio, le donne e le ragazze si sentono minacciate, piuttosto che lusingate, da coloro che le chiamano, o ancora perché per alcuni uomini, essere semplicemente fissati da un altro è sufficiente per provocare una lotta fisica.

Concludendo, è capitato ad ognuno di noi di abbassare lo sguardo evitando l’altro, ora sappiamo che in realtà questo gesto è tutt’altro che banale, che lo mettiamo in campo perché siamo piò o meno inconsapevolmente degli “attori sociali”, degli individui legati indissolubilmente gli uni agli altri anche quando ci ignoriamo.

Dott.ssa Elisabetta Festa – Sociologa
Direttore Laboratorio Sociologico ASI Avellino: “Asirpiniasociolab”
Vice Presidente ASI Campania
Presidente Collegio Probiviri ASI


La globalizzazione: analisi e prospettive

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

Uno dei principali fenomeni sociali che caratterizzano la società complessa è senza dubbio la globalizzazoione. Per definire tale concetto occorrerebbe un approccio multidisciplinarre. Ci si chiede se la globalizzazione sia un fenomeno assolutamente nuovo oppure uno stadio più avanzato di sviluppo dell’economia di mercato di tipo capitalistico.

<< == Prof. Giovanni Pellegrino

Molti sociologi pensano che la globalizzazione possa essere considerata l’intensificazione di un processo già cominciato da tempo favorito soprattutto dall’utilizzazione delle nuove tecnologie info- telematiche. La globalizzazione non può essere considerata un fenomeno solamente economico dal momento che essa è una realtà che interessa anche gli ambiti della politica, della cultura e della tecnologia.

Diverse analisi della globalizzazione

I diversi studi compiuti sulla globalizzazione hanno messo in evidenza sia gli aspetti positivi che quelli negativi di tale fenomeno sociale. Esistono diversi punti di vista sui vantaggi e gli svantaggi della globalizzazione. In primo luogo esiste la posizione di quelli che pensano che la globalizzazione è un processo irreversibile che sta trasformando il mondo portando solo benefici. In secondo luogo vi sono quegli autori che pensano che non vi siano grandi mutamenti nelle politiche economiche del presente cosicchè essi pensano che la globalizzazione sia un fenomeno che riguarderà le società del futuro. In terzo luogo vi sono quegli autori che vedono solamente gli effetti negativi di tale fenomeno sociale. Infine vi è un certo numero di autori che pensano che la globalizzazione genera importanti effetti sia negativi che positivi. In ogni caso la globalizzazione causa una dinamica che dà luogo ad una fitta rete di interdipendenze e di interconnessioni. Di conseguenza la globalizzazione costituisce un elemento determinante della civiltà moderna sulla quale incide in maniera contraddittoria e conflittuale creando un’interdipendenza economica, politica e sociale che coinvolge persone, istituzioni e nazioni di tutto il mondo.

I rischi del processo di globalizzazione

Il primo rischio riguardante la globalizzazione è l’emergere di una nuova forma di competizione ignota nelle epoche storiche precedenti e che genera insicurezza. Questa sindrome dell’insicurezza è diventata una malattia sociale riscontrabile soprattutto tra le nuove generazioni. Il secondo rischio ancora di carattere economico riguarda la minaccia ai cosiddetti diritti sociali di cittadinanza ovvero ai diritti di welfare. Il mercato globale del lavoro spinge le imprese a spostare i propri centri produttivi là dove il costo del lavoro è più basso. Pertanto la globalizzazione della competitività sui mercati può causare gare al ribasso per quanto riguarda lo stato sociale. Un terzo rischio riguarda il rapporto tra globalizzazione e democrazia. La globalizzazione sottrae potere economico e finanziario allo stato nazionale mettendone in crisi l’autonomia e l’equilibrio interno tra le diverse classi sociali. La minaccia alla capacità dei governi di esercitare la loro sovranità interna si trasforma in una minaccia alla democrazia stessa che si manifesta con la diminuzione di fiducia nelle istituzioni democratiche.

Altri fenomeni collegati con la globalizzazione

Vi sono alcuni fenomeni sociali che si collegano alla globalizzazione come effetti collaterali o come variabili intervenienti. In primo luogo prenderemo in considerazione i processi migratori che producono un rimescolamento di popoli, razze, civiltà e religioni come non era mai accaduto in passato. La novità di tali fenomeni consiste nel fatto che questi gruppi danno luogo incontrandosi a un diffuso pluralismo culturale. Tale pluralismo comporta una serie di fattori quali la tolleranza, la libertà di espressione, il riconoscimento della dignità di ogni persona, etc.. Il problema più importante è trovare il modo di tenere insieme una società culturalmente sempre più eterogenea indicando principi e norme che regolino la convivenza tra individui diversi culturalmente all’interno dello stesso sistema sociale. In secondo luogo prenderemo in considerazione la più recente evoluzione tecnologica applicata ai mass media.                                                                     

Tale evoluzione aumenta considerevolmente le nostre possibilità di comunicazione mettendoci in comunicazione diretta con gli avvenimenti che accadono in tutto il mondo. In terzo luogo riveste molta importanza la rivoluzione scientifica con tutte le sue applicazioni nei diversi campi umani e sociali. Essa ha cambiato non solo il contesto nel quale viviamo ma soprattutto la nostra mentalità creando una fiducia sempre più forte nelle sue ardite sperimentazioni. Dunque sono scomparse le zone d’ombra e di mistero dal momento che il sapere scientifico sembra portatore di conoscenza e di progresso. In quarto luogo la società complessa  e globalizzata ha reso incerto e confuso il quadro valoriale che dava senso e significato alle scelte morali. Oggi gli schemi sono saltati e ci troviamo in una società senza centri in cui ognuno è chiamato a costruire ed elaborare soggettivamente i propri principi che regolano il comportamento seguendo solo la propria coscienza. Questo fenomeno viene definito relativismo morale ovvero assenza di norme oggettive certe, di un quadro di principi a cui il comportamento possa fare riferimento.

Risposte alle sfide della globalizzazione

Il sociologo Bauman ha descritto la società complessa e globalizzata sulla base della “ liquidità”. Il concetto di liquidità richiama alla mente tre problematiche principali dovute alla instabilità dei rapporti interpersonali nella società post moderna. In primo luogo c’è il tema della libertà. Ma tale libertà spinta all’estremo grado è un bene o un male? Oggi l’individuo si sente perso proprio perché è slegato da ogni vincolo. Correlato al problema della libertà è il tema dell’individualità che essendo spinta fino alle estreme conseguenze può rappresentare un vero e proprio problema. Infine la post modernità liquida si caratterizza per un particolare sfondo spazio temporale. Infatti molti luoghi delle società contemporanee tendono ad esiliare l’altro oppure ad annullare la diversità configurandosi così come non luoghi. In una situazione di tal tipo diventa necessario adottare nuovi paradigmi sociali.

Nuovi paradigmi sociali

Trasformazioni sociali così ampie e profonde richiedono nuovi concetti e paradigmi sociologici capaci di interpretare tale complessità. Uno di questi è indubbiamente il paradigma della fraternità. Attraverso tale paradigma anche il potere nelle tendenze globalizzanti può essere valutato nella sua valenza positiva. Essa può anche diventare uno strumento utile per monitorare il destino dell’individuo nella società complessa. Un altro nuovo paradigma è dato dall’applicazione dei diritti dell’uomo secondo una dimensione nuova.Tale dimensione si basa sull’eliminazione della distinzione tra livello nazionale ed internazionale. Infatti la centralità dei diritti umani non consente solamente la regolazione dei conflitti tra gli stati ma spalanca anche la porta agli interventi umanitari. Inoltre è necessario creare un nuovo ordine democratico cosmopolitico al fine di istituire una nuova base di convivenza e di dialogo tra i popoli e le culture.  

 A tale riguardo riportiamo il pensiero del filosofo Held che propone di costruire forme di governo in grado di conciliare l’autonomia del popolo all’interno di uno stato con la capacità di andare oltre il limite territoriale dello stato stesso. Per dirla in altro modo per rispondere alle sfide della globalizzazione si deve promuovere una società civile transnazionale secondo una visione unitaria del mondo. Ma quale ruolo devono giocare le scienze sociali in un mondo di questo tipo? La sociologia dovrà affidare i propri strumenti metodologici per adeguarsi a questa nuova realtà al fine di svelare le fitte ragnatele esistenti nei legami di causa effetto, legami sempre più complessi nella società globalizzata. La sociologia deve dunque entrare in gioco nei dinamismi della società complessa per intercettare con i suoi  strumenti i segni delle continue novità e contribuire a disegnare le prospettive del futuro.

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof.ssa Mangieri Mariangela

                                                       BIBLIOGRAFIA

Z. Bauman, Una nuova condizione umana, Vita e pensiero, Milano, 2003

Z. Bauman, Modernità liquida, Laterza , Bari, 2002

U. Beck, La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca post nazionale, IL Mulino, Bologna, 2003

U. Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carrocci, Roma, 1999

L. Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Bari, 2000

A. Giddens, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000

D. Held, Democrazia e ordine globale, Asterios,Trieste, 1999

G. Pellegrino, Una lettura siologica della realtà contemporanea, New Grafic Service, Salerno, 2003

J. Villagrasa, Globalizzazione. Un mondo migliore?, Logos Press, Roma, 2003


I rischi psico sociali del mondo contemporaneo

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

Come tutti sanno nella società contemporanea esistono molti rischi psicosociali che trovano la loro ragion d’essere nelle caratteristiche strutturali dei sistemi sociali del mondo occidentale. I sociologi hanno classificato i sistemi sociali in due gruppi tenendo conto delle intensità e del numero dei fenomeni di mutamento sociale che si verificano in tali sistemi.

<<== Prof. Giovanni Pellegrino

Le società che presentano fenomeni di mutamento sociale molto spiccati e frequenti prendono il nome di società eraclitee mentre quei sistemi sociali che sono caratterizzati da fenomeni di mutamento sociale lenti e pochi numerosi prendono il nome di società parmenidee. Appare evidente che i rischi psicosociali sono molto più forti nelle società eraclitee dal momento che i mutamenti sociali frequenti causano incertezza, imprevedibilità ed incapacità di gestire in maniera adeguata le situazioni sociali e i rapporti interpersonali.

Nelle società eraclitee si verifica molto spesso quella che Frankl definisce con espressione molto significativa “nevrosi da perdita di senso” caratterizzata dal fatto che si ha la perdita degli orizzonti di senso che danno significato e sicurezza alla vita degli individui. Essendo le società eraclitee caratterizzate dalla perdita o quantomeno dall’indebolimento degli orizzonti di senso, le società contemporanee presentano elevati livelli di rischio psicosociali. Molti autorevoli sociologi hanno formulato diverse teorie per comprendere il significato, la percezione, il cambiamento e le implicazioni  che i rischi hanno sulla vita degli individui. 

Il pensiero di Beck sui rischi psicosociali

 Secondo Ulrich Beck la società contemporanea non si troverebbe difronte a un nuovo ordine ma piuttosto difronte ad un nuovo stadio dello sviluppo della modernità. Il passaggio dallo stadio precedente a quello attuale è rappresentato proprio dal rischio. Si tratta di un rischio antropico dal momento che è prodotto dall’attività umana. La produzione strutturale dei rischi di origine antropica muta totalmente il principio organizzativo dell’intera società. Secondo Beck la società del rischio è una società catastrofica che minaccia non solo il mondo naturale ma anche l’intero mondo sociale, nonché gli stessi individui. Secondo il sociologo tedesco la minaccia più importante per l’individuo è costituita dalle forti spinte all’individualizzazione.

I rischi sono generati da noi, dal momento che  sono il frutto della nostra modernità. Tali rischi causano sentimenti di ansia e di incertezza.  Nella società contemporanea l’idea di rischio individuale si lega all’idea di incertezza e di azzardo nonché alla possibilità di grandi vittorie o di grandi sconfitte di tipo sociale. In pratica la libertà di scelta comporta la responsabilità di scegliere ma inevitabilmente ad ogni scelta sono collegati nuove possibilità e nuovi rischi di non trascurabile importanza. A causa di queste scelte sempre più difficili uomini e donne si trovano quindi a doversi orientare in questa pluralità di scelte spesso problematiche. Per uscire fuori da tali situazioni difficili, gli individui devono cercare continuamente soluzioni ed aggiustamenti. Di conseguenza la biografia della vita nel mondo contemporaneo si trasforma in una biografia della scelta e per dirla in altro modo in una biografia del “ fai da te”.

L’analisi di Giddens

 A sua volta Anthony Giddens ha formulato interessanti riflessioni sui rischi psicosociali nella società moderna. Giddens ritiene che stiamo entrando in un’era in cui le conseguenze della modernità si fanno sempre più pressanti. L’enfasi posta sull’avvento di una nuova società deriva dall’influenza di un perdurante evoluzionismo che ha impedito di vedere le discontinuità. Tali discontinuità sono riconducibili a tre elementi: il ritmo del mutamento, la portata del cambiamento, la nascita di nuove istituzioni. Questi cambiamenti sono la causa principale della creazione del processo del disembedding ossia di sradicamennto dei rapporti sociali dai contesti locali per trasferirli su archi spazio- temporali indefiniti e globali. Il continuo cambiamento ai processi di sradicamento che da essi derivano determina la genesi di una sensazione di smarrimento e di incertezza che caratterizza  la società contemporanea.  Tale sensazione colloca l’uomo all’interno di un mondo di pericolli dove l’incertezza rappresenta la combinazione tra rischi e opportunità. Di conseguenza l’uomo contemporaneo è costretto a vivere una vita piena di rischi dei quali nessuno può essere ritenuto responsabile. Tuttavia l’assenza di responsabilità non fa altro che aumentare il senso di incertezza e di insicurezza. Pertanto l’individuo deve diventare molto più autoriflessivo di quanto non lo fosse nella società tradizionale.  Con la perdita di importanza delle tradizioni l’individuo è sottoposto a un continuo processo di autointerrogazione nonché di autoriflessività. Il compito dell’individuo si presenta molto difficile data l’infinità di modelli di vita esistenti.    Pertanto crolla  la cosiddetta “ sicurezza ontologica” ovvero il sapersi dare delle spiegazioni convincenti al fine di mantenere la propria integrazione biografica.  Nella società attuale non bisogna essere solo dei bravi attori ma è necessario essere anche dei bravi sceneggiatori per poter scrivere la propria storia.

Bauman e la società liquida

Zygmunt Bauman ha definito la società contemporanea come la società dell’incertezza, proprio quell’incertezza che si è cercato di controllare nell’epoca moderna attraverso una rigida regolamentazione. Nell’epoca moderna la società era controllata da strutture centrali la cui funzione era di assicurare la certezza eliminando la casualità e rendendo i comportamenti regolari e prevedibili.  Bauman afferma che nell’era della post modernità la paura dell’incertezza non è più tenuta sotto controllo dalle fabbriche dell’ordine ma deve essere vinta da ogni individuo con le proprie forze. L’insufficienza dei rimedi esterni deve essere compensata da quelli creati dall’individuo stesso. Pertanto il soggetto ha il compito di autogestirsi e di badare alla propria formazione divenendo il sorvegliante di se stesso. Bauman ha definito la società di oggi “società liquida” dal momento che i legami sociali sembrano essere diventati sempre più fragili. Viviamo infatti in una dimensione di continua incertezza sia dal punto di vista affettivo che lavorativo. Mentre per le generazioni precedenti vi erano certezze stabili oggi non è più così. Nella società post moderna è presente un’assenza di punti di riferimento ed inoltre un sempre più dominante individualismo. Pertanto i sentimenti di appartenenza e di condivisione cedono facilmente il posto alla competitività e alla diffidenza nelle relazioni interpersonali. A causa di questo panorama sociale sono sempre più evidenti nuove forme di malessere tra cui prenderemo in considerazione l’ansia, la depressione e le nuove dipendenze patologiche.

L’ansia

Per quanto riguarda l’ansia dobbiamo dire che nella società di oggi sono aumentate notevolmente le patologie di tipo ansioso. Alcuni studi hanno evidenziato che circa un terzo della popolazione ha avuto o avrà nel corso della sua vita un disturbo psichico e i più diffusi sono le patologie di tipo ansioso e quelle di tipo depressivo.  La crisi economica italiana è una nuova fonte di stress e di ansia che scatena tra le persone sentimenti di rabbia, di paura e sensi di colpa di vario genere.  La volontà di miglioramento che sarebbe necessaria in tali situazioni problematiche risulta annullata proprio dalla paura, dall’ansia e dalla depressione. Cercheremo ora di definire che cos’è l’ansia. L’ansia è uno stato psichico caratterizzato da una sensazione di intensa preoccupazione o paura, spesso infondata relativa a uno stimolo ambientale specifico. L’ansia ha una doppia valenza dal momento che può essere sia funzionale, sia disfunzionale.

L’ansia funzionale è un’emozione naturale e universale generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress. Essa ha la funzione di proteggerci dalle minacce esterne preparandoci all’azione. Questo tipo di ansia è costruttiva ovvero risulta funzionale alla nostra sopravvivenza. L’ansia è invece disfunzionale quando allo stato d’allarme non corrisponde un pericolo reale da fronteggiare e da risolvere. Per dirla in altro modo l’ansia disfunzionale è una preoccupazione sproporzionata o addirittura irrealista.

La depressione

 Per quanto riguarda la depressione dobbiamo dire che è una delle malattie più diffuse delle società occidentale tanto che deve essere considerata il male del secolo. Le ragioni dell’aumento dei casi di depressione non sono perfettamente chiare ma certamente un ruolo importante lo gioca il contesto di vita nel quale ci troviamo. Il modello di società in cui viviamo ha subito profonde trasformazioni cosicché si sono generalmente persi i legami di appartenenza.  Anche i legami familiari e le relazioni di vicinato o amicali sono molto liquide. Di conseguenza è aumentato di molto il numero di persone che manifestano disagi esistenziali che possono portare alla depressione e alla furia distruttrice. La depressione è un disturbo molto diffuso, infatti ne soffre il 15% della popolazione. Tale malattia può colpire chiunque a qualunque età ma pare sia più frequente tra i 25 e i 45 anni. In genere il depresso manifesta una tendenza all’isolamento, alla solitudine, alla sedentarietà nonché ad una scarsa cura di se’. Infine vogliamo mettere in evidenza che spesso sono presenti pensieri di morte o di suicidio che nei casi più gravi possono verificarsi effettivamente.

Le dipendenze patologiche

Anche le dipendenze patologiche sono sempre più la conseguenza della struttura della società contemporanea. A parte l’abuso di droghe gli studi confermano che stanno aumentando forme di dipendenza che fanno considerare sempre più la nostra società una società “drogata”. Le principali forme di “nuove dipendenze” sono la dipendenza da cellulare, da internet, da videogiochi e slot machine, da gioco d’azzardo, da sesso virtuale, etc.. Alonso-  Fernandez sostiene che le nuove forme di dipendenza sono agevolate dall’innovazione tecnologica e dalla nuova civiltà che da una parte genera stress, vuoto e noia e dall’altro stimola la tendenza all’immediata gratificazione. Col termine inglese di “addction” si definisce una condizione generale in cui la dipendenza psicologica spinge gli individui alla dipendenza dell’oggetto senza il quale l’esistenza perde il suo significato primario.

Nel caso delle nuove dipendenze si crea una vera e propria schiavitù che rappresenta per l’individuo una illusoria modalità per baipassare la sofferenza psichica e la consapevolezza dei propri stati interiori. Particolarmente importante è il nuovo fenomeno giapponese hikikomori che è l’emblema dell’uso distorto di internet. Con questa parola i giapponesi indicano quelle persone che abbandonano la vita sociale. In manier più specifica si definiscono con questa parola quelle persone che si rifiutano di lasciare le loro case per un periodo che supera i sei mesi. Concludiamo il nostro discorso dicendo che le problematiche psicologiche evidenziate nascono dal fatto che gli individui vivono in una società malata alla base. Il problema fondamentale è la continua insicurezza sociale ed economica nella quale gli individui vivono nonché gli stili di vita più stressanti e basati su una competitività sempre più spinta all’ennesima potenza. 

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof.ssa Mariangela Mangieri

                                                     BIBLIOGRAFIA

Z.Bauman, Vita liquida, Editori Laterza, Bari,2011

B.Bernardi, Uomo, cultura, società, Franco Angeli, Milano,1989

Service, 2003

A. Giddens, Sociologia, IL Mulino, Bologna, 1994

G.Pellegrino, Il Neopaganesimo nella società moderna, Edisud , Salerno,2000

G. Pellegrino, Una lettura sociologica della realtà contemporanea, New Grafic

G. Pellegrino, I miti della società contemporanea,New Grafic Service, Salerno, 2004

P. Schneider, Psicologia medica, feltrinelli, Milano, 1972

R. Wallac- A. Wolf, La teoria sociologica contemporanea, Il Mulino, Bologna, 1995


Considerazioni storico- sociologiche sulla violenza

Definizione e classificazione del concetto di violenza

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

La violenza purtroppo è stata sempre presente in tutte le società e in tutti i periodi storici. In questa sede ci interesseremo sia della forma che la violenza ha assunto nelle varie epoche storiche, nei vari sistemi sociali, sia della forma che la violenza ha assunto nella società contemporanea. Per quanto riguarda la violenza nelle epoche storiche del passato essa è oggetto di studio della storia sociale mentre sono i sociologi a studiare le forme che essa assume nella società contemporanea.

<= Prof. Giovanni Pellegrino

Esistono vari modi e varie forme di classificazione dei tipi di violenza. Non possiamo in questa sede descrivere ed analizzare tutte le forme che la violenza ha assunto e assume nel presente ragion per cui ci limiteremo a descrivere le principali forme della violenza secondo le più comuni classificazioni. Esiste la violenza diretta che è esercitata su una persona o un gruppo sociale e una violenza di tipo strutturale che colpisce gli individui in modo indiretto allo scopo di esercitare delle pressioni psicologiche, per avere un utile economico, per eliminare degli avversari politici considerati pericolosi.                                                    

Esiste poi la violenza culturale che assume forme simboliche che esaltano e promuovono la violenza elevandola a un valore sociale interiorizzato.  Infine si parla di violenza politica quando una classe sociale o un popolo schiavizzano un altro popolo o un’altra classe sociale. Secondo un’altra classificazione si può fare una distinzione tra violenza fisica e violenza psicologica. Nel primo caso si compie un’azione volontaria mediante l’abuso della forza per provocare danni ad altri individui fino ad arrivare all’omicidio. Nel secondo caso non si prova un danno fisico ma si cerca di costringere una persona ad assumere determinati comportamenti attraverso diverse forme di condizionamento psicologico. La violenza psicologica può esistere in tutte le situazioni della vita e in tutti gli ambienti sociali  e può arrivare fino all’estremo condizionamento del plagio attraverso forme di coercizione che possono esercitarsi in modo subdolo o palese anche per molto tempo.

La violenza e la natura umana

Secondo la sociobiologia nel mondo animale le uccisioni di soggetti appartenenti a specie diverse rientrano nella legge della sopravvivenza, mentre sono rare le uccisioni all’interno della stessa specie. Negli esseri umani è presente un’aggressività innata ereditata dal mondo animale, definita dagli specialisti tensione competitiva che fin dalle origini ha spinto l’uomo a procurarsi il cibo, a preservare il proprio territorio, ecc. Nelle prime forme di società la violenza era abbastanza diffusa e praticata dall’Homo Abilis che comincia a produrre degli utensili da usare nella vita domestica, nella caccia e negli scontri a carattere tribale. Con l’apparire dell’Homo Sapiens si inizia a sviluppare una cultura che porta alla nascita di forme di pensiero e di comunicazione che determinano la nascita della proibizione della violenza  all’interno del gruppo.

Con la scoperta dell’agricoltura le società tribali delimitano i confini del proprio territorio, riconoscono l’autorità di un capo che detta le prime norme sociali che cercano di mitigare la violenza. Tuttavia sopravvive la pratica della vendetta e l’applicazione della legge del taglione ( occhio per occhio, dente per dente). Solo con l’ingresso nella storia la vita sociale viene regolamentata dalle prime leggi scritte vedasi il codice di Hammurabi e i libri appartenenti al Vecchio Testamento.

Nell’antica Grecia la violenza viene sublimata attraverso la mitologia e la poesia epica, mentre nel teatro tragico si individuano alcuni fondamentali tabù che vietano azioni particolarmente riprovevoli quali l’infanticidio, il matricidio e il parricidio. L’uomo ha iniziato quindi a elaborare un processo culturale che lo rende superiore a tutti gli altri animali.

La violenza nella società contemporanea

Nell’età moderna nasce lo stato fondato sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Allo stato si riconosce il monopolio della forza che prevede un uso legittimo della violenza in forme e situazioni stabilite dalla legge per garantire una razionalizzazione degli istinti e un controllo della violenza stessa all’interno della società. In tutte le società esistono norme morali, leggi giuridiche e regole di altro genere che limitano l’autonomia assoluta del cittadino.                                      

 A partire dal Novecento si è verificato il fenomeno positivo di una complessiva diminuzione delle manifestazioni violente individuali soprattutto per quanto riguarda gli omicidi. Tuttavia nella società contemporanea continuano a manifestarsi varie forme di violenza che trovano un’enorme cassa di risonanza nei mass media. A volte tali forme di violenza vengono sfruttate a livello politico facendo presa sull’emotività degli elettori. Nella vita sociale e politica della società contemporanea si assiste a forme di competizione che favoriscono l’aggressività psicologica e anche quella fisica producendo contraccolpi negativi all’interno dell’istituzione familiare e nei processi di socializzazione rendedo difficile una libera formazione della personalità.

La rincorsa al successo e all’affermazione dei singoli anche a costo di danneggiare altre persone finisce per provocare una serie di frustrazioni che a loro volta causano comportamenti aggressivi di rivalsa. A volte il mondo politico sfrutta per fini propagandistici la paura nei riguardi dei comportamenti  aggressivi utilizzando le sensazioni di pericolo e di disgusto al fine di condizionare la percezione della realtà da parte delle masse.

Come fronteggiare la violenza

Per fronteggiare la violenza è indispensabile riscoprire una legge morale capace di ricordare all’uomo che la violenza è una possibilità ma non un obbligo, che ogni comportamento violento non è la prova di un diritto biologico all’aggressività. Attraverso i processi di apprendimento e gli strumenti forniti dalle varie istituzioni culturali è necessario percepire la violenza in tutta la sua negatività. La prima istituzione su cui è necessario intervenire è la famiglia dove continuano ad essere presente forme di violenza fisica e psicologica che colpiscono i figli e il coniuge femminile che spesso si mascherano dietro aspetti di violenza invisibile la quale non emerge per paure e ricatti.

In particolare deve essere repressa ogni forma di violenza contro i minori e contro le donne che si verificano nella famiglia e in altre istituzioni sociali. La scuola rimane l’istituzione pubblica più diffusa sul territorio dove è possibile impartire un’efficace educazione contro la violenza, capace di rappresentare un reattivo alle pulsioni esterne che provengono dalla società. La scuola è in grado di fronteggiare con opportuni interventi i preoccupanti fenomeni di delinquenza minorile e di bullismo messi in atto contro alunni e docenti.

E’ fondamentale intervenire sul gruppo dei pari che ha un’enorme importanza nella formazione della personalità  giovanile, perché al suo interno i giovani passano molta parte del loro tempo libero. Molte volte proprio all’interno del gruppo dei pari nascono forme di violenza inaccettabil che devono essere combattute in tutti i modi. L’intera società deve rifiutare la violenza a cominciare dalle sue forme più blande fino a quelle più gravi senza cadere nella trappola di considerare le manifestazioni violente come un male necessario e quindi ineliminabile. 

Inoltre bisogna fare in modo che aumenti la fiducia nelle istituzioni, quale unico baluardo contro i comportamenti violenti. Il problema di eliminare la violenza è reso difficile da due caratteristiche presenti nella società contemporanea: la spinta a cercare quello che non si possiede nell’illusione che esso nasconda il segreto della felicità e la ricerca del successo ad ogni costo. Infatti, molte persone pur di evitare insuccessi e fallimenti, non esitano a ricorrere alla violenza per raggiungere i loro scopi.

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof.ssa Mariangela Mangieri

                                                 BIBLIOGRAFIA

E.Ash, Psicologia sociale, Società Editrice Internazionale, Torino,1962

B.Bernardi, Uomo, cultura, società, Franco Angeli, Milano,1989

R.Collins, Teorie sociologiche, Il Mulino, Bologna,1992

G. Pellegrino, Introduzione allo studio dei gruppi sociali, New Grafic Service, Salerno 2004

G. Pellegrino, Una lettura sociologica della realtà contemporanea, New Grafic Service, 2003

G. Pellegrino, I miti della società contemporanea, New Grafic Service, Salerno, 2005


Pandemia e violenza di genere

di Massimiliano Giannotti

Uomini che maltrattano le donne. La pandemia non ha frenato i casi di violenza contro le donne tra le mura domestiche. Parliamo di reati legati all’identità di genere che si sono inaspriti a causa del confinamento forzato da lockdown, il quale ha avuto un effetto detonatore verso quelle situazioni pregresse di violenza andando a scoperchiarne di nuove.

<< =Prof. Massimiliano Giannotti

Solo nei primi mesi del 2020, infatti, le chiamate al «1522», il numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto all’anno precedente, superando i 20mila casi, solo tra febbraio e maggio: tutte donne che hanno deciso di chiedere aiuto.

Sempre, stando ai dati diffusi dal Dipartimento per le Pari Opportunità, presso la Presidenza del Consiglio, il boom di chiamate è partito da fine marzo, in piena emergenza Covid-19, con picchi ad aprile di +177% e maggio con un +182% rispetto allo stesso bimestre dell’anno precedente.

Chiamate che sono più che raddoppiate anche nella sola giornata del 25 novembre, data in cui si celebra la ricorrenza internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nell’anno della pandemia, infatti, nella settimana tra il 23 e il 29 novembre le richiesta di aiuto hanno fatto registrare un +114,1% rispetto alla stessa settimana del 2019.

Sempre secondo i dati Instat, le violenze segnalate sono risultate essere soprattutto fisiche, per il 47,9% dei casi, anche se, quasi tutte le donne, hanno comunque denunciato di aver subito più di una forma di violenza tra cui quella psicologica per il 50,5% dei casi. Altro inasprimento drammatico, nell’anno della pandemia, è arrivato dall’aumento di richieste di aiuto da parte di ragazzine e giovani fino a 24 anni di età con un +11,8% nel 2020 contro il 9,8% nel 2019 e di donne con più di 55 anni segnando un +23,2% nel 2020 contro il 18,9% del 2019.

Tutto questo a conferma che, nei periodi di lockdown, la salute psicofisica della popolazione è stata fortemente stressata andando ad inasprire quel male che si annida proprio in famiglia dove le vittime vengono prima sterminate nella dignità e nell’autostima, poi massacrate per non aver abbassato la testa, per non essere state ai patti o per aver disubbidito. Generalmente sono donne che vengono annientate per gelosia, orgoglio e rabbia dai loro principi azzurri alienati da un anomalo senso di controllo e possesso.

Ma i dati sono drammatici da tempo: un terzo delle donne di tutto il mondo, infatti, cadono vittime della violenza domestica. Triste statistica presente anche in Italia dove il 31,5% delle donne ha confermato di aver subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Ma è certamente una stima calcolata per difetto. Questo perché dietro le finestre delle nostre case si nasconde anche la paura nel denunciare proprio perché le forme più gravi di violenza sono esercitate da mariti,  partner o ex partner.

Questo nonostante il decreto Legge contro il femminicidio, già ha approvato nel 2013 in Senato, il quale prevede anche l’inasprimento delle pene quando la violenza viene commessa contro una persona con la quale si ha una relazione, non soltanto matrimoniale. In più, ci sono anche le aggravanti quando i maltrattamenti accadono in presenza di minori e contro donne in gravidanza.

Una vera e propria conquista se pensiamo che in Italia, fino al 1968, l’adulterio era considerato un reato amministrativo per gli uomini e penale per le donne, mentre solo dal 1981 è stato abrogato l’articolo 587 del Codice penale sul famigerato delitto d’onore. Oggi, per fortuna, è in vigore anche una normativa internazionale che rientra nel quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul, primo strumento giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica quale forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.

C’è da dire, però, che queste azioni violente maturano con il tempo, alimentate da rabbia e frustrazioni. Questo significa che c’è spazio per intervenire prima. Il problema, però, è che la maggior parte delle donne cerca di mascherare, fino alla fine, il proprio inferno fatto di soprusi e violenze domestiche. A volte, qualcuna prova a confidarsi con un proprio familiare ma, quasi sempre, si sente ripetere “resisti” o suggerire “fai passare del tempo, vedrai che tutto si sistemerà”, oppure ancora “ricorda i vostri bei momenti di coppia”, minimizzando di fatto offese e pugni. Ma, inevitabilmente, la situazione degenera perché se la vittima non mette veti, il mostro continuerà ad alzare le mani. Ma un ruolo importante è anche quello degli amici, dei colleghi di lavoro, conoscenti, tutti coloro che per affetto o per professione interagiscono con le vittime. Difficile non accorgersi di nulla. Ai primi sospetti, di queste situazioni di violenza, bisognerebbe tendere la mano dimostrando sostegno. Invece, si ha paura ad esporsi, quella stessa paura che blocca anche le vittime. Paura di denunciare il proprio dramma alle autorità per possibili ripercussioni. Paura di urlare per cadere in vergogna. Paura di scappare via per timore di non sapere dove andare. Paura di piangere per non ammettere il fallimento del proprio matrimonio.

Ma se le donne sono vittime predestinate, gli uomini non vanno abbandonati ad una cultura che li vuole dominatori, violenti, ossessionati dal possesso. Anche loro dovrebbero essere aiutati a trovare altre strade per gestire rabbia e frustrazione. Questo perché l’uomo contemporaneo è generalmente stressato. Alcuni sono divorati dalla rabbia. Non sanno più come relazionarsi con la donna, sempre più esigente, sempre più indipendente e in cerca di una propria posizione. Ed è questa mancanza di controllo sulla coppia che fa sentire l’uomo inadeguato e privo di potere portandolo ad odiare la compagna responsabile, a suo credere, dei sentimenti di frustrazione e manchevolezza che lo divorano. Per questo, secondo loro, la donna dovrebbe pagare per quelle colpe.

Oggi, però, esistono Leggi per fermare i mostri, ci sono strumenti giuridici che proteggono le donne permettendo loro di voltare pagina; esistono associazioni che aiutano le vittime di violenza, ma anche gli uomini violenti. Il problema, però, è che rischiano di restare solo nomi presenti sulla carta se non si denuncia, se non si reagisce. I segnali di avvertimento ci sono, questa brutale violenza non scoppia quasi mai dal nulla, cresce progressivamente. Lascia il tempo di agire e reagire. Non si deve cadere nell’illusione che esista un amore che contempli schiaffi e pugni.

Massimiliano Gianotti – Dott. in Sociologia – Dott. in Psicologia
Presidente Dipartimento Lombardia Associazione Nazionale Sociologi


Il potere di internet nella società moderna

di Giovanni Pellegrino

Come tutti sanno internet ha assunto una grandissima importanza nella società contemporanea. Internet non è solamente un mezzo per ottenere nuove conoscenze ma anche un modo per stabilire relazioni interpersonali di tipo virtuale e per diffondere le proprie idee.

<< == Prof. Giovanni Pellegrino

Dobbiamo mettere in evidenza che quelle persone che decidono di instaurare relazioni interpersonali via internet vanno incontro a tre conseguenze negative: inganni di ogni tipo, mancanza del contatto “ faccia a faccia” con il loro interlocutore, alienazione dal contesto sociale di appartenenza.

Per quanto riguarda gli inganni dobbiamo dire che il cyberspazio è un ambiente ideale per mentire a sé stessi e agli altri. Il cybernauta infatti è una condizione di estrema suggestionabilità. Il clima irreale e fantastico che caratterizza spesso la navigazione in rete indebolisce le barriere erette dalla razionalità e dal senso critico creando una situazione favorevole per ingannare ed essere ingannati . In altri termini il cyberspazio è un mondo situato ai confini della realtà nella quale realtà e fantasia spesso si confondono.

Di conseguenza il cybernauta è portato a dare una immagine di sé che è molto più vicina al suo IO ideale che all’IO reale. Di conseguenza egli stesso si presenta non come realmente è ma come vorrebbe essere e si attribuisce ruoli che non gli appartengono nel contesto sociale nel quale inserito. Inoltre, bisogna tenere presente che egli fornisce spesso una versione romanzata degli eventi che lo riguardano. D’altra parte, gli interlocutori virtuali del cybernauta non sono in grado di smascherare eventuali inganni in quanto spesso non conoscono il vero nome del cybernauta e molte volte abitano in luoghi geografici lontani.

Insomma, mentire nel cyberspazio è molto più facile che nella realtà ordinaria. In secondo luogo, coloro che instaurano rapporti virtuali raramente hanno la possibilità di incontrare fisicamente il loro interlocutore e di condividere con lui lo stesso contesto spazio temporale come avviene nei rapporti faccia a faccia .

Riteniamo che i rapporti interpersonali che avvengono tra attori che non si trovano nello stesso contesto spazio temporale siano comunque più problematici dei rapporti faccia a faccia. Infatti, anche se oggi la tecnologia permette di conoscere l’aspetto fisico del proprio interlocutore virtuale rimane il fatto che i due interlocutori virtuali non possono condividere stabilmente lo stesso contesto spazio temporale, fatto questo di notevole importanza.

Infine, dedicare troppo tempo ai rapporti virtuali espone a rischio di trascurare quelli faccia a faccia determinando una sorta di alienazione dal contesto sociale di appartenenza .Per dirla in altro modo il soggetto rischia di sviluppare una pericolosa dipendenza dalla realtà virtuale. Insomma, navigare per troppo tempo su internet può essere alienante. Come abbiamo detto in precedenza internet è anche un mezzo per diffondere le proprie idee religiose politiche culturali e sociali.

In questo articolo ci limiteremo a prendere in considerazione la possibilità di diffondere credenze religiose nel cyberspazio. In pratica i siti di carattere religioso svolgono una duplice funzione: fornire informazioni e suscitare l’interesse di quanti non fanno parte della religione in questione nonché pubblicizzare varie iniziative tra gli adepti di tali religioni. Pertanto, stanno nascendo nuovi tipi di predicatori che non hanno bisogno di compiere lunghi viaggi per conquistare nuovi adepti. Internet offre a tutti la possibilità di ampliare il proprio numero di adepti senza dovere affrontare grandi spese per pubblicizzare il proprio credo religioso.

Su internet sono presenti moltissime religioni a cominciare da quelle che contano un notevolissimo numero di adepti per finire con quelle religioni che possono contare su un numero limitato di credenti. In definitiva sono sbarcati in forze su internet il Dio cristiano, la Grande Madre, il Pantheon celtico e mediterraneo, le divinità indù le religioni ufologiche con i loro alieni e molte altre nuove religioni. Ma quali sono le ragioni del successo di internet nella società contemporanea?

In primo luogo, il desiderio di acquistare nuove conoscenze senza ricorrere ai mezzi tradizionali da molti considerate noiosi. In secondo luogo, la difficoltà di instaurare relazioni interpersonali gratificanti nel contesto sociale di appartenenza spinge molti individui a cercare nel cyberspazio amici e possibili patner di carattere sentimentale. Per alcuni internet rappresenta un disperato tentativo di sfuggire alla solitudine esistenziale che sempre più frequentemente crea problemi agli individui che vivono nelle realtà metropolitane. In terzo luogo, il desiderio di avere esperienze di sesso virtuale è un’altra ragione del successo di internet presso coloro che sono insoddisfatti della loro vita sessuale.

Infine, molti sono attratti da internet perché sperano di superare il problema della disoccupazione svolgendo lavori online. In definitiva possiamo dire che moltissimi cybernauti sono attirati da internet perché sperano di avere nella realtà virtuale ruoli da protagonisti che non possono avere nella vita di tutti i giorni. Possiamo dire che il computer diventa per loro una specie di IO elettronico in grado di compensare le debolezze del loro IO reale.

Internet costituisce per molti una realtà parallela nella quale tutto diventa possibile: d’altra parte nel mondo dei sogni ogni cosa diventa possibile. Internet è per alcuni versi un mondo onirico nel quale è possibile dimenticare i problemi della vita quotidiana. Tuttavia, evadere dalla realtà troppo spesso può essere causa di alienazione. Soprattutto per quelle persone che subiscono molte situazioni frustranti nella vita di tutti i giorni diventa indispensabile fuggire in tutti i modi possibili e immaginabili da frustrazioni inaccettabili.

Internet per un certo numero di persone è il mezzo privilegiato per dimenticare le frustrazioni della vita quotidiana. Soprattutto per quelle persone che sono individui perdenti nella realtà quotidiana internet diventa l’unico modo per illudersi di essere dei vincitori nelle lotte e nei conflitti sociali. Concludiamo tale articolo mettendo in evidenza che in una società altamente conflittuale e competitiva come quella contemporanea il numero degli individui che sono dei vinti è in continuo aumento. Detto ciò, riteniamo concluso il nostro discorso sul potere di internet nella società contemporanea.

                                                                   Prof. Giovanni Pellegrino


La critica di Pareto ai concetti di progresso ed evoluzionismo

di Giovanni Pellegrino e Mariangela Mangieri

In questo articolo esporremo le critiche di Pareto a due concetti cardine dello scientismo ovvero i concetti di evoluzionismo e di progresso.

<<== Prof. Giovanni Pellegrino                                                          

Come tutti sanno lo scientismo si basa su una visione evoluzionistica e progressista della vita collettiva. Di conseguenza il fulcro di tutta la critica di Pareto è rappresentato da un totale rifiuto delle due nozioni gemelle di progresso ed evoluzione. Presumibilmente fu proprio in seguito al disaccordo su questi due concetti che Pareto si allontanò dalle posizioni di Spencer e del darwinismo sociale. Infatti Pareto si oppose a quella particolare concezione della realtà che dava al progresso un carattere di necessità e di positività.                                                                                

Pareto era favorevole ad una complessa visione ondulatoria dei fenomeni sociali. Secondo tale visione se il ritorno dell’identico era quanto mai improbabile altrettanto lo era la possibilità di un andamento lineare e progressivo dei fenomeni sociali. Secondo Pareto l’errore metodologico presente nelle speculazioni dei darwinisti sociali risiedeva nel ricercare uniformità attraverso elaborazioni altamente immaginifiche. Come la prima astronomia cosmogonica così le teorie evoluzionistiche sono per Pareto molto più religiose ed ideologiche che scientifiche.

Allo stesso modo egli considerava anche le teorie formulate da Comte, uno dei suoi bersagli preferiti. Secondo Pareto lo sviluppo del pensiero del filosofo francese partiva da posizioni pseudo sperimentali per giungere infine ad un’interpretazione teologica della realtà prettamente connessa con la sua religione dell’umanità. Comte e Spencer d’altronde non sono lasciati soli in questa critica che riguarda l’intera tradizione evoluzionistica e progressista del pensiero sociale. La teoria vichiana dei corsi e dei ricorsi storici, quella di Spencer della moralità nonché la legge dei tre stadi di Comte sono secondo Pareto assimilabili dal momento che postulano tutte e tre un’evoluzione unitaria.

  Spencer aveva formulato una teoria unitaria assumendo un limite specifico ovvero la pace industriale verso la quale a suo avviso si sarebbero mosse le società e le istituzioni. Allo stesso modo Esiodo a suo tempo aveva concettualizzato lo sviluppo di una serie di stadi partendo da un’originaria ipotetica età dell’oro a partire dalla quale l’umanità sarebbe decaduta. In effetti secondo Paretole teorie evoluzionistiche e progressiste non avevano comportato nessun avanzamento sul piano della conoscenza scientifica della realtà sociale. A detta di Pareto tali teorie nascevano all’interno di un ambito ideologico e non sperimentale, simile a quello delle teologie e delle cosmologie dell’antichità classica e delle società tradizionali.  

La sola differenza riscontrabile risiedeva nel fatto che mentre le teologie e le cosmologie del passato consideravano positivamente il passato, le teorie evoluzionistiche proiettavano nel futuro il raggiungimento di un definitivo stadio sociale ideale. Infatti il tratto fondamentale delle ideologie della modernità è la totale rottura con la tradizione. Pareto sintetizza questo capovolgimento di prospettiva con la consueta incisività affermando che per le ideologie della modernità la perfezione è situata nel futuro invece di essere posta nel passato.   Egli individua le condizioni che avevano facilitato la nascita e lo sviluppo delle ideologie moderne dell’evoluzione del progresso nella congiuntura economica particolarmente favorevole.

Questa congiuntura aveva sostenuto la fase di trasformazione delle società che si andavano industrializzando. Tale processo ha esaltato una percezione positiva del mutamento e ha prodotto una forte sensazione di un possibile continuo miglioramento nella vita dei singoli e della collettività. Pareto mette in evidenza che del cambiamento sono stati percepiti solo gli aspetti migliori creando crescenti aspettative positive rigurdanti il nuovo e le novità. Da tali aspettative è nata l’ideologia del mutamento nonché una acritica ammirazione per l’innovazione e per il cambiamento fine a se stesso.                                   

Da tutto ciò nasceva un disprezzo verso il passato e un’avversione per tutto ciò che è consolidato e tramandato. Pareto evidenzia che gli uomini del suo tempo ritenevano che la tendenza al miglioramento non si limitava ad interessare solamente gli aspetti materiali dell’esistenza ma si estendeva fino ad includere le qualità morali degli uomini. Il clima culturale dominante in quel periodo storico era caratterizzato dalla tensione verso un futuro infinitamente perfettibile, dalla volontà di differenziarsi da un passato di oscurantismo e di oppressione. Pertanto secondo Pareto gli uomini del suo tempo consideravano positivamente solo il presente ed il futuro.                                          

Di conseguenza tutto ciò che si  presentava consolidato e stratificato nelle istituzioni e nella memoria collettiva veniva condannato in quanto considerato negativamente. Incardinato sull’evoluzionismo ingenuo e in parte confortato dai successi della tecnologia il mito del mutamento tendeva a rendere l’uomo moderno privo di consapevolezza storica e del senso del passato. Proprio in quanto mito il mutamento non si presentava con un fine preciso, con un progetto ben determinato.  Per dirla in altro modo il mutamento si autoproponeva come valore che tendeva solo a realizzare se stesso. Pareto mette in evidenza che nella sostanza il mito del mutamento moderno era paragonabile a qualsivoglia ideologia tradizionale.

Secondo Pareto come il mitologico Edipo, l’uomo moderno era diventato cieco ragion per cui non ruisciva a percepire che l’essenza dei nuovi idoli era simile agli antichi. Infatti il potere dei nuovi idoli si basava sugli stessi meccanismi profondi che muovono la mente umana. Per l’uomo moderno la Ragione, il Progresso, la Scienza e la Democrazia sono nuove divinità protettrici che procurano il bene al genere umano. Per Pareto l’efficacia delle loro immagini risiedeva nella forza dei sentimenti che evocavano. Tali sentimenti proprio per la loro indeterminatezza coprivano una vasta area di emozioni e potevano canalizzare i più diversi impulsi.                                                

Da tali immagini veniva prodotto un tipo di autorità che condizionava gran parte degli uomini moderni affascinati da tutti i tipi di novità. Per Pareto l’autorità propria dei miti moderni era decisamente intollerante nei riguardi di tutti i miti del passato. Secondo Pareto la spinta sociale alla conformità era fortemente presente nelle società moderne come presso quelle antiche. Addirittura secondo Pareto tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 le tendenze all’omogeneizzazione culturale erano in una fase ascendente.  Le nuove teologie proprie della modernità si ammantavano di scientificità e divenivano l’ideologia portante di ogni progetto finalizzato ad organizzare la vita collettiva secondo un presupposto modello di razionalità.                                                         

Pareto mette in evidenza che le moderne religioni del Progresso e della Ragione, rappresentazioni di un olimpo moderno sono religioni metafisiche, laicizzate senza dei. Per dirla in altro modo i concetti di bene, di vero e di virtù sono diventate per gli uomini moderni delle nuove divinità. La civiltà occidentale era stata caratterizzata da quel processo di  cui Weber aveva colto le caratteristiche radicali raccogliendole nella celebre forma del “ disincanto del mondo”. Pareto come Weber aveva ben colto l’essenza di questo processo proprio delle società occidentali.

Prof. Giovanni Pellegrino

Prof.ssa Mariangela Mangieri


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