Barriere, architettoniche o mentali
Cosa sono le barriere architettoniche? un qualunque elemento costruttivo che impedisce o limita gli spostamenti o la fruizione di servizi, alle persone disabili. Ma la realtà ha insegnato invece che ogni individuo, nell’arco della propria vita, si trova a dover fronteggiare problemi di spazi non accessibili, o inadeguati, alle sue necessità e condizioni fisiche, momentanee o acquisite, così la mamma con la carrozzella, il ragazzo con la gamba ingessata, gli anziani autosufficienti, ma costretti ad appoggiarsi ad un bastone.La barriera architettonica può essere una scala, un gradino, una rampa troppo ripida, ma anche porte, lavandini, la mancanza di taluni accorgimenti (scorrimano, segnaletica opportuna) materiali sdrucciolevoli, spigoli vivi, Qualunque elemento architettonico può trasformarsi in barriera architettonica e l’accessibilità dipende sempre da come si approccia il problema.La barriera architettonica è un problema che riguarda tutti, non solo le persone con disabilità. In tal senso urge una profonda trasformazione culturale. Oggi non è più possibile inquadrare le persone con disabilità sotto l’aspetto esclusivamente medico, ossia come dei malati ai quali deve essere garantita protezione sociale e cura (in altre parole non è possibile scaricare sulle condizioni di salute della persona la responsabilità di una società che colpevolmente e superficialmente crea ostacoli e barriere). Occorre invece ricondurre il tutto sotto l’aspetto sociale, che valorizza e non penalizza le diversità umane – di genere, di orientamento sessuale, di cultura, di lingua, di condizione psico-fisica e così via – e pone la condizione di disabilità non come derivante da qualità soggettive delle persone, bensì dalla relazione tra le caratteristiche delle persone e le modalità dei segni attraverso le quali la società organizza l’accesso ed il godimento di diritti, beni e servizi.
Per cui una persona si trova in condizione di disabilità, non perché si muove con una sedia a rotelle, ma perché gli edifici sono costruiti con le scale, si pensa che comunicare sia possibile solo attraverso il linguaggio orale, che orientarsi sia possibile solo attraverso l’uso delle vista. Pertanto ogni autobus senza adeguamenti per non deambulanti, non udenti e non vedenti, ogni edificio senza ascensore, deve rappresentare oggi una violazione dei diritti umani.È evidente che la mancanza di pari opportunità deriva da una società che non ha tenuto conto o non ha voluto tenere conto di tutte le diversità umane, divenendo così la conseguenza di trattamenti sociali radicati e stratificati nel tempo. Il medesimo stigma negativo è riconoscibile per il razzismo, la cui radice storica può ricondursi allo schiavismo e al colonialismo. La nostra società ha fatto sempre fatica a riconoscere la persona esclusa come titolare di eguali diritti, anzi combina una seconda attitudine sociale, ad essa legata in un circolo vizioso, ritiene addirittura giustificati i trattamenti differenziati, solo ultimamente, ma con molta renitenza, bollati come discriminazioni.La condizione di disabilità così stigmatizzata diventa causa ed effetto di povertà.
Causa perché il modo in cui vengono trattate le persone con disabilità genera esclusione sociale, limitazione all’accesso ai diritti, ostacolo e barriera mentale alla fruizione degli spazi, beni e servizi. Quindi impoverimento sociale, laddove la povertà non è più intesa, unidimensionalmente, solo come povertà economica, ma soprattutto ed in funzione della sua multidimensionalità, come povertà relazionale, di rapporti sociali e culturali che, nella loro forma più acuta portano a loro volta alla povertà economica. Una persona può essere povera ma non esclusa, ma se esclusa dalla società diventerà certamente povera.Non possiamo più parlare di integrazione sociale, non basta e non è utile, laddove questa è intesa come processo di una comunità che, avendo già deciso le proprie regole, permette alle persone esterne di potervi accedere, come se venisse concesso un privilegio e non un sacrosanto diritto. In tal modo integrazione per i nuovi arrivati significa accettare regole e principi già definiti prima del loro ingresso, in sostanza devono adattarsiImmaginiamo le persone con disabilità integrate in una società che continua a costruire barriere ed ostacoli, non curante della situazione di disagio creata. Dovranno continuare ad adattarsi al sistema concepito mentre bisogna cambiare assolutamente ottica, anche il linguaggio deve adeguarsi. L’obiettivo diventa pertanto l’INCLUSIONE, per mezzo della quale le persone vengono inserite nella società con gli stessi poteri e garanzie di partecipazione di tutti gli altri membri della comunità. In altre parole, la loro presenza attiva contribuisce a riscrivere parte delle regole e dei principi di quella stessa società, introducendo nuovi valori e principi e garantendo loro una piena partecipazione sociale, su base di eguaglianza con gli altri cittadini.Alla fine del processo di inclusione la società trasforma regole, culture e approcci verso la diversità, offrendo la cittadinanza piena e il totale rispetto dei diritti umani. In qualche modo trasforma il concetto di normalità, allargandolo ed arricchendolo di nuove caratteristiche.Bisogna avere quindi il coraggio di attivare un processo faticoso, di crescita e consapevolezza, riscrittura dei principi, recupero della dignità delle persone escluse, soprattutto di presa in considerazione di nuovi bisogni.
Davide Franceschiello
sociologo e dirigente nazionale ASI- Associazione Sociologi Italiani