BARATTO AMMINISTRATIVO, STRUMENTO DI GIUSTIZIA SOCIALE
I comuni italiani sono sempre più orientati a fare ricorso all’istituto del baratto amministrativo per centrare due obiettivi: il recupero dei tributi locali e garantire interventi di decoro sul territorio. Le novità introdotte nel nostro ordinamento dal “Decreto Sblocca Italia” dello scorso anno, da qualche mese, sono entrate a pieno titolo nel dibattito politico nazionale e locale, con toni, purtroppo, che non si discostano da quelli che la politica riserva ai grandi temi come le riforme istituzionali. Il distinguo, la contrapposizione, la litigiosità tra e all’interno delle alleanze politiche, il freno della burocrazia rallentano l’attuazione di un provvedimento che in altri paesi dell’Unione, come la Germania, da tempo ormai produce importanti effetti economici e sociali. E se i primi aiutano i bilanci degli enti territoriali, sempre più vittime dei tagli nei trasferimenti statali, i secondi, invece, evidenziano la dittatura fiscale, centrale e locale, che, al pari della mancanza di lavoro, provocano nuove e irreversibili povertà.Il baratto amministrativo è la conseguenza del “processo violento” dell’aumento della tassazione e non già di una libera scelta da parte del cittadino, vittima delle responsabilità storiche di una classe dirigente nazionale che, pur di ottenere il consenso, non ha badato a spese (pubbliche, ovviamente). Vent’anni fa nessuno avrebbe mai pensato a questo tipo di baratto. Oggi, invece, per certe fasce sociali, pena la loro sopravvivenza, la trasformazione del prodotto ( il lavoro) in puro valore di scambio ( il pagamento dei tributi locali) determina un cambiamento inedito nel rapporto tra Stato e cittadino: una metamorfosi prodotta dalla necessità di sopravvivenza. O così, oppure bisogna fare i conti con Equitalia, il braccio armato di uno Stato sempre più vorace dal punto di vista fiscale.
Il baratto amministrativo è una forma di giustizia sociale che, in un momento di crisi, è offerta a quanti – penso ai pensionati sociali, alle famiglie di disoccupati, a chi vive nella fascia tra indigenza e povertà – sono posti di fronte ad un bivio : o pagano i tributi locali rinunciando finanche alla frugalità del quotidiano, oppure saltano il fosso per arruolarsi nell’esercito ( sempre vincente sullo Stato) degli evasori fiscali. E allora si fa di necessità “virtù civica”.Fin qui tutto bene, ma… non mancano certo i dubbi nel rapporto tra l’importo del tributo messo a ruolo e il corrispettivo del baratto sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Nelle scorse settimane diversi canali televisivi nazionali, con alcuni reportage, hanno fatto vedere cosa sta avvenendo in vari comuni italiani dove il baratto amministrativo è stato applicato dopo la sua istituzione.Tralasciamo l’analisi sui toni del dibattito che si è registrato e continua a registrarsi in seno ai consigli comunali impegnati nel varo dei regolamenti. La nostra riflessione riguarda l’aspetto socio-culturale delle realtà geografiche, dove è offerta ai cittadini la possibilità di barattare il pagamento ( in percentuale o totale) di tasse comunali arretrate (Imu e Tari, in particolare) con l’impegno del singolo o di un gruppo ( previa presentazione di apposito progetto) a prestare la propria opera per il ripristino delle aree a verde, di socializzazione o, più in generale, al mantenimento e al recupero del decoro urbano.
Non è certo razzismo o pregiudizio se la nostra riflessione poggia il suo essere sulla comparazione antropologia e culturale tra il Nord e il Sud del Paese. Per far questo non intendiamo, assolutamente, scomodare Aristotele o Montesquieu e la loro teoria dei climi, tornare indietro nell’antichità o all’illuminismo francese, quanto, piuttosto, esprimere il timore ( non è forse giustificato?) del ritorno ai modelli sociali di assistenza camuffata dalla creazione di posti di lavoro. Pensiamo al sistema della forestazione (calabrese e siciliana in particolare), a quello dei lavoratori LSU e LPU. Intere legioni di cittadini disoccupati, soprattutto del Mezzogiorno, che lo Stato assiste da alcuni decenni nel tentativo di stemperare la tensione sociale dovuta alla mancanza di infrastrutture produttive e di occupazione vera in grado di generare ricchezza e far salire l’asticella del Pil territoriale nazionale.
Non vorremmo – ecco il timore: nostro e di migliaia di italiani – che il baratto amministrativo, presto diventi un’altra occasione per furbi, finti poveri o presunti nullatenenti.
Questo strumento di giustizia sociale, innanzitutto, deve garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione e l’eguaglianza di tutti gli italiani di fronte all’imposizione fiscale: niente privilegi o furberie, dunque. In passato abbiamo letto e scritto di forestali proprietari immobiliari, di LSU e LPU con fuoristrada e villa al mare, di assistiti del SSN esentati dal ticket nonostante le loro floride condizioni economiche, di finti braccianti agricoli che percepiscono il vitalizio INPS, la disoccupazione e l’indennità di malattia e di maternità. Abbiamo l’imbarazzo della scelta in un campionario, sempre aggiornato, nei settant’anni di Repubblica, ahinoi ridotta in brache di tela. Questo sistema, in prevalenza, è attecchito in contesti dove manca una vera cultura dello Stato e del senso civico: nelle società degradate dove la politica, quella che baratta i privilegi con i consensi, è stata sempre disposta a chiudere gli occhi agevolando il popolo dei disonesti, dei galoppini e quello degli amici degli amici. I primi esempi dimostrano la corretta applicazione delle finalità contenute nella legge: pensiamo al comune di Invorio ( Novara), di Massarosa ( Lucca) e di Marcellinara ( Catanzaro). Ma la vigilanza è un diritto – dovere dello Stato e del cittadino.
Antonio Latella – Giornalista e sociologo ( Presidente Dipartimento Calabria ANS)