Il prodotto e il servizio non bastano da soli, in un mondo globalizzato i clienti ci valutano e se non trovano quello che cercano, si rivolgono altrove, il palcoscenico della trattativa serve per far capire al venditore, a dare un senso di coinvolgimento in modo che il cliente si senta protetto. Indipendentemente da ciò che proponiamo, dobbiamo essere consapevoli che è il nostro pensiero che va venduto, il risultato quindi deve essere preparato e confezionato precedentemente in modo strategico. Dobbiamo cercare di prefissarci questo atteggiamento mentale, talvolta gli sforzi potranno richiedere più energia del previsto e non sempre i risultati verranno raggiunti. Quotidianamente interveniamo in trattative nel possibile punto d’incontro, questo fa sì che il nostro modo di pensare si arricchisca ogni volta che affrontiamo una nuova situazione. Per affrontare le difficoltà del mercato attuale, dobbiamo assumere un atteggiamento volto al successo, saper usare tutte le risorse disponibili, come un artista sa usare la sua creatività. Non bisogna trascurare nessun particolare, dobbiamo accettare la sfida in un mercato competitivo, ogni particolare in più che possa differenziarci dai concorrenti risulterà a nostro vantaggio, soprattutto se è una cosa inaspettata. Dobbiamo orientarci nelle scelte del cliente, cercando di cucirgli addosso la proposta, come un abito su misura.
Il venditore non è superman, è una persona normale con limiti e paure, però le emozioni lo aiutano ad agire. Per Joseph LeDoux, uno dei maggiori studiosi di neurobiologia, sono fondamentali le emozioni nel business. Per esempio possiamo avere paura di non raggiungere il nostro obiettivo, quando i risultati discostano dalle aspettative oppure quando non soddisfano le aspettative degli altri, oppure la paura di non potercela fare ci limita a prendere le decisioni. Per affrontarla dobbiamo andare avanti negli obiettivi, cercando di affrontarli e superarli con strumenti come la formazione, la condivisione di esperienze e scomporre il problema in piccole parti risolvendone uno alla volta. Il pensare di potercela fare, crea connessioni neurali che producono una sinergia di pensiero, formulando idee o proposte, pensare invece di non potercela fare riduce l’attività di pensiero e induce ad ingrandire il problema e a trovare motivi per rinunciare ( I signori rappresentanti ricevono il martedì). Le emozioni ci rendono distinguibili, pensiamo ad una vittoria, quello che proviamo accompagna il nostro vissuto e modifica i nostri comportamenti verso di noi e verso l’ambiente circostante. Ogni singolo individuo vive la propria emozionalità, le emozioni formano i nostri pensieri. Il valore aggiunto è l’emozione, bisogna credere in ciò che facciamo e capire il tipo di emozionalità che arriva al cliente, dobbiamo trasmettere positività, fiducia, disponibilità, semplicità, umiltà, conoscenza e coerenza, tutte parole che portano a pensare positivamente.
Il processo di acquisto non è solo legato a principi logici mirati alla descrizione analitica di ciò che proponiamo, solitamente che ne esaltano le caratteristiche, ma deve essere introdotto il concetto delle tendenze emozionali delle persone durante la relazione che vogliamo instaurare, come affetti, emozioni, ideologia, cultura, queste forze influiscono la presa di decisione. Spesso questo non è dichiarato da parte del cliente; serve individuare questi parametri latenti, usando la gratitudine e un atteggiamento propositivo. Il bisogno del nostro interlocutore è il punto di partenza per qualsiasi azione di acquisto, per il cliente il bisogno è una consapevolezza, capito il bisogno, entra in campo il problema, abbiamo uno stato attuale ed uno auspicabile, stessa cosa vale nel business, a questo serve una soluzione, che è il processo con cui ci avviciniamo alla soluzione, un percorso rivolto al cliente, che vuole migliorare il suo stato attuale, il mezzo con cui lo aiutiamo per raggiungere e mantenere un determinato beneficio. Per fare questo occorre comunicare. Comunicare vuol dire anche disporre conoscenze con sequenzialità e logica per produrre significati. È comunque una delle attività più complesse dell’uomo, ci permette di produrre e capire ragionamenti per chiarire le nostre posizioni, capire la realtà che ci circonda in riferimento al cliente. Le due azioni, il narrare e l’argomentare, hanno legami tra di loro e si considerano gli assi portanti del comportamento linguistico, sia nelle occasioni linguistiche confidenziali orale o scritta, che in circostanze formali (vedi conferenze, riunioni ecc). Importante è anche la disposizione degli elementi che costituiscono il discorso, ossia il ragionamento che vogliamo affrontare. Per fare questo bisognerebbe prima commuovere e dopo convincere la persona del nostro argomento (Dagnino M. semiotica nella comunicazione aziendale applicata al marketing). Il sales manager deve far emergere il concetto di inconscio di cui ne ha parlato ampliamente Sigmund Freud, l’uomo è un iceberg nel senso che molti di nostri atteggiamenti, sono legati a dei bisogni sommersi, difficili da comprendere perché risultano appunto nascosti, il modello iceberg interpreta sia le motivazioni coscienti relative all’acquisto, sia un’interpretazione delle motivazioni inconsce del cliente su cui intervenire.
Le neuroscienze cercano di capire quali sono i meccanismi che creano la reazione emotiva, nel processo di elaborazione sulle decisioni di acquisto. Il cliente ha il ruolo di acquirente, al venditore spetta la centralità, la cornice di facilitatore del processo di acquisto. L’esperienza di acquisto è legata ad una reciprocità relazionale, un processo di transfert e controtransfert, due parole usate in psicoanalisi, oggi però hanno avuto un’evoluzione, infatti il venditore deve comprendere le esigenze del cliente, fare una diagnosi, sviluppare una soluzione e riportarla al cliente. In questa dimensione entrano in gioco la relazione emotiva con il cliente e l’attività volta a creare la soluzione, espressione di capacità di risposta che il venditore ha saputo magicamente elaborare e restituire. Queste indicazioni permettono di acquisire una maggior consapevolezza di se stessi, capire gli atti negoziali e migliorare gli schemi sulle abilità relazionali, non tralasciando nessun particolare, facendo attenzione a sviluppare le abilità comportamentali in relazione con la clientela ed i collaboratori, creando un clima ambientale lavorativo performante che dia stimoli nuovi trasformando gli obiettivi in risultati.
Dott. Massimo Dagnino
Psicologo Ordine Psicologi Liguria n° 3223 Sociologo A.S.I. n° 0196
Bibliografia
Cominetti E. I signori rappresentanti ricevono il martedì, Stilgraf 2019
Dagnino M. Semiotica nella comunicazione aziendale applicata al marketing,Aracne 2016
Nel mese di settembre 2023 si è votato, per chi ha potuto farlo e ne avesse contezza, al referendum per la modifica del codice deontologico degli psicologi. Su una popolazione di circa 118.000 iscritti (dati 2020 pubblicati sul sito del CNOP) hanno votato 16.909 psicologi: 9.034 voti favorevoli, 7.616 voti contrari e 258 schede bianche.
Il dato sconfortante, come notiamo, è l’altissimo numero dei non votanti. Probabilmente una fetta dei non votanti era all’oscuro del referendum in quanto non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale (via PEC o raccomandata) da parte del CNOP e, inoltre, era necessario possedere lo SPID/CIE per poter votare. Tali motivazioni pare siano state sollevate in dei ricorsi attualmente in corso presso il TAR Lazio. Dobbiamo quindi considerare tra i non votanti: gli ignari del referendum, i non possessori di SPID/CIE e chi ha scelto deliberatamente di non votare nonostante sapesse del referendum (magari tramite social o gruppi whatsapp), ossia gli “ignavi”. Mi vorrei fermare a riflettere su quest’ultimo gruppo. Nell’articolo 4 del codice deontologico “pre-referendum” vi è una parola molto significativa, una parola piena, ossia: autodeterminazione.“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni (…)”La parola “autodeterminazione” è stata espunta nel nuovo codice deontologico (su cui pende il succitato ricorso) ed è uno dei tanti motivi che hanno spinto circa 7600 psicologi a votare No (di coloro che almeno erano a conoscenza del referendum).
Ora, la domanda che ci si pone è: gli ignavi hanno mostrato autodeterminazione, hanno fatto ciò che dovrebbero promuovere nei loro interventi? Noi psicologi siamo il prodotto e i produttori della deontologia. Possiamo mai decidere di “lasciar scegliere agli altri” che deontologia dobbiamo tenere?All’interno della categoria professionale vi sono diversi argomenti spinosi, uno di questi è la psicoterapia. La legge 56/89 disciplina l’attività psicoterapeutica senza però definire cosa sia. Il povero Ossicini dovette mediare tra più istanze e la legge è il risultato di dibattiti e compromessi, di pesi e contrappesi. Ciò è comprensibile, ma ha lasciato spazio all’opinionismo più disparato. Oggi possiamo solo dire, in maniera lapalissiana, che la psicoterapia è l’attività espletata da coloro i quali sono in possesso della specializzazione in psicoterapia. Nessuna legge la definisce. Ma alcune scuole di psicoterapia, autrici di un “manifesto”, hanno avviato una battaglia per accaparrarsi l’uso esclusivo dei significanti “cura e terapia”. Quindi, mentre negli Stati Uniti considerano terapeutico anche una “pedicure”, qui in Italia alcune scuole promuovono una strategia commerciale denigratoria e fuorviante nei riguardi dello psicologo (non specializzato) secondo cui le sue attività, disciplinate dalla legge Ossicini, tra cui abilitazione, riabilitazione e sostegno, non sono attività terapeutiche e che gli “Psicoterapeuti” siano gli unici “titolati a curare”.
Per quanto mi riguarda non mi interessa definire se il lavoro dello psicologo sia terapeutico o meno, ho sempre visto questa meravigliosa disciplina come una scuola di libertà e di significazione della propria esistenza, capace di migliorare notevolmente la qualità della vita e il benessere psichico e non ho la velleità del camice bianco o di definirmi terapeuta. Ma da un punto di vista epistemologico come si fa ad escludere a monte le attività dello psicologo come terapeutiche? Questa parentesi l’ho aperta perché tali tentativi, foraggiati da meri interessi di bottega, hanno fatto in modo che nell’art 27 del codice deontologico non si parli più di rapporto “terapeutico” ma di rapporto “professionale”. Molti ordini regionali hanno preso una posizione netta rispetto a tali infondate pretese, mentre il CNOP ha mantenuto un silenzio poco pitagorico ma molto democristiano. Ma c’è anche un altro aspetto. Il CNOP ha emanato una “Premessa Etica” che è stata presentata agli psicologi come i 10 comandamenti donati a Mosè sul Monte Sinai. Non vi è stata concertazione e dibattito all’interno della comunità professionale su cosa fosse “etico” e su quali principi orientare la propria pratica professionale. Un gruppo ristrettissimo di persone si è riunito e ha deciso nella “stanza dei bottoni”. Così leggiamo nel secondo principio della premessa etica che:“La competenza delle psicologhe e degli psicologi è data sia da conoscenze teoriche acquisite all’Università e attivamente integrate e aggiornate, sia da una pratica sottoposta al confronto tra pari e alla supervisione di colleghe o colleghi esperti e altamente qualificati “Chi sono i colleghi esperti e altamente qualificati? Chi lo decide? In base a cosa? I colleghi sociologi sanno che secondo Bourdieu il mestiere del sociologo è “rompere” ciò che comunemente viene dato per scontato. Ma pare che Pierre Bourdieu non venga letto tra gli psicologi… e neanche la (Divina) Commedia!
Tommaso Francesco Anastasio
Laboratorio di Sociologia e Psicologia Clinica ASI
“Con il termine politica intendiamo piuttosto riferirci soltanto alla direzione o all’influenza esercitata sulla direzione di un gruppo politico, vale a dire oggi di uno Stato” (Max Weber). “Pur nella sua imperfezione, la democrazia rimane l’unico sistema praticabile contro il pensiero unico; l’alternativa è un buco nero che preclude ogni libertà, i cittadini pensanti precipiteranno nell’oblio più profondo, e quando comprenderanno che la loro autostrada è diventata una mulattiera buia senza una via d’uscita, sarà troppo tardi e invertire la rotta sarà arduo”.
L’inizio del XXI secolo, ha visto profondi cambiamenti sociali, prodotti in gran parte dall’eredità del passato ed in parte da eventi nuovi che ne hanno caratterizzato le trasformazioni globali.
Nelle democrazie occidentali sono diversi i modelli costituzionali, la loro architettura definisce certamente la separazione dei poteri e dei sistemi nell’elezione delle cariche istituzionali. In Francia vige un sistema di repubblica semipresidenziale dove il potere esecutivo è condiviso dal presidente della Repubblica e dal primo ministro. Il Presidente viene eletto a suffragio universale diretto a doppio turno, e ha il potere di nomina del primo ministro. In Germania vi è il cancellierato, una repubblica federale dove il cancelliere viene eletto dal Bundestag (parlamento) su proposta del presidente federale che lo nomina ed ha il potere di nomina e revoca dei ministri, e può sciogliere nei casi previsti, il parlamento. Nel sistema tedesco vi è la sfiducia costruttiva (il Bundestag può sfiduciare il cancelliere solo avendo la certezza di poter eleggere il successore a maggioranza dei suoi membri. In Gran Bretagna dove non vi è una carta costituzionale codificata, ma un sistema di norme e statuti che fanno riferimento ad una organizzazione consolidata dello Stato, vi è una monarchia costituzionale parlamentare che si fonda su tre ordini: La Corona, l’esecutivo e il parlamento. La Corona nomina il primo ministro sulla base dei risultati elettorali della Camera dei Comuni. Il premier nomina e revoca i ministri e può chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere. In Spagna vi è una monarchia costituzionale con a capo il re ed è fondata sulla divisione dei poteri, il potere legislativo è esercitato dalle due camere, con il congresso dei deputati che danno fiducia al capo del governo e può esercitare la sfiducia costruttiva. Il potere esecutivo spetta al premier che è proposto dal re. Negli Stati Uniti d’America vige una repubblica federale formata da 50 stati e un distretto federale ed è fondata sul presidenzialismo. Il potere politico è diviso tra il presidente degli Stati Uniti, il Congresso (Parlamento) e le corti giudiziarie federali. Il presidente è capo dello Stato e guida dell’esecutivo. La sua elezione passa attraverso il voto dei singoli stati poi conteggiato con il sistema dei grandi elettori, su base nazionale; non può essere rimosso tranne che nel caso di Impeachment.
L’esempio fatto di alcune democrazie occidentali, ci porta ad una riflessione sul significato etimologico della parola democrazia, “governo del popolo, ovvero sistema di governo e di valori sociali, in cui la sovranità è esercitata direttamente o indirettamente dal popolo, ovvero l’insieme dei cittadini che attraverso una consultazione popolare, eleggono i propri rappresentanti”. Karl Popper, (1902 Vienna- 1994 Regno Unito) uno dei più importanti filosofi della scienza del ‘900, nella sua opera, “La società aperta e i suoi nemici”, fa una netta distinzione nella descrizione dei valori tra una società aperta “democratica” e una società chiusa, “autocrazia/dittatura”, portatrice di valori presunti assoluti, da imporre con ogni mezzo agli individui subalterni e devoti. La società aperta è una società di valori, con più visioni del mondo, essa può introdurre proposte politiche, ed è aperta ai partiti politici che la compongono e si sottopone alle critiche più severe facendone tesoro. Karl Popper nella definizione di società aperta sosteneva: “La società aperta, è aperta alla fallibilità della conoscenza umana”. La società chiusa, è chiusa dalla pretesa di essere possessori di verità ultime, totali e razionali, addirittura incontrovertibili, e portatori di valori presunti assoluti razionalmente dimostrati e comunque da imporre agli altri, legittimando il consenso con ogni mezzo, anche con la violenza, reprimendo qualsiasi forma di dissenso. Nella società chiusa l’individuo non esiste come soggetto pensante. “La società aperta e i suoi nemici” è la risposta di Popper, principalmente per affrontare quelli che pensava fossero le ideologie più pericolose del suo tempo, principalmente “Fascismo a destra e Comunismo a sinistra”, quelli peggiori però secondo Popper sono gli irrazionalisti, cioè, sono quelli che non danno nessun valore alla ragione nella convinzione che non debba essere il principale valore sia individuale che sociale.
Le democrazie, si distinguono tra loro per vari aspetti, di carattere sociale, storico e culturale, ma hanno un unico denominatore comune, la libertà di agire degli individui, la possibilità di cambiare, di dissentire, di avere giustizia, Questi sistemi democratici, come è stato ribadito in precedenza, non sono perfetti, la richiesta di cambiamento deve essere fatta sempre mettendo le libertà al primo posto, perché a volte l’irrazionale ricerca di un cambiamento a tutti i costi, può rivelarsi fatale, il pericolo di derive non democratiche è sempre in agguato, pronto con le sue ricette avvelenate di demagogia. Come è noto, la storia ci ricorda che le libertà conquistate, sono quasi sempre frutto di guerre, di rivoluzioni che hanno causato milioni di morti; quindi, nulla può essere dato per scontato, anche nel tempo dell’iper-velocità e dell’intelligenza artificiale. L’insoddisfazione che l’individuo subisce, spesso causata dal senso di abbandono delle democrazie post-moderne che a causa dell’eccessiva burocrazia, e dei sistemi di potere fatto dalle Caste, e dalle lobby dimenticano le sofferenze e le disuguaglianze del mondo esterno ad essi. Questo fenomeno sociale può indurre gli individui in modo inconsapevole a cercare un cambiamento che può rivelarsi fatale. Il populismo, e le fake news, sono i nemici della società aperta, ma hanno il loro fascino nella società di oggi; l’antidoto è quello di educare socialmente l’individuo ad una maggiore consapevolezza del proprio pensiero, della propria ragione.
In Italia si sta discutendo da tempo di una modifica dell’architettura costituzionale, per dare avvio ad una nuova forma di governo, per arrivare ad un sistema presidenziale o un premierato forte, le motivazioni date sono certamente valide, per fornire al sistema Paese le riforme necessarie per renderlo efficiente e competitivo. Riforme certamente da fare, in funzione di una società che cambia e si evolve, il punto è, come farle, con chi farle, e nell’interesse di chi? Dal 1970 al 2018, quasi tutti i partiti che ci hanno governato, hanno tentato di fare alcune riforme, in parte realizzate con qualche modesto risultato, in parte rimaste sulla carta, altre ancora hanno addirittura de-potenziato economicamente il sistema Paese. Il debito pubblico italiano, che nel 1970 era il 37,1 %, è arrivato al 131,5% nel 2018 (dati Fondazione Einaudi). Questa abnorme crescita ha portato l’Italia ad essere l’anello debole tra le economie avanzate. La politica senza una visione a lungo termine non può dare le risposte che i cittadini si aspettano, guardare solo al prossimo turno elettorale esclusivamente per tenere saldo il potere, con il tempo si troverà senza elettori, queste debolezze rischiano di fare il gioco dei populisti e dei propagatori di fake news che potranno prendere il potere nel nome del “Popolo”. Questa debolezza democratica, accomuna non solo l’Italia, ma anche molte democrazie occidentali, basta osservare i dati sulla bassa percentuale di elettori che si reca alle urne, un fenomeno che aumenta ad ogni elezione, arrivando in alcuni casi sotto la soglia pericolosa del 50%. Questo dato molto preoccupante, purtroppo è trattato con disinvoltura dai leader politici sia quando governano che, quando sono all’opposizione; il perché di questa scarsa attenzione verso il fenomeno potrebbe essere spiegato con il paradosso che meno persone votano, più aumentano i consensi per i monopolisti della politica, questo perché controllando una consolidata fetta di elettori ottengono risultati affidabili che garantiscono al 99% la possibilità di essere eletto. Chi sono gli elettori che favoriscono questo processo e che consentono con il loro voto una performance elettorale di tutto rispetto nell’elezione di uno o più candidati? Sempre indicati dal gruppo politico di riferimento e mai dagli elettori. Alcuni fattori condizionanti potrebbero essere: il disagio sociale legato alla mancanza di lavoro, o alla condizione socioculturale delle persone meno istruite, o ancora a fattori psicosociali (Carl Hovland 1912-1961), ma sono i social media l’arma più potente che molto spesso persuadono gli elettori, ad identificarsi con i loro leader veri o presunti.
La globalizzazione, l’immigrazione, l’invecchiamento, l’insicurezza della popolazione senza più solidi riferimenti sociali e istituzionali, contribuiscono a rendere l’individuo sempre più dipendente, dal medium digitale nella “società dell’indifferenza”.
Questa moltitudine di elettori sempre più numerosa, oggi si informa esclusivamente attraverso la piazza virtuale e, come un moltiplicatore si auto-manipolano, metabolizzano fatti, notizie, e quant’altro propinati dai social media senza verificarne l’attendibilità, diffondendo a loro volta notizie mai verificate. Questi soldatini della rete, armati di tastiera e smartphone, saranno sempre lì pronti a diffondere all’infinito le nuove fake news, nella spensierata convinzione di essere stati utili ad una giusta causa. Nell’ultimo decennio della post-modernità, vi è stata una forte accelerazione della comunicazione nella piazza virtuale, gli algoritmi, i medium digitale (siti web, chat room, posta elettronica, forum, ecc…) hanno completamente modificato la struttura sociale e la vita degli individui, completamente assorbiti dalla web society, dove discernere il reale dall’irreale diventa sempre più complicato. Il cambiamento sociale è irreversibile, le società cambiano e si adeguano ai processi sociali sulla base delle nuove scoperte scientifiche. Nuovi paradigmi rimoduleranno la società proiettandola nel nuovo mondo degli avatar: sarà progresso oppure no? La risposta la darà il tempo, il pericolo però è dietro l’angolo e si chiama: “cattivo utilizzo delle tecnologie” che può far precipitare l’individuo in un buco nero, dove l’attrazione gravitazionale è così forte da catturare anche il futuro. La sfida dei governi eletti democraticamente, sarà quella di sconfiggere questo moltiplicatore di fake news, per evitare che la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale possa diventare “stupidità artificialmente costruita”.
Il Potere e la Potenza- Max Weber (Erfurt 1864- Monaco 1920)
In politica la differenza tra potenza e potere è sostanziale, sono due concetti antitetici che segnano la differenza tra la libertà e la sua negazione, questi due concetti e il suo seguito descritti da Max Weber, ci portano a definire meglio limiti e debolezze dei sistemi democratici moderni. La “Potenza” è la possibilità di imporre a un altro individuo la propria volontà, a prescindere dalla volontà che questo individuo ha di obbedire o meno, questo concetto è quasi come un brutale rapporto di forza. Il “Potere” è la possibilità di trovare obbedienza ad un proprio comando. Una relazione di potere è quando colui che obbedisce assume il contenuto del comando come massima del proprio agire. Vi sono molti modi che portano all’obbedienza di alcuni individui verso altri individui, per esempio per paura, per convenienza, per interesse ecc… Ma ce n’è uno che rende davvero stabili le relazioni di potere, questo elemento è la credenza nella legittimità di chi esercita il comando, questa legittimità del potere può durare nel tempo. Il potere per Weber è l’elemento centrale sul quale si fonda il rapporto dell’individuo cittadino elettore con lo stato, egli elenca tre forme di potere legittimo: Potere tradizionale – Potere razionale/ legale -Potere carismatico. Il potere tradizionale si basa sulla credenza e sulla fede, nell’autorità dell’eterno ieri, è una forma di potere in cui noi obbediamo ad una persona, perché essa incarna una tradizione valida da sempre. Non si obbedisce al comando di una persona, ma alla tradizione che essa rappresenta ed è valida da sempre. Il potere razionale /legale è una forma di potere che si basa sulla credenza nella legittimità, cioè un insieme di regole razionalmente stabilite, si obbedisce ad un bene superiore, perché agisce sulla base di regole definite razionalmente leggi, che non sono frutto di una tradizione, e preesistono alla persona alla quale si obbedisce, potere impersonale di natura ordinaria che è routine nella vita sociale. Il potere carismatico è una forma di potere in cui si obbedisce alla persona in quanto tale, perché si ha fiducia nella persona che impartisce il comando per le sue doti straordinarie; secondo Weber questo potere si manifesta in tempi di crisi e non rispecchia nel suo agire norme tradizionali o regole razionali. La sua legittimità è condizionata da un meccanismo di prova e di riconoscimento, il capo carismatico è l’uomo che deve risolvere la crisi e deve dimostrare di essere in grado con il suo successo, con la sua gloria, di risolvere una situazione eccezionale. Ma come tutti i poteri carismatici nella storia se questa prova non c’è, le cose vanno male, il potere carismatico del capo inizia a dissolversi lentamente fino a perdere ogni consistenza, (Il potere carismatico per Weber non ha durata) qui è il punto in cui avviene il ripudio. Max Weber specifica che il riconoscimento dei dominati nei confronti del capo carismatico, non configura in nessun modo un processo democratico, ma esso ne pretende il riconoscimento. Nel saggio del 1919 “La politica come professione”, Weber precisa che il luogo della politica come professione è nei partiti politici, e quando arriva la democrazia succedono 4 cose:
1) arrivano i partiti politici e la politica deve organizzarsi;
2) Chi controlla il partito controlla tutto: nasce una nuova oligarchia.
3) Arriva il cesarismo e i partiti si sottomettono al leader che li fa vincere.
4) I parlamentari diventano un branco di votanti ben disciplinati che segnano la fine del parlamentarismo: tutto si sposta nelle segreterie dei partiti.
Nei periodi di cambiamento, “le ideologie non devono vincere”.
La politica può essere fatta in due modi, si può vivere per la politica, o vivere di politica, nel primo caso la politica è fatta per passione ed è alimentata da un fuoco anteriore che anima quella persona; vivere della politica invece vuol dire trovare quei mezzi che permettano di occuparsi di politica costantemente. Qui Weber differenzia i due concetti, quello dell’etica dei principi o dell’intenzione e l’etica della responsabilità, sostenendo che questi due concetti apparentemente antitetici possano convivere. Per comprendere la relazione dei due concetti Weber traccia le tre caratteristiche che contraddistinguono l’uomo politico e sono: la passione, il senso di responsabilità e la lungimiranza. Quindi vivere di politica, perché si hanno dei temi da proporre (passione, valori ecc…), ma chi si occupa di politica solo per passione è destinato a perdere, poiché per Weber la sola passione non crea l’uomo politico, può però farcela se nella causa che vuole portare avanti, non fa anche della responsabilità, nei confronti di essa la sua stella polare dell’agire. Quindi la qualità principale del politico deve essere la sintesi dei due concetti e cioè avere la capacità di coniugare la passione con la lungimiranza, con la responsabilità, essere spinti da una causa ispiratrice, prevedendo le conseguenze del proprio agire, mettendo una sorta di barriera tra sé e il mondo circostante senza farsi coinvolgere eccessivamente (passione e freddezza). Il pericolo maggiore del politico però è rappresentato dalla vanità, essa è un vizio radicato in ogni uomo e in ogni professione, e comporta il pericolo dell’auto compiacimento, che mette il proprio ego di fronte a qualsiasi cosa, in politica questo vizio è fatale perché viene meno la causa del proprio intervento, e in preda alla vanità tenderà ad agire nel vuoto, senza vedere ciò che accade intorno a lui. La politica deve essere fatta con la testa, ma non solo con essa, etica della responsabilità, etica dei principi e buon senso possono aiutare a commettere meno errori.
Dott. Rosario Fittante, sociologo
Bibliografia di riferimento:
Tuccari F. “Carisma e leadership nel pensiero di Weber”, il Mulino 1995.
Tuccari F. “Economia e società di Max Weber” – festival filosofia 2014.
Marco Biagini “Max Weber. La politica come professione” 2020.
Umberto Pagano “L’uomo senza tempo” Franco Angeli 2011.
Il 14 agosto è venuto a mancare Francesco Alberoni. Sociologo, accademico, giornalista e scrittore, noto in tutto il mondo per i suoi studi sui movimenti collettivi e sui processi amorosi.
Alberoni è nato a Piacenza il 31 dicembre del 1929. Docente di sociologia all’università di Milano dal 1964, si è occupato di comunicazioni di massa, di fenomeni migratori, di partecipazione politica. Tra le sue opere più celebri, “Movimento e istituzione”; “L’élite senza potere: ricerca sociologica sul divismo”; “l’Italia in trasformazione”; ma anche “Innamoramento e amore”; “L’erotismo”; “L’arte del comando”; “Sesso e amore”; “Leader e masse”; “Lezioni d’amore”; “L’arte di amare”. “Il grande amore erotico che dura”. Alberoni è stato un uomo di grande cultura che ha ricoperto diversi incarichi nella sua lunga carriera: è stato membro del consiglio di amministrazione e consigliere anziano facente veci di presidente della Rai nel 2005, è stato anche editorialista del Corriere della Sera: dal 1982 al 2011, ogni lunedì, ha ospitato in prima pagina una sua rubrica intitolata Pubblico e privato. Alberoni è stato anche rettore dell’Università di Trento dal 1968 al 1970 e della Iulm dal 1997 al 2001
Nel 2015 è stato pubblicato il volume antologico “Il tradimento. Come l’America ha tradito l’Europa” e altri saggi. Nel 2016 è stato pubblicato il saggio “L’arte di avere coraggio”. Ma ciò che lo ha reso celebre in tutto il mondo è sicuramente la sua opera “Innamoramento e amore”: il saggio uscito per la prima volta nel 1979, è stato tradotto subito in 25 lingue.
I sociologi Marcello Bovi e Italo Caruso, soffermandosi proprio su quest’opera, hanno voluto rendere omaggio al grande sociologo italiano, realizzando un video che è possibile visionare al seguente link: https://youtu.be/0KP8k7w0nnE
Una delle evoluzioni più intriganti negli ultimi decenni è stata quella del network marketing, un modello di business che ha radicalmente trasformato il concetto di vendita al dettaglio e promozione del prodotto. La genesi del Network Marketing può essere ricondotta alle innovazioni strategiche introdotte dalle pioniere aziende di vendita diretta che emersero negli Stati Uniti negli anni ’20 del XX secolo. In quel periodo storico, le vendite dirette si affermarono come uno degli strumenti di marketing più influenti, e numerose società iniziarono a sfruttare questo approccio per penetrare mercati distanti senza appesantire l’organizzazione interna o esacerbare i costi operativi. Fu proprio in questo contesto che videro la luce numerose sedi di rappresentanza, ognuna delle quali aveva il duplice ruolo di promuovere le vendite e di raccogliere e immagazzinare i prodotti. Questa tendenza portò alla nascita delle prime organizzazioni decentralizzate, caratterizzate da ampi margini di autonomia operativa. Per sostenere un’espansione dinamica, i responsabili locali si impegnarono attivamente nel reclutamento e nella formazione di nuove risorse umane. Fu perciò implementato un sistema di incentivi, calibrato sui risultati raggiunti, per motivare la rete dispersa di collaboratori e facilitare la copertura del mercato.
Una peculiarità del Network Marketing è l’impossibilità, all’interno della stessa società, di essere sponsorizzati da più di una persona. Infatti, come tutte le professioni, anche il Network Marketing ha dei codici di comportamento che governano il modo in cui le persone conducono le loro attività. Alcuni di questi standard etici sono codificati e formalizzati, mentre altri sono semplicemente acquisiti e messi in pratica dai singoli. Le società, ad ogni modo, non permettono che i loro distributori abbiano più di uno sponsor. In questo contesto, vengono utilizzati diversi termini specifici: “Line” o “livello”, che indica un ordine di distributori all’interno dell’organizzazione; “Down-line” o “sottolivello”, che comprende tutti i membri di un’organizzazione, da quelli sponsorizzati direttamente a quelli a loro volta sponsorizzati da questi, e così via; “Front-line” o “primo sottolivello”, che si riferisce a quei distributori dell’organizzazione che sono direttamente collegati allo sponsor; “Organizzazione”, che include tutti i livelli di un network, gestito indipendentemente, dallo sponsor in giù; “Up-line” o “sopralivello”, che include chiunque sopra uno sponsor nella rete di distribuzione, compreso lo sponsor di lui stesso; “Cross-line” o “side-line” o “livello incrociato o laterale”, che si riferisce a chiunque, pur facendo parte della stessa organizzazione, non è né direttamente, né indirettamente collegato ad un dato distributore. Nel Network Marketing, l’incaricato non è responsabile solo dei contatti diretti con i clienti o potenziali tali.
IL MINDSET. Il network marketing è un modello di business che si basa sulla vendita di prodotti o servizi attraverso una rete di distributori indipendenti. Questo settore è conosciuto per offrire opportunità di guadagno flessibili, che possono variare da un reddito supplementare a una carriera a tempo pieno. Tuttavia, il successo nel network marketing richiede più che una buona strategia e competenze di vendita; richiede un mindset positivo e orientato alla crescita. Il mindset si riferisce alle credenze e agli atteggiamenti che una persona ha riguardo a se stessa e alle sue capacità.
RESILIENZA E PERSISTENZA. La resilienza è l’elasticità emotiva che ci consente di resistere alle tempeste della vita, adattarsi ai cambiamenti e emergere più forti . Questa qualità è cruciale nel network marketing, dove le sfide e i rifiuti sono comuni. La resilienza permette ai professionisti di mantenere il focus sugli obiettivi a lungo termine nonostante le difficoltà.
SVILUPPO DELLE RELAZIONI. Nel network marketing, uno dei pilastri fondamentali per il successo è lo sviluppo e la manutenzione di relazioni solide con clienti e distributori. Questo richiede una combinazione di competenze interpersonali, una mentalità aperta, e la capacità di adattarsi a diverse situazioni.
MINDSET POSITIVO E INTERAZIONE Avere un mindset positivo può facilitare significativamente l’interazione con potenziali clienti e distributori. Secondo Wealth Mission Possible, per ottenere risultati significativi nel network marketing, è necessario creare una mentalità vincente. Questo implica essere ottimisti, aperti a nuove opportunità e pronti a imparare. Avere un atteggiamento positivo rende una persona più accessibile, il che a sua volta attrae le persone e apre la porta a relazioni più forti. Inoltre, è importante utilizzare piattaforme di social media per potenziare le relazioni.
EVOLUZIONE DEL MERCATO E NECESSITÀ DI ADATTAMENTO. Il network marketing, essendo parte dell’ambito del marketing e delle vendite, è soggetto a rapidi cambiamenti.
GESTIONE DEL TEMPO E DELLE PRIORITÀ. Questa è particolarmente importante nel network marketing, un settore che richiede una pianificazione strategica, il raggiungimento di obiettivi e la creazione e mantenimento di reti di contatti. Uno dei segreti del successo è proprio la gestione del tempo. Come Jeff Bezos di Amazon ha dimostrato, lavorando velocemente e risolvendo piccoli problemi man mano, si può accumulare una grande ricchezza. Un altro approccio che può essere utilizzato nel network marketing è il Principio di Pareto, noto anche come la regola 80/20, che suggerisce che l’80% dei risultati può essere attribuito al 20% degli sforzi. Nel network marketing, ciò potrebbe significare concentrarsi su un numero ridotto di contatti o clienti che portano la maggior parte delle entrate o risultati, piuttosto che disperdere energie in una vasta rete che non produce rendimenti significativo.
LA VISIONE A LUNGO TERMINE. Nel mondo del network marketing, avere una visione a lungo termine e obiettivi chiari è un elemento centrale per il successo. Questo approccio può aiutare a mantenere la motivazione e l’energia necessarie per costruire un business solido e duraturo.
La pandemia globale di COVID-19 ha innescato un’onda di cambiamenti in tutta la società, dalla nostra vita quotidiana fino alle strutture economiche fondamentali. Tra questi cambiamenti, l’ascesa del network marketing rappresenta un aspetto interessante ed importante. Il network marketing è cresciuto durante e dopo la pandemia, ponendo una particolare enfasi sull’aspetto sociale e sulla trasformazione del lavoro. Durante la pandemia, molti hanno trovato nel network marketing un’opportunità per compensare la perdita di reddito dovuta a licenziamenti o riduzioni di stipendio. Ma questa crescita non si è limitata al periodo pandemico. Anche nel periodo post-pandemico, il network marketing ha continuato a fiorire, offrendo opportunità di carriera flessibili e remunerative. Dal punto di vista sociale, il network marketing ha avuto un impatto significativo. Ha permesso a molte persone di rimanere socialmente connesse in un momento in cui il distanziamento fisico era la norma. Le riunioni virtuali, i seminari online e le presentazioni dei prodotti hanno offerto un’alternativa alle interazioni faccia a faccia, mantenendo vive le relazioni personali e professionali. Inoltre, la natura inclusiva del network marketing ha dato a tutti, indipendentemente dal background o dall’esperienza professionale, l’opportunità di avviare un’attività propria. Nell’ambito della trasformazione del lavoro, il network marketing ha introdotto un nuovo paradigma. Ha promosso l’idea del “lavoro da casa”, offrendo un modello flessibile che ha permesso a molti di bilanciare le esigenze personali e professionali. Inoltre, ha aperto la strada all’idea del “lavoro come intraprendenza”, con le persone che gestiscono le proprie attività e sviluppano le proprie reti di marketing. La pandemia ha avuto un impatto profondo sul network marketing, sia in termini di crescita che di cambiamento. Ha cambiato il modo in cui lavoriamo e interagiamo socialmente e ha offerto nuove opportunità per l’indipendenza finanziaria. Sebbene ci siano state sfide lungo il cammino, è evidente che il network marketing ha dimostrato la sua resilienza e il suo potenziale durante questo periodo tumultuoso.
*Dott. Maurizio Pesenti, laureato in sociologia, coach professionista, esperto nel settore immobiliare e nella formazione
La Violenza contro le Donne è un fenomeno sociale sempre in crescita nel nostro Paese che non tende a fermarsi. E’ un fenomeno complesso e, per contrastarlo bisogna partire dal contesto culturale e sociale perché la violenza è radicata nella cultura ancora patriarcale dell’Uomo verso la Donna. I casi di violenza domestica sono in aumento, negli ultimi anni : 123 i casi di femminicidio nel 2017 in Italia; 142 nel 2018; 94 nel 2019; 91 circa nel 2020, una donna ogni 3 giorni; 81 sono stati commessi nell’ambito familiare, all’interno della coppia proprio in relazione alle condizioni di convivenza forzata dei nuclei familiari, determinando un rischio per le donne, già esposte alla violenza perché, chiuse in casa, non arrivano a chiedere aiuto e i FEMMINICIDI continuano. Una carneficina, una mattanza che ha nella FAMIGLIA IL SUO DRAMMATICO TEATRO. 103 nell’ anno 2021; 89 nell’ anno 2022; 50 nell’ anno 2023 sino a luglio. E’ l’ennesimo fallimento della legge, della stessa legge sullo Stalking, che è entrata a far parte del nostro ordinamento con il decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11 (convertito in Legge 23 aprile 2009, n. 38), che ha portato all’introduzione dell’art. 612 bis c..p. il reato di “atti persecutori”, con il quale si vuol far riferimento a quelle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona. Malgrado l’introduzione delle leggi, dalla legge sullo Stalking, alla convenzione di Instabul, al codice rosso, gli “ omicidi “ continuano (e, non “ femminicidi” come impropriamente chiamati dai mass media). Gli omicidi continuano anche nel 2023 nel silenzio politico e, molte denunce di vittima, molte grida cadono nel silenzio, nel vuoto e l’esempio di tutte le “donne vittime del proprio aguzzino” è stato quello di Clara CECCARRELLI, 70 anni, uccisa a coltellate dal suo ex compagno a Genova. Clara due settimana prima era andata a pagare il suo funerale, “agghiacciante” la sua storia perché aveva capito che sarebbe finita male. E’ bene tener presente che molte donne non denunciano perché non hanno fiducia nello Stato, nelle Istituzioni come testimoniano le cifre succitate. Molte vittime oggi, non denunciano il loro stalker, per paura, perché economicamente non sono autonome;
non hanno la sicurezza di essere protette e si chiudono nel loro mondo, nel loro “io”, continuando a subire le vessazioni dello stalker;
lamentano l’abbandono da parte dello Stato, la lentezza della burocrazia italiana; -la mancanza di aiuto, la mancanza di “controllo” dello stalker una volta formalizzata la denuncia; -lamentano, la non applicazione della legge; -l’incertezza delle pene. La donna VITTIMA ABBANDONATA dallo stato, NON AIUTATA ECONOMICAMENTE e, l’unico appoggio è quello drastico di trasferirsi in una casa protetta con i propri figli staccandoli dalla casa paterna, uno dei piu grandi errori della legge sullo STALKING. E a tal proposito si riporta una frase di una vittima di violenza domestica: “ Quando si è vittime, si resiste sempre fino allo sfinimento fisico e intellettuale. Ci si annulla, ci si isola, ci si ammala e, sempre, ci si considera sbagliate e in torto”. La drammaticità di questa riflessione fa capire quanto sia necessario e urgente intervenire. In primo luogo culturalmente. La vittima si sente e vive in una GABBIA! Il risultato sino ad oggi si fa fatica a vederlo malgrado la convenzione di Instabul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata in Italia nel 2013. La convenzione di Instabul si basa su 4 P: Prevenire la violenza maschile Punire gli abusi Proteggere le donne contro la violenza maschile. Costruire Politiche integrate E sarebbe da aggiungere la TUTELA DELLA VITTIMA , quale elemento fondamentale. Anche l’introduzione il 9 agosto 2019 del codice rosso (si tratta di un provvedimento volto a rafforzare la tutela delle vittime dei reati di violenza domestica e di genere, inasprendone la repressione tramite interventi sul codice penale e sul codice di procedura penale), che mira a garantire maggiore tutela alle vittime di violenza domestica e di genere, non ha avuto l’effetto desiderato. Anche le ultime integrazioni del codice rosso da parte del Governo sono solo un inutile “palliativo” , che certamente non tutela la vittima. Forse nessun risultato è stato fin qui raggiunto e, lo dimostrano i numeri che sono spietati, dove nel 44,6% dei casi la vittima aveva precedentemente denunciato il suo carnefice, il suo stalker, il suo orco senza ricevere protezione adeguata. Benché non esistano ancora dati concreti sulla portata del fenomeno, è quasi certo che il numero delle vittime di questo tipo d’intrusione violenta nella vita privata – vittime perseguitate, terrorizzate e talvolta anche aggredite fisicamente o psichicamente, è in costante aumento.
È imperativo e urgente trovare una soluzione per tutte le persone a rischio e, addirittura, per gli stalker, i quali vanno assistiti.
È un dovere premurarsi di chi, attraverso telefonate, sms, e-mail vuole dimostrare segni di affetto che, tuttavia, si trasformano in vere e proprie forme di persecuzione limitando la libertà della vittima, violando la sua privacy e giungendo perfino a spaventarla.
Ci vuole maggiore supporto alle vittime, un intervento in grado di affrontare la vera emergenza italiana, il “ VIRUS LETALE – LA VIOLENZA SULLE DONNE” che, ancora oggi pur avendo il coraggio di denunciare non hanno fiducia nello stato e nelle Istituzioni.
L’obiettivo principale di questa continua battaglia e impegno sociale è sensibilizzare l’opinione pubblica, lo stato, le istituzioni e, tutti verso un cambio radicale sociale, iniziando in primis dal linguaggio che deve essere meno violento. Il linguaggio, la comunicazione sono fondamentali e oggi siamo noi stessi che nel dialogare, creiamo le discriminazioni: dalle semplici parole come “AVVOCATA, ASSESSORA, SINDACA”. Possiamo parlare di parità di genere se poi, noi stessi, creiamo le disuguaglianze?
Purtroppo ben altro bisognerà fare per tutelare le vittime di violenza di genere, “Le grida di molte vittime cadono nel silenzio”.
Il femminicidio è una realtà quotidiana che non deve passare attraverso alcun cavillo politico. Dev’essere combattuto e condannato.
Marzo 2023. Fuori piove. Mozart mi fa compagnia mentre rimiro su internet quadri della scuola Labronica. Rapisce la mia attenzione un quadro del maestro Gio Batta Lepori dal titolo “Giornata di Pioggia”. Leggo la biografia dell’artista: padre di 10 figli che negli anni ’40 ha lasciato il suo lavoro di operaio per dedicarsi alla sua passione, l’arte. Numerosi riconoscimenti e mostre. Cerco su internet altre informazioni e trovo una fondazione a suo nome (1).Chiamo. Risponde Caterina, gentile e disponibile, nipote del maestro. Mi presento, chiedo informazioni sul quadro che ho successivamente acquistato e le chiedo se le va di raccontare la storia di vita di suo nonno. Entro in contatto con suo papà, Leonardo, nono figlio del Maestro, capisco che la gentilezza è di casa. Gli parlo del laboratorio di sociologia e psicologia clinica dell’ASI (2),che tra le sue attività vi è anche quella di osservatorio e di come suo papà, a mio avviso, sia stato uno dei precursori dell’attuale fenomeno del “quiet quitting” e di quanto mi affascina chi segue la propria “vocazione” prendendo scelte forti e coraggiose nonostante il contesto difficoltoso. James Hillman direbbe che si tratta di seguire la propria “ghianda” affinché diventi quercia. E ciò comporta anche lasciarsi guidare da quella “volontà involontaria” sartriana come ha fatto il Maestro Lepori.
Il fenomeno del quiet quitting, letteralmente “abbandono silenzioso”, ha assunto anche un significato di “fare il minimo nel proprio lavoro” ma ritengo che questa concezione sia molto riduttiva rispetto alle possibili dinamiche psichiche che spingono gli individui a lavorare di meno oppure a dimettersi dal proprio posto di lavoro.
Dall’inizio della pandemia il numero degli under 40 che ha deciso di licenziarsi è aumentato del 26% (3).
Ma la domanda che mi pongo è: da quali lavori si dimettono? Per dimettersi devono essere dei lavoratori dipendenti.
I lavoratori, che siano operai, impiegati, quadri o dirigenti, debbono rispondere a dei processi industriali in cui “tutto è prevedibile e procedurizzato” e se da un lato ciò “deresponsabilizza” gli impiegati facendoli sentire “sollevati” da questa fuga dalla responsabilità, dall’altro rende l’uomo “passivo”, rendendolo molto vulnerabile a disagi psichici ed esistenziali. Il sistema uomo per funzionare bene necessita che siano soddisfatti sia i suoi bisogni materiali (cibo, casa, auto, ecc) che i suoi bisogni immateriali (ad esempio senso di vita e trascendenza).Se vengono solo soddisfatti i bisogni materiali, abbiamo individui che sopravvivono ma che di fatto non vivono.
Cosa rende umano l’uomo?
Ecco una lista, non esaustiva, delle possibili definizioni umane: Homo faber, capace di creare; Homo negans, capace di dire no; Homo ludens, capace di attività prive di “scopo”, di giocare; Homo sapiens, capace di una comprensione profonda dei fenomeni; Homo esperans, capace di sperare. Tra le esperienze propriamente umane possiamo citare: L’amore, la trascendenza, la fede, il coraggio, la speranza, la tenerezza e la compassione.
Ora, se l’uomo nella maggior parte della giornata non è nelle condizioni di creare, di dire di no, di fare attività “prive di scopo”, di riflettere o addirittura di sperare, che cosa diventa? Mi verrebbe da dire un “animal laborans” che piuttosto di chiedere “perchè?” chiede “come?” dinanzi a ogni ordine impartito. Ma l’uomo sente anche il bisogno di lavorare, di sentirsi utile, ma ha bisogno di un lavoro che lo faccia sentire “attivo” e non un mero ingranaggio passivo e alienato.
La soluzione quale sarebbe?
Rimando il lettore, per un’esaustiva risposta che non può essere affrontata in questa sede, alla lettura del testo “Rivoluzione della Speranza” di E. Fromm in cui vengono proposte delle iniziative per umanizzare la società e il lavoro. Ma fortunatamente non tutti siamo passivi, alcuni “ribelli” rendono viva e attiva la società emanando sapienza, forza e bellezza attraverso le loro “attività creative”, come nel caso del Maestro Gio Batta Lepori.
La mia indole da psicologo unita alla “sensibilità sociologica” mi ha spinto a indagare cosa avesse spinto e come avesse vissuto il Nostro Artista a lasciare il proprio lavoro “sicuro” per dedicarsi all’incertezza e alla trascendenza del mondo artistico. Quello che segue è il materiale gentilmente offerto dalla Fondazione Lepori a seguito di telefonate, corrispondenza a mezzo e-mail e anche a mezzo della romantica e nostalgica “posta ordinaria”. Leggiamo di un uomo che contiene, come tutti noi, l’intera umanità. Un uomo capace di conoscere la sua ombra e di integrarla nella propria personalità. Un uomo sublimato.Un uomo profondamente umano.
RELAZIONE DEI FIGLI SU GIO BATTA LEPORI (4)
Dopo la scomparsa di Gio Batta Lepori (2002) i figli, si sono dedicati alla sistemazione dell’archivio che ha permesso di leggere i numerosi scritti gelosamente custoditi nello studio dell’artista: racconti autobiografici, poesie, impressioni e ricordi dai quali risulta evidente la gran passione di Gio Batta per l’arte, di cui era veramente innamorato, come si evince dal racconto autobiografico intitolato NILDE (vedi monografia pag. 9). Molto attenta all’evolversi di questa sua passione era la moglie che lo ha sempre sostenuto, infondendogli coraggio e tanta fiducia e ammirazione. Mamma infatti aveva la chiara percezione che suo marito era un artista. (vedi vedi Monografia pag. 10 Metamorfosi) . Babbo spesso si alzava all’alba quindi, legata la cassetta dei colori alla sua bicicletta, andava alla ricerca del paesaggio campestre o marino per realizzare l’opera d’arte che era nata nella sua mente. Dopo il lavoro veniva a casa e dedicava ampi spazi alla famiglia.
Con noi era severo: vincolo della nostra obbedienza era il suo esempio. Era capace di empatia e dedizione. Ci ha educati alla nobiltà d’animo ,al rispetto reciproco e ad una comunicazione che escludeva qualsiasi tipo di volgarità. Nel tempo la severità si è stemperata e non era indifferente ai profondi cambiamenti della società. Un vero stress per lui era l’allestimento delle mostre personali dalle quali però riceveva grandi soddisfazioni sia dalla critica che dal pubblico. Affidava al suo segretario la parte commerciale dell’esposizione, perché babbo preferiva non rinunciare a dipingere. Fino agli anni 70 ha raccolto molti successi: gli estimatori venivano da varie parti d’Italia e questo ha significato un certo benessere. In seguito si è concentrato sulla pittura, lettura, scrittura, gustando pienamente la sua desiderata solitudine. Abbiamo ancora nelle orecchie il tic-tac della sua Olivetti (Lettera 22), alla quale affidava i suoi ricordi, le sue riflessioni e anche le barzellette con le quali ci faceva tanto ridere! Era allegro, anche un po’ burlone,un narratore simpatico e brillante, un tipo accentratore che con le sue imitazioni affascinava gli ascoltatori.
Spesso cantava, e dipingendo ascoltava musica classica; in particolare apprezzava il melodramma CAVALLERIA RUSTICANA del concittadino Pietro Mascagni, il cui figlio venne a conoscere babbo, perché aveva visto la realizzazione pittorica del brano “Inno alsole” dell’opera IRIS. Era il pubblico che lo rendeva esilarante, ma nello stesso tempo Gio Batta conosceva anche la malinconia e la nostalgia. (vedi allegato frasi autobiografiche tratte da LUCI e OMBRE ed altri scritti) Se riceveva critiche, ne soffriva; se per periodi piuttosto lunghi non venivano i “clienti” perdeva vitalità; come pure bastava un segno di apprezzamento per riprendere la consapevolezza del privilegio di essere portatore di un dono divino così grande e prezioso. Rimpiangeva gli anni di successo , conclusosi troppo presto. Noi figli nel 2009 abbiamo costituito una Fondazione per mantenere viva la sua figura, perchè ammiriamo e amiamo l’arte di babbo; ci sentiamo fruitori di beni preziosi, non solo artistici, ma umani e spirituali legati alla famiglia. Siamo circondati di bellezza: i suoi dipinti ci comunicano vitalità, serenità e anche fierezza.
FRASI AUTOBIOGRAFICHE TRATTE DAGLI
SCRITTI DI GIO BATTA LEPORI (5)
L’energia e la vitalità che sprigionano dai quadri del Lepori da dove nascono? Forse il suo paesaggio interiore era tutta luce? No, anch’egli aveva le sue zone d’ombra ed era ben consapevole della fatica del vivere. Nel suo intimo erano presenti profonde lacerazioni, ferite, fragilità sentiva malinconia e più ancora la nostalgia, come emerge dai suoi scritti. La colonna sonora delle sue mostre personali era la musica di Mascagni proprio perché ci ritrovava consonanza fra il suo stato d’animo e il tono emotivo del compositore livornese.
Allora, perché tutta questa bellezza, tutta questa esultanza di colore e di vitalità nei suoi dipinti?
Gio Batta dipingeva dal vero, era capace di cogliere il linguaggio della natura, fatto di ordine, armonia, intelligenza, che gli donava meraviglia e stupore. La sua sensibilità molto viva, era dotata di numerose vibrazioni e captava dalla natura: le oscillazioni dell’aria, il sussurrare del vento, il canto degli uccelli, la miscela profumata di fiori e erbe, lo stormire delle fronde, il mormorio delle acque, i colori sfumati o intensi relativi all’ora e alla stagione, che gli offriva il paesaggio in cui si trovava e insieme al fuggevole gioco di luci e di ombre ne rimaneva sedotto. Tutto questo risvegliava in lui una ebbrezza che lo afferrava, dalla quale si sentiva preso e trattenuto come un ostaggio. Allora era incapace di sottrarsi all’imperativo interiore di esprimere la gioia della sua esperienza, di fronte alla perfetta costruzione architettonica che è la natura. Quindi Lepori non poteva che esprimere tutto questo che definiva “ misteriosa forza che dà potenza creatrice.”
A proposito della sua sensibilità è interessante questo suo ricordo: “Quand’ero ancora infante spesso trascorrevo la notte insonne per un fuoco che mi bruciava in petto. Cos’era quel fuoco che mi toglieva il sonno? Era paura, tormento o fantasia? No. Mi accorsi poi che era poesia, che presomi, mai più mi lasciò. Per tutta la vita fui legato al sentimento, al mistero che è tormento: è poesia”. possiamo tradurla con ESPRESSIONE ARTISTICA. “Il giorno in cui saprò imprimere sulla tela un attimo di ciò che sento, potrò dichiararmi soddisfatto di aver speso un’intera vita per l’arte “ Quindi quel fuoco di cui parla nel ricordo di bambino, è un insieme di sensazioni e di sentimenti incontenibili che urgevano nel suo animo e che desiderava ordinare ed esplicitare.
LEPORI facendo arte, ha compiuto il processo di conoscenza della sua interiorità : ha fatto evolvere ed ha integrato la sua ombra nella sua personalità e questo gli ha conferito una decisa identità, Quale? Quella dell’artista.
Sentiamo cosa dice a proposito dell’artista:
“L’uomo artista è per così dire un malato per un ideale che lo tormenterà ovunque: lo farà soffrire e godere, passando da un eden ad un tormento infernale con se stesso e con gli altri. L’artista ama la sua arte più di ogni altra cosa…” e quindi il suo più grande dolore è quando vede il disprezzo delle proprie opere”. LEPORI ha amato l’arte più della fama, del successo, del denaro. E ancora: “Gli artisti, quando lavorano, non appartengono più al mondo e spesso le loro mani sono guidate da una misteriosa forza che dà loro potenza creatrice”. Qual è la concezione dell’arte di L? Ce lo dice lui stesso: “L’arte ha un linguaggio misterioso che arriva al cuore dell’uomo, è sollevare da terra gli uomini e spiritualizzare la materia, a tal punto da rapire il pensiero degli uomini e portarlo in alto”. Arte dunque come attività spirituale, come linguaggio universale capace di far vibrare in ogni persona gli aspetti belli, nobili, consoni alla sua dignità , quindi secondo L. l’arte contribuisce ad umanizzare l’uomo, ogni uomo, e a farlo sentire parte di quell’unica avventura che è il cammino dell’umanità.
Tommaso Francesco Anastasio
Materiale offerto gentilmente dalla Fondazione Gio Batta Lepori
Tommaso Francesco Anastasio insieme alle opere “Giornata di Pioggia” e “La Legnaia” del Maestro Gio Batta Lepori
Il sistema sociale e culturale mondiale a causa dell’iper-globalizzazione, si trova oggi a affrontare le nuove le sfide sul cibo del futuro con pochi strumenti a disposizione“. Una molteplicità di individui, già provati dallo Sciame Digitale della web society, (Han),a causa delle Fake News rischiano di smarrire in modo definitivo la dimensione del reale, e precipitare nel buco nero della rete (sciame digitale)”.
<<== Dott. Rosario Fittante -sociologo
La cottura del cibo, mediata dal fuoco e dagli utensili di cucina, ha il compito di “trasformare” un prodotto naturale (crudo), portandolo dallo stato di natura allo stato di cultura. Il cibo, dunque, è “culturale”. Secondo il sociologo e antropologo Levi-Strauss, (Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi 30 ottobre 2009) infatti, i prodotti dell’ambiente vengono lavorati in modo da essere commestibili secondo procedure dense di significati e di valori simbolici. L’uomo costruisce artificialmente il proprio cibo che allo stato natura non esiste, questo serve a distinguere l’identità delle bestie da quella degli uomini. La scelta degli elementi, il modo in cui vengono combinati, preparati e presentati, corrispondono a logiche culturali ben precise; quindi, la cucina risponde a determinati bisogni e in questo senso produce “cultura”.
Le diverse culture alimentari nel mondo oggi come ieri, con i loro riti e le loro tradizioni, e, custodi dei loro segreti, ci trasportano in un lungo viaggio tra i sapori, i profumi e colori della loro cucina. Da oriente a occidente tutte le società da quella tribale a quella moderna e post-moderna ha in sé un proprio sistema alimentare, che è depositario delle tradizioni e delle identità dei gruppi sociali ad essa appartenenti. Queste identità rappresentano uno straordinario veicolo di auto-rappresentazione e di scambio culturale. Nelle società di oggi l’alimentazione è diventata uno dei principali elementi che determinano l’identità culturale di ogni individuo. Da questa narrazione, vanno escluse quelle situazioni dove, in alcuni Paesi periferici, a causa dell’estrema povertà, il cibo diventa un mero bisogno fisiologico per la propria sopravvivenza. La cultura, quindi, condiziona le nostre scelte alimentari, nei tempi, e nei modi del nostro nutrimento, essa stabilisce anche quali cibi siano accettabili e quali no. In ogni cultura di riferimento la percezione del gusto varia significativamente, a seconda della posizione geografica, dalla condizione sociale e dalla religione . A volte i mutamenti sono parziali, di portata limitata e privi di ripercussioni significative nel sistema sociale, in altri casi invece può avvenire una trasformazione globale che ci porta a considerare il nuovo sistema come totalmente differente dal precedente”. È quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro con le nuove frontiere del cibo surrogato “dalle nuove tecnologie”, a causa dell’aumento della popolazione mondiale, e alla mancanza di cibo per le future generazioni. Questa narrazione, ci porta ad alcune riflessioni per cercare di comprendere come l’esplosione demografica “potenziale” della popolazione mondiale causerà una tale mancanza di cibo, che necessariamente dovrà essere sostituito in parte o in toto dal cibo “intelligente”, o cibo “alternativo”.
(la cultura è, secondo la definizione di Tylor, quell’insieme complesso che include la conoscenza, le credenze, l’arte, la morale, il diritto. Il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società).
Dieta mediterranea e Made in Italy
Prima di approfondire meglio la nuova frontiera del cibo, è necessario descrivere ciò che rende l’Italia, leader mondiale nel turismo enogastronomico, un settore che nel 2022 ha toccato un valore di 580 miliardi. Le esportazioni agroalimentari Made in Italy, nel 2022 hanno raggiunto il valore di 60 miliardi. Secondo una proiezione della Coldiretti su dati ISTAT, nel biologico oggi si contano circa 86mila aziende agricole e 25mila agriturismi che conservano da generazioni i segreti della cucina contadina. Il comparto impegna circa 4 milioni di lavoratori in 740 mila aziende agricole, 70 mila industrie alimentari, oltre 330 mila realtà della ristorazione e 230 mila punti vendita al dettaglio. “Made in Italy a tavola: prima ricchezza d’Italia – (rainews.it.” 10 Feb. 2023), Il fiore all’occhiello che ha contribuito e contribuisce fortemente al successo del turismo enogastronomico e del “Made in Italy”, è stata “La dieta Mediterranea “, che nel 2010 è stata riconosciuta dall’Unesco “Patrimonio Culturale immateriale dell’Umanità”, in quanto esempio di ricchezza culturale legata al territorio, alla convivialità, alla società, dove l’alimento si trasforma in un vero e proprio atto di relazione e condivisione. La D.M. viene presentata anche come modello di dieta sostenibile con i suoi effetti positivi sia in ambito ambientale che economico, le produzioni agricole e agroalimentare, infatti, assicurano insieme alla tradizione culinaria la qualità dal punto di vista organolettico e, dall’altro garantiscono criteri etici ed ambientali.
Secondo la Fondazione Umberto Veronesi, la letteratura scientifica degli ultimi decenni ci può aiutare a fare delle ipotesi sulle ragioni dell’effetto protettivo della dieta mediterranea sulla salute. Partendo dal fatto che tale stile alimentare prevede il consumo di alimenti a bassa densità calorica come la verdura, la frutta, i cereali e legumi che assicurano un apporto di fibra a che protegge dall’insorgenza di molte malattie croniche, è sufficiente citare due componenti della D.M. fondamentali per la prevenzione di molte malattie, che sono: le proprietà dei polifenoli contenuti nella frutta, nella verdura nei semi e nell’olio extravergine d’oliva, carotenoidi e vitamine come la C e la E. A livello temporale la sua nascita viene fatta risalire tra la fine degli anni Cinquanta.” e l’inizio degli anni Sessanta. Un modello nutrizionale completamente ispirato agli stili alimentari tradizionali dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Questo modello è stato esportato in tutto il mondo e ancora oggi rimane tra le diete che, associate a stili di vita corretti, risultano efficaci sia sul mantenimento della forma fisica che sulla salute.
Le Multinazionali del cibo
Secondo il rapporto di Oxfam
International, “una confederazione di 17 organizzazioni non governative che si
batte per risolvere il problema della fame nel mondo, pubblicato dalla testata
giornalistica indipendente “Il Fatto Alimentare”, con sede a Milano, ha
pubblicato l’identikit delle 10 aziende che governano il mondo
dell’alimentazione dando lavoro a più di 1,5 milioni di persone “oltre
all’indotto”, e sono:
Associated British Foods – “Marchi presenti in Italia: Twinings, Ovomaltina”, The Coca-cola Company – “Marchi presenti in Italia: Coca-cola, Fanta, Sprite, Acqua Lilla, acqua sveva, Nestea, Powerade”. Gruppo Danone – “Marchi presenti in Italia: Activia, Vitasnella, Actimel, M,ellin, Nutricia” , General Mills – “Marchi presenti in Italia: Haagen- Dazs Kellogg’s Company- “Marchi presenti in Italia Kellogg’s, Pringles”, Mars“Marchi presenti in Italia- M&M’s, Milky Way,Mondelez International Ind.- Marchi presenti in Italia: Philadelphia, Sottilette, Oro Saiwa, Milka, Halls, Hag, Tuc, Fonzie, Splendid, Ritz, Cipster, Fattoria Osella Nestlé – Marchi presenti in Italia: Buitoni, Nescafé, Maggi, Smarties, Perugina, Motta gelati, Antica gelateria del corso, Acqua Vera, Belté PepsiCo – Marchi presenti in Italia: Pepsi, Gatorade, Lipton ice Tea, Tropicana Gruppo Unilever – Marchi presenti in Italia: Calvè, Algida, Ben$Jerry’s, Knor, Lipton.
IL CIBO DEL FUTURO
“Funghi e Alghe”
Uno studio fatto su Nature Food ci mostra come la coltivazione di alcuni alimenti nelle fattorie al chiuso, alimentate da energie rinnovabili potrebbe permetterci di produrre alimenti altamente nutritivi su larga scala, sia nelle città che nelle comunità isolate. Si tratta delle alghe, e delle macro-alghe come l’alga zuccherina che è già utilizzata dalle popolazioni di alcune zone dell’Asia. Secondo questo studio, le nuove tecnologie consentono di coltivarle anche in larga scala, in impianti marini.
Esistono poi le microalghe come la spirulina molto popolare per il suo alto valore nutrizionale, poi c’è la chlorella vulgaris che viene venduta come integratore alimentare in quanto contiene ben 9 amminoacidi essenziali per l’organismo umano, già utilizzati dagli astronautici, nel 2019 gli scienziati della Nasa hanno iniziato a coltivarli a bordo dell’International Space Center, sia per il nutrimento che per fornire ossigeno. Se coltivati in bioreattori, potrebbero addirittura rimuovere il gas serra dall’atmosfera, in un processo simile alla fotosintesi, assorbendo l’anidride carbonica dall’atmosfera trasformandola in energia, utilizzando la luce del sole. A questo si aggiungono i funghi dai quali si possono ricavare le micro-proteine, una forma di proteina unicellulare, che ha un grande potenziale come integratore in polvere. Alcune aziende alimentari la stanno già utilizzando come sostitutivo della carne, per produrre alimenti surgelati come lasagne, bastoncini di pesce, crocchette e polpette.
Gli alimenti alternativi
Finlandia
Un interessante reportage sul cibo alternativo alla carne, realizzato su Rai 3 alcuni mesi fa dalla giornalista Sabrina Giannini, ci racconta quanto sia reale e vicino, il cibo del futuro: Finlandia: in questo viaggio, la giornalista incontra in un paesaggio quasi lunare, che evoca le conseguenze dello sfruttamento delle risorse del pianeta, tre ricercatori finlandesi che sostengono di poter sfamare l’umanità senza la carne e le proteine animali, senza bisogno di piante e animali. Il progetto è ancora segreto, di conseguenza non viene rivelato il luogo dove si svolgono queste ricerche. L’incontro avviene in un laboratorio in un luogo indefinito della Finlandia dove si produce attraverso un bioreattore, una proteina molto particolare dal colore intenso. Il processo spiega Il ricercatore, è simile alla produzione del vino o della birra, dove viene coltivato un batterio che cresce con l’anidride carbonica e l’idrogeno creati dall’elettricità, senza bisogno dell’agricoltura, la proteina ha il nome di “Soleina”.
Secondo la spiegazione data dal ricercatore, le cellule crescono e si moltiplicano, “come fanno le piante in natura”, creando i carboidrati dall’anidride carbonica, la differenza con le piante afferma che hanno bisogno della luce del sole, è che la “Soleina” si alimenta con l’idrogeno, la trasformazione in bio-cibo avviene all’interno di un reattore in acciaio “idrogeno-ossigeno-anidride carbonica. IL processo avviene attraverso la selezione di un microrganismo che si trova in natura, “la Soleina”, che viene messa in barattolo per la lievitazione e poi versato nel reattore che farà una precottura per due settimane, ma per crescere sono necessari alcuni mesi. Questo microrganismo produce carotenoidi come il betacarotene che da colore e sapore al prodotto, in aggiunta alle proteine ha anche minerali come il ferro, vitamina b9 e b12- La Soleina potrà essere utilizzata per ricreare la consistenza della carne.
La startup finlandese Solar Foods, ha dichiarato che il processo di produzione rende la Soleina 100 volte più ecosostenibile di qualsiasi altra fonte di proteine, produrre Soleina non richiede alcuna tecnica agricola. Non richiede terra arabile, non serve alcun tipo di irrigazione, è non è condizionato dal clima, e può essere prodotta in qualunque area del mondo. L’obiettivo della Solar Foods è quello di portare la Soleina, sugli scaffali dei negozi entro i prossimi due anni, inizialmente in forma di yogurt o di bevande proteiche. (Gianluca Riccio 10/07/2019 Futuro Prossimo-network ForwardTo)
Israele
In Israele si sta investendo molto nelle soluzioni tecnologiche per la produzione di alimenti alternativi, nella sua piccola Silicon Valley, vi è la più alta concentrazione di Startup per produrre le proteine alternative alla carne e al latte. Aleph Farms fino a qualche tempo fa era una Startup, oggi ha già pronta la bistecca del futuro senza uccidere un solo bovino. (tra i finanziatori vi sono Di Caprio). Secondo i produttori si tratta di carne coltivata ricca di proteine e povera di grassi con un sapore simile alla carne tradizionale. (il prodotto è in attesa di autorizzazione).
Il processo di coltivazione avviene attraverso l’estrazione di cellule muscolari dai bovini e con la formazione del tessuto in 3D, riproducendo all’esterno tutto il processo di crescita che normalmente si sviluppa all’interno del bovino. il risultato è secondo l’azienda produttrice una bistecca con sapore forma e consistenza identica alla carne. (per realizzare una bistecca sono necessarie 4 settimane).
Il miele: Ofir Dvash Amministratore delegato “Bee-Io-Honey” a Tel Aviv, imitano la produzione del miele con un processo di fermentazione attraverso un bioreattore, utilizzando microrganismi in grado di produrre proteine esattamente come fanno le api, combinando queste proteine con il nettare dei fiori, riescono ad ottenere un prodotto quasi identico al miele naturale.
Il Latte: Tomer Aizen Amministratore Delegato “Wilk” a Tel Aviv. afferma che per riprodurre il latte mammifero e quello materno, sarà sufficiente prelevare una cellula dalla mammella, che si riprodurranno autonomamente come negli animali. Per la riproduzione del latte umano in polvere, la società ha un accordo con il più grande ospedale di Tel Aviv per ottenere il latte dalle donne che stanno allattando, incentivandole con un compenso. Un’altra fonte è l’accordo con un ospedale dove eseguono la riduzione del seno delle donne, che una volta effettuata, viene recuperato il tessuto in esubero, dal quale verranno isolate le cellule epiteliali necessarie al processo di lavorazione.
Olanda
Mark Post, direttore del Dipartimento di fisiologia dell’Università di Maastricht, in Olanda, uno dei ricercatori più impegnati nel settore, ha creato il primo prototipo di carne cellulare al mondo. “Un metodo che può essere replicato in qualsiasi specie animali di allevamento, pesci compresi. “Il processo di produzione afferma, avrà sempre bisogno di animali, che possono essere ridotti 1,5 miliardi a 30 mila capi distribuiti su tutto il pianeta”. Il processo di produzione inizia attraverso il prelievo delle cellule muscolari dall’animale (sia in vita che dopo la morte naturale), si dividono le cellule di grasso da quelle muscolari, ogni cellula ne può creare mille miliardi, unite le cellule muscolari, si contraggono creando una catena che diventa tessuto muscolare, ricreando in laboratorio la materia prima da cui il Prof Post parte. “Con una cellula si possono fare 10 mila chili di carne, e realizzare 80 mila hamburger
Stati Uniti
Negli Stati Uniti Bezof ha acquistato la catena Wolf Foods Market che tratta alimenti biologici, ma anche qualsiasi tipo di prodotto sostitutivo di origine animale
Italia
Alberto Musacchio Amministratore delegato “Food Evolution”, a Piegaro in provincia di Perugia si producono Hamburger vegetali (una proteina di soia del grasso di cocco, olio di girasole, del grasso, aromi naturali e sale, come colorante l’estratto di barbabietola liofilizzato). In un anno si consumano 400 milioni di tonnellate di carne, 100 miliardi di animali vengono uccisi.
“Insetti”
Secondo una ricerca pubblicata dall’Accademia Italiana di Gastronomia e Gastrosofia (Revelli-Cutini -Taccuini Gastrosofici), gli insetti sono abitualmente consumati in circa 113 paesi nel mondo, e sono: I coleotteri (31%); bruchi di farfalle (18%); api, vespe e formiche (14%); cavallette, locuste e grilli (13%). Le aree geografiche che ne consumano maggiormente sono Messico, Africa, e Sud-Est Asiatico. Va sottolineato che in molte popolazioni il consumo di insetti non è dettato dalla scarsa disponibilità di cibo, ma al contrario è una componente della loro cultura alimentare e gastronomica, e, come è accaduto per moltissimi alimenti, da qualche anno hanno cominciato ad essere presenti nel mercato alimentare occidentale. Questo perché come spesso succede nel nostro sistema occidentale, la curiosità, la moda, la scoperta di nuove culture, tradizioni ecc, porta gli individui a scoprire altre varietà di alimenti come l’Entomofagia (regime dietetico che prevede di cibarsi con insetti).
Le previsioni di consumo di insetti in Europa toccheranno, entro 2030, 260 mila tonnellate per oltre 390 milioni di consumatori. (A. Lupini – 08/02/2023- Italia a Tavola).Da una recente indagine condotta su un campione di cittadini italiani, da parte del comitato scientifico (CSS) e l’università IULM di Milano, è emerso che più del 47% degli intervistati è favorevole alla liberalizzazione degli insetti per uso alimentare e che il 28 % proverebbe a mangiarli. Il sondaggio ha anche portato alla luce che ogni anno in media il consumo inconsapevole di insetti si aggira sui 500 gr (sono animali cosiddetti contaminanti alimentari comuni, tollerati dalla legge italiana in piccole percentuali, a spiegarlo è la docente Rosantonietta Scordamaglia. Membro del comitato scientifico CSS “un bicchiere di aranciata può contenere fino a 5 moscerini; una barretta di cioccolato fino a 8 parti di insetti; nell’insalata, nelle marmellate, nei succhi di frutta, nelle passate di pomodoro e nelle farine sono presenti insetti, e il colorante alimentare rosso E120 è estratto dalla cocciniglia”. Gli insetti attualmente autorizzati sono:
Locusta del deserto americano (Schistocerca americana gregaria)
Larva della farina (Tenebrio molitor)
Verme gigante della farina (Zophobas astratus)
Uno studio pubblicato su Comprehensive Review in Food Scienze and Food Safety, sulla sicurezza alimentare sul consumo di insetti, sottolinea, come il rispetto della normativa renda il consumo di insetti sicuro come quello degli altri alimenti, ponendo però l’attenzione sulla possibile comparsa di allergie, gli insetti infatti, presentano una struttura simile a quella dei crostacei e contengono la tropomiosina e la chitina, sostanze che in persone sensibili, potrebbero causare reazioni allergiche e shock anafilattico. I potenziali pericoli per la salute dei cibi sintetici, prodotti in laboratorio, sono 53, secondo il primo rapporto Fao- Oms sul “Cibo a base cellulare”.
Come si è potuto osservare da questa ricerca, il dibattito sul cibo del futuro rimane un argomento che farà discute molto sulla necessità di adottare i nuovi modelli alimentare a base di insetti e carne cellulare. La cultura occidentale forse non è ancora pronta ad accettare questa nuova frontiera del cibo, certamente sarà costretta ad affrontarla. Vi è sempre pronta però una minoranza, forse più intraprendente, curiosa o altro pronta a fare da apripista a questo nuovo modello alimentare.
Chi invece è convinto che i nuovi alimenti come gli insetti, la carne cellulare ecc “Novel Food”, possano essere la soluzione per risolvere il problema della fame nel mondo nel prossimo futuro sovraffollato. Le Multinazionali come abbiamo visto sono già pronte a cogliere e sfruttare questa nuova opportunità. Le nuove frontiere del cibo accompagneranno l’umanità ad un “iper-globalizzazione intelligente.? Oppure la potremmo chiamare “Web-Globalization versus Metaverso”?
Le nuove frontiere del cibo sono quindi vicine, il nuovo paradigma, ci deve portare ad un’attenta riflessione sociologica sul quale sarà nel prossimo futuro, quali i rischi e quale l’impatto nella società e come, questo nuovo fenomeno sociale potrà modificare culturalmente e socialmente gli individui?
““Il The Digital World, l’intelligenza artificiale, le Fake News, i Social Network, insieme al metaverso se non governati adeguatamente rischiano di precipitare l’individuo nel frullatore digitale, dove il confine tra “Reale E Irreale”, rompe gli argini e finisce nel vortice governato dalle Multinazionali”
Le guerre di conquista in Oriente ebbero importanti conseguenze sui costumi e sulla cultura romana perché permisero il contatto diretto dei Romani con la civiltà greco ellenistica.
A sin. Prof. Giovanni Pellegrino
Nel II secolo a.C. entrò prepotentemente a Roma la cultura greco ellenistica portata dai commercianti, dai soldati, dagli schiavi, dai letterati e dai filosofi. Contro di essa si contrappose quel partito tradizionalista impersonato da Catone il Censore che nella Grecia riconosceva il nemico dei tradizionali costumi romani. Per uomini come lui, la Grecia era un mondo privo di valori e di moralità che avrebbe irrimediabilmente minato le ammirevoli virtù civiche dei cittadini romani.
Catone condusse quindi una dura lotta contro l’ostentazione del lusso e della ricchezza privata diffusasi dopo la conquista dell’Oriente ellenistico. Altresì egli si oppose strenuamente alle tendenze ellenizzanti degli Scipioni cercando di fornire nel campo culturale un’alternativa al dilagare dei modelli greci. Sotto il patrocinio illuminato di Scipione Emiliano, intellettuali greci come lo storico Polibio e il filosofo Panezio, seppero fondere cultura ellenistica e ideologia romana formulando le prime teorie che giustificavano come provvidenziale per il mondo intero il dominio romano.Nonostante la dura opposizione di Catone i modelli greci penetrarono sempre più nel mondo romano in tutti i settori del mondo della cultura.
Dobbiamo dire che il circolo politico letterario facente capo alla famiglia degli Scipioni riuscì a trovare la giusta via di mezzo lasciandosi da un lato conquistare da tutto ciò che di bello la cultura greca offriva e dall’altro tenendo ben fermi i principi ed i valori del mondo romano. Il primo settore a essere interessato dall’influenza del mondo greco ellenistico fu quello religioso. Le divinità tradizionali romane furono definitivamente identificate con gli dei greci corrispondenti e rappresentate come tali. La mitologia greca fu largamente accettata nella mentalità romana anche se i riti specifici romani furono rigorosamente mantenuti.
Un fenomeno religioso nuovo consistette nella penetrazione di alcune divinità orientali in Italia: per fare degli esempi i culti di Bacco e della dea Cibele con le loro cerimonie orgiastiche causarono turbamenti nell’ordine pubblico a Roma. Per tale ragione in un primo momento tali culti furono proibiti in Italia con un decreto del Senato del 186 a.C.. Tuttavia in un secondo momento tali culti vennero gradualmente accettati anche se con vincoli e condizionamenti sociali.Ma altri culti entrarono a Roma in tale periodo storico. Per fare un esempio concreto entrarono nel mondo romano i culti di altri dei orientali venerati dagli schiavi o dai vari mercanti e affaristi che giungevano sempre più numerosi nella città di Roma. Tali culti orientali continuarono a diffondersi nell’ambito italico trovando anche qui un certo numero di adepti .
Nel complesso possiamo dire che nel II secolo a.C. si ebbe un certo ampiamento del numero di religioni che riuscivano a trovare adepti a Roma e tra le popolazioni italiche. Molto aperta fu senza dubbio Roma alla penetrazione della filosofia greca. Nell’ambito della filosofia greca stoicismo epicureismo e scetticismo furono le correnti del pensiero filosofico che trovarono spazio tra l’élite romane molto sensibili alla discussione di problematiche quali il rapporto tra l’individuo e lo Stato e tra la forza e il diritto. Il circolo degli Scipioni si lasciò guidare prima dal filosofo stoico Panenzio e poi dal suo allievo Posidonio di Apamea.
Dobbiamo mettere in evidenza che lo stoicismo diventò la filosofia più coltivata nell’ambiente aristocratico romano essendo compatibile con le tradizioni di legalità e responsabilità che rivestivano molta importanza nel mondo romano. Dopo la II guerra punica cominciò a Roma una vera storiografia. Essa in un primo momento era in lingua greca con gli “Annales” di Quinto Fabio Pittore ma successivamente si ebbe anche una storiografia in latino con le “ Origines” scritte da Catone il Censore. Seguendo i modelli greci la letteratura latina conobbe un notevole sviluppo con le commedie di Plauto e Terenzio e la poesia di Gneo Nerio e di Lucidio. A loro volta le arti greche conquistarono totalmente la società romana e il lusso dell’élite ellenistiche venne ripreso e praticato largamente ed ampiamente dai ceti sociali superiori romani.
Non possiamo mettere in dubbio che l’aperura verso tali influssi stranieri nonostante resistenze e reazioni fu accompagnato da un certo cambiamento di mentalità. Verso la fine del II secolo a. C. le usanze sociali romane divennero più permissive rispetto al passato. Per fare degli esempi basti pensare all’aumento del numero dei divorzi ma anche al lusso praticato dai ricchi. In tale periodo storico si verificò nel mondo romano una certa emancipazione delle donne che ormai potevano ereditare e fare testamento. A sua volta l’educazione e il comportamento dell’ élite sociali subirono un grande l’influsso greco cosicché la lingua greca ne diventò il tratto culturale specifico e caratterizzante.Tra le novità apportate da questo cambiamento senza dubbio epocale si può annoverare anche una certa labilità morale nei ceti sociali superiori. Tale labilità morale determinò una tendenza a trasgredire le regole politiche e sociali rigide degli antenati per promuovere interessi particolari degli individui.
Da quanto abbiamo detto finora appare evidente che il panorama culturale romano del II secolo a.C. andò incontro a quelli che gli storici sociali e i sociologi definiscono fenomeni di mutamento sociale strutturali. Tali mutamenti furono anche molto veloci e profondi dal momento che interessarono non un solo settore della vita sociale e culturale ma numerosi ambiti socio culturali come abbiamo cercato di mettere in evidenza in questo articolo. Concludiamo il nostro discorso precisando che nel secolo successivo molti di tali fenomeni di mutamento sociale registreranno un aumento di tipo esponenziale.
La società italiana segna un ritorno agli urlatori. Nulla a che vedere con quella corrente musicale che fece la sua breve apparizione nel corso dei “Trenta gloriosi” dello scorso secolo, quando il Paese attraversava il cosiddetto boom economico.
A sin. Antonio Latella
Ci dispiace deludere qualche nostalgico di Tony Dallara che fischietta ancora il suo cavallo di battaglia “Romantica”. In questa sede non prenderemo in esame neanche la disputa generazionale tra i sostenitori del genere melodico riconducibile a Nilla Pizzi, a Claudio Villa, Luciano Tajoli, e quelli dei cosiddetti anticonformisti da Celentano a Joe Sentieri.
Vorremmo, ma non possiamo e, soprattutto non vogliamo: non siamo tuttologi, ci mancano le competenze. Preferiamo invece parlarvi della società di oggi: ridotta in stato confusionale dall’aggressività del linguaggio quasi sempre urlato e, ahinoi, entrato ormai in tutti i segmenti della vita sociale, politica, istituzionale, sindacale, religiosa, associazionistica,culturale. E chi più ne ha più ne metta.
Oltre ai decibel dei tradizionali media – radio e televisione – si registra il tentativo del ritorno all’uso della piazza: messo in atto dal sindacato, dalla politica, da gruppi di disobbedienti, dai “neoluddisti” dell’ambientalismo e dal clero. E non solo. La piazza dei partiti di massa e del sindacato del periodo fordista è solo un ricordo del passato rimastoci in mente tra nostalgia e folclore. Tutto “resettato” dai paradigmi neoliberisti, dal capitalismo finanziario che prima desertifica, poi passa alla conquista di nuove terre vergini sempre più funzionali alla massimizzazione del profitto.
I problemi sociali non si risolvono alzando la voce e con il ritorno alle piazze che, nella società della comunicazione, sono diventate virtuali, più pericolose, invadenti e anarchiche. In realtà si tratta solo un ricordo dei nostalgici dell’arengario come se il tempo si fosse fermato alle adunate oceaniche caratterizzate da slogan, bandiere politico-sindacali e dalle truppe trasportate da treni speciali e da pullman che da nord e sud confluivano a Roma per sfilare per le vie della capitale prima di confluire a piazza San Giovanni.
Viaggi a carico della politica e del sindacato: “imbucarci” per una trasferta gratis a Roma, compresa di cestino con colazione e bibita (sempre a scrocco) per noi della generazione dei baby boomers era un vero piacere nonostante l’iniziale disagio di portarci dietro una bandiera rossa o con la sigla di un sindacato di ispirazione cattolica: imbarazzo che, tuttavia, durava il tempo dell’avvio del corteo. Poi gli stessi simboli venivano abbandonati in un cassetto dell’igiene ambientale per consentire di diventare normali turisti e senza l’obbligo di cantare l’inno dell’Internazionale.
La piazza faceva parte di una precisa strategia sindacale e dei partiti di opposizione che, mostrando i muscoli, riuscivano a centrare solo parzialmente i loro obiettivi e, qualche volta, riuscivano a mettere in crisi il governo la cui resilienza non avrebbe retto alle istanze sociali del Paese. Anche perché, all’epoca, gli esecutivi erano destinati a durare ancor meno di oggi. Perciò, il recupero di questo vecchio cavallo di battaglia della sinistra è un non senso. Per tutta un serie di motivi e circostanze passate ormai alla storia: la crisi della stessa sinistra in primo luogo, che ha dato fiato alle destre e ai movimenti populisti; la fine dei partiti della prima Repubblica, demoliti dal terremoto giudiziario di “mani pulite”, ispirato dalla vecchia sinistra raccogliticcia in un coacervo di ideologie che ha prima spianato la strada al berlusconismo e, una volta imploso quest’ultimo, anche a causa dell’illusione patita dal Paese dall’incoerenza del Movimento 5S, ha spostato l’elettorato su Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.
Le capacità della Premier sono indiscutibili, ma la prima leader donna del nostro Paese è costretta a gestire con grande fatica i continui distinguo e il protagonismo degli altri partner di Governo. Compito che l’attuale Primo ministro sta svolgendo con acume politico e autorevolezza. Agevolata in questo compito da una larga maggioranza che, nonostante le continue fughe in avanti di qualche suo “generale”, riesce ad andare avanti in un Parlamento sempre più svuotato della sua primaria funzione legislativa per lasciare spazio alla decretazione d’urgenza. Si tratta di un vecchio sistema che ci rimanda ad epoche lontane della storia d’Italia.
Ai parlamentari va bene così… ed allora meglio affidarsi alla piazza e agli urlatori di turno. Nostalgia e folclore, ma niente pathos, solo presenzialismo: apparire, salire sull’arengario e strappare applausi di circostanza, amplificati dall’ipocrisia. Basta urlare, demonizzare l’avversario: come tanti granelli di un rosario di quindici poste per attribuire le colpe sempre agli altri. In uno scenario di angeli e demoni. I viaggi di protesta nella capitale – fermi per la pandemia- sono regolarmente ripresi: non sappiamo e non ci interessa sapere a spese di chi. La partecipazione non è certo quella di un tempo, anche per la diminuzione della rendita statale destinata alla politica e per l’emorragia di iscritti al sindacato.
Sull’arengario, a turno, salgono vecchie e nuove figure ma le platee sono sempre più ridotte, tanto da costringere gli operatori televisivi ad evitare i campi lunghi. Nel sindacato le gerarchie degli interventi oratori vedono prima la Cgil seguita da Cisl e Uil: ognuno imposta la voce, si agita, suda, grida in attesa dell’applauso che spesso tarda a venire. E’ il finale di tutti gli interventi si condensa nella “minacciata” d mobilitazione del Paese. Glioratori della politica emettono sentenze contro governo e maggioranze che lo sostengono: per loro tutto è sbagliato e tutto è da rifare. Sembra un film ripetuto quotidianamente dalle tv di Stato e dalle reti commerciali.
Sul palco degli urlatori, non mancano gli arcieri della società civile e i sacerdoti antimafia. Questi ultimi invece di citare il Vangelo – i cui insegnamenti sono antimafia e, al tempo stesso, anticorruzione, di condanna ai ladri, allo sfruttamento dell’uomo da parte di altri uomini, e di invito ai tutti i cristiani al rispetto della solidarietà, contro il razzismo, le guerre, le discriminazioni – parlano molto di condanna e poco di redenzione, conversione, perdono. I sacerdoti del Terzo millennio amano poco la povertà invocata da Papa Francesco per farsi contagiare della società consumistica dimenticando la loro vera missione evangelica, a beneficio delle tentazioni secolari.
A completare il quadro sono i campioni della convegnistica che, al giorno d’oggi, pare abbiano smarrito completamente la propria funzione di approfondimento delle questioni, anche dal punto di vista tecnico, per diventare ilpiccolo proscenio messo a disposizione di ego ipertrofici e autoreferenziali. Il campionario dei temi trattati è il più disparato: la parità di genere, il femminicidio, la legalità, lo sviluppo economico, le politiche per il Mezzogiorno, il PNRR, i beni confiscati alle mafie e anche il Ponte sullo Stretto, e via dicendo. Resta da chiedersi come mai anni, se non decenni, di convegni, seminari, tavole rotonde et similia abbiano lasciato intatti i problemi del Mezzogiorno, i femminicidi, la questione di genere, il sottosviluppo economico e la mafia, mentre del Ponte non c’è neanche l’ombra di una pietra. Perché magari non parlare un po’ di meno – possibilmente senza strillare quando lo si deve necessariamente fare – e agire di più?
* Sociologo, giornalista e presidente nazionale dell’ASI- Associazione Sociologi Italiani –