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IL SISTEMA DI STATUS NEL GRUPPO

In questo articolo prenderemo in considerazione il sistema di status esistente nei gruppi.

Prof. Giovanni Pellegrino ===>>

Il gruppo deve essere considerato alla stregua di un organismo vivente in quanto esso è qualcosa di più della somma degli individui che ne fanno parte. La vita del gruppo è in ogni caso caratterizzato da alcuni fenomeni dinamici che possono essere notati da un osservatore esterno. Reimann afferma che la vita di un gruppo è scandita da alcuni fenomeni ricorrenti che permettono la sua strutturazione e il suo funzionamento nel tempo. Quindi i membri di un gruppo possiedono uno status sociale diverso l’uno dagli altri. Possiamo definire lo status di gruppo la posizione che un individuo occupa in un determinato gruppo ovvero il livello che il soggetto occupa nella scala di potere e di prestigio del gruppo.

Gli psicologi sociali e i sociologi hanno individuato alcuni indicatori che ci permettono di capire qual’ è lo status di gruppo di un individuo. Noi prenderemo in considerazione in questo articolo due indicatori : la tendenza a prendere iniziative e la valutazione consensuale del prestigio posseduto da un dato membro del gruppo. Per quanto riguarda la tendenza a prendere iniziative appare evidente che chi ha uno status di gruppo più elevato ha più potere di promuovere iniziative che vengono accettate dal gruppo rispetto a chi ha uno status di gruppo meno elevato.

Un altro importante indicatore dello status di gruppo è la valutazione consensuale del grado di prestigio posseduto dai vari membri. In genere questo consenso non esiste solamente per le posizioni estreme ma anche per quelle intermedie. In genere nei gruppi i cambiamenti di status non sono clamorosi e imprevedibili ma seguono una logica posizionale .Alcune volte accade che il cambiamento delle attività di gruppo determini delle modifiche nel sistema di status del gruppo. Riguardo al modo in cui si forma il sistema di status di gruppo la maggioranza degli autori ritiene che esso si formi col passare del tempo attraverso alcuni comportamenti quali aiutare il gruppo a raggiungere i propri obiettivi , conformarsi alle regole interne,  sacrificarsi in favore del gruppo.

Secondo Berger il sistema di status può basarsi anche su caratteristiche percettive particolarmente ammirate e idealizzate. Vogliamo anche mettere in evidenza il fatto che nei gruppi devianti o criminali il sistema di status nel gruppo si basa su criteri molto diversi da quelli vigenti in altri gruppi. Per fare un esempio in questo tipo di gruppo ottengono status elevati gli elementi più violenti e più patologici oppure quelli dotati di maggiore forza fisica. Dobbiamo anche dire che nelle bande di adolescenti i fenomeni di emulazione e di contagio psichico amplificano l’innata tendenza alla violenza presente nei singoli membri del gruppo. Pertanto, si istituisce la nota e perversa “ logica del branco” che porta spesso gli individui a compiere azioni non degne di esseri umani ma molto simile a quelle compiute dagli animali più violenti.

A questo punto continueremo il nostro discorso intorno al sistema di status di gruppo dicendo qualcosa su una interessante teoria detta degli “ stati di aspettativa” che cerca di spiegare il rapido sviluppo del sistema di status nei piccoli gruppi. Tale teoria parte dal presupposto che i membri di un gruppo formano fin dai primi incontri un sistema di aspettative concernenti i contributi che ciascun soggetto potrà fornire a raggiungimento degli obiettivi che il gruppo si propone di raggiungere . Le caratteristiche personali che verranno giudicate più adatte al raggiungimento degli scopi in questione avranno maggior forza di impatto sulla formazione delle aspettative. Di conseguenza gli individui che possiedono le caratteristiche più funzionali agli scopi del gruppo avranno il privilegio di vedersi assegnate le posizioni più elevate nel sistema di status di gruppo.

Tuttavia, queste assegnazioni di status non sono definitive ma solamente provvisorie in quanto diverranno stabili solamente le aspettative formulate nei primi incontri che verranno confermate dai dati di fatto. Di conseguenza quei membri che con il loro comportamento deluderanno le aspettative che si sono formate nei primi incontri subiranno un declassamento nel sistema di status. Al contrario quei componenti del gruppo ai quali erano stati attribuiti status bassi se dimostreranno col loro comportamento di valere più di quando si pensava si vedranno attribuire status più elevati. Tuttavia, essi dovranno faticare più del necessario per dimostrare il loro valore dal  momento che non è facile vincere la forza dei pregiudizi derivanti dalle aspettative maturate nei primi incontri.

Quindi il sistema di status di gruppo è continuamente modificabile alla luce della prova dei fatti. Anche il confronto con gruppi che condividono lo stesso habitat sociale può contribuire a modificare il sistema di status di gruppo in tempi anche brevi. Se la formazione del sistema di status del gruppo è un fenomeno sempre presente nella dinamica di gruppo deve avere delle funzioni importanti , deve servire a qualcosa . Ed in effetti esso crea ordine e prevedibilità all’interno del gruppo coordina le varie forze in vista del raggiungimento degli obiettivi del gruppo. Inoltre, il sistema di status del gruppo è funzionale all’ auto valutazione di ogni membro tanto che chi ha uno status elevato possiede un’autostima maggiore di chi ha uno status basso .

Palmonari afferma che a parità di prestazioni chi ha uno status alto viene giudicato più positivamente di chi possiede uno status inferiore il ché contribuisce ad aumentare l’autostima di quanti hanno uno status elevato. Non dobbiamo infatti dimenticare che il grado di autostima di un individuo dipende in gran parte dai risultati che riesce ad ottenere nella vita sociale. Infatti, un individuo che continuasse ad avere un forte grado di autostima anche se condiziona una serie di sconfitte nei vari settori della vita sociale dimostrerebbe di aver perso il contatto con la realtà. Appare infatti chiaro che se qualche sconfitta e qualche risultato negativo possono essere attribuiti ad eventi sfortunati una lunga serie di sconfitte deve far pensare che l’individuo non è dotato di grandi qualità oppure ha una personalità fragile che non gli permette di sfruttare pienamente le sue qualità.

A nostro avviso per ottenere risultati positivi nella vita sociale occorrono vari fattori quali adeguate qualità e risorse personali , una personalità forte e ben strutturata , una ben motivata fiducia in sé stessi. Naturalmente se a tutte queste condizioni si aggiunge una certa dose di fortuna tutto sarà più facile anche se vogliamo mettere in evidenza che la fortuna da sola non può permettere una lunga serie di successi ma al massimo qualche vittoria nei vari settori della vita sociale. A questo punto riteniamo concluso il nostro discorso sul sistema di status nel gruppo.

                                                    Prof. Giovanni Pellegrino


LA CONCEZIONE DELLO STATO DI MACHIAVELLI

In questo articolo prenderemo in considerazione la concezione dello Stato di Machiavelli. Tale concezione è pesantemente condizionata dal fortissimo pessimismo di Machiavelli che pensava che gli uomini fossero per natura malvagi. Ma proprio da questo pessimismo scaturisce per Machiavelli la necessità dello Stato, considerato il solo rimedio con cui si poteva vincere la crudeltà pericolosa degli individui.

<<=== Prof. Giovanni Pellegrino

Nei capitoli centrali del Principe il concetto sul quale Machiavelli insiste continuamente per giustificare i consigli crudeli che egli dà al suo principe è che solo operando duramente contro chiunque lo minacci egli salverà lo Stato e con esso la possibilità stessa del vivere civile. Secondo Machiavelli per mantenere lo Stato occorrono alcune virtù e soprattutto tre istituzioni: religione, leggi, milizia, mancando le quali non può esservi che estremo disordine estrema rovina.

Per questo Machiavelli discute spesso della religione, insiste sulle leggi e pone al centro del suo pensiero le milizie. Per Machiavelli la religione non è un sentimento individuale ma un fatto sociale che obblighi al rispetto della parola data e leghi l’individuo allo Stato. Machiavelli è estremamente duro con la Chiesa cattolica che viene accusata apertamente di aver causato la rovina dell’Italia. Spesso Machiavelli estende l’accusa dalla Chiesa alla stessa religione cristiana accusata in confronto con la religione pagana di essere troppo tendente a richiamare l’attenzione degli uomini dalla terra al cielo.

Lo Stato per l’autore fiorentino accentra in sé tutta la vita civile e la stessa vita interiore dell’uomo cosicché nel pensiero di Machiavelli pare esservi poco spazio per altri valori fuori dallo Stato. Rimossi o subordinati questi valori non resta che lo Stato e non resta che il cittadino giudicato secondo il suo grado di socialità e la forza delle sue virtù civiche. Da ciò l’insistenza del Machiavelli sul termine di virtù una parola che deriva dal latino vir. La virtù si arricchisce di una nuova carica morale e sentimentale e diventa la virtù per eccellenza ovvero quello che distingue il vero cittadino dall’uomo privo di socialità.

L’opera del Machiavelli è tutta piena di eroi caratterizzati dal massimo grado della virtù. Questi personaggi si mettono in evidenza per la loro abilità di fondare e mantenere in vita gli Stati grazie alla loro eccezionale virtù. Tuttavia, il Machiavelli figlio anche in questo del suo tempo constata l’esistenza di limiti all’agire umano che è condizionato dalla situazione in cui opera. È ciò che Machiavelli chiama “occasione” e che noi con una parola moderna possiamo definire situazione condizionante. Per Machiavelli l’uomo anche geniale e “virtuoso”. Al massimo grado per poter esprimere interamente le sue qualità deve trovarsi in situazioni che gli permettano di mettere in atto le sue doti potenziali. Ma se” l’occasione” condiziona l’agire politico anche degli uomini più virtuosi vi è fuori dalla portata delle capacità umane una forza che può limitarle.

Machiavelli chiama tale forza col termine Fortuna. La Fortuna è per lui ciò che è estraneo al volere dell’uomo e alla sua capacità di previsione. La Fortuna è altresì il caso brutale che può intervenire e distruggere i disegni meglio architettati, l’avvenimento fortuito che può annientare l’uomo più virtuoso. In questa concezione del mondo e dello Stato di Machiavelli era implicita anche una morale. Infatti, l’accentuazione del valore dello Stato, come unica istituzione che assicuri una vita civile, dovevano portare logicamente Machiavelli a fissare per le nostre azioni un criterio di giudizio meramente politico. Machiavelli non poteva accettare pertanto una legge morale dettata da Dio che fosse fuori dal potere dello Stato.

Machiavelli fondò un nuovo criterio di giudizio morale fondato solo sulla “verità effettuale “cioè sulla realtà qual essa effettivamente è. Possiamo dire che col concetto di verità effettuale elaborato da Machiavelli la politica diventava davvero un’attività autonoma dotata di una morale sua propria che le permetteva di trovare una sua piena autonomia. Nel pensiero di Machiavelli l’uomo politico va giudicato e condannato o esaltato solo per la congruenza delle sue azioni ai suoi fini. Le pagine fondamentali per capire questo aspetto del pensiero di Machiavelli sono i capitoli centrali del Principe là dove egli tratta delle virtù che il principe deve possedere.

In tali pagine del Principe egli cerca di dimostrare come certe azioni buone secondo la morale dell’uomo privato siano cattive in politica inquanto danneggiano lo stato e con esso la comunità. Al contrario altre azioni cattive, se commesse dal privato, sono buone in politica in quanto aiutano a mantenere in vita lo Stato e pertanto aiutano la comunità. Vi è dunque in Machiavelli una distinzione tra morale privata e morale politica e le infrazioni che Machiavelli consiglia nei riguardi della morale corrente, sono consigliate solo per il politico e solo in quanto utili allo Stato.

D’altra parte, Machiavelli fa una distinzione tra principi e tiranni considerando tiranno chi governi a suo vantaggio, principe che agisce nell’interesse dello Stato cioè della collettività. A mettere insieme i tanti passi del Principe nei quali egli consiglia la violenza la crudeltà ma solo quando sono necessarie, verrebbe voglia di dire che il principe sia concepito dal Machiavelli come una vittima della sua posizione, un uomo costretto dalla malvagità altrui ad essere anche crudele. Il Principe per Machiavelli è una specie di asceta della politica disposto a giocarsi anche l’anima pur di adempiere al proprio dovere e mantenere in vita lo Stato.

D’altra parte, è evidente in Machiavelli la preoccupazione nei riguardi del popolo oggetto di una cura alla quale si deve sacrificare tutto dal buon nome all’anima. In estrema sintesi si può dire che Machiavelli considera il suo Principe uno strumento il solo possibile allora a servizio dei sudditi; pertanto, la morale crudele che egli consiglia solo quando sia necessaria è vista appunto in funzione di quel benessere dei sudditi che è conseguente all’esistenza di una Stato ordinato e tranquillo, sicuro da nemici esterni e non condizionato dai disordini provocati dai nemici interni.

Secondo Machiavelli contro i nemici interni vi è il riparo della severità ragionata del Principe, mentre contro quelli esterni vi sono le milizie, uno dei problemi che più preoccuparono il Machiavelli e che egli risolse in un modo che è veramente caratteristico per comprendere il suo pensiero. Egli nella sua vita pubblica ebbe modo di constatare il disordine che regnava quando lo Stato si serviva di milizie mercenarie. Pertanto, Machiavelli fu indotto a  consigliare la costituzione di milizie cittadine, che essendo costituite appunto da cittadini non creassero quei problemi propri delle milizie mercenarie. Pertanto, Machiavelli aveva chiara la visione di uno Stato che pur essendo tutto accentrato nelle mani di un principe fosse però costruito in modo tale da garantire il benessere e la tranquillità dei sudditi.

I sudditi quindi dovevano essere interessati alla difesa dello Stato in modo tale che esso non doveva utilizzare milizie mercenarie . Machiavelli appunto perché era mosso da interessi politici vivi e passionali non si accontenta di analizzare e descrivere ma è portato continuamente a sottoporre ai risultati della sua analisi le esigenze della sua passione . Molto importanti sono anche le opere storiche del Machiavelli che possono essere considerate un complemento degli scritti politici nel senso che con esse il Machiavelli intendeva dimostrare ,attraverso lo studio del passato, la validità delle sue tesi.

Lo scritto storico più importante sono le Storie fiorentine .Il fine di tale opera è indicato chiaramente nel proemio dove il Machiavelli rimprovera gli storici umanistici di essersi limitati a raccontare gli avvenimenti di politica estera tralasciando le discordie interne . Machiavelli al contrario degli storici umanistici insiste proprio sulla storia interna di Firenze convinto che tale storia può essere di ammaestramento ai contemporanei e insegnar loro le virtù e i vizi che hanno condotto alla situazione presente.

Concludiamo tale articolo dicendo qualcosa sul giudizio formulato sul Machiavelli dopo la sua morte . Per capire la fortuna di Machiavelli bisogna pensare che subito dopo la sua morte ebbe inizio l’età della Controriforma durante la quale il mondo cattolico fu impegnato a difendersi dalla Riforma Luterana . Inoltre, il mondo cattolico fu costretto a combattere con gli aspetti del Rinascimento in contrasto con la sua concezione della vita .La nuova generazione perciò respinse i rimproveri del Machiavelli alla Chiesa cattolica accusata di avere impedito l’ Unità d’ Italia . La nuova generazione cattolica respinse altresì i rimproveri ancora più gravi al cristianesimo accusato di aver infiacchito gli animi .

Per queste ragioni Machiavelli divenne il bersaglio maggiore dei teorici della Controriforma tanto che il termine di Machiavellismo fu usato dai cattolici per indicare una dottrina eretica e immorale . A difenderlo da  queste condanne  provenienti dal mondo cattolico alcuni scrittori elaborarono già nel 600 la tesi ripresa anche dal Foscolo, di un Machiavelli che avrebbe finto di consigliare il principe per poterne invece svelare le malefatte e denunziarle al popolo . Questa è una tesi che contravviene alla realtà storica . Altri autori infine hanno esaltato il Machiavelli presentandolo quale campione del pensiero laicista e apostolo dell’ Unità italiana ( basti pensare al De Sanctis). Detto ciò, riteniamo concluso il nostro articolo sulla Concezione dello Stato di Machiavelli .

                                                                 Prof. Giovanni Pellegrino


PAROLE, MALESSERE SOCIALE E DEFICIT DI RESPONSABILITA’

di Antonio Latella

Da quando la pandemia condiziona le nostre vite, le parole sono diventate il conduttore del malessere sociale.

<<=== Antonio Latella

Il mondo è frastornato dalla babele di messaggi talmente veloci da rendere impossibile qualsiasi tentativo di decodifica. Un bombardamento che offusca le nostre capacità cognitive fino a farci diventare eterodiretti. Populismo, negazionismo, fake news sono un micidiale arsenale in mano a gruppi di persuasori occulti che dalle paure e dai bisogni della gente traggono grandi vantaggi: consenso, potere, business. 

Siffatti comportamenti insinuano in noi il sospetto che il mondo sia alle prese con due conflitti globali: quello contro la pandemia e l’altro, non dichiarato, che vede la scesa in campo delle multinazionali del farmaco e di altri gruppi di interesse funzionali alla società consumistica. Guerre dagli esiti incerti: per il futuro dell’uomo innanzitutto e per il pianeta violentato dall’indiscriminato sfruttamento delle risorse naturali.

Siamo giunti ad un punto di non ritorno: o si cambia oppure il destino del mondo è segnato. In guerra – osserviamo – è importante una comune strategia: comportamenti unitari, condivisione per resistere alle difficoltà dell’oggi e all’incertezza del domani.   Bisogna “cambiare strada”: nuove regole di condotta, comuni responsabilità per assicurarci una rigenerazione della politica, nuovi modelli di protezione del pianeta e l’umanizzazione della società. In Italia, invece, siamo alle prese con un preoccupante quanto pericoloso deficit di responsabilità. Anche perché, ampliando ad libitum il concetto di libertà, individui e gruppi danno vita ad episodi di disobbedienza, di anarchia, di protesta che sono alla base di un conflitto difficile da gestire.

È vero, la metamorfosi del “Vascello Terra” (Edgar Morin) ci mette di fronte ai cambiamenti legati all’attuale società tecnico – scientifica e all’affascinante, quanto pericoloso, strapotere della comunicazione globale. Strumenti che, da un lato, hanno spalancato grandi orizzonti di democrazia e di partecipazione, e, dall’altro, ci rendono sempre più disorientati, quasi impotenti, rispetto alla velocità dei messaggi che provoca l’istintività dei nostri comportamenti che alimentano forme di litigiosità e di disagio sociale.  Si formano così quelle legioni di imbecilli (Umberto Eco) che brillano nell’uso di linguaggi da bar dello sport.

 Il mondo sembra aver perso il senso di responsabilità, nei comportamenti come nel linguaggio che tutti siamo chiamati a modificare. Invece ci troviamo di fronte a una preoccupante e pericolosa spinta anarcoide.    La rete, la più grande influencer della postmodernità, è diventata l’arengario di milioni di follower che affollano le piazze virtuali. A volte basta un breve messaggio, una parola, un like, un’emòticon per scatenare malcontento, disagio e inquietudine: sentimenti difficilmente gestibili. Deficit di responsabilità che, in questi due anni di guerra contro il Covid-19, coinvolge numerose categorie sociali e professionali: che non solo disobbediscono alle norme di tutela della salute, ma quando nei loro confronti viene applicata una qualsiasi sanzione attuano tentativi estremi come il ricorso alle giurisdizioni penali e amministrative.

Il deficit di responsabilità non ha confini. È un fenomeno globale che si allarga a macchio d’olio in tutti quei contesti nazionali dove i governi, presi dal timore di diventare impopolari con la conseguente perdita di consensi, tentennano prima di assumere provvedimenti di interesse generale. A volte succede, come nel caso del rave party del viterbese, con migliaia di persone che sfuggono a qualsiasi controllo preventivo del territorio. E quando, finalmente, viene scoperta la loro illegale presenza, gli apparati di sicurezza dimostrano la loro totale debolezza.

Deficit di responsabilità è anche quando un’amministrazione pubblica programma concerti di piazza e avvia un braccio di ferro con le autorità sanitarie che sconsigliano manifestazioni del genere. E per difendere una scelta pericolosa per la salute pubblica chiedono la mediazione dell’autorità prefettizia. Boh!

Un medico che rifiuta di vaccinarsi, non perché dubiti dell’efficacia scientifica del vaccino ma per una semplice questione di “principio” o “ideologica”, diventa un portatore di deficit di responsabilità. La stessa irresponsabilità in capo agli esponenti della politica la cui coerenza diventa un optional dal momento che, da un lato, sostengono le decisioni assunte dal governo e, dall’altro, le criticano in nome di un comportamento cerchiobottista.

Un modo qualunquista per affrontare i problemi, come quello riconducile al disimpegno dell’occidente in Afghanistan legato alla gestione dei profughi in fuga verso l’Europa, per sfuggire alle vendette dei talebani. E sull’accoglienza dei profughi, l’Europa mostra altri preoccupanti segnali di divisione.

Antonio Latella – direttore di sociologiaonweb.it


Gli impresentabili e i sepolcri imbiancati

Editoriale di Antonio Latella

Toh! Si riparla di impresentabili. Una patente più “politica” che eminentemente giuridica. Tant’è che di questa categoria non vi è traccia né nel codice penale, né in quello di procedura e, soprattutto, nella Costituzione che fissa il principio della presunzione di innocenza di ogni cittadino fino a sentenza passata in giudicato.

<<== Antonio Latella

Tutto questo è suffragato dal fatto che alla pubblicazione dell’elenco degli “impresentabili” non segua una sanzione di incandidabilità o di ineleggibilità.  Tuttavia non vi è alcun dubbio che il candidato cui viene rilasciata la patente di “impresentabile” venga colpito da una sorta di stigma che sovente ne danneggia l’immagine e probabilmente anche il risultato elettorale.  Anche in considerazione della tempistica di pubblicazione dell’elenco degli impresentabili che, fino alle ultime elezioni, avveniva in prossimità del voto, quando sarebbe stato più logico farlo prima della presentazione delle liste.  Una soluzione in tal senso è stata decisa di recente dalla stessa Commissione parlamentare antimafia.

Nonostante la non obbligatorietà della procedura, numerose liste di candidati che parteciperanno al voto in autunno hanno richiesto all’Antimafia una verifica preventiva. 

A questo punto diventa difficile ipotizzare quali saranno i criteri di valutazione e, soprattutto, se le decisioni saranno condivise o assunte a maggioranza. Non si escludono sedute infuocate. Certo, non si può non tenere conto della precedente condotta dei candidati, di eventuali condanne, di riabilitazioni o di sopraggiunte prescrizioni che non hanno lasciato traccia sulla fedina penale.  Ben altra cosa sono l’avviso di garanzia o uno spiffero investigativo.

Insistiamo. La semplice patente di “impresentabile”, così come fino ad oggi strutturata, finisce per tramutarsi, forse involontariamente, in un potenziale strumento di lotta politica. Anche perché ad emanare l’elenco è un organismo bicamerale composto da politici appartenenti a partiti e movimenti che partecipano alle varie competizioni elettorali che si svolgono in Italia. 

Leggendo i giornali abbiamo la sensazione che esista di fatto una scuola di pensiero che pare voglia dividere il Paese in mafia e antimafia. La prima esiste, come dimostra la variante ‘ndrangheta (una delle più potenti organizzazioni criminali globali), la seconda, riconducibile alla cosiddetta società civile, funziona come l’alta marea: compare e scompare.  Sull’altro versante la metamorfosi criminale continua a conquistare spazi vitali sia nell’economia che nel settore finanziario dove vengono riciclati i proventi del traffico di droga e delle estorsioni.

Tramontata l’era dell’antimafia dei canti, dei balli e delle infiorate, oggi assistiamo al protagonismo di alcuni segmenti di questo movimento che continuano a fare incetta di beni sequestrati e confiscati, ma non si conosce il numero degli occupati  prodotto da questa ricchezza a beneficio del Paese e delle zone dove la pervasività dell’antistato pare sia in grado di attingere manovalanza dal grande bacino di disoccupati.

Alla luce di queste considerazioni crediamo che la Commissione parlamentare antimafia necessiti di un restyling legislativo per fronteggiare un fenomeno criminale sempre più diffuso che non risparmia né l’economia né la politica. Anche perché, come avvenuto in un recente passato, la patente di impresentabile ha riguardato anche cittadini che, come poi dimostrato, non meritavano questo tipo di trattamento a tutto vantaggio dei tanti sepolcri imbiancati della politica.

Buon Ferragosto a tutti

Antonio Latella – giornalista e sociologo


L’IMITAZIONE SOCIALE E IL CONTAGIO PSICHICO

di Giovanni Pellegrino

In questo articolo prenderemo in considerazione i  fenomeni di imitazione sociale e del contagio psichico che rivestono grandissima importanza nella società contemporanea.

Prof. Giovanni Pellegrino ==>>

Quando gli individui entrano a far parte di gruppi o altri tipi di agglomerati umani accade spesso che subiscano il contagio psichico che li induce ad imitare i comportamenti ed assumere la visione del mondo di coloro con i quali entrano in relazione. Molto frequenti sono i fenomeni di imitazione sociale nei gruppi di amici negli stadi e nei cortei . Vallèe mette in evidenza che in molti gruppi metropolitani i membri vestono in maniera molto simile , usano un linguaggio molto stereotipato e percepiscono la realtà sociale allo stesso modo. Accade anche spesso che vengono messe in secondo piano le differenze di carattere psicologico che esistono tra i membri dei gruppi di amici tanto che viene a formarsi una specie di IO collettivo che costituisce l’anima dei gruppi di amici .

Molto interessanti sono i fenomeni di contagio psichico che si verificano negli stadi di calcio tra i tifosi di una squadra che agiscono come se costituissero un IO collettivo fortemente suggestionabile ed instabile nelle idee e nei comportamenti . Le Bon afferma che uno dei caratteri generali degli agglomerati umani è la straordinaria suggestionabilità che è fortemente contagiosa . Anche l’agglomerato umano dei tifosi presenti in uno stadio è fortemente suggestionabile .Ad esempio, è sufficiente che un piccolo numero di tifosi entri in contatto fisico coi tifosi dell’altra squadra per dare inizio a uno scontro fisico che coinvolge un grandissimo numero di tifosi. Nell’agglomerato umano dei tifosi esiste uno stato di effervescenza collettiva in grado di alterare la percezione sociale della realtà ragion per cui i tifosi di una squadra di calcio non sono quasi mai obiettivi nei loro giudizi e nelle loro valutazioni .

I fenomeni di contagio psichico sono molto importanti ed evidenti anche nei cortei nei quali basta una piccola scintilla per scatenare violentissimi scontri fisici tra manifestanti e polizia. Ciò accade perché negli agglomerati umani la prima suggestione che nasce ,anche per fatti casuali , impone immediatamente il fenomeno di contagio psichico in tutti gli individui e li spinge ad assumere comportamenti spesso irrazionali .Il carattere irrazionale di molti comportamenti delle masse dipende dall’estrema credulità presente negli agglomerati umani e dalla tendenza insita in essi a deformare gli avvenimenti reali . Proprio la tendenza a deformare la realtà è lo scarso senso critico che caratterizzano gli agglomerati umani ( dovuti al contagio psichico ) sono alla base di molte psicosi collettive ed una fortissima ansia sociale dalla quale derivano spesso comportamenti violenti  e crudeli del tutto privi di motivazioni razionali.

Per fare un esempio tratto dalla storia ricordiamo la caccia agli untori  accusati di diffondere la peste a Milano utilizzando unguenti e polverine. Alla base di tutte le psicosi collettive della storia troviamo il contagio psichico che non crea “ex novo” i fatti sociali ma li ingigantisce e li deforma. Dobbiamo tuttavia mettere in evidenza che il contagio psichico e l’imitazione sociale non possono realizzarsi senza la presenza di leader carismatici in grado di condizionare le masse . Le Bon afferma che non appena un certo numero di individui si riuniscono  ricercano per istinto l’autorità di un capo ,di un trascinatore .Nella maggior parte dei casi il capo è stato in un primo momento un gregario dell’ideale, di cui un secondo momento è diventato leaders ( per fare un es. così accadde nell’ambito della rivoluzione francese a Robespierre) .

Creare delle forti fedi è una caratteristica del leader sia che si tratti di fedi religiose , politiche , sociali o di qualunque altro tipo. Vogliamo mettere in evidenza che i sociologi sanno che la fede è una delle più potenti molle delle azioni degli uomini. Dare agli uomini degli ideali nei quali credere significa decuplicarne la forza e metterli in grado di raggiungere degli obiettivi che sembrerebbero impossibili . Riguardo i leader dobbiamo dire che essi devono possedere una forte volontà tuttavia i leader possono essere divisi in due gruppi fondamentali : il primo è costituito da uomini dotati di volontà forte ma incostante, mentre il secondo da leader che possiedono  una volontà forte e duratura .Tali leader sono molto più rari dei primi e riescono a esercitare un’influenza maggiore degli altri leader.

Fondamentalmente tre sono le strategie sociali con le quali i leader esercitano il loro dominio sugli altri individui : le affermazioni , la ripetizione e la genesi del contagio psichico .

L’affermazione pura e semplice svincolata da ogni ragionamento logico e da ogni prova costituisce una strategia utilizzata molto spesso dai leader. Paradossalmente quando più l’affermazione di un leader è sprovvista di prove, tanto maggiore è l’influenza sulle masse . Tuttavia, la ripetizione delle affermazioni amplifica il potere manipolatorio dei leader. Quello che i leader affermano finisce per mezzo della ripetizione col penetrare nelle menti degli individui al punto da essere accettato come un vero e proprio dogma di fede . In effetti l’affermazione ripetuta molte volte riesce a penetrare nelle regioni profonde dell’inconscio dando luogo a un’azione subliminale che condiziona il modo di pensare degli individui. Il potere del leader si basa anche sulla loro capacità di generare fenomeni di contagio psichico molto forti .

In sintesi, il leader è colui che dà inizio ai fenomeni di contagio psichico : egli contagia un certo numero di seguaci, i quali a loro volta contagiano altri individui con i quali entrano in relazione . I fenomeni di contagio psichico seguono spesso un andamento di tipo esponenziale sovvertendo in poco tempo l’ordine costituito e dando origine a nuovi paradigmi . A volte il contagio psichico assume la forma di una “ Pandemia psicologica” . Le idee dei leader hanno il potere di modificare la percezione sociale della realtà in maniera molto evidente .I leader riescono a fare ciò perché acquistano molto prestigio .Difficile definire che cosa è il prestigio. Potremmo dire che esso è una sorta di fascino che un individuo , un’idea o una dottrina esercitano sulle persone . Tale fascino paralizza spesso il senso critico degli individui rendendoli facilmente manipolabili .

A nostro avviso solamente gli individui che sono dotati di capacità critiche e forte personalità possono sfuggire a tutte le forme di contagio psichico. Vogliamo chiarire che esistono fenomeni di contagio psichico che avvengono a livello microsociologico e altri che avvengono a livello macrosociologico. Nella società contemporanea la maggior parte dei fenomeni di contagio psichico di livello macrosociologico sono dovuti al potere dei mass media . Tuttavia, dobbiamo mettere in evidenza che anche la realtà virtuale sta diventando una fonte di contagio psichico in quanto aumenta sempre più il numero di persone che sono condizionati dal potere di internet.

Infine, anche la pubblicità utilizza tecniche sempre più raffinate per determinare fenomeni di contagio psichico finalizzata alla vendita di un determinato prodotto. In sintesi, il contagio psichico e la conseguente imitazione sociale hanno sempre giocato un ruolo importante in tutte le epoche storiche, tuttavia nella società contemporanea le persone che vogliono generare il contagio psichico hanno a disposizione mezzi derivanti dal progresso scientifico e tecnologico che i  “manipolatori” del passato non possedevano .


IL MEDICO SOGNATO E MAI INCONTRATO

OSSERVAZIONI SOCIOLOGICHE di Carmela Cioffi

Leggendo le storie di Sacks nel suo saggio “l’uomo che scambio’ sua moglie per un cappello”. Mi sono emozionata e al tempo stesso ho avuto la sensazione che le malattie e le persone sono insieme. Sacks il medico sognato e mai incontrato, quell’uomo che appartiene insieme alla Scienza e alla malattia, che sa far parlare la malattia, che la vive ogni volta in tutta la sua pena e la trasforma in un intrattenimento da Mille e una notte.

<<== Dott./ssa Carmela Cioffi

Molti critici cosi hanno definito le sue storie: “un intrattenimento da Mille e una notte”, casi clinici che vengono da pensarle semplici storie di persone particolari descritte  con un tono romanzesco ma pur riferenti la condizione umana più friabile che è quella della sofferenza .Sacks nelle sue storie racconta il dramma ponendo in risalto i vantaggi e la peculiarità attraverso un processo di convivenza al disagio sociale. La sua abilità è che lo fa con grande competenza professionale e più di tutto con grande umanità oltre che con sensibilità di narratore cogliendo le più sottili sfumature di ogni singolo individuo. Mi ha dato di chiedere com’era in generale il suo mondo ,quello di Martin. Era piccolo, cattivo e buio. Il mondo di un ritardato  ed emarginato da bambino e rilegato con disprezzo da adulto, il mondo di uno che non si considerava ne veniva considerato come tutti gli altri.  

In un’altra delle sue storie ,ho notato la profondità dei gemelli  si poté esplorare solo nel momento in cui si smise di sottoporli a continui Test e di vederli come soggetti da studiare , solo vedendole come persone, osservandole apertamente senza preconcetti , guardandole mentre vivono , pensano si poté scoprire ciò che possedevano di cosi misterioso . La cosa più entusiasta che in nessun caso ho mai avuto la percezione che queste persone “anormali” fossero pazze, ma sempre persone speciali, non si scorge il dramma ma sempre e solo il lato positivo perché speciali sono agli occhi di chi li racconta. È la sua accattivante umanità, la sua capacità affabulatoria e insieme divulgativa che rende esemplare questo medico, il suo rigore scientifico difronte alle patologie che nei casi descritti nel  suo saggio trova  sempre la diagnosi. Non è la malattia mentale vista come biologica in sé a fare stimolare il mio pensiero ma le acute e profonde riflessioni verso le quali sa condurmi l’abile medico .Come in ognuno di noi possa emergere un talento che può farci sentire speciali nonostante la malattia .In esso non ho mai intravisto casi ,ma persone e non esistono ostacoli che non possano essere superati se sappiamo vedere oltre la disabilità e la malattia .Come se ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto ,un racconto interiore la cui continuità ,il cui senso è la nostra vita ,ognuno di noi costruisce e vive un racconto.

E che questo racconto è noi stessi, la nostra identità. Abbiamo bisogno di questo racconto ,di un racconto interiore per costruire la continua sua identità .Mi ha entusiasmato che ogni qualvolta il nostro dottore è chiamato ad esaminare una persona diversa , una persona più bizzarra dell’altra e ogni volta a sperimentare soluzioni azzardate e geniali per porvi rimedio. Il metodo deduttivo di Dr House  lo abbia reso non meno affascinante di Sherlock Holmes. Per concludere posso dire che il mondo dei semplici , i cosiddetti ritardati ma sempre e solo persone e non casi, vivono in un mondo che è semplice perché è concreto. Le stimolazioni del sistema del cervello permettono all’immaginazione e alla memoria di trasportare altrove una persona . Il merito non ultimo ,del dottore Sacks è che non usa mai una lente pietosa ma sempre curiosa trasformando le sue storie in storie per tutti , sia per gli addetti ai lavori che non. In definitiva, il dottore che tutti hanno sognato è mai incontrato, questo è Sacks.


L’elaborazione del lutto in pandemia

di Enrica Froio

Il lutto non è mai una condizione personale, psicologica e sociale facile da affrontare. Com’è trattato questo passaggio da parte di chi “resta”?

<<==dott.ssa Enrica Froio

Analizzando le parole di Sofocle: ”Ma se devo morire prima del tempo, io lo dichiaro un guadagno: chi, come me, vive immerso in tanti dolori, non ricava forse un guadagno a morire? Affrontare questa fine è quindi per me un dolore da nulla; dolore avrei sofferto invece, se avessi lasciato insepolto il corpo di un figlio di mia madre; ma di questa mia sorte dolore non ho. E se ti sembrava che mi comporto come una pazza, forse è pazzo chi di pazzia mi accusa”.

Questi versi descrivono il cordoglio di Antigone cui è negato di seppellire il fratello Polinice, per comando del re Creonte, dolore che lo porta a desiderare la sua stessa fine. Queste parole, oggi, sono molto attuali. Quanti hanno dovuto superare il dolore durante il periodo del Covid-19 di non poter celebrare neanche un rito religioso, di saluto ai propri cari? Il rito del funerale è decisivo per chi resta, perché segna l’inizio dell’elaborazione del lutto. Il trauma psicologico e sociale che l’individuo vive, è un dolore mentale, che può divenire talmente forte da trasformarsi nel desiderio di fine anche della propria esistenza. L’elaborazione del lutto avviene tramite una prima fase di allarme generale, seguita da una reazione di shock, confusione che porta a impatti emozionali ed emotivi completamente diversi da individuo a individuo. In seguito avviene il coping.

L’individuo affronta il dolore, lo comprende, lo elabora e infine lo accetta e modifica anche l’idea di sé in funzione dell’accaduto traumatico. È ovvio comunque, che la vulnerabilità dell’individuo e le sue reazioni siano differenti in base anche all’assetto psicologico e alle reti sociali di cui fa parte. Tutto questo è stato quindi molto difficile da affrontare durante la pandemia, dove gli aiuti psicologici e le reti sociali erano puramente virtuali e la base della quotidianità di ogni individuo era l’isolamento. Non c’era vicinanza, non c’era gruppo sociale, non c’era condivisione di emozioni comprese. Ecco perché d’importanza assoluta di tutto ciò che è cultura, anche se differente per ogni società, come, il rito funebre, l’accompagnare il feretro nella sua sepoltura e nell’’insieme mettere “in scena” il rituale del funerale. I lutti avvenuti in periodo pandemico, purtroppo, sono stati conseguenza di tanti lutti “irrisolti”. Dolore, alternato a rabbia, susseguirsi di depressione che hanno portato al rivoluzionarsi della vita dell’individuo.

Oggi sembra essere tornati alla normalità, ma lo strascico di chi oggi perde una persona a sé cara, riporta alla mente il periodo che tutto il mondo ha vissuto. La frase “almeno si è potuto fare il funerale” sembra essere la prima consolazione al dolore. Così non deve essere, bisogna sempre stare attenti all’elaborazione del lutto, ascoltare il proprio essere, le proprie emozioni e possibilmente farsi aiutare per affrontare questa elaborazione senza traumi e ripercussioni sulla vita personale e sociale di ogni individuo.


LA PERCEZIONE INDIVIDUALE E SOCIALE DELLA REALTA’

di Giovanni Pellegrino

In questo articolo, prenderemo in considerazione uno degli oggetti di studio più importanti della sociologia e della psicologia sociale ovvero la percezione individuale e sociale della realtà.

<<==Prof. Giovanni Pellegrino

Dobbiamo per prima cosa mettere in evidenza che gli uomini sono influenzati, non tanto dalla realtà in sé stessa, ma dal modo in cui la percepiscono e la interpretano.

Col temine di percezione individuale della realtà intendiamo il modo in cui un individuo interpreta, definisce la realtà sociale. Per percezione sociale della realtà, intendiamo il modo in cui la maggioranza degli individui appartenenti a un dato sistema sociale interpreta la realtà. A sua volta Vallée afferma che gli uomini sono influenzati, non tanto dai fatti reali, quanto dalla loro interpretazione di tali fatti.

Per quanto riguarda la percezione individuale della realtà riveste grande importanza in sociologia il teorema di Thomas: “se gli uomini definiscono reali le situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Per fare un esempio se un individuo ritiene che una determinata situazione sociale sia pericolosa egli si comporterà in maniera conseguenziale anche se il pericolo non è reale. Blumer uno dei principali esponenti dell’interazionismo simbolico ha messo in evidenza che il comportamento degli individui dipende da due processi di tipo mentale: l’auto-indicazione e l’interpretazione della realtà sociale. Per mezzo dell’autenticazione il soggetto dà indicazioni a sé stesso riguardo ai fatti sociali, alle situazioni e cerca di valutare le informazioni e le prospettive nonché il significato collegato ai fatti sociali.

Alla fine del processo di auto indicazione l’individuo elabora la propria interpretazione della realtà. Essa tuttavia non è stabile e può andare incontro a modifiche nel corso del tempo. Sono infatti sempre possibili nuove reinterpretazioni dovute sia a fattori oggettivi (acquisizione di nuovi dati) sia a fattori soggettivi come ad esempio variazioni dello stato d’animo ,nuove motivazioni, irruzioni di passioni o stereotipi più violenti. Dobbiamo tenere presente che spesso gli individui interpretano la realtà tenendo conto più  delle loro emozioni che non delle loro capacità cognitive.

In ogni caso è quasi sempre vero che la realtà non è quella che veramente è ma quella che le persone pensano che sia (così è se vi pare diceva Pirandello).In altri termini esiste una realtà oggettiva ma quasi tutti gli individui la deformano in quanto esistono vari fattori psico sociali che rendono quasi impossibili giudizi imparziali sulla realtà sociale nella quale l’individuo vive. (Nemo iudex in causa propria).

Vediamo ora che cosa condiziona l’interpretazione individuale della realtà (ribadiamo che l’obiettività è un ideale regolativo quasi mai raggiungibile). In primo luogo, il modo in cui gli uomini interpretano la realtà è condizionato dal tipo di relazioni interpersonali che essi instaurano dal momento che la rete sociale di un individuo condiziona almeno in parte la “forma mentis” del soggetto. I rapporti interpersonali certamente non sono l’unico fattore in grado di condizionare il modo in cui l’individuo interpreta la realtà dal momento che grande importanza rivestono le norme sociali vigenti in un dato sistema sociale. Esse costituiscono un vero e proprio paradigma cognitivo ed emotivo che condiziona la percezione individuale della realtà, dal momento che solamente i devianti sfuggono al potere delle norme dominanti. Anche gli stereotipi condizionano la “forma mentis “degli individui soprattutto quando non sono “innocenti” ma di essi parleremo più avanti essendo essi di origine sociale.

Infine, l’interpretazione individuale della realtà può essere condizionata dagli interessi dell’individuo (percezione di tipo strumentale) che finisce per dare agli eventi la lettura più conveniente ai propri interessi accecato dal troppo amore per sé stesso.

Diversi fattori condizionano l’interpretazione sociale della realtà: imitazione sociale, fascino dei leaders carismatici, stato di effervescenza collettiva di ogni tipo presenza di stereotipi nonché fattori di tipo opportunistico. L’imitazione sociale e il contagio psichico condizionano molto la percezione sociale della realtà in quanto la maggior parte degli individui si fa condizionare da interpretazioni dominanti in un dato sistema sociale. Anche il potere carismatico esercitato da alcuni leaders condiziona il modo in cui grandi masse di individui percepiscono la realtà. Tali leaders riescono ad assumere un controllo così forte sulla mente delle folle che riescono a convincerle che l’unica interpretazione valida e convincente della realtà è quella da loro fornita .

Snaider afferma che essi riescono ad esercitare una specie di monopolio interpretativo dei fatti sociali. Anche alcuni eventi particolarmente forti e traumatizzanti che generano stati di effervescenza collettiva condizionano pesantemente la percezione sociale  della realtà. Col termine di effervescenza collettiva intendiamo un forte stato di alterazione cognitiva ed emotiva che interessa grandi masse di individui . Ad esempio, si parla di stato di effervescenza collettiva quando tutti gli abitanti di una città o di una nazione sono preda di un forte sentimento di rabbia e di delusione.

In questi casi viene fortemente condizionato il modo in cui grandi masse di individui percepiscono la realtà. Per fare un esempio particolarmente significativo l’attentato alle Torri Gemelle negli Stati Uniti è stato un avvenimento molto traumatico che ha determinato uno stato di effervescenza collettiva caratterizzato da un forte odio e risentimento di tutta la popolazione americana nei confronti fondamentalisti islamici. Anche il pensiero stereotipo condiziona l’interpretazione di massa degli eventi e dei fatti sociali : soprattutto gli stereotipi  neutrali sono fortemente condizionanti a livello della percezione sociale della realtà .

Definiamo neutrali gli stereotipi che hanno il solo scopo di mettere ordine nella complessità della realtà.

Si definiscono invece non neutrali quegli stereotipi che hanno lo scopo  di affermare la superiorità del proprio gruppo di appartenenza nonché l’inferiorità degli altri gruppi.  Infine, le motivazioni di carattere opportunistico possono a loro volta condizionare fortemente la percezione sociale della realtà . Per fare un esempio quando un gran numero di persone trae vantaggi di qualunque tipo interpretando in un certo modo gli avvenimenti, tale interpretazione sarà accettata a livello di massa e sarà rinforzata  dai meccanismi psicologici inconsci .Tali meccanismi hanno un forte potere sulla mente di moltissimi individui che vengono da essi influenzati anche se essendo meccanismi inconsci gli individui non si rendono minimamente conto di subire la loro influenza .

La percezione sociale della realtà è soggetta nella società contemporanea a frequenti e repentini mutamenti dal momento che i fattori che la condizionano sono essi stessi soggetti a frequenti mutamenti . Pertanto, dobbiamo dire che nelle società del passato l’interpretazione sociale della realtà era molto più stabile. Le persone che detengono il potere cercano in tutti i modi di avere un controllo sul modo in cui le masse interpretano la realtà  in quanto alcuni mutamenti del punto di vista dell’opinione pubblica potrebbero mettere in pericolo il loro potere. In effetti possiamo dire che controllare la percezione sociale della realtà è uno dei principali obiettivi di chi detiene qualsiasi tipo di potere.

Infine, volgiamo mettere in evidenza che anche le norme sociali sono molto condizionate dalla percezione sociale della realtà in quanto nel momento in cui in un dato sistema sociale si modifica l’interpretazione di ciò che è considerato normale, alcune norme perdono valore e vengono sostituite da altre  ( processo di saturazione delle norme sociali ). Di conseguenza anche la legittimazione sociale che è una variabile dipendente dal sistema delle norme sociali è condizionata dalla percezione sociale della realtà. Concludiamo tale articolo ribadendo che in tutti i sistemi sociali in tutte le epoche storiche la percezione sociale della realtà fa sentire la sua forte influenza in ogni settore della vita sociale.


L’idioma dei social network. Più che il medium poté il messaggio

di Patrizio Paolinelli

Nel 2015 Facebook ha registrato nel mondo un miliardo e 320 milioni di utenti. Segue Google Plus con 500 milioni, Instagram con 300 milioni e Twitter con 288 milioni. A questi risultati si può aggiungere il record di WhatsApp, che in solo giorno, il 1° febbraio 2016, ha contato un miliardo di utenti attivi nell’intero pianeta. Dinanzi a tali performance è quasi un luogo comune affermare che il successo dei social network e della messaggistica istantanea sta modificando il nostro modo di comunicare.

Prof. Patrizio Paolinelli ====^

Tendenza che trova conferma nella crisi generalizzata della carta stampata. Osservando i dati che riguardano il nostro Paese una recente indagine ha infatti rilevato che tra le prime cinque fonti di informazione degli italiani i quotidiani tradizionali sono assenti (Dodicesimo Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, 2015). Nell’insieme questa dinamica sembrerebbe dar ragione ad alcuni guru dei new media, secondo i quali i cambiamenti nel modo di comunicare tra le persone sono tali da modificare radicalmente il nostro modo di essere e di pensare. Ma è proprio così? Non del tutto.

A meno che non si voglia trasformare in un dogma la fortunata formula di McLuhan “Il medium è il messaggio“. Formula che pur avendo indubbi meriti euristici presenta due criticità. La prima è costituita non tanto dall’irrilevanza dell’oggetto di cui si discute così come accade nei litigiosi talk show quanto da ciò che il rumore della lite oscura, ossia l’oggetto stesso del dibattito.

<<== Marshal McLuhan

La cui irrilevanza costituisce l’obiettivo latente della spettacolarizzazione dell’informazione. La seconda criticità consiste nel subordinare all’apparato cognitivo tutte le altre qualità che contraddistinguono gli esseri umani nella loro veste di soggetti e oggetti della comunicazione: emozioni, desideri, volontà, spiritualità. Detto in altre parole i pur radicali mutamenti introdotti dai diversi medium nel modo di produrre, recepire e trasmettere messaggi – come ad esempio la comunicazione in tempo reale sui social network – non elimina affatto il problema dei contenuti dei messaggi stessi. Che io sia razzista a voce, sulla carta stampata, in Tv o su Twitter non cambia la sostanza del discorso pur avendo utilizzato medium differenti.

Sul piano dell’infosfera uno stop all’homo cognitivus che si staglia grazie alla formula “Il medium è il messaggio” giunge proprio dal Rapporto Censis-Ucsi sopra menzionato: nonostante il passo di carica del Web 2.0 la Tv resta la regina dei mediacontinuando ad avere una quota di spettatori che coincide sostanzialmente con la totalità della popolazione italiana, il 96,7%. Il che significa che ancora oggi è la Tv a determinare l’agenda degli argomenti da discutere nella sfera pubblica. E non basta la convergenza delle tecnologie mediatiche ad assicurare ad esempio un’informazione più libera e veritiera. La tanto efficiente quanto scandalosa manipolazione dell’opinione pubblica da parte degli “indipendenti” Tg occidentali pare più che sufficiente a ridimensionare l’esclusività del medium sul messaggio.

La domanda da porsi allora è: i social network fanno parte di un medium (Internet) autonomo rispetto a quello televisivo?

Il linguaggio dei social è stringato e diretto esattamente come il compulsivo ritmo di immagini televisive, proprio perché entrambi i codici devono fare i conti con l’istantaneità del tempo reale. E in questa circostanza il medium è davvero il messaggio perché comporta la riconfigurazione di un apparato cognitivo che deve adattarsi a una comunicazione ultrarapida nettamente differente da quella tipografica tipica del libro, della rivista, del quotidiano. Ma la comunicazione non si esaurisce certo nella grammatica delle immagini televisive o nel contratto lessico del Web 2.0. E in questo senso Umberto Eco, pur riconoscendo aspetti positivi dei social network, ha parlato di “legioni di imbecilli” che su Facebook fanno opinione quanto e più di un premio Nobel: “La televisione aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”.

Intendendo con ciò il trionfo della superficialità sull’approfondimento. Tuttavia la superficialità, e per essere più precisi la superficialità del linguaggio pubblicitario, sembra essere la cifra della comunicazione d’oggi. Si tratta di un fenomeno trasversale a tutti i media. E così come la pubblicità offre al grande pubblico un linguaggio, un modo d’essere e di vivere allo stesso modo Facebook soddisfa nelle persone la voglia di apparire, di far parte di una tribù e di accrescere l’autostima. Insomma, più che il medium poté il messaggio. Questo perché gli esseri umani per loro natura attribuiscono un senso a ciò che fanno: dall’acquisto di prodotti per ridurre il girovita, anche se non ne hanno bisogno, a prese di posizione sulla politica internazionale, anche se ne sanno poco o nulla.

Un caso esemplare di attribuzione di senso tramite la superficialità è recentemente offerto dalle performance in rete di Martina Dell’Ombra. Si tratta di una giovane video-blogger venuta dal nulla che registra centinaia di migliaia di visualizzazioni su YouTube mentre su Facebook piace a 118.378 persone. I motivi del suo exploit sono dati da quel che dice e da come lo dice. Sul piano dei contenuti Martina Dell’Ombra spazia praticamente per ogni dove. Non c’è tema all’ordine del giorno del dibattito pubblico su cui non esprima un parere: dai problemi della scuola a quelli dell’immigrazione, dalle vicende politiche alle polemiche sul Gay pride e così via. Le sue opinioni sono un campionario di banalità piccolo-borghesi alimentate da decenni d’informazione mainstream: paura nei confronti degli immigrati, elogio dell’apparenza, superiorità della nostra civiltà. In un video propone addirittura di dividere Roma in due aree: la zona sud abbandonata agli immigrati e quella nord destinata ai nativi.

Un esodo interno necessario perché Roma sud è “svantaggiosa” per diversi motivi. Ad esempio, la metro di Roma nord “è più figa” di quella di Roma sud, zona povera della città invasa da stranieri e in cui si vedono in giro persone malvestite che per di più puzzano. Certo, gli stranieri sono presenti anche a Roma nord. Ma stanno “rintanati nei loro negozietti” e non occupano la capitale. Non basta. A Roma sud ci sono le prostitute di strada, mentre a Roma nord “Le prostitute si chiamano escort e sono persone rispettabilissime che potete trovare su Facebook, su Twitter eccetera, che magari spesso a volte lavorano anche in televisione e tutto. Cioè, comunque una cosa più de classe diversa”.

Perorazioni di questo tipo trasmesse con un italiano incerto la giovane video-blogger ne dispensa a iosa senza ricorrere alla rabbia gridata dei leghisti. Martina Dell’Ombra dispensa i suoi consigli con un tono da svampita ottenendo un tale successo di pubblico da destare l’attenzione della Tv. Sky TG24 le ha infatti dedicato una lunga intervista in quanto fenomeno del Web e presentandola col suo cognome per esteso, Dell’Ombra de Broggi de Sassi. In quell’occasione Martina ha ribadito col tono disarmante dell’oca giuliva il suo interesse per la politica senza trascurare l’importanza dei fatti di costume. Ma c’è una sorpresa. E che sorpresa. Martina Dell’Ombra de Broggi de Sassi è una finzione, un personaggio costruito ad arte. In realtà la video-blogger è un’attrice teatrale siciliana il cui vero nome è Federica Caccioli.Insomma, l’attrice ha preso in giro l’intera infosfera e un’armata mediatica come Sky TG24 c’è cascata in pieno confermando sia la superficialità di molta informazione televisiva sia l’ingenuità di tanti frequentatori dei social network. La celebrità raggiunta da Martina Dell’Ombra dimostra che l’inganno, la genericità e la cultura piccolo-borghese dilaganti nella società dello spettacolo permettono sempre meno di distinguere tra dramma e farsa pur essendo tutti noi perennemente connessi grazie alle tecnologie digitali. I libri sono un buon antidoto per discernere il vero dal falso e tuttavia né la Tv né il Web 2.0 vanno demonizzati. Semmai maggiormente democratizzati.

Per gentile concessione dell’autore, in precedenza pubblicato su “Via Po cultura”


Pilato e Biles: l’etica della sconfitta

di Giampaolo Latella

Due storie al femminile ci raccontano il “lato oscuro della luna”, per dirla con i Pink Floyd. Le protagoniste sono Benedetta Pilato e Simone Biles: la  primatista mondiale dei 50 rana di nuoto e la ginnasta dei record che, giovanissima, stupì il mondo conquistando a Rio quattro ori olimpici e, poi, cinque titoli iridati.

<< == Giampaolo Latella

Soggiogate al loro talento e schiacciate dal peso delle aspettative, entrambe a Tokyo hanno fallito. Squalificata l’italiana – appena sedicenne – al termine di una gara che ha definito “orribile”; ritirata l’americana nella finale a squadre che ha fatto sfuggire il gradino più alto del podio alla nazionale Usa. I fallimenti di Benedetta e Simone impressionano per le tante analogie. Arrivate in Giappone con i favori del pronostico e la pressione dell’opinione pubblica in patria, non sono riuscite a nascondere il motivo della loro sconfitta che è da ascrivere soprattutto a un crollo psicologico.

” I DEMONI NELLA TESTA”

Pilato ha fatto autocritica, in lacrime, davanti alle telecamere. Biles, dopo un primo tentativo di far passare il ritiro come la conseguenza di un infortunio, ha ammesso la complessità del momento che vive: “Ho i demoni nella testa”. Non è certo l’elemento agonistico a interessare in questa sede, quanto il fattore emotivo che ha frenato il rendimento delle due atlete, svelandoci la loro fragilità, drammatica e umana.

Benedetta e Simone sono rimaste in ostaggio della loro fama, divorate dalle dinamiche di uno “star system” sportivo cinico e spietato, che non perdona e trasforma le gratificazioni in una prigione dorata: una torre eburnea di solitudine, di paura, di emozioni soffocate e represse. Non sono certo le prime né le ultime sportive a vivere una crisi. E certamente non saranno le prime, né le ultime a sopravvivere dopo aver bevuto il calice del fallimento.

Ma deve far riflettere la loro condizione: diversa nelle proporzioni, ma non nelle potenziali conseguenze, da quella di tanti giovanissimi che non riescono a far fronte alla “condanna”, alla riprovazione sociale, al marchio indelebile che sente addosso chi non raggiunge un traguardo, non solo sportivo.

La società dell’immagine nella quale siamo immersi impone canoni insostenibili e irrealizzabili, nell’idolatria del successo, dell’ammirazione e dell’accettazione altrui, del facile arricchimento, della spasmodica ricerca di follower sui social, dell’inseguimento di modelli estetici di una bellezza asettica e innaturale, conformistica, di plastica.

Esempi che rischiano di minare le fondamenta del nucleo della personalità dei ragazzi, oggi peraltro ancora più a rischio, dopo un anno e mezzo di pandemia (e di dad) che li ha privati della forma tradizionale ed essenziale di socialità tra coetanei: la scuola.

Tutto questo si aggiunge al già pesante carico che il Covid-19 ha comportato sul piano didattico. Secondo Save the children, si stima che nel mondo siano stati persi 112 miliardi di giorni dedicati all’istruzione, con i bambini più poveri ad essere maggiormente colpiti. In particolare, si ipotizzano una perdita di apprendimento equivalente a 0,6 anni di scuola e un aumento del 25% della quota di bambini e bambine della scuola secondaria inferiore al di sotto del livello minimo di competenze.

Ma torniamo allo sport, che nel mondo pre-Covid era una delle principali agenzie educative. I drammi, tecnici e umani, di Benedetta Pilato e Simone Biles non possono lasciarci indifferenti. Anzi, devono trasformarsi in un monito e in una sollecitazione a un impegno collettivo per una nuova pedagogia che punti a rafforzare il senso di sé e la personalità dei giovani. In particolare dei bambini e degli adolescenti, oggi vittime del bombardamento mediatico che si auto-infliggono a causa della solitudine, della mancanza di stimoli, dell’assenza di luoghi e di momenti di aggregazione reali.

C’è da interrogarsi su quale modello di società stia nascendo in questi anni. Una società di monadi tristi e prive di vitalità, di ragazze e ragazzi “condannati” a eccellere, a conformarsi a mode, trend topic e challenge, a credere che il fine ultimo della nostra esistenza consista un pugno di dollari e di like, in un palmares di successi e conquiste.

Il rischio è che si perda di vista il senso della vita, che si smarrisca il contatto con la realtà, quella vera, non filtrata dallo smartphone.

Ben vengano, dunque, le sconfitte, necessarie per la maieutica delle emozioni, per la catarsi che passa dal pianto e, soprattutto, per accettare se stessi. Ma questo processo rischia di non concludersi mai se non sarà diffusa a tutti i livelli sociali un’educazione verso modelli meno sfrenatamente ambiziosi e, più semplicemente, umani.

Soccorrono così le parole di Nelson Mandela, presidente sudafricano e premio Nobel per la pace che anche attraverso il rugby contribuì a cambiare la storia del Novecento: “Non perdo mai. O vinco o imparo”. È l’etica della sconfitta. Di gran lunga più importante dell’ebbrezza della vittoria.


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