ATTENTATO AZIENDA TRASPORTO “FEDERICO”, L’INCAPACITA’ DEGLI APPARATI DI SICUREZZA

LATELLA  PISA DICEMBRE 2015Duecento posti di lavoro persi in meno di una notte. Quattordici autobus di linea ridotti in ferro vecchio dal fuoco: scheletri anneriti rimasti lì, nel piazzale di un’azienda di trasporto pubblico locale, a testimoniare come la Locride lotti contro un nemico noto e al tempo stesso invisibile. Quel fenomeno chiamato ‘ndrangheta di cui tutti giurano di voler lottare, isolare, ma che in realtà quando decide di agire non trova ostacoli. E colpisce come un male difficile da debellare.  E’ ancora presto per stabilire con certezza se l’attentato alla società di trasporti “Federico” sia direttamente collegato alla criminalità organizzata, oppure riconducibile a quella mentalità mafiosa che è l’altro male oscuro di cui soffre la Calabria. Duecento famiglie senza reddito, un comprensorio impoverito nei collegamenti che sono “la conditio sine qua non” dello sviluppo.  La Locride è uno dei territori più ricchi di storia, di tradizioni e di cultura dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Ma si ritrova sola con le sue carenze strutturali, le sue centenarie povertà, il suo isolamento, i suoi drammi: la corruzione, l’intreccio ‘ndrangheta –  politica, il retaggio dell’assistenzialismo statale funzionale a tutti i governi che si sono avvicendati a Roma dall’Unità d’Italia alla Seconda Repubblica. Da serbatoio di braccia durante l’emigrazione d’inizio Novecento a deposito di voti del periodo in cui le sorti del Paese furono rette dai tradizionali partiti di massa.  Due fenomeni sociali che, da un lato, hanno alimentato piccole sacche di privilegi e dall’altro alle vecchie si sono giunte nuove povertà.   Tra queste due realtà è sempre esistito un substrato il cui humus ha favorito la crescita di una vera e propria giungla dove da sempre vige la legge del più forte e del compromesso.

Una sorta di zona franca dove non osano neanche i fantasmi dello Stato.  Questo si limita a fare il necroforo come se questa parte di suolo italico fosse l’ultima provincia dell’impero. La Calabria è sempre più ultima nelle classifiche dell’Ue e, come in questo caso, perde altri posti di lavoro. Una vecchia storia che viene riscoperta solo durante le varie campagne elettorali. Poi il libro dei sogni viene deposto in un cassetto.  E le risposte a gravissimi attacchi alla libertà d’impresa tardano sempre a venire.

Lo conferma la tempestività con cui il prefetto di Reggio Calabria ha convocato il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza. Il rogo è avvenuto nella notte tra domenica e lunedì, mentre il Comitato – secondo notizie in nostro possesso- dovrebbe riunirsi venerdì. E in attesa del solito comunicato che, partendo dalla solenne promessa della presenza dello Stato, riferisce sui provvedimenti assunti per fare luce sulla vicenda e per impedire il ripetersi di siffatti atti criminali, noia e rassegnazione sono i nostri più fedeli compagni di vita.   I precedenti attentati subiti dall’imprenditore Federico avrebbero consigliato l’assunzione di tutele (ad esempio una delle tante forme di vigilanza) che probabilmente non sono state assunte visto che i soliti ignoti, con il loro gesto criminale, hanno creato novo allarme sociale. Siamo al paradosso in una terra in cui le scorte e la sorveglianza sono una sorta di status simbol che non si nega neanche ai condannati. Un popolo che non riesce ad indignarsi è un popolo senza orgoglio.

Indignarsi è avere, innanzitutto, il coraggio di chiedere le dimissioni di chi non riesce a leggere le dinamiche socio –criminali. E questa volta Roma non c’entra, anche se sbaglia a non chiedere conto alle sue articolazioni periferiche di intelligence e controllo del territorio. La stessa politica, figlia di una società individualizzata, priva com’è di capacità di costruire un nuovo legame sociale e sempre più subalterna al capitale e alla finanza, mette a nudo tutte le sue incapacità di farsi garante degli interessi dei cittadini. E si limita a utilizzare gli uffici stampa pubblici – che non brillano né per cultura né per stacanovismo – come una catena di montaggio per sfornare comunicati che sempre meno appaiono sui quotidiani locali, figuriamoci sulla grande stampa.  Io l’ho detto, io l’ho scritto: magica formula per sentirsi a posto con la coscienza. Duecento famiglie rischiano di perdere il posto di lavoro (senza toccare l’indotto) e alla politica regionale i calabresi chiedono un impegno d’onore: pensi meno all’effimero e più ai bisogni della gente.

Antonio Latella – giornalista professionista e sociologo (Presidente Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)

 


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio