ASSOCIAZIONISMO ANTIMAFIA: ALLE LAPIDI DEL CIMITERO DELLE UTOPIE CONTRAPPORRE LA FIGURA DELL’EVANGELIZZATORE SOCIO-CULTURALE

 

 

latella 13 SETTEMBRE 2015Alle utopie di certa antimafia, grazie a Dio, si contrappone il lavoro silenzioso di quanti si spendono per rafforzare la cultura della legalità. I metodi di questo storico associazionismo oggi,  purtroppo,  appaiono  superati da un antistato che ha sfruttato la globalizzazione per diventare una struttura criminale  che usa i mercati e la finanza per riciclare  fiumi di danaro sporco senza lasciare traccia. Ciò  conferma  che la  grande ‘ndrangheta non è più potenza militare,  ma un impero economico.  In una società sempre più caratterizzata dall’evoluzione della tecnologia massmediatica, che irrompe nelle nostre vite fino a farci diventare ostaggio dell’onnipotenza informatica che accorcia le distanze  tra un punto e l’altro del pianeta, sono indispensabili nuove strategie di lotta:  non solo di polizia giudiziaria e d’intelligence, ma anche legislative. Strategie che, per quanto importanti, da sole non sono sufficienti soprattutto senza l’apporto determinante  del cittadino.  Parallelamente agli arresti, alle condanne, ai sequestri e alle confische, attraverso un’azione culturale, bisogna tagliare i ponti dell’indifferenza, del silenzio, dell’omertà, delle complicità (dirette o indirette) che consentono alle mafie, innanzitutto,  la conquista di   nuovi mercati del narcotraffico e dell’estorsione, quindi  l’accaparramento degli appalti, le  infiltrazioni  nella politica e nelle istituzioni.

Per affrontare ad armi pari la globalizzazione mafiosa, diventa indispensabile mettere da parte  quella sorta di kermesse folcloristica dei cortei infiorati, dei canti, dei balli, delle fiaccolate, dei  dibattiti e la presunzione di ergersi a baluardi della legalità. Questi metodi di lotta –  efficaci vent’anni fa, quando la mafia sparava, uccideva, sequestrava –  oggi  non  sono altro  che lapidi  nel  cimitero delle utopie.  L’antistato si può battere attraverso una grande, forse lunga, rivoluzione culturale. A patto che non duri lo spazio di una “primavera” che, come il mondo arabo ha dimostrato, più che i popoli ha contagiato il web. Per liberarsi dalla cappa che opprime i nostri spazi di libertà, ci vorranno anni di lavoro pedagogico a beneficio delle generazioni future. Difficile pensare che la società contemporanea modifichi “nello spazio di una notte” comportamenti cristallizzati,  anche se perfettamente legali, che indirettamente hanno aiutato il sistema mafioso di rigenerarsi ogni qual volta  subisce grosse perdite dall’azione delle  forze dell’ordine e della magistratura.  La lotta alle organizzazioni del malaffare inizia dalla scuola dell’obbligo, per proseguire con l’insegnamento superiore. Una scuola dove gli insegnanti non si comportino da burocrati ma da educatori per impedire ai ragazzi di frequentare una  sorta di cantiere delle utopie.  Il processo didattico-formativo non può essere estraneo alla realtà territoriale, altrimenti gli alunni saranno più bravi in italiano e matematica ma resteranno privi della fondamentale cultura del rispetto ambientale, del valore dei beni collettivi e della consapevolezza  del  danno sociale prodotto da una società che trae linfa dalla corruzione, dal furto, dal traffico di droga, dall’esempio dei falsi idoli.

La madre, la Madonna di Polsi e il paese non sono più gli unici punti di riferimento dei ragazzi di San Luca. Nel loro bagaglio formativo, adesso,  un posto importante è riservato alla cultura.  Gli studenti dell’istituto comprensivo hanno imparato a conoscere Corrado Alvaro, il loro più illustre concittadino, e   grazie  al valore aggiunto del sapere  sono riusciti a costruire  un ponte con altre realtà socio- culturali italiane.  Quattro anni di lavoro –  che hanno premiato l’impegno di Mimma Cacciatore, preside della scuola – sono stati sufficienti per far dialogare  le giovani generazioni sanluchesi  con coetanei  di altre realtà geografiche. La metamorfosi  ha riguardato anche il miglioramento delle strutture scolastiche che si sono arricchite della palestra e di un  campetto polivalente. Gli atti di vandalismo sono un lontano ritorno e i ragazzi e i bambini che frequentano le lezioni hanno a disposizione degli ambienti salubri e servizi igienici a norma.

Questa sì che è lotta alla ‘ndrangheta.

Cosa dire di Platì,  dove dallo scorso anno don Masino Barbero, una vita spesa in Africa, sta lavorando per realizzare un oratorio e farlo diventare punto di aggregazione giovanile, in una terra  povera finanche di uno spazio pubblico per consentire ai ragazzi di tirare dei calci ad un pallone.

Questa sì che à lotta alla ‘ndrangheta.

Altro che cartelli stradali del progetto dell’ANCI della Lombardia ( lodevole  nelle intenzioni) che  bene si presta all’equivoco  di subalternità culturale nei confronti del Nord   che considera i “terroni”  gente da colonizzare  perché  appartenenti ad una “razza   maledetta” (virgolettato  preso in prestito dall’antropologo Vito Teti  e  tratto dal suo libro “Maledetto Sud”).

L’antimafia non è uno status simbol, un momento di folclore, l’occasione per saltare una giornata di scuola, il mezzo per accaparrarsi i beni confiscati, un’associazione con la partita Iva, un dibattito, trascrivere un libro, un cartello stradale. E neanche un’impresa da eroi, ma un impegno civile di tutti gli appartenenti alla stessa comunità. La lotta all’antistato passa anche  dalla rigenerazione della politica e dall’imparzialità di amministratori locali e burocrazia.

Il cittadino è stanco, esausto di apprendere di cospicui contributi pubblici  concessi all’associazionismo antimafia che, in alcuni casi, sarebbero stati utilizzati per scopi poco chiari, al punto da finire sotto la lente d’ingrandimento della magistratura.

“Ai politici, regionali, provinciali e comunali– parole del procuratore aggiunto della DDA Nicola Gratteri, pronunciate al SeaTouring di Cannitello – dico di non dare soldi alle associazioni antimafia: mettetevi in rete, create un fondo comune, fate dei protocolli con i provveditori agli studi e predisponete delle graduatorie degli insegnanti precari. Durante le ore pomeridiane fate in modo che si ricominci a parlare con i ragazzi, riaccompagnandoli nel mondo reale. Mi si dice che per far questo c’è bisogno di soldi.  I soldi ci sono, so di progetti costati 250.000 euro. Non è etico, non è morale, non è giusto. In nome di gente che è morta, che è stata uccisa, non è giusto che si spendano 250.000 euro per una manifestazione antimafia. Ogni cosa deve avere una proporzione, un limite, un senso. Immaginate con tali cifre quanti insegnanti precari avremmo potuto assumere. Dobbiamo cercare di essere più seri e più presenti e contestare queste cose. Mi  sono rifiutato di partecipare a certi convegni e a certe manifestazioni antimafia perché avevo capito anni prima che c’era qualcosa che non andava”.

Come dare torto al Procuratore Gratteri? E siamo d’accordo con il magistrato della DDA   quando non si stanca di ripetere   “La vera lotta alla mafia passa innanzitutto dalla formazione dei ragazzini delle elementari e delle medie”.Il resto  è un modello antico – una via di mezzo tra impegno e folclore –  che, purtroppo, non suscita neanche la benché minima curiosità o nuova partecipazione,  anzi insospettisce e genera rabbia, delusione e altro spreco di danaro pubblico. E mentre il vecchio associazionismo è impegnato a difendere la conservazione nasce (come dimostrano  gli esempi  di San Luca e Platì)   una nuova figura: l’evangelizzatore socio – culturale. Un ruolo  che potrà essere  svolto da chiunque abbia voglia  di diventare un’alternativa  a quel logoro establishment del fronte antimafia infarcito di ideologie, portatore di interessi che, nella pratica,  diventano un inconsapevole ostacolo alla nascita di efficaci azioni socio-culturali.

Antonio Latella   – Giornalista e sociologo ( Presidente del Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)

 

 

 

 

 

 

 


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