ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE NELLA LOCRIDE

 Francesca BarrancaSilvia Catalano Alì è responsabile della casa famiglia “Papa Giovanni XXIII” di Gioiosa Jonica.
Socia della Cooperativa “Rose blu”, con sede a Gioiosa Jonica, si occupa del coordinamento del servizio educazione specialistica per l’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap. Un’analisi sulla condizione attuale dell’integrazione sociale e socio-educativa dei portatori di handicap sul nostro territorio?
        Chiaramente dei progressi ci sono stati anche sul nostro territorio, grazie all’approccio con le nuove tecnologie e percorsi di riabilitazione sempre più incisivi nel coinvolgimento delle famiglie, della scuola e del contesto socio-culturale di riferimento.
        A mio parere, bisogna lavorare sull’abbattimento delle barriere culturali, perché il vero problema resta proprio questo. La persona diversamente abile, nonostante ha i suoi limiti, deve essere vista come una risorsa, un dono, non un peso per la società. Non è solo assistenza, ma deve diventare   autonomia e risorsa, così ogni sforzo può avere un riscontro tangibile in termini di integrazione sociale.
        Questi principi devono essere la norma all’interno dei contesti socio-educativi per eccellenza come la scuola. Trasmettere e consolidare questi messaggi significa scoraggiare forme di bullismo e di discriminazione che spesso coinvolgono ragazzi diversamente abili.
Le Vostre famiglie sono aperte solo per le persone con disabilità?
        No, sono una famiglia per tutte quelle persone che vivono forme di disagio e sono sole, senza una guida e non hanno punti di riferimento, come: donne in difficoltà, ragazze madri, minori, disabili, adulti, immigrati. Io sono madre di sei figli, tra i quali un ragazzo diversamente abile.
Com’è organizzata una casa famiglia della comunità “Papa Giovanni XXIII”?
         La prima casa famiglia nasce a Coriano, comune vicino a Rimini, il 3 luglio del 1973. Per casa famiglia, si intende una comunità educativa residenziale che richiama in tutto e per tutto una famiglia naturale. Il fondamento della casa famiglia sono le due figure genitoriali di riferimento, paterna e materna, che scelgono di condividere la propria vita in modo stabile, continuativo e definitivo con le persone provenienti da diverse situazioni di disagio.   Accanto alle figure di riferimento, nella casa famiglia possono esserci anche altre figure che aiutano e collaborano in vari modi: giovani in Servizio Civile Nazionale, stagisti e tirocinanti da scuole e Università, associati in periodo di verifica vocazionale, volontari motivati, sacerdoti e consacrati.
Vista l’organizzazione delle Vostre famiglie che messaggio possiamo trasmettere sull’accoglienza e sull’affido?
        Le nostre famiglie nascono e trovano fondamento nell’idea di don Oreste Benzi che lui stesso sintetizzava con queste parole: “dare una famiglia a chi non ce l’ha”. In tal senso l’affido è vissuto come un dono, accoglienza per chi non ha una famiglia. Ma al contempo, significa, essere pronti a compiere una missione: essere utili punti di riferimento verso chi ha bisogno.
        Per costruire dei percorsi di accoglienza e riabilitazione, non serve il pietismo e la rassegnazione, ma il coraggio e la fiducia verso l’altro che vive una difficoltà o diversità. Questa è la via più semplice e concreta verso l’integrazione sociale e socio-educativa.

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